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Autore: EvrenAll    12/11/2013    0 recensioni
A volte vale la pena rischiare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Cambiamento-

 

Guardai a destra, poi a sinistra, poi tutto intorno a me.
Non c'era niente, niente se non una sottile linea quasi impercettibile che creava un labile confine tra il colore di quella che avrebbe dovuto essere terra e quello che avrebbe dovuto essere cielo.
C'era il Niente, ed era dappertutto. Si estendeva avanti e dietro di me, ad Est e ad Ovest, sempre di più. Ed era estremamente chiaro, tanto da spingermi a chiudere gli occhi.
Ma la cosa che più impressionava era la totale assenza di suoni.
Il Niente non faceva rumore, e per quanto mi sforzassi, per quanto provassi ad urlare, continuava a rimanere tutto in silenzio.
Ma ero mai stata capace di parlare in realtà? Di cantare? O mi ero ingannata?
Potevano le immagini che vagavano nella mia mente essere solo un'invenzione? Un gioco dettato da un'assurda fantasia?
No.
Se fossi sempre stata nel Niente, se fossi stata Niente da sempre, parole, gesti, musica e colori non ci sarebbero mai stati nella mia mente. Quindi anche in quel momento in realtà non ero Niente, ero qualcosa! Piccola, ma qualcosa!
E gli altri?
Dov'erano gli altri?
Stavano vagando anche loro, sordi e accecati dalla luce del Niente?
Valeva la pena essere Qualcosa ed avere una mente per esserne consapevoli rimanendo soli? L'annullamento di sé sarebbe stato di gran lunga migliore.
Mi sedetti a terra.
C'era qualcosa di strano sulla mia faccia, procurava molto fastidio ed una sensazione spiacevole. Vi portai una mano. Era acqua, acqua che usciva dagli occhi.
Sapevo di averla chiamata lacrima in precedenza, e di averla associata a parole come tristezza, delusione, rabbia, ma anche felicità.
Respirai e chiusi gli occhi per percepire meglio il mio corpo. Muovevo mani, braccia, collo, gambe, ogni parte, e sentivo i piedi ben piantati a terra.
Io c'ero. Io sentivo.
Mi accorsi improvvisamente del freddo che strisciava addosso alla mia pelle: era un vento, gelido. Gli corsi incontro, opponendomi ad esso ed arrivando dopo una corsa infinita alla sua fonte: un minuscolo buco senza luce.
Lo allargai con le mani, tirando e deformando il contorno bianco fino a farlo diventare della dimensione di una finestra.
Oltre essa vi era solo vento, gelo, nubi e lacrime. Era da lì che provenivo? Erano rimasti lì gli altri? Lì in quel luogo buio?
Nei miei ricordi però non c'era nulla di così scuro.
Volli allargare ancora il buco: da finestra diventò porta, da porta a parete, fino a quando lo vidi: oltre le nuvole nere, lontano, nascosto, c'era l'azzurro.
Guardandolo sentii che sarebbe stato perfettamente inutile rimanere nel Niente. Sentii di voler condividere con gli altri che erano lì, lontani, quel Qualcosa che ero. Sentii che sarebbe valsa la pena attraversare la tempesta, anche se il viaggio si preannunciava difficile, anche se precipitando mi sarei schiantata a terra.
Senza rischiare non avrei ottenuto nulla.
Mi buttai, sfidando la paura, e subito mi accorsi che qualcosa era cambiato in me.

Ora avevo le ali.

  
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