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Autore: BlueSkied    14/11/2013    1 recensioni
La notte dell'Epifania del 1537 Alessandro de'Medici, detestato duca di Firenze viene assassinato dall'amico e congiunto Lorenzaccio de'Medici.
Tocca allora a Cosimo de'Medici, figlio del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere ed erede del ramo popolare della famiglia, prendere il potere.
Tra raffinato mecenatismo artistico, nuove politiche e disgrazie familiari, condurrà la Toscana verso il Granducato, con la cauta inesorabilità del suo motto.
Note: mi sto documentando il più possibile, per rendere la storia verosimile, ma qualcosa potrebbe sfuggirmi, anche perché spesso le fonti si contraddicono.
Per finalità di trama, alcuni passaggi potrebbero essere violenti.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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  17.


13 Settembre  - 19 Novembre 1557



Spesso, durante le battute di caccia, capitava che la brigata si fermasse a riposare sugli argini dei torrenti. Durante gli afosi pomeriggi estivi erano l'ideale.
Il duca Cosimo si rese conto di stare sognando, quando percepì nel sonno il bagliore tremulo di una candela e la voce insolitamente ansiosa del suo cameriere, che lo chiamava. Spalancò gli occhi all'improvviso e incontrò i familiari motivi damascati del baldacchino e poi lo spessore della tenda di velluto. Eppure, oltre i rumori prodotti dai presenti nella stanza, presumibilmente valletti e guardie, il suono dell'acqua che scorreva era ancora persistente nelle sue orecchie, ma non era il ticchettio della pioggia. Si drizzò a sedere, perfettamente sveglio, e ordinò sbrigativamente a un paggio la vestaglia:
- Che succede, Sforza? - domandò, vestendosi e scrutando l'altro con volto accigliato. La candela tremolò ancora nelle mani del perugino:
- Il fiume, Vostra Eccellenza. Ha passato gli argini e sta invadendo le strade - rispose, con urgenza nella voce affannata. Il duca imprecò sottovoce e si alzò in fretta, comandando gli abiti, tra cui in special modo una delle zimarre impermeabili che usava per la pesca, e luce, per guardare fuori dalla finestra. I paggi lo prepararono in pochi momenti, ed egli si affacciò, illuminato dalle candele e dalle torce dei suoi sottoposti.
Ora che la finestra era aperta, lo scroscio dell'acqua arrivava chiaramente anche fino al secondo piano del palazzo, dov'erano gli appartamenti ducali. Il livello di piena non era ancora molto alto: valutò che potesse essere un braccio e mezzo, ma l'avevano già visto negli anni precedenti, l'Arno non tendeva a limitarsi a così poco.
Cosimo ringraziò Dio fra sé che la duchessa e i principi fossero ancora alla Petraia, fuori città e ben elevata in collina, ma si doveva allertare la popolazione. Chiamò alcuni fra i suoi uomini più coraggiosi e ordinò di far passare parola a tutte le chiese di suonare le campane a oltranza. Appena furono partiti, rimase con gli occhi ostinantamente fissi su via della Ninna, ormai un ruscello che separava il palazzo dalla chiesa di San Pier Scheraggio, dirimpetto. I propietari delle botteghe sotto il livello della strada, chi viveva sui ponti e sul lungofiume doveva già essere corso a ripararsi ai piani alti delle case, ma chi abitava nelle zone più interne probabilmente era ancora ignaro del disastro. Con una punta di sollievo, il campanile della piccola chiesa eruppe finalmente in uno scampanio allarmato e insistente. Attaccarono anche i frati di Santa Croce, la torre del Bargello, Orsanmichele,  la campana di palazzo e più in lontananza quella di Santa Maria del Fiore. Mentre ogni chiesa della città si accendeva in quella cacofonia, il duca si voltò verso i presenti e diede secche istruzioni di portare tutti i viveri e gli approvvigionamenti ai piani superiori del palazzo, di far salire tutti e di tenerlo aggiornato su ogni mutamento della piena. A questo scopo, fece accorrere i suoi ingegneri che lavoravano a palazzo, fece predisporre barche per lo spostamento di piccole squadre e si arrischiò personalmente a uscire sulla piazza, con l'acqua che già gli arrivava fino alla vita. I flutti scendevano a cascata dalla loggia e sobbollivano intorno alle forme lucide del Perseo, affogando l'eroe di Benvenuto che, impassibile, alzava la testa della nemica tra gli spruzzi.

- Dios - mormorò la duchessa, vedendo entrare il marito nella sala principale della villa. Anche se non l'aveva mostrato, si era mangiata le mani per giorni, nell'attesa. Egli l'abbracciò brevemente, con il distacco dovuto in presenza del servidorame, ma le bastò un'occhiata per capire quanto fosse sfinito. L'intera faccenda era stata una catastrofe, ben peggiore degli anni prima: l'esondazione aveva buttato giù il ponte di Santa Trinita e alcuni palazzi, coperto di fango l'interno di Santa Croce e ucciso almeno un centinaio di poveri disgraziati. Solo quando l'acqua si era ritirata, il duca aveva ordinato di raccogliere i corpi e bruciarli, e commissionato il restauro delle chiese al Vasari, ma aveva perso fior di quattrini e a Firenze dilagava un' insidiosa epidemia, anche se erano state fatte arrivare derrate dalle altre città dello stato.
Le raccontò delle misure prese e ritenne che la cosa migliore per lei e i ragazzi fosse spostarsi ancora, finché le cose non si fossero sistemate in modo decente. Sulla costa, il clima dell'autunno incipiente era più mite, così la corte fu dirottata su Livorno.
I principi erano quasi beatamente ignoranti riguardo all'alluvione. I bimbi videro la faccenda come una vacanza prolungata, visto che erano i soli a divertirsi nei lunghi spostamenti in carrozza, ma i grandi si preoccuparono: Francesco, pallido, ma con ben più determinazione del solito, pregò il padre di portarlo con lui nelle visite in città, ritenendo che come erede fosse suo compito, ma nonostante l'opposizione della madre, fu esaudito. Isabella pianse quando le dissero che quasi tutti i cavalli nelle scuderie di palazzo erano annegati e Maria s'incupì. Certo sensibile alla tragedia, era però contrariata che la questione procrastinasse ancora le sue nozze.
L'Este non si decideva: rimandava di continuo anche solo il matrimonio per procura, al quale non era obbligato a presenziare, per problemi interni al suo ducato. Da Febbraio, Maria  non l'aveva più visto, anche se lui le aveva scritto qualche lettera cortese ma formale. Contrariamente al suo carattere, divenne uggiosa e un po' lunatica, e di tutti questi suoi stati ondivaghi e umorali, facevano le spese le sorelle, che scoprirono presto che la causa del suo nervosismo non era la sola che tutti immaginavano.

Una sera di fine Ottobre, Maria, Isabella e Lucrezia se ne stavano annoiate a ricamare nella loro stanza alla Fortezza, davanti al camino acceso. Ignorando i rimproveri della balia, Isabella ciarlava a voce alta, il cucito abbandonato sulle ginocchia inquiete.
Compiuti da non molto quindici anni, la principessa si era fatta assai più spigliata e maliziosa delle altre due, indulgendo spesso in argomenti che avrebbero fatto infuriare la duchessa, se ne fosse stata a conoscenza. Ma le balie non facevano la spia per il suo bene, anche se provavano invano a correggerne il tiro.
Scrutando fuori dalla finestra, verso il porto illuminato da fiaccole, Isabella sospirò rumorosamente e se ne uscì:
- Chissà come sarebbe conoscere un marinaio! -
Lucrezia alzò gli occhi dal cucito con aria ingenua, ma Maria si arrabbiò:
- Isabella! Non fare discorsi del genere - la riprese, seccamente. Sua sorella, però, si divertiva a stuzzicarne la suscettibilità, così, dopo una pausa, riprese:
- Devono essere giovani e affascinanti come alcuni dei valletti del babbo - insinuò, maligna.
Maria arrossì e gettò il ricamo a terra, balzando in piedi:
- Sei una pettegola! - strillò, con le lacrime agli occhi, e sarebbe corsa via, se la balia non l'avesse fermata. Era una donna bassa e in carne, che aveva sostituito donna Isabel, quando era diventata troppo vecchia per badare a loro:
- Basta con queste scempiaggini! - rimproverò entrambe - Donna Maria, sedetevi, donna Isabella, vi prego di non turbare vostra sorella con sciocchezze. Ella è già molto agitata -
Ricompose la ragazza asciugandole gli occhi con il proprio fazzoletto, poi le lasciò con una giovane cameriera per andare a preparare un decotto per la principessa.
Libere dalla sorveglianza, Maria fulminò Isabella con lo sguardo:
- Dì, vuoi che nostro padre mi butti alle Murate? - sibilò, tra il terrorizzato e il rabbioso. Isabella, com'era suo solito, non se ne curò e ridacchiò:
- Dai, Maria, chi vuoi che se ne accorga? - sussurrò in risposta, il rombo del fuoco che copriva la sua voce - E se ti fidassi di me,  potresti vedere Malatesta qualche volta di più - aggiunse, complice.
Maria sgranò gli occhi e si voltò verso la cameriera che, contrariamente alle sue istruzioni, ignorava completamente le ragazze e sonnecchiava. Tornò a rivolgersi a Isabella, con ansia sospettosa, ma meno spaventata:
- Come lo sai? - chiese.
La sorella si strinse nelle spalle:
- Le tue cameriere sono delle beccacce, per un nastro colorato spifferano tutto - raccontò, con noncuranza - Ascolta - riprese, abbassando ancora la voce, tanto che Maria dovette appressarsi, per sentire - Io ti capisco, non ti devi vergognare di un bacio o due, o di qualche parola carina. Non puoi arrivare sposata senza sapere proprio niente, come la figlia del re di Francia che sognava -la redarguì. Poi le illustrò come riuscire a incontrarsi con il paggio che le faceva la corte, senza che nessuno lo sapesse.
Per un paio di settimane, le cose andarono a meraviglia. Ma uno dei servi della duchessa, in qualche modo, notò i movimenti di Maria e del giovane Malatesta, e corse a riferirli alla padrona. Eleonora, per il bene della figlia, non fece parola dell'affare con il duca, ma punì Maria con una severissima lavata di capo, sollevata comunque dal fatto che non si fosse disonorata.
Maria uscì tristemente da quella sua piccola ballata d'amore, ma fu facile far passare la sua malinconia per nostalgia del promesso sposo.
La madre, tuttavia, si preoccupò seriamente, vedendo la primogenita ogni giorno più pallida e svogliata, e si agitò moltissimo quando svenne uscendo dalla messa.
La ragazza febbricitava, e in breve comparvero sul suo corpo piccole macchie. I dottori dissero che era febbre portata dai pidocchi, e cominciarono a farle salassi e a riempirla di beveroni amarissimi.
Cosimo escludeva in ogni modo che la figlia non guarisse: era forte come lui e una banale febbre non poteva nuocerle, assicurò la famiglia, ma Isabella ed Eleonora piombarono nello sconforto: nessuna delle due lasciava il letto della malata, se non per mangiare qualcosa in fretta e dormire brevi sonni agitati. La madre pregava, sommessamente, in una nenia continua, la sorella cantava piano, soffocando il senso di colpa, anche se non aveva ragione di attribuirsi la causa di quella disgrazia.
Poi Maria cadde in un sonno profondo, da cui non uscì. Senza potersi essere confessata e comunicata, la fanciulla morì la sera del diciannove di Novembre, scagliando genitori e fratelli nel più nero degli abissi di dolore.


Note:

Il 13 Settembre 1557 Firenze fu colpita da una delle peggiori alluvioni della sua storia: il livello delle acque fu di poco inferiore di quanto sarebbero state nel 1966.  L'elenco delle strutture danneggiate è reale.

Maria di Cosimo I de' Medici morì il 19 Novembre dello stesso anno, si è supposto o di febbre malarica o di febbre petecchiale (causata dal morso dei pidocchi). La storia di un suo possibile innamoramento nei confronti di tale Malatesta dei Malatesti, uno dei paggi del duca, è una leggenda, che ha dato adito alla diceria che la ragazza fosse stata uccisa dal suo stesso padre.
Non ci sono prove che questo sia vero, ma ho ripreso solo la parte relativa alla storia d'amore, chiaramente platonica.

Il Perseo di Benvenuto è la statua di Benvenuto Cellini ancora oggi visibile nella Loggia dei Lanzi.

http://www.teladoiofirenze.it/wp-content/uploads/2012/11/Il-Perseo-di-Benvenuto-Cellini-nella-Loggia-de-Lanzi-a-Firenze.jpg

Il riferimento che Isabella fa a " La figlia del re di Francia che sognava" e il titolo del capitolo, l'ho ripreso da un'antica ballata in spagnolo sefardi. La balia della duchessa Eleonora di Toledo era una nobildonna spagnola di religione ebraica, quindi ho immaginato che le sue figlie conoscessero una canzone in quella lingua. La canzone parla di una ragazza che, addormentatasi al cucito, sogna il suo futuro marito.

Un link alla canzone:

http://www.youtube.com/watch?v=5Z0TmH478nA



 
  
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