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Autore: Acinorev    13/11/2013    16 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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I know

Capitolo 25

 
Vicki.
 
Quando mi svegliai era l’una passata e le occhiaie sul mio viso rappresentavano al meglio la mia stanchezza: non che io e Zayn fossimo tornati all’alba, ma era comunque tardi quando fui in grado di lasciarmi cadere a letto e chiudere gli occhi nel confortevole buio della mia stanza.
Dopo una doccia prolungata e rilassante, decisi di preparare un vero e proprio pranzo, soprattutto perché la sera prima ero praticamente rimasta a stomaco vuoto: già immaginavo abbondanti pietanze che avrei potuto cucinare senza troppe difficoltà, la tavola imbandita a dovere e piena dei miei piatti preferiti – che avrebbero placato la mia fame – e la sensazione di pienezza che avrei ottenuto. E stava andando tutto bene, fino a quando mi accorsi che in casa non c’era nulla: mi ero dimenticata di fare la spesa - di nuovo - quindi i mobili della cucina conservavano ancora solo poche cose con le quali avrei potuto fare colazione o al massimo gli antipasti, di quel pranzo da record mondiale che invece avevo in mente.
Sospirai e mi massaggiai le tempie, con i capelli ancora bagnati e con indosso un vecchio pigiama color porpora e panna: tamburellai con le unghie mangiucchiate sul ripiano della cucina e alzai gli occhi al cielo, avvicinandomi poi al congelatore. L’avevo aperto e chiuso almeno tre volte, negli ultimi dieci minuti, ma chissà che ricontrollare non avesse potuto far apparire qualcosa di commestibile: nell’ultimo scompartimento, in fondo e dietro una busta di fagiolini surgelati, c’era una scatola in cartone contenente quattro piccole pizzette con pomodoro e mozzarella che non ricordavo nemmeno di avere. La presi tra le mani e chiusi tutto, tornando in piedi e stiracchiandomi il collo: sembrava la mia unica speranza di mangiare qualcosa, quindi controllai la scadenza e accesi il forno, stringendomi nelle spalle.
La televisione era sintonizzata sul telegiornale, che però si ostinava a ripetere gli ultimi gossip, anziché concentrarsi su notizie più importanti e magari di reale interesse, quindi lasciai le pizze a cuocere e uscii in giardino, rabbrividendo per lo sbalzo di temperatura e chiedendomi perché mi fossi premurata di portare con me il telefono ma non una giacca con cui coprirmi: trovai Teddy disteso di fianco alla porta, con il muso e le zampe che penzolavano oltre il primo gradino che conduceva al vialetto, e mi sedetti al suo fianco lasciandogli un bacio tra le orecchie. Lui ovviamente non si scompose più di tanto, fedele al suo essere un dormiglione di prima categoria, quindi mi accontentai di vederlo scodinzolare appena e di aprire gli occhi, solo per poi chiuderli di nuovo una volta appurata la mia identità.
Continuai ad accarezzarlo, dicendo addio al mio progetto di giocare un po’ con lui per passare il tempo, e usai l’altra mano per controllare il cellulare: mi chiedevo che fine avesse fatto Louis, dato che non lo sentivo dalla sera prima, ovvero da quando mi aveva tranquillamente confessato di aver cancellato il nostro appuntamento per Eleanor. Nonostante la mia stizza e i mille dubbi che non smettevano di assalirmi, decisi di prendere l’iniziativa, non prima di aver tirato un bel respiro e di essermi data della stupida da sola.
Digitai il suo numero e avviai la chiamata, leggermente scocciata dal fatto che avrebbe potuto non rispondere per almeno un centinaio di motivi e anche vittima di una certa nostalgia. Era normale che mi mancasse così tanto dopo un giorno e che potessi essere così paranoica a riguardo?
Mentre mi interrogavo su quanto effettivamente fossi patetica, la voce di Louis – quella voce – mi arrivò alle orecchie, stupendomi e facendomi raddrizzare la schiena, quasi mi avesse colpita.
«Pronto?» disse semplicemente. Lasciai andare un sospiro, sorridendo istintivamente e girandomi a guardare Teddy, come per trovare in lui un riscontro del mio sollievo.
«Louis, hey! – lo salutai, schiarendomi la voce e cercando di ricompormi. – Disturbo?»
La mia era una domanda relativamente stupida, perché in teoria la risposta avrebbe dovuto essere negativa, dato il nostro rapporto, ma non era così scontata come cosa: non potevo dimenticare che Louis facesse parte degli One Direction e che il suo tempo e i suoi impegni fossero di natura nettamente diversa rispetto a quelli di una persona comune.
«Hm, no» rispose.
, fu la  mia interpretazione.
Corrugai la fronte e aspettai qualche secondo prima di parlare o di reagire: era evidente, dal suo tono di voce reso più acuto dal telefono, che ci fosse qualcosa che non andava, che lui non fosse felice di sentirmi almeno la metà di quanto lo fossi io. E la mia mente non poteva trattenersi dal correre e dipingere davanti a me mille scenari diversi, ognuno dei quali finiva puntualmente con noi due che litigavamo, lui che mi diceva di dovergli stare lontana e io che piangevo, e che poi lo mandavo a quel paese.
Decisi di impormi un certo autocontrollo, impedendo alla parte più impulsiva e paranoica di me di agire in modo sconsiderato. Inspirai di nuovo profondamente e serrai la mascella: ci avrei almeno provato.
«Mi chiedevo se… - Tossicchiai e chiusi gli occhi, inarcando le sopracciglia per domandarmi da dove fosse uscita quella voce tremolante. – Visto che ieri non ci siamo visti, potevamo fare qualcosa oggi. Stasera io lavoro a quella festa di cui ti avevo parlato, quindi non ci sono, ma prima delle sei e mezza sono libera, quin-»
«Sì, scusa, ma ora devo andare. Ti chiamo più tardi e ne parliamo» esclamò, prima di attaccare la chiamata senza darmi il tempo di ribattere.
Io rimasi con gli occhi fissi sul pelo lucente di Teddy e con il vecchio Nokia ancora vicino all’orecchio: il mio cuore era nervoso e lo dimostrava battendo insistentemente contro la mia cassa toracica. Ed io non potevo credere a quello che era appena accaduto: Louis mi aveva praticamente chiuso il telefono in faccia, liquidandomi con poche parole disinteressate e facendomi sentire la stupida più stupida che potesse esserci sulla faccia della terra; senza parlare del suo tono freddo e distaccato e della sua promessa che, se era come quella della sera prima, prospettava altre ore passate ad aspettare invano una sua chiamata o un suo misero messaggio.
In quel momento, nonostante i miei sforzi, mi era davvero impossibile non pensare al peggio, ma ero determinata a mantenere un certo grado di dignità personale: non gli avrei permesso di trattarmi in quel modo, per questo composi di nuovo il numero e restai a fissarlo sullo schermo tra le mie mani, progettando almeno due o tre frasi da dire, appena Louis avrebbe accettato la chiamata. Le mie intenzioni, però, furono completamente spazzate via da un movimento improvviso di Teddy, che si alzò velocemente facendomi spaventare ed iniziando ad abbaiare come se non ci fosse un domani.
Corrugai la fronte e lo osservai mentre correva lungo il vialetto per arrivare al cancelletto, richiamandolo più volte per cercare di fargli fare silenzio: sembrava impazzito, anche se la sua coda che si muoveva irrequieta a destra e a sinistra e i suoi movimenti impazienti mi suggerivano che non fosse sulla difensiva, ma solo felice.
Quando io mi avvicinai a lui e dietro al cancelletto vidi apparire il viso di mio fratello Brian, per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva e lasciai cadere il telefono a terra.
Brian accarezzò Teddy – Theodore, per lui – attraverso le sbarre di ferro, facendolo calmare almeno un po’, e rivolse a me un sorriso genuino e divertito. «Buongiorno, Victoria» mi salutò, ricalcando il mio nome per intero, dato che sapeva non entusiasmarmi molto se pronunciato da lui.
Io mi portai una mano sulla bocca e mi lasciai andare all’unica grande emozione che viveva incontrastata in me in quel momento, spazzando via tutto il resto: la felicità. Non mi mossi, ma sorrisi e sentii le lacrime pungermi gli occhi, forse per quel passaggio tempestivo e drastico da uno stato d’animo all’altro, per Louis che avrei voluto picchiare e Brian che aveva mantenuto la promessa ed era davvero a casa.
Lo osservai aprire il cancelletto e combattere contro l’allegria di Teddy, mentre si avvicinava a me. «Per fortuna ho il mio mazzo di chiavi, o quella sciagurata di mia sorella non mi farebbe nemmeno entrare in casa» mi prese in giro, appoggiando il borsone a terra e passandosi una mano tra i capelli biondo cenere, più corti dall’ultima volta in cui ci eravamo visti.
Io risi e gli corsi incontro, allacciando le mie braccia intorno alla sua schiena muscolosa e nascondendo il viso sul suo petto, proprio come una bambina, mentre mi godevo il suo profumo e la sensazione di protezione che la sua stretta mi aveva sempre provocato. «Sei tornato» sussurrai, senza riuscire a crederci.
Ero così abituata ad averlo lontano da casa e a sentirmi dire che i suoi superiori non gli avrebbero concesso i giorni di licenza che lui richiedeva, che vederlo lì, in carne ed ossa, mi spiazzava terribilmente.
«Sarò il tuo peggior incubo per quattro lunghi giorni» affermò, passando una mano tra i miei capelli e lasciando tra di essi un bacio affettuoso.
«’Sta zitto» lo rimproverai, tenendo per me il fatto che avrei accettato anche che lui fosse un incubo, pur di averlo accanto.
«Non mi hai aperto il cancello, non mi lasci nemmeno parlare, dimmi almeno che hai qualcosa di pronto da mettere sotto i denti» protestò, ridendo e facendo vibrare il suo petto sotto di me.
Io spalancai gli occhi e mi ritrassi da quell’abbraccio, mentre lui mi scrutava confuso. «Cazzo, le pizze!» esclamai, correndo via per assicurarmi che non fossero diventate mero carbone, all’interno del forno.
 
 
Brian.
 
Sorrisi ancora una volta, camminando per le strade affollate di Londra sotto il cielo rossiccio del tramonto, con i pensieri che correvano alla velocità della luce: ormai mancava poco a casa di Stephanie e non potevo aspettare un minuto di più, per rivedere i suoi occhi così verdi e per sentire la sua pelle così morbida sotto le mie dita.
Da quando me ne ero andato, non avevo fatto altro che pensare a tutti quei suoi particolari ai quali spesso non avevo fatto attenzione: Stephanie mi perseguitava ad ogni ora del giorno ed io non sapevo più come reagire a quei sentimenti che ormai non potevo più negare. Per questo avevo insistito più del previsto con il mio superiore, per ottenere dei giorni di permesso: certo, Victoria era il motivo principale, ma la sua migliore amica – non sapevo definire cosa fosse per me – era stato un grande incentivo. Il Generale Coolin, da dietro la sua scrivania e dopo avermi concesso il riposo, mi aveva chiesto perché stessi premendo più del solito per tornare a casa, dato che ormai aveva perso il conto di tutte le volte che avevo fatto richiesta: «perché credo di essermi innamorato, signore» avrei voluto rispondergli, invece gli avevo rifilato la scusa di gravi problemi in famiglia.
E volevo dirlo a Stephanie: volevo che fosse lei la prima a sapere ciò che provavo, ciò che mi aveva causato dentro. Quindi accelerai il passo e mi fermai sotto il suo appartamento, con ancora il sorriso sul volto e le mani che sfregavano l’una contro l’altra.
Quando suonai al citofono – più volte -, però, nessuno rispose: possibile che fossi tanto sfortunato da essere andato lì proprio nel momento in cui era fuori? Iniziai a chiedermi se fosse davvero stata una buona idea presentarmi senza preavviso.
Presi il cellulare dalla tasca e decisi di chiamarla: da troppo tempo non sentivo la sua voce, perché sapevo cosa le costasse avere una relazione a distanza – se così poteva essere chiamata -, quindi avevo provato a rispettare la sua scelta. Fino ad allora.
«Brian?» rispose dopo innumerevoli squilli, facendomi sorridere, di nuovo. La sua voce era stupita, leggermente più acuta e quasi trafilat: mi era mancata.
«Hey – dissi soltanto, calciando un sassolino davanti a me. – Come stai?»
«Ehm, bene…»
Rispettai la sua evidente sorpresa nel sentirmi, così non me la presi quando non ricambiò la domanda. Probabilmente si stava facendo più di mille domande.
«Sei a lavoro?» chiesi, cercando di indagare un po’ di più, in modo da potermi organizzare e portare a termine il mio intento.
«No – disse velocemente, schiarendosi la voce. – No, in realtà… Sono a casa» spiegò, facendomi corrugare la fronte. Avevo suonato tre volte al suo citofono e non aveva risposto.
Deglutii a vuoto e citofonai di nuovo, stando attento a sentire un’eco dall’altra parte del telefono, ma niente, potevo percepire solo il respiro leggero di Stephanie. E qualcos’altro. Subito dopo, infatti, una voce maschile mi arrivò alle orecchie, ed io non sapevo se essere più infastidito dalla bugia che mi aveva appena detto o da quello che mi stava nascondendo.
«Oh, hai da fare? Ho sentito che c’è qualcuno con te» cercai di provocarla, serrando la mascella.
«Sono da sola, magari ti sei sbagliato» rispose con tranquillità, e non la tranquillità che l’aveva sempre caratterizzata, ma quella costruita per celare qualcosa. O qualcuno.
«Sì, può essere – mormorai, fissando il cemento sotto i miei piedi. - Ora comunque devo tornare a lavoro, a presto!» la salutai, prima di chiudere la chiamata e gli occhi, per concentrarmi sugli ultimi minuti passati al telefono con lei.
Che diavolo stava combinando?
 
 
Vicki.
 
Sospirai profondamente, passandomi una mano sul collo come se avessi potuto alleviare la stanchezza e rendere i miei nervi meno tesi. Strinsi la cinghia del borsone per posizionarla meglio sulla spalla destra e sbuffai quando la sentii troppo pesante.
Ormai se ne erano andati quasi tutti e la hall dell’hotel in cui era stata allestita la sala per l’evento era tranquilla e illuminata placidamente da diversi lampadari: era un posto lontano dal centro di Londra, quindi il solo pensiero di dover guidare fino a casa alle due di notte mi faceva sentire ancora più stanca. Se fosse stato possibile, mi sarei accontentata di accasciarmi sul pavimento lucido su cui camminavo e di addormentarmi lì, indifferente a chiunque mi avesse potuta vedere.
Non era stata una serata eccessivamente impegnativa, anzi, rientrava in quelle nella norma: soliti preparativi, soliti imprevisti e solite persone più o meno snob che si lamentavano o si complimentavano riguardo il cibo a seconda della difficoltà dei loro gusti, senza sapere che era stato proprio il loro ospite a scegliere le varie pietanze. Sulla qualità del servizio, però, nessuno aveva avuto qualcosa da obiettare, ed era questo l’importante.
Sbadigliai e sbattei le palpebre più volte, salutando con un sorriso il distinto signore che stava dietro il bancone nella hall e sistemandomi meglio il giubottino in pelle nera che stonava leggermente con i pantaloni blu della tuta: finalmente ero riuscita a togliermi quelle fastidiose scarpe nere eleganti e a rimpiazzarle con un paio di converse bianche che non avevo mai amato così tanto.
Aspettai il secondo necessario affinché le porte automatiche della hall si aprissero e mi immersi nella notte londinese. La strada era deserta e le luci rendevano il cielo un po’ meno scuro. Io ero ferma sul marciapiede, per un attimo indecisa su dove avessi parcheggiato, e Louis era appoggiato alla sua auto con le braccia incrociate sul petto, un cappellino di lana grigia calato sulla fronte e gli occhi su di me.
Louis…
Louis?!
Che diavolo…?
Corrugai la fronte e deglutii, credendo che fosse solo un’allucinazione dettata dal sonno e dagli avvenimenti della giornata; dal mio intenso desiderio di vederlo e dalla delusione di non aver ricevuto, alla fine, quella tanto attesa chiamata da parte sua; dalla rabbia e dal sollievo.
Eppure le sue iridi azzurre erano proprio a pochi metri da me e il mio cuore era già impazzito, quindi dovevo convincermi che fosse più che reale.
«Cosa ci fai qui?» chiesi in un fil di voce avvicinandomi, ma non troppo. Fu lui, infatti, ad eliminare quasi del tutto la distanza tra di noi, arrivandomi di fronte. Il giubottino di jeans era sbottonato e lasciava intravedere una maglia nera del Leeds Festival, mentre i jeans scuri gli lasciavano scoperte le caviglie magre.
«Mi sembra ovvio» rispose, passandosi la lingua sulle labbra senza smettere di scrutarmi. Nella sue parole scontate e un po’ irritanti, non c’era però traccia di una presa in giro o di sarcasmo, ed io ero troppo stanca per indagare oltre.
«Questo l’ho capito – sospirai, spostando il borsone sulla spalla sinistra. – Intendo dire perché» precisai. Cercavo di mantenere i nervi saldi ed una maschera di serietà che non lasciasse trasparire quanto in realtà avessi voglia di mandare tutto all’aria e di baciarlo, di accarezzargli il collo, insultarlo e poi di stringermi al suo petto.
Louis mi guardò per un paio di secondi, poi allungò una mano e mi strinse il fianco destro per attirarmi a sé: si avvicinò lentamente al mio viso e sfiorò le mie labbra con le sue, fredde e leggermente screpolate, ma sue, quelle che anche in quella situazione non mi risparmiavano dalla loro tortura e dai brividi che mi provocavano.
Per quanto io avessi bisogno di quel contatto, però, mi obbligai a fare un passo indietro, tenendo a bada la parte di me che pestava i piedi a terra, maledicendomi per la distanza che avevo di nuovo stabilito tra me e Louis. Lo osservai duramente – o almeno ci provai – mentre lui alzava un sopracciglio, confuso e anche innervosito.
«Non puoi fare così – affermai, prima che mi potesse togliere tutte le forze per farlo. – Non puoi ignorarmi e poi presentarti qui e baciarmi, come se andasse tutto bene».
Louis schiuse le labbra e strinse i pugni. «Sono stato qui ad aspettarti per oltre due ore, potresti almeno apprezzarlo» disse a denti stretti. Era davvero stato lì per tutto quel tempo? Era evidente che non sapesse a che ora avrei finito di lavorare, ma… Insomma, più di due ore ad aspettare me? Se lui non era lunatico, allora non so chi altro potesse esserlo.
Mi morsi una guancia. «Infatti lo apprezzo – gli assicurai, perché in fondo era la verità. – Ma l’avrei apprezzato di più se oggi non mi avessi praticamente ignorata al telefono e per tutto il pomeriggio, facendomi sentire una povera illusa» ammisi, ricordando l’attesa impaziente con la quale avevo vissuto quella giornata e che poi si era tramutata in delusione e pessimismo. Dovevo fargli capire che non sarei stata buona in un angolino, accettando qualsiasi suo comportamento contraddittorio: non più.
«Non venirmi a dire quello che io avrei dovuto fare o non fare, perché non sei nella posizione adatta» ribatté con nervosismo, dandomi le spalle e dirigendosi verso la sua auto. A cosa di riferiva e perché se ne stava andando?
«Louis - lo richiamai, incredula. – Fermati».
Era assurdo come la maggior parte dei nostri incontri finisse con uno dei due che scappava via. Stranamente quella volta mi diede ascolto. «Di che stai parlando?» chiesi, e lui si voltò verso di me con la mascella serrata e gli occhi colmi di risentimento.
«Di cosa sto parlando? – ripeté, avvicinandosi come se avesse avuto voglia di urlarmi contro. E probabilmente stava per farlo. – Non mi sembra che tu abbia molto da rimproverarmi, dato che sei stata la prima ad ignorare me per Zayn» continuò, facendomi rimanere a bocca aperta.
Allora era questo il problema? Zayn? E da che pulpito veniva la predica?
«Io non ti ho ignorato per Zayn – ribattei, lasciando a terra quel maledetto borsone e impegnandomi con tutta me stessa per mantenere la calma. – Aveva bisogno di parlare con qualcuno e di certo non potevo negarglielo: e se ben ricordi, io ti ho chiesto di vederci più tardi, ma sei stato tu a mandare tutto all’aria per stare con Eleanor». Le cose stavano esattamente così e non mi sembrava di aver commesso un grande errore, quindi perché Louis mi stava guardando con quell’aria ferita quando la situazione avrebbe dovuto essere capovolta?
«Però devi ammettere di aver passato una gran bella serata con Zayn, dato che non ti sei più fatta viva» continuò, questa volta con un tono presuntuoso che mi diede sui nervi.
«Smettila di pronunciare il suo nome come se fosse un nemico mortale: è uno dei tuoi migliori amici! Conosci bene il rapporto che c’è tra di noi, quindi non capisco di cosa tu ti sorprenda. E sì, ho passato una bella serata perché ho cercato di aiutarlo e perché forse ci sono riuscita, ma non è per questo che non mi sono fatta viva – precisai, con le mani che gesticolavano per il nervosismo. – Nemmeno tu mi hai scritto o chiamato, quindi non volevo disturbarti, nel caso ti stessi divertendo moltissimo con la tua Eleanor, per la quale, tra l’altro, non hai esitato a darmi buca all’ultimo minuto. Ah, e visto che siamo in tema: durante il vostro incontro hai per caso accennato a te e me?»
Il mio tono era pungente e ferito al tempo stesso: c’era troppa consapevolezza, troppo sarcasmo che mal celava il mio reale stato d’animo. In più, mi ero lasciata trasportare dalle emozioni, finendo per gettare via quella mia piccola paura: avevo finito per sputare tutto fuori in un’unica volta, facendomi forza con la rabbia che le insinuazioni del ragazzo di fronte a me mi donavano.
«No» rispose velocemente Louis, guardandomi negli occhi.
In quel momento sentii il terreno sbriciolarsi sotto i piedi. Gli voltai le spalle, raccogliendo il borsone, e iniziai a camminare: il solo pensiero che si fossero incontrati per altri motivi bruciava dentro di me, così come la possibilità che Louis non avesse nemmeno intenzione di dirle la verità. E avevo sonno, ero stanca e i piedi mi facevano male: allontanarmi il più possibile da lui era l’unica cosa che mi rimaneva da fare.
Quando la sua mano si avvolse intorno al mio polso, io cercai di liberarmi, fino a ritrovarmi di nuovo faccia a faccia con i suoi occhi, che mi scavavano dentro. «Non le ho detto niente perché non l’ho vista» disse soltanto, con un’espressione più tranquilla, quasi spaventata.
Arrestai i miei movimenti e respirai profondamente, con ancora il cuore irrequieto. «Cosa?» chiesi flebilmente.
Louis mi lasciò andare e si inumidì le labbra. «Era una cazzata – spiegò, distogliendo per un attimo lo sguardo da me e abbassando di molto il tono di voce. – Ti ho mentito».
Lo osservai attentamente, cercando di rielaborare le sue parole e di dare loro un senso. «Perché?» fu la sola cosa che riuscii a dire.
Sospirò e si aggiustò il cappellino sulla fronte. «Perché avevi deciso di uscire con Zayn e io…»
«E tu hai creduto che l’idea migliore fosse inventarti una scusa solo per farmela pagare?» lo anticipai, offesa dal suo comportamento infantile, che aveva causato solo preoccupazioni e discussioni inutili.
«Volevo stare con te - disse seriamente, corrugando la fronte e facendosi un po’ più vicino, mentre i miei occhi cercavano di decifrare i suoi, di testare la veridicità di quella sua semplice frase. – E quando mi hai mandato quel messaggio… Mi hai fatto incazzare».
«Louis…»
«Lo so» mi interruppe, quasi non volesse sentire il resto delle mie parole. Probabilmente sapeva che fossi sul punto di dirgli quanto il suo atteggiamento fosse stato esagerato.
«Anche io volevo stare con te – gli assicurai, abbassando la voce e sentendo una fitta allo stomaco a causa di quel pensiero. – Ed è per questo che ti ho detto che ci saremmo potuti vedere dopo». Se solo fossi stata in grado di fargli capire quanto io volessi passare ogni minuto della giornata con lui.
«Ho agito d’istinto – si giustificò, allungando una mano per raggiungere la mia e sfiorarla delicatamente. Io non la ritrassi. – Zayn ti ha cercata e tu non hai esitato a correre da lui. Avrei voluto dirti che anche io avevo bisogno di vederti, in quel momento, e che vorrei che tu corressi da me allo stesso modo, invece ho finito per fare lo stronzo orgoglioso».
La sua spiegazione mi entrò nelle ossa più del freddo di quella notte. Possibile che dietro le iridi vitree di Louis ci fosse tanta insicurezza e tanta paura? Che lui riuscisse a mascherare tutto con del pungente orgoglio? Non avrei mai pensato che il problema potesse essere quello: in pratica mi aveva detto di doversi vedere con Eleanor solo per ripicca, per farmi provare quello che lui stava attraversando per quel mio gesto nei confronti di Zayn, per nascondere la sua delusione e dimostrarsi forte ai miei occhi, mal celando il fatto che magari stesse aspettando quell’appuntamento tra di noi quanto me, mentre io l’avevo posticipato tanto facilmente.
«E per tutta la sera ho aspettato che tu mi chiamassi, o mi scrivessi anche solo uno stupido messaggio. Invece niente – aggiunse, con la linea dura della mascella che rifletteva la riluttanza con la quale lasciava uscire quelle parole. Aprirsi a qualcuno non era facile per lui, soprattutto se doveva ammettere qualcosa del genere. – È stato lì che ho pensato che…»
«Vuoi sapere cosa ho pensato io, invece? – chiesi, quasi in una preghiera. Non sapevo più come rassicurarlo, cosa dire o fare per fargli capire quali fossero i miei sentimenti per lui. – Ho pensato che tu non ti fossi fatto nessuno scrupolo a cancellare un impegno preso con me per stare con quella che in fondo è ancora la tua ragazza. Mentre ero con Zayn, continuavo a chiedermi cosa steste facendo in quel momento e se tu avessi davvero intenzione di parlarle. E quando il mio telefono continuava a non squillare ho pensato che io fossi l’ultimo dei tuoi pensieri» confessai. Ero decisa a scoprirmi completamente con Louis, perché non volevo tenermi tutte quelle sensazioni dentro: volevo mostrargli quanto i nostri timori fossero simili, quanto i nostri comportamenti ci influenzassero allo stesso modo e quanto anche io avessi paura di perderlo. Speravo che svelando ogni mia più piccola preoccupazione, si sarebbe sentito in grado di fare lo stesso, al sicuro.
Con i suoi occhi ad osservarmi con stupore, continuai a parlare. «E oggi, quando ti ho chiamato e tu mi hai risposto in quel modo, ho pensato che la serata con Eleanor dovesse essere andata bene, o peggio, che tu avessi cambiato idea e che da un momento all’altro mi avresti detto che tra di noi…»
Louis non mi diede il tempo di finire la frase e, tirandomi per la mano che stringeva ancora nella sua, mi avvicinò a sé per baciarmi: io non mi opposi, perché le sue labbra erano l’unica cosa di cui in quel momento avevo bisogno, e sospirai sulla sua pelle. Mi baciò portando una mano tra i miei capelli e mi baciò per smentire quelle mie parole.
«Non cambierò idea» sussurrò sul mio collo, facendomi rabbrividire. Il mio cuore prese a battere ancora più forte, liberandosi dalla morsa del freddo e della preoccupazione che per tutto il giorno mi aveva tenuta prigioniera.
Portai le braccia intorno al suo collo, per stringermi a lui nonostante il borsone mi fosse d’intralcio, e respirai il suo profumo mentre sentivo le sue mani spostarsi sulla mia schiena: avrei voluto che fosse ancora estate, in modo da poter sentire le sue dita sulla mia pelle nuda, lasciata scoperta da un semplice top.
«Non devi pensare che io preferisca stare con qualcun altro – mormorai. Com’era possibile che non capisse cosa significava per me? Cosa solo lui potesse provocare in me? – E non devi mentirmi in quel modo solo per…»
«Mi dispiace» mi interruppe, dandomi l’impressione che fosse la sua tecnica preferita per non sentire parole che avrebbero intaccato troppo da vicino i suoi sentimenti. Io non protestai, finalmente capace di capirlo un po’ di più e finalmente al sicuro da tutte le mie paranoie: ormai avevo compreso cosa aveva spinto Louis a comportarsi in quel modo, e nonostante non fossi d’accordo con le sue azioni, riuscivo a giustificarle e a perdonarle. Forse era stupido e ingenuo, ma non potevo fare altrimenti.
Era evidente che dovessimo ancora imparare a condividere qualcosa, anche un semplice pensiero, e a stare insieme anche nell’accezione più semplice del termine: dovevamo trovare un punto d’incontro tra la sua testardaggine, i suoi modi a volte discutibili e troppo orgogliosi e le sue paure, e il mio carattere spesso insicuro e altrettanto determinato, i miei timori – simili ai suoi – e tutte quelle emozioni di cui io vivevo e dalle quali mi lasciavo sopraffare.
E a proposito, col senno di poi, riuscivo ad apprezzare ancora di più il suo avermi aspettato davanti all’hotel: dopo un’intera giornata passata ad evitarmi per la stizza della sera prima, doveva essergli costato parecchio orgoglio presentarsi lì e mettere da parte il suo risentimento.
«Anche a me» dissi flebilmente, sorridendo sulla sua pelle. Mi dispiaceva, ma ero terribilmente felice che tutti i miei dubbi fossero stati allontanati e che potessi finalmente godermi la sua stretta su di me. Subito dopo, la mia espressione serena fu disturbata da uno sbadiglio che cercai di mascherare. Alla faccia del momento di riappacificazione: la prima volta avevo lo stomaco che brontolava, questa non mi reggevo in piedi per il sonno.
Ovviamente, Louis si accorse di quel piccolo segno di stanchezza. «Sei stanca? Vuoi andare a casa?» chiese, spostandosi leggermente per guardarmi negli occhi. I suoi, a quella distanza ridicola, erano il male puro.
Sì, in realtà volevo andare a casa e sdraiarmi nel letto senza nemmeno mettermi il pigiama, ma c’era qualcosa che cercava di distogliermi da quell’idea. Scossi la testa e mi passai una mano tra i capelli. «No, possiamo stare un po’ insieme – proposi. – Hai aspettato oltre due ore, quindi direi che è il minimo che io possa fare» continuai, ricalcando quelle parole. Louis sorrise, provocando in me la stessa reazione, e scosse la testa, probabilmente pentito di avermi confessato quel suo piccolo grande gesto.
«Vicki, non vorrei che ti addormentassi mentre parliamo – mi prese in giro, mostrandomi di nuovo il Louis privo del cipiglio arrabbiato o nervoso. I suoi cambi d’umore mi avrebbero di certo mandata al manicomio, prima o poi. – O mentre facciamo altro» aggiunse, facendo schioccare la lingua sul palato.
Ignorai la sua aria maliziosa e alzai gli occhi al cielo. «Guarda che non…» Un altro sbadiglio mi interruppe, rendendo i miei occhi lucidi.
«Stavi dicendo? – chiese, divertito dalla poca credibilità che avevo. – Rimane il fatto che non puoi nemmeno guidare fino a casa in questo stato, quindi posso accompagnarti io: prendiamo la tua macchina e poi chiamo un taxi per tornare qui» propose, alzando le spalle. Quanti Louis diversi avrei conosciuto nell’arco di pochi giorni?
«Non…»
«Oppure… - disse contemporaneamente a me, inclinando le labbra all’insù e dando una veloce occhiata all’hotel dietro di noi. – Oppure potremmo prendere una stanza qui e…»
«Maniaco» lo presi in giro, stringendo un po’ di più la presa sul suo collo. Il solo pensiero di condividere la notte con Louis mi emozionava e mi terrorizzava al tempo stesso: era un terrore positivo però, perché avevo solo paura che svegliarmi al suo fianco avrebbe comportato un nuovo livello di masochismo e pazzia dentro di me.
«Pervertita – mi imitò lui, corrugando la fronte. – Intendevo dire che potremmo prenderla per dormire. E poi, mi devi ancora un appuntamento» spiegò.
«Io? Guarda che sei tu c-»
«Allora?» chiese, ignorando le mie proteste per la sua insinuazione con un sorriso divertito sul volto.
Mi morsi il labbro inferiore, sbirciando nella hall dell’hotel e accettando di buon grado quel suo modo di fare giocoso. «Non lo so, Louis. Posso prendere un taxi senza che tu mi accompagni a casa per poi tornare qui, senza contare il fatto che non ho abbastanza soldi con me per pagare la stanza di un hotel a cinque stelle».
 
Dieci minuti dopo, invece, il mio borsone era già posato su un tappeto persiano o di chissà dove in una lussuosa camera d’albergo, dove avevo l’impressione che persino la carta igienica avesse un valore inestimabile. Louis era più testardo di quanto potesse sembrare ad una prima occhiata e non aveva voluto sentire proteste, mentre pagava anche per me il soggiorno per una notte e mentre mi trascinava per i corridoi dell’hotel, elencandomi i motivi per cui non mi avrebbe fatta guidare fino a casa da sola né mi avrebbe lasciata prendere un taxi a quell’ora di notte, dato che io mi rifiutavo categoricamente di farmi accompagnare da lui e di fargli fare mille cambi di auto solo per tornare a casa.
«Ero sicuro di avergli detto di volere due letti singoli» borbottò, con un sopracciglio alzato e un ghigno divertito sul viso, indicando con un cenno del viso il letto matrimoniale che ci divideva, ricoperto di cuscini quadrati e in velluto beige. Io scossi la testa evitando di ridere e lo osservai mentre si toglieva il giubottino di jeans.
Ero imbarazzata e non riuscivo a muovermi da lì: come sarebbe stato dormire con Louis? Sentire il suo respiro regolare e il calore del suo corpo? E come avrei fatto a tenere a bada il mio battito cardiaco in modo che potesse passare inosservato nel silenzio della notte?
«Bella addormentata?» mi richiamò lui, con una mano ad alzare il piumone scarlatto che ricopriva il letto matrimoniale e un ginocchio nudo premuto sul materasso. Con i capelli castani disordinati sulla fronte, aveva tenuto la maglietta a maniche corte del Leeds Festival e si era tolto i pantaloni, rimanendo con i boxer neri come se fosse una cosa del tutto naturale. E forse per lui lo era, ed ero solo io a farmi di questi problemi.
Mi tolsi lentamente la giacca di pelle e mi aggiustai il maglioncino color panna, sfilandomi le converse con i piedi. Feci un passo in avanti e poi mi fermai di nuovo, con il labbro inferiore tra i denti. «Mi faccio prima una doccia» dissi velocemente, voltandomi alla stessa velocità verso la porta elaborata del bagno e ignorando le sue deboli proteste: avrei avuto più tempo per prepararmi psicologicamente alla notte che mi aspettava, e il getto dell’acqua calda attirava le mie spalle stanche.
Poco dopo, i miei capelli erano leggermente umidi e raccolti in una coda disordinata: mi ero rivestita completamente, perché il maglioncino non era abbastanza lungo per farmi da pigiama e perché avrei dovuto depilarmi. La mia pelle sapeva del bagnoschiuma forse troppo dolce che davano in dotazione e le mie guance erano rosse per il vapore.
Tornata in camera, Louis era appoggiato con la schiena alla testiera del letto e tra le mani reggeva il telefono: l’espressione concentrata e le gambe nascoste dal piumone. Sorrise, nel vedermi ricomparire, ed io ricambiai in imbarazzo come una bambina.
Quando mi trovai sotto le coperte, al caldo e su un materasso che – santo cielo! – avrei voluto portarmi a casa per quanto era comodo, mi sentii un po’ più tranquilla: soprattutto perché Louis aveva spento la luce sul comodino, facendo piombare la stanza nel buio e impedendo quindi alle mie guance arrossate – questa volta per il disagio - di essere viste, e perché si era avvicinato tanto a me da farmi sentire il suo respiro tra i miei capelli.
Senza che nessuno dei due dicesse qualcosa, sentii il suo braccio scorrere dietro il mio collo in modo da accogliere il mio viso sulla sua spalla: portai la mia mano destra sul suo addome e mi sistemai meglio, sorridendo senza che lui se ne accorgesse, mentre mi rilassavo nel percepire il sali-scendi del suo petto.
I nostri erano movimenti un po’ impacciati, data la situazione, e mi chiedevo se anche Louis sentisse quella strana sensazione alla bocca dello stomaco a starmi così vicino.
Era strano e allo stesso tempo piacevole, passare il tempo con lui in quel modo: normalmente durante i primi appuntamenti non si dorme insieme in una stanza di un lussuoso hotel, ma in quel caso sentivo che fosse anche giusto, per noi. Quasi avessimo bisogno di stare a contatto l’uno con l’altra senza dover fare altro, senza dover riempire i silenzi e gli sguardi di parole.
«Vicki?» mi chiamò dopo qualche minuto respiri e strusciare di lenzuola.
«Hm?» mugugnai in risposta, alzando il volto verso il suo e cercando i suoi occhi, che, nonostante fossero più scuri a causa dell’assenza di luce, continuavano a brillare debolmente.
«Eleanor non è la mia ragazza, non più – sussurrò, accarezzandomi il braccio con le dita della mano destra. Doveva essere rimasto colpito dal mio sfogo di poco prima. – Devo solo dirglielo, ma questo non cambia le cose».
Annuii lentamente e «va bene» risposi semplicemente, senza sapere cos’altro dire. Era ovvio quale fosse la mia volontà, ma non potevo nemmeno pretendere troppo da Louis: sapevo quali fossero le sue difficoltà e non volevo procurargli troppe pressioni, almeno fino a quando non si sarebbero rivelate strettamente necessarie.
«Prima te ne stavi andando - aggiunse, continuando a intrappolare le mie iridi con le sue. Avrei voluto che la luce fosse accesa, in modo da poter osservare ogni particolare del suo volto. – Quando ho ammesso di non averle ancora detto niente, stavi andando via da me».
Era paura quella nella sua voce? Mi aveva chiesto di restare, nonostante i suoi errori: forse aveva pensato che lo stessi lasciando?
«Ero arrabbiata per tutto il resto – mi spiegai. – Sono ancora qui».
Lo sentii stringermi un po’ di più a sé e mi diede l’impressione di essere una persona che avesse bisogno di più rassicurazioni di quante si potesse pensare: mi allungai verso di lui e sfiorai le sue labbra, provando a trasmettergli qualunque cosa mi stesse torturando il petto in quel momento.
Lui sospirò e sembrò voler dire qualcosa, ma poi si limitò a ricambiare il bacio e a portare la mano sinistra tra i miei capelli, spostandosi in modo da essere quasi sopra di me. Lasciai che mi accarezzasse attraverso il maglioncino e sotto di esso, lasciai che i miei occhi si chiudessero per non pensare a nient’altro se non a quel momento e lasciai che il mio cuore facesse ciò che più voleva, perché in fondo Louis aveva solo bisogno di sentirlo.
Poi, quando le sue labbra si posarono un’ultima volta sulle mie, dolcemente, e lui sussurrò «buonanotte» sulla mia pelle, io sorrisi  e gli risposi allo stesso modo: sentii le sue braccia circondarmi di nuovo e premere delicatamente su di me in modo da farmi girare sul fianco destro, mentre il petto di Louis aderiva alla mia schiena. E mi sentivo così bene, così protetta, da voler restare sveglia ancora per ore solo per poter prolungare quella sensazione. Solo per poter sentire il suo respiro sul mio collo e il suo profumo sul cuscino al mio fianco. Le sue mani intorno al mio addome e le sue gambe magre tra le mie.
«Mi sei mancata» fu l’ultima cosa che sentii sussurrare al mio orecchio, prima di cadere in un sonno profondo, prima di accettare un bacio tra i miei capelli e pensare che avrei voluto addormentarmi in quel modo altre mille volte, anche se non ne avrei mai avuto abbastanza.
 

 


SPAZIO AUTRICE

Lo so: sono in anticipo di un giorno (credo?) ma questo capitolo non è il massimo!
Io mi scuso, ma c’è qualcosa nel Louis Tomlinson di questa storia che mi rende tutto
più difficile del previsto! Spero davvero che il suo carattere emerga da ciò che scrivo,
perché è quella la mia intenzione, ma se non è così ditemelo, per favore!
So che siete abbastanza critiche e oggettive da non farvi problemi in questo (:
Detto ciò, sarò di poche parole e di poca allegria perché sono stanca morta, perdonatemi:
come avete visto, Louis non doveva affatto vedersi con Eleanor, anzi, aspettava
di uscire con Vicki almeno dieci volte di più di lei! Il fatto è che fondamentalmente
è un bambino impaurito/capriccioso/orgoglioso/impulsivo e quindi la sua delusione
l’ha mascherata con quel piccolo dispetto e con una bella dose di fastidio: e da buon
piccolo complessato, ha di proposito aspettato che fosse Vicki a farsi sentire quella sera,
così mentre lei si faceva gli stessi suoi problemi e non gli scriveva, lui si arrabbiava ancora di più!
Da lì, potete ben immaginare il resto! Ovviamente le loro sono incomprensioni
dettate dalla diversità che però continua a tenerli uniti, nonostante tutto!
E Louis sa quanto sia complicato, infatti la ferma ogni volta che lei cerca di farglielo presente:
sapete già quanto non gli piaccia affrontare la realtà delle cose, ma questo non significa
che sia stupido e che non capisca i suoi sbagli! La loro notte in hotel boh,
non so da dove sia uscita hahah Non era prevista, ma spero che non vi sia dispiaciuta!
Per favore, ditemi tutto quello che pensate su di loro perché ne ho bisogno!
Poi, è tornato Brian WOOOHO! Ma con Stephanie c’è qualcosa che non va,
e voi potete immaginare cosa (: Secondo voi cosa succederà in quel triangolo?
Ah, per chi mi ha più volte chiesto di Abbie ed Harry,
credo che già nel prossimo capitolo compariranno! Non disperate!

Vi ringrazio infinitamente per tutto e spero di non avervi deluse con questo capitolo!
Sono felice che abbiate apprezzato il capitolo precedente e che la presenza – anche solo
in un discorso – di Leen mi emozioni ancora tanto!
Mi scuso in anticipo se avrò poco tempo per scrivere e quindi aggiornare: da oggi in poi
starò praticamente dodici ore fuori casa, più o meno, quindi abbiate pietà di me hahah
Un bacione,
Vero. 

PS: i capitoli sono abbastanza lunghi, forse troppo? Vorrei sapere se per voi vanno bene
o se vi annoiate o sono troppo impegnativi! Io li scrivo con piacere, ma so anche che spesso
sono visti un po' negativamente dopo una certa lunghezza! Faccio di tutto per renderli
interessanti, ma vorrei sapere da voi qualcosina, per favore :)

 
  
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