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Autore: 31luglio    14/11/2013    5 recensioni
Cosa succede quando una ragazza viene scoperta dentro la lussuosa villa del suo cantante preferito proprio da lui stesso?
Tratto da un capitolo:
Mi sdraiai sul divanetto e guardai il cielo. «Secondo te, le stelle quante sono?» chiesi, cercando di contarle tenendo il segno con le dita. Una, due, tre, quattro, cinque... Mi persi a cercare di individuare le costellazioni, quindi ricominciai. Dopo aver fallito una mezza dozzina di volte rinunciai, e tornai a guardare con aria sognante.
Mi rivolse uno sguardo divertito. «Sei proprio fuori.»
«Rispondi.»
«Non so che cosa dirti, Audrey.»
«Spara un numero.»
«L'infinito...»
«Come io e te in questo momento?»
Mi guardò nuovamente, sorpreso. «Sì» sorrise, «come noi due in questo momento.»

another Justin & Miley fanfiction
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(cap 2) i am in a relationship, bieber
 

Vorrei rivederti.”

Quella frase, quelle due parole, quelle quindici lettere continuavano a risuonarmi nella mente come uno di quei motivetti troppo orecchiabili che senti una volta, per caso, e ti ritrovi a canticchiare senza ragione e nei momenti meno opportuni. Così come quella frase, anche i suoi occhi color caramello continuavano ad apparirmi in mentre, come se li avessi avuti davanti anche allora.

Ero uscita da casa sua da qualche minuto e l'aria fresca tipica delle sere di maggio accarezzava le mie braccia, passando sotto alle maniche del leggero maglioncino color crema che indossavo. Strizzai gli occhi per scorgere Heather nel buio; la intravidi a una decina di metri più avanti.

«Meno male che saresti tornata subito!» gridò quando la raggiunsi; un'espressione irritata aveva fatto capolino sul suo viso delicato, contrastando con la dolcezza che, di solito, manteneva. «Ti sto aspettando da più di un'ora, Audrey.»

Abbassai lo sguardo, come per darle ragione. «Ho avuto un contrattempo» mi giustificai.

«Non mi interessa» tagliò corto. Fece il giro dell'auto, una Audi Q7 grigia, e si posizionò sul sedile del guidatore, lasciando a me quello del passeggero. Quando fui salita, mise in moto e partì a tutta velocità.

Mi appoggiai allo schienale, sospirando. «Mi dispiace» provai a dire.

Per tutta risposta, lei accelerò maggiormente. Pregai di arrivare sana e salva a casa, mentre vedevo le strade di Beverly Hills, poi di Hollywood ed, infine, di Hollywood Hills sfrecciare di fianco a noi.

«Non vuoi sapere cos'è successo?» Tentai nuovamente di aprire una conversazione, quando ebbe fermato la macchina. Eravamo nel vialetto di casa sua, una villa a due piani color sabbia.

Lei mi fulminò con lo sguardo, scendendo dall'auto. «Tu non ti rendi conto di quanto io sia arrabbiata, se mi chiedi una cosa del genere.»

«Me ne rendo conto, invece, ma penso sia inutile...» Una volta finita la frase, mi pentii di aver pronunciato l'ultima parola.

«Inutile?» gridò. «Inutile. Va bene, la prossima volta ti faccio aspettare io.»

«Scusa!» mi affrettai a dire. Lei prese le chiavi di casa dalla tasca destra dei suoi jeans ed infilò quella della porta nella serratura, poi la girò verso sinistra ed essa si aprì. «Hai ragione, mi dispiace» ripetei. «Ma non l'ho fatto apposta, lo giuro! Ero pronta ad uscire venti minuti dopo essere entrata» spiegai, avviandomi verso il salotto.

«Certo» finse di credermi. «E allora perché non l'hai fatto? Cos'è successo, dovevi andare in bagno, per caso?» chiese ironicamente, roteando gli occhi.

Sorrisi leggermente per la battuta, poi tornai seria. «Sono stata scoperta» confessai.

Alzò un sopracciglio, cercando di trattenere una risata. «Non ci credo.»

«Te lo giuro. Lui era in casa.»

Si sedette sul divano bianco al lato della televisione a schermo piatto, incrociando le gambe e guardandomi, leggermente più tranquilla di poco prima. «Non è possibile, Audrey, dai!»

Presi posto sulla poltrona più vicina a lei. «E invece sì, Heather. Mentre stavo per uscire, mi ha chiesto cosa pensavo della casa. Credo di essermi spaventata così tanto, che morirò domani.»

La mia amica ridacchiò ed io sorrisi, contenta che si fosse calmata. «Dovevi dirmelo subito!» mi accusò.

«Ci ho provato» le ricordai, «ma eri arrabbiata.»

«Mi avevi promesso che saresti tornata presto!»

«Lo stavo facendo!»

Sospirò. «Va bene» disse, «ora raccontami tutto, per filo e per segno. Alla fine, voglio sapere anche quanti capelli ha in testa.»

 

La sveglia iniziò a suonare, intonando Same Love di Macklemore e Ryan Lewis. Sfilai il morbido cuscino color acquamarina da sotto il capo di Heather, che mugugnò un insulto e misi la mia testa sotto esso, cercando di coprire il suono del mio iPhone che segnalava che erano le sette del mattino.

Sentii la mia migliore amica togliersi le coperte di dosso ed alzarsi dal letto, per poi muovere qualche passo verso il bagno. Tornò una manciata di minuti dopo, cercando di spronarmi a prepararmi per andare a scuola, ma non mi mossi. Sospirò, aprendo poi l'armadio. La conoscevo abbastanza da sapere che sarebbe stata lì davanti un quarto d'ora per scegliere cosa indossare quel giorno.

«Audrey, svegliati!» gridò esasperata.

Mi rassegnai ed appoggiai la testa sopra il cuscino, senza tuttavia alzarmi. «Sono sveglia» borbottai, stropicciandomi gli occhi.

La castana mi guardò, severa. «Allora, alzati. Dobbiamo andare a scuola, non voglio essere ancora in ritardo per colpa tua.»

Spalancai la bocca, sorpresa. «Mia?» Risi divertita. «Oh, certo, sono io quella che non sa mai cosa mettersi la mattina. La settimana scorsa siamo entrate alla seconda ora perché tu hai impiegato ventitré minuti a scegliere un semplice paio di jeans e un maglioncino bianco» le ricordai, mettendomi a sedere sul bordo del letto.

Mise il broncio, ma non rispose ed io ne approfittai per andare in bagno. Dopodiché tornai in camera ed aprii la grande borsa rossa che portavo da Heather ogni volta che restavo a dormire da lei. Mi misi un paio di collant color carne, un paio di shorts di jeans; poi indossai una canottiera bianca e una camicia scozzese gialla, nera e bianca. Infine, infilai le Dr. Martens color rame e mi sedetti nuovamente sul bordo del letto.

«Ma come fai a decidere la sera cosa metterti il giorno successivo?» mi domandò la mia migliore amica, sbuffando.

Mi affrettai ad affiancarla, esaminando il suo guardaroba. Dopo pochi minuti le porsi un paio di leggings neri con stampate sopra delle rose rosse, un maglioncino color panna e delle Vans rosse. «Tieni» le dissi, dirigendomi poi verso lo specchio ed afferrando la matita nera. La passai sulla rima inferiore dell'occhio, poi diedi volume alle ciglia con un po' di mascara.

Dopo aver fatto colazione io e Heather salimmo sulla sua Audi e ci avviammo verso la Fairfax High School; era una scuola piuttosto prestigiosa, nonostante fosse pubblica e distava una quarto d'ora da dove abitavamo. La sede era un edificio antico, di colore bianco e con i tetti di tegole marroni ed era circondata per la metà anteriore da un lungo corridoio aperto. Dietro di essa vi erano diverse costruzioni molto ampie, di un colore così neutro da mettere tristezza. Ancora più lontano stavano i campi di tennis, softball, calcio e pallavolo. La scuola aveva parecchio verde attorno a sé, che dava un senso di aria pura e freschezza che faceva quasi venire voglia di svegliarsi presto e frequentare le lezioni. Quasi.

Entrammo nel parcheggio della scuola e la mia migliore amica fermò la macchina al solito posto, poi ci dirigemmo verso il piazzale antistante l'edificio principale.

«Amore!» gridai verso Aaron. Non appena lo raggiunsi gli circondai il collo con le braccia e lo salutai con un tenero bacio. Era il mio ragazzo da ormai un anno e mezzo e con lui avevo avuto il mio primo bacio, la mia prima volta. Era il mio primo amore.

Lui mi sorrise. «Come stai?»

«Bene, grazie» risposi. «Tu?»

«Anche io.» Mi cinse la vita con le braccia. «Sei andata da qualcuno, ieri?»

Mi schiarii la gola. «Da lui» dissi semplicemente. Sapevo che avrebbe capito: conosceva il mio amore per Justin ed, occasionalmente, ne era anche geloso.

«Ah» disse, sorpreso. «E com'è andata?»

«Era in casa» sussurrai incerta. «Abbiamo parlato un po'.»

Scosse la testa. «Stai scherzando» affermò, convinto.

«Ti giuro di no, era lì!»

«È simpatico?»

«Non saprei. Forse un po' stronzo...» ammisi.

Le sue labbra si aprirono in un sorriso, mostrando una fila di denti bianchissimi che contrastavano con la sua carnagione olivastra. «Ecco!» gridò, puntandomi contro l'indice. «Visto? Te l'avevo detto che era una testa di cazzo!» disse, canzonatorio.

Lo fulminai con lo sguardo. «Modera gli epiteti, quando parli di lui» dissi, seria. «Si è comportato un po' da montato, ma stava scherzando. E poi solo io posso insultarlo.»

Aaron alzò un sopracciglio, con un'espressione a metà tra il divertito e il sorpreso sul volto. Notai che si stava trattenendo dal ridere, per evitare di farmi arrabbiare ancora di più, ed apprezzai il suo sforzo. «Va bene» si arrese, dopo qualche secondo. «Scusami.»

Mi attirò a sé e mi baciò prima la guancia, poi le labbra. Il contatto con la sua bocca mi provocava la stessa sensazione di un anno e mezzo prima, vale a dire confusione mista a felicità mista ad incredulità. Avevo quindici anni quando ci eravamo messi insieme, e prima di allora avevo una cotta per lui da mesi. Lui era uno dei migliori giocatori di basket della scuola ed io una semplice ragazza che si era costruita una discreta reputazione da sola. Non facevo teatro, né la cheerleader, non andavo a letto con tutti – anzi, non ci andavo proprio con nessuno – e non avevo altre qualità nascoste, quindi non pensavo di avere possibilità con lui. Eravamo conoscenti, ci salutavamo nel caso ci vedessimo nei corridoi, ma niente di più. Poi, un venerdì sera, Jamie aveva costretto me ed Heather ad imbucarci alla festa del capitano della squadra di basket dove, ovviamente, c'era anche Aaron. Lì avevamo iniziato ad essere amici e poi, pian piano, diventammo sempre più legati. Un pomeriggio mi portò sulla collina di Hollywood e mi baciò. Fu il bacio più bello della mia vita, probabilmente perché non ne avevo mai dato uno, e subito dopo pensai che per lui non sarebbe significato niente, che sarei stata una delle tante. Invece, con mia grande sorpresa, mi disse che voleva che fossi la sua ragazza.

La campanella suonò, riportandomi alla realtà. Salutai Aaron con un bacio e gli diedi appuntamento alla pausa pranzo, poi trascinai Heather verso l'aula 217, dove frequentavamo la lezione di spagnolo.

«Hey!» protestò. «Non hai visto che ero impegnata?»

Era vero: quando l'avevo presa per un braccio era ancora avvinghiata al suo ragazzo, Zach, come se non avesse sentito la campanella. Ridacchiai. «Sì, ho visto, ma lo sai che, se arriviamo in ritardo, comincia a fare il suo solito monologo sulla puntualità, sulla scuola e bla bla bla. Sai, vorrei evitare. Vado lì per imparare lo spagnolo, non per ascoltare le sue riflessioni di mezz'età.»

Lei alzò gli occhi al cielo, ma non rispose, sapendo che avevo ragione. Arrivammo in classe e ci sedemmo ai nostri soliti posti, terza fila e banchi di fianco alla finestra, appena prima che entrasse il professore.

 

A metà della terza ora, quella di Storia Americana, una delle materie che consideravo un pugno in un occhio, il mio cellulare vibrò dentro la tasca destra degli shorts. Lo tirai fuori e lessi il messaggio prima di sbloccarlo: “Vuoi vedere i piani superiori, allora? :) J”.

Sorrisi istintivamente allo schermo, per poi digitare: “No, grazie”. Sperai di sembrargli, con quella risposta, una menefreghista. Volevo tornare a casa sua, certo, ma non volevo che mi vedesse come una disperata.

Dai, ti prego! La mia camera da letto è bellissima ;) non so se intendi. J”

Alzai gli occhi al cielo, pensando che il disperato fosse lui. “Sono fidanzata, Bieber”.

Provai a prestare attenzione alla lezione ma, ancora una volta, il telefono vibrò, annunciando un nuovo messaggio. “Merda, davvero? Non me l'hai detto, ieri!”

Sospirai. Almeno aveva smesso di firmarsi con la prima lettera del suo nome; pensava che non sapessi chi era? “Beh, sai, non ti conosco”, risposi.

Va bene, senti, ti vengo a prendere a scuola e ti porto a casa mia. Niente camera da letto, solo una visita. D'accordo?”

Sbuffai. Com'era pesante, Dio! “Non desisterai facilmente, vero?”

No. :)”

Non replicai; cominciai a scarabocchiare un dinosauro con una penna verde sul quaderno degli appunti color corallo, senza motivo. Poi guardai il professore, intento a spiegare la scoperta dell'America con tutta la passione che aveva. Posai successivamente gli occhi sui miei compagni: uno stava dormendo, una ragazza si stava ripassando il trucco, un'altra scarabocchiava cuoricini sul quaderno, tre mandavano messaggi, altri quattro guardavano qualcosa fuori dalla finestra, un paio sbadigliavano. In tutto, quelli che prestavano attenzione alla lezione – o, almeno, sembravano farlo – erano tre. Povero professore.

Stavo per chiudere il quaderno, dal momento che mancavano un paio di minuti alla fine dell'ora, quando il mio telefono vibrò nuovamente. Sospirai, rassegnata, e guardai il nuovo messaggio: “Allora? J”

Ottimo. Non solo aveva ricominciato a scrivermi, ma anche a firmarsi. “Sei estenuante, Bieber. E smetti di scrivere la tua iniziale alla fine di ogni messaggio, perché so come ti chiami.”

Non trattarmi male :( dai, va bene se vengo a prenderti a casa? Alle 4?”

Alzai gli occhi al cielo e decisi di dargliela vinta. “Va bene” risposi. 











 




"i ain't all bad"
Ciao amici e amiche di EFP!
Sono tornata, un po' con molta calma, ma sono tornata.
Vorrei ringraziare le due ragazze che hanno recensito, anche se ne gradirei di più.
Ringrazio tutte le quattro persone che l'hanno messa nelle preferite, le due nelle ricordate e le sette nelle seguite.
Siete tutte gentilissime, vi amo :')
Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo.
Un bacino a tutti,

Andrea :)
 
 
   
 
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