vón (tre)
A volte uscivamo.Io andavo da lei e mi toglievo il giubbotto rattoppato e dalle tasche cacciavo un libro vecchio, di quelli piccoli con la rilegatura in pelle marrone e una data degli anni '80 scritta in pedice sul frontespizio con una biro blu.
Poi ci sedevamo e leggevamo.
«Oggi pomeriggio dove andiamo?»
«In Cina.»
E io le leggevo la Cina.
Sentivamo i venti ghiacciati dell'Himalaya sulla schiena e ci coprivamo tanto per non sentire freddo, e poi dentro la Città Proibita stavamo in silenzio perché tanta imponenza ci strozzava le parole in gola. Passeggiavamo per i vicoli di Shanghai nei risciò e mangiavamo riso al pollo con le bacchette bevendo liquore.
Poi, quando iniziava a farsi scuro, tornavamo a casa. Era come tornare davvero, fare le valige e salutare la città dov'eravamo vissuti durante la lettura, e le strade che avevamo camminato, e i cieli che avevamo visto.
Se c'era abbastanza luce restavo a guardare il tramonto fuori dalla sua finestra con lei di fianco; altrimenti, l'abbracciavo forte prima di scendere e dirigermi a piedi verso casa.
Era l'unico modo per fuggire via.