13 Gennaio 1921,
Hannover (Germania)
Mi sveglio quando sento una risata e dei passi fuori la porta di quell’appartamento.
No, i passi e le risate sono troppe per essere di una sola persona, c’è qualcun altro con il lupo mannaro. Chiudo gli occhi per concentrarmi meglio su quel che sento: riconosco la voce di Grans e delle due prostitute, ma ne distinguo un’altra che non ho mai sentito prima di adesso.
Scherzano, sono felici, e felice è anche quello sconosciuto, ignaro di cosa gli aspetti nella stanza dove sta per entrare: varcare quella porta è come varcare la stessa dell’Inferno, e se lo affermo con tutta questa certezza è solo perché io, in quel buco, ci sono da due giorni e mezzo.
«Mie signore, credo che per adesso ci augureremo la buonanotte. Spero di rivedervi al più presto.»
Il mostro lascia che la sua voce incanti ancora, che affascini e convinca le due donne -che probabilmente nemmeno dovrebbero essere chiamate tali- della bontà nascosta nelle sue belle parole, cortesi e piene di finto sentimento.
Se solo loro credessero alle voci che si sentono sul suo conto…
«Così presto, mio caro Fritz? C’è ancora tempo per stare insieme!»
«Sono mortificato, Elli, ma non vorrei il nostro amico partisse domattina per Berlino visibilmente esausto. È mio ospite per questa sera, desidero prendermene cura come meglio posso.»
Chi non crederebbe a un uomo rasato e ben vestito come lui? Ha anche la faccia da persona simpatica, onesta e gentile, oltretutto sa come comportarsi in ogni situazione. È troppo perfetto per essere una cattiva persona.
Dopo altre estenuanti lamentele di Elli, sento i passi delle prostitute allontanarsi dall’appartamento e Fritz girare la chiave nella serratura: come tutte le altre volte prima di queste, Grans è il primo ad entrare, seguito a ruota dal loro ospite e da Fritz, che chiude rapidamente -e a chiave- la porta alle sue spalle.
L’ospite si blocca poco più avanti della soglia paralizzato nel vedermi legato semi-nudo a una sedia, con uno straccio che non mi consente nemmeno di mostrare il sorriso che avrei fatto osservando la sua espressione.
Adesso che inizia a capire non sorride più, adesso che comprende farà la mia stessa fine leggo senza problemi il terrore farsi largo nei suoi occhi azzurri come i miei e quelli di Grans, vedo le sue mani raggiungere i suoi capelli biondi così simili ai miei in preda alla disperazione totale. Si potrebbe quasi dire il mio riflesso se non fosse che io, a differenza sua, sono calmo e rassegnato al mio triste destino già da diverse ore.
Inizio ad agitarmi per attirare l’attenzione di Grans su di me, che capendo le mie intenzioni si avvicina per togliermi lo straccio da bocca e lascio finalmente che le mie labbra si inarchino in un sorriso sincero e troppo calmo per la situazione.
«Benvenuto all’Inferno», dico al nuovo ospite, «Spero almeno a te consentano una morte rapida e indolore.»
Grans mi da un pugno, ma io non gemo perché non voglio dargli alcuna soddisfazione.
Fritz urla il nome del suo compagno per rimproverarlo, ma quest’ultimo non lo ascolta e continua a concentrarsi su di me: «Sta’ zitto, Henk. Non spaventare il nostro ospite con le tue chiacchiere.»
Come se già non lo fosse vedendomi ridotto in questo stato.
E mentre lo penso mostro le mie gengive sanguinanti con un altro sorriso, facendo indietreggiare l’ospite verso Fritz alle sue spalle. Pochi secondi dopo, sono nuovamente imbavagliato come prima.
Il mostro sorride a sua volta, lo congela non appena sfiora la sua mano destra e vi intreccia le dita. Inspira il suo profumo, l’odore di paura che lo inebria così tanto; lo avvolge in un abbraccio dolce, caldo, poggiando la testa sulla spalla del mio coetaneo.
Bisbiglia poche parole nel suo orecchio: «Mi piaci così tanto, Adriaan.»
Mi immobilizzo come il ragazzo, ripensando al momento in cui ha detto anche a me quella misera frase e il cuore manca un battito.
Sorridevo beato nel suo letto, appagato in ogni senso da quell’uomo che credevo la mia salvezza, da quell’uomo che credevo capace di darmi un po’ di quell’amore che tanto bramavo. Le sue parole così belle, le sue carezze che erano come fuoco, i suoi morsi violenti che mi lasciavano senza fiato: io ne ero innamorato, avrei dato la vita per un’altra notte come quella.
Osservo una goccia di sangue cadere sul pavimento e macchiare una piastrella rotta e in pessimo stato. Fa male, mi fa male ogni singolo muscolo del mio corpo; cerco di muovermi poco, l’indispensabile per limitare le mie forse ultime ore di agonia.
Fritz inspira ed espira profondamente più volte prima di stringere con più forza l’esile ragazzo di fronte a lui. Adriaan geme, la stretta fa tramutare l’espressione di terrore in una di dolore, e quando il mostro lo lascia, sembra quasi che lui non sia più in grado di reggersi in piedi.
Ed è in quel momento che il lupo mannaro decide di lasciarsi andare: nel giro di pochi istanti Adriaan è spinto da Fritz sul suo letto, incatenato, immobilizzato da quelle braccia troppo forti che il giorno prima hanno bloccato a quel materasso anche me. Ma io non aspettavo altro che il suo corpo su di me, il loro ospite invece vorrebbe essere ovunque tranne che in questa stanza.
Si dimena, prova ad urlare prima che le mani di Fritz afferrino il suo collo e inizino a stritolarlo, bloccando di conseguenza ogni suono prima che fuoriesca. Il mostro stringe, stringe e stringe, gli lascia un casto bacio sulle labbra prima che perda definitivamente i sensi.
Il corpo di Adriaan è lì inerme, con le labbra violacee e il viso più bianco di quanto già non fosse prima di quell’attacco. Grans, al mio fianco, sorride entusiasta; io invece mi limito a distogliere lo sguardo dal cadavere che giace sul letto: mi sento in colpa per quella morte anche se non è stata causata da me, anche se non avrei avuto nessuna speranza di salvarlo nemmeno se non fossi legato alla sedia. Perché Fritz è più forte di me, e Grans mi avrebbe attaccato se avessi anche solo provato a muovere un dito su di lui, forse mi avrebbe anche ucciso.
Fritz ansima ancora per lo sforzo nello stringere quelle ossa sottili; quando si riprende guarda Grans, e quest’ultimo trascina la mia sedia nella piccola stanza utilizzata come ripostiglio. Mi ci chiude dentro, mi lascia al buio e solo con la mia testa ancora una volta. Tutto questo per il tempo di un suo giro per la piazza di Hannover, lo stesso di Fritz per un amplesso con un cadavere troppo giovane e bello per meritare questo triste destino.
Non so dopo quanto io esca dal ripostiglio perché il tempo sembra infinito in quel buio sconfinato dove sono stato già altre due volte in questi due giorni, e “fortunatamente” questa è la prima dove chi entra nell’appartamento non riesce più ad uscirne.
La luce è forte e inizialmente non vedo altro che figure senza forma, ma quando finalmente metto a fuoco mi accorgo che la persona ad avermi tirato fuori non è Grans come credevo ma Fritz stesso, rivestito come se non avesse mai avuto nessun rapporto con un cadavere; lo stesso cadavere che adesso è gettato malamente sul pavimento, con gli arti in posizioni innaturali e gli occhi sbarrati su di noi.
Rabbrividisco, ma Fritz mi prende il mento e mi obbliga a guardarlo.
«Hai paura?», mi chiede.
Scuoto la testa, quello straccio non mi permette di formulare nessuna parola comprensibile.
«Sai cosa ti accadrà adesso?»
Annuisco, cercando di muovere la testa il meno possibile per non provare dolore aggiuntivo.
«Ti toglierò lo straccio da bocca per permetterti di parlare. Se urli, tutto finirà adesso.»
E mi mostra un coltello da macellaio, lo stesso che ha usato tante altre volte prima di queste per scuoiare le persone che ha ucciso e poi rivenderne la carne o regalarla ai vicini. Non avrei comunque urlato e lo sa bene, la sua minaccia è superflua e non aspetta nemmeno una risposta prima di togliermi lo straccio da bocca.
Muovo lentamente la mascella cercando di riacquistarne la sensibilità e punto i miei occhi nei suoi: sono pronto a qualunque cosa, lo sono da ormai troppe ore; non ho paura di quel che proverà a farmi.
Sorride, mi accarezza il viso violaceo e dalla contrazione dei suoi muscoli facciali capisco che per un simile sfregio sarebbe disposto anche a colpire il suo amato Grans. La sua mano in questo atto non sarebbe paragonabile a un mostro, e io mi godo il momento senza pensare a nient’altro che a lui.
«Hai un ultimo desiderio, Henk?», chiede ancora, nel modo più dolce che io abbia mai sentito.
Una lacrima mi riga la guancia destra senza che io gliel’abbia permesso, sospiro sperando accordi questa mia semplice richiesta.
«Sì, Fritz. Fai l’amore con me, per l'ultima volta.»