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Autore: Sussurri    14/11/2013    2 recensioni
« Presto, presto! » urlò la regina del Clan del Cervo, stringendosi al petto il figlio che piangeva disperato, spalancando la minuscola bocca. Fece salire il bambino sul carro, che prese posto accanto ad una bambina dai lunghi boccoli biondi e ad un bambino dai riccioli neri e gli occhi color nocciola. Tutti avevano sul polso destro un simbolo inciso nella pelle.
«Alfred, abbi cura di loro » mormorò il re del Clan della Lontra, accarezzando la testa della bambina, con tenerezza. Il cocchiere annuì, sfoggiando un sorriso sdentato: «Non se preoccupi, sire! » esclamò.
Il re del Clan dell’Aquila si avvicinò al figlio. Il volto cupo:
«Figlio mio, sta attento »
«E’ una promessa quella che vi faccio padre » mormorò il bimbo, assumendo una postura troppo regale per un bambino di dieci anni «Un giorno, tutti conosceranno il mio nome e vi renderò fiero. Renderò fiero l’intero Clan dell’Aquila ». Il padre sorrise, un sorriso caldo che riservava a pochissimi.
«Dov’è Idhel?! » gridò improvvisamente la regina del Clan del Cervo.
L’avevano dimenticata.
Dimenticata nel castello.
Avevano dimenticato il Clan della Fenice, e non solo loro.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
 
Già dal primo mattino, Ethan si era svegliato raffreddato ed infreddolito. 
Non si era mai visto un'inverno così freddo. Anzi, da quando la regina era salita al potere, non aveva più sentito il calore del sole sulla pelle. Tossì e conficcò il piccone nel terreno. 
« Ethan, va tutto bene? » domandò un uomo, imabuccato in una spessa pelliccia di montone. Anche lui picconava la roccia alla ricerca di gemme preziose.
Ethan borbottò qualcosa a proposito del freddo e tornò a picconare. Nei suoi diciotto anni di vita, non aveva fatto altro che lavorare.  Era così che un bravo cittadino dell'impero si guadagnava da vivere.
Viveva nei pressi di Tornac e li la fame si faceva sentire di più. Nonostante i ribelli si spaccassero la schiena per portare alla popolazione il cibo necessario per sopravvivere, non tutti riuscivano a mangiare. 
Da quello che si ricordava, quando aveva dieci anni, Mamma Louise l'aveva accolto a casa propria, nonostante avesse già quattro bambini a cui badare. Era il più grande di tutti e spesso rinunciava alle proprie porzioni di cibo per donarla ai fratelli.
Aveva il viso sporco di terriccio ed i riccioli neri erano tutti incrostati.
L'odore pungente del sudore gli pizzicava la gola. Tutti avevano decisamente bisogno di un bagno, compreso lui. 

Quando finì il proprio turno, Ethan si avviò verso la spiaggia, con l'intento di gettarsi in acqua senza nemmeno spogliarsi. Ma qualcosa gli diceva che era meglio lavarsi nella tinozza di casa, dato che l'acqua era gelida.
Si soffermò ad osservare il paesaggio: le spiagge ai confini di Tornac erano le più belle di tutto l'Impero. Respirò l'aria di mare a pieni polmoni e fece percorrere lo sguardo lungo il resto della riva, pensando di essere l'unico a godersi quella rilassante visione. 
Si sbagliava.
In lontananza, distesa sulla sabbia vi era una giovane a occhio e croce della sua stessa età. I lunghi capelli corvini erano unti e ricoperti di sabbia, la pelle era bianca come il latte e le mani affusolate sporche di terreno, come i piedi.
Sembrava morta.
Ma dopo un secondo sguardo, Ethan vide che le guance, erano rosee ed il petto si sollevava nel respiro. S'inginocchiò accanto alla giovane e le prese un braccio. Con orrore vide che questo era rotto e che, coperto sotto una massa di capelli vi era un taglio sulla guancia. Le poggiò il dorso della mano sulla fronte: era bollente. 
Colto da un'improvvisa tenerezza, la sollevò delicatamente da terra e la portò con se, verso la casetta in cui abitava.

« Mamma Louise! » chiamò, spingendo la porta in legno con il piede.
Poggiò la sconosciuta sulla branda dove dormiva lui stesso e la coprì con una coperta di cotone sfibrata. Il suo respiro si fece più veloce, la febbre le stava salendo. 
Un rumore di passi veloci attirò la sua attenzione. La testa grassoccia di Mamma Louise fece capolineo dalla camera a fianco: « Ethan! Sei tornato...! » volse lo sguardo alla ragazza e poi lo puntò di nuovo su di lui: « ...Oh, cielo! Poverina! » gemette portandosi una mano al petto. 
Corse via e subito dopo ritornò con una bacinella colma d'acqua ed una pezza. Spinse Ethan da una parte e prese a tamponare la fronte della sconosciuta, sussurrando paroline dolci. 
Imponente, Ethan non potè var altro che faciarle il braccio rotto e accendere il fuoco. 
Alla luce delle fiamme, la giovane sembrava ancora più bela. Sorrise. 
Dopo un po', mise una pentola sul fuoco per far bollire l'acqua per il the. Quando fu pronto, porse la tazza alla madre adottiva che, preso uno sgabello le sedette accanto, accostandole il cucchiaio alla bocca: 
« Avanti... » la incitava « ... devi bere qualcosa! » lei però non si mosse. Mamma Louise soffiò sulla tazza e provò a riaccostarla alle labbra della mora, sussurrandole: « Ti prego...solo un po'! ». Questa, quasi ad aver ascoltato le sue preghiere, aprì di un poco le labbra e bevve quanto meglio poteva.
La tazza fu vuota in pochi minuti.
Ethan poggiò la tazza da lavare sul tavolo ed uscì fuori, dirigendosi al pozzo per prendere nuovamente altra acqua fresca. Quando tornò, la ragazza era seduta sul letto mentre Mamma Louise le avvolgeva sulle spalle una coperta.

* * * * *
Idhel ricordava di essere svenuta sulla spiaggia, non in una capanna malridotta. E ricordava di aver fame, ma ora si sentiva stranamente piena. Si era ritrovata stesa su una branda, mentre una donna dai boccoli biondi che non aveva mai visto prima le accarezzava la testa. 
Il fuoco scoppiettava allegro nel camino ed una teiera di ottone era posta sopra di esso. Scostò le coperte e si mise a sedere, affondando le dita nei capelli sporchi ed unti. 
« Oh no cara, non devi alzarti! Ecco, prendi questa! » e le avvolse una coperta sulle spalle. 
Doveva avere una faccia parecchio confusa, perchè la donna le sorrise teneramente: « Non ti preoccupare. Sei al sicuro qui. Ethan ti ha trovato sulla spiaggia, svenuta...  »
Tempo pochi secondi e nella capanna entrò un ragazzo. Aveva i capelli neri e riccioluti, occhi color smeraldo, brillanti quasi quanto la pietra da cui prendeva il nome il colore.
Puntò le iridi azzurre sul volto coperto di fluggine: « Chi siete?!  » chiese. Il giovane posò la brocca colma d'acqua a terra e scrollò le spalle: « Io sono Ethan e lei è Louise. Mia madre. Adottiva in realtà ».
Idhel guardò Mamma Louise, passandosi l'indice lungo la fasciatura: « Io..io sono Idhel ». Mormorò qualcosa e il braccio brillò di una strana luce rossastra. Si tolse le bende e flettè le dita.
Guarita. 
Louise spalancò gli occhi senza dire una parola: « S-sai usare la magia?! » esclamò, stupita. Fu Idhel questa volta a scrollare le spalle, si guardò l'altro braccio, scorgendo la cicatrice a forma di stella sul polso. Mamma Louise allungò il collo, incuriosita:
« Ma guarda! Hai anche tu gli stessi segni di Ethan! Solo che a lui è a forma di spirale. Chissà cosa vorrà dire... ». Idhel spalancò le iridi azzurre. 
Aveva detto un segno simile?
Scattò in piedi ed afferrò il polso di Ethan. Era vero: sul polso sinistro vi era incisa una spirale. Il simbolo del Clan Dell'Aquila. 
Idhel accostò il proprio a quello del giovane. Entrambi brillarono di una luce del colore dell'oro. Durò solo per pochi istanti, ma quelli bastarono ad Idhel per ricordare. 

« Hai barato! Non hai contato fino a cento! » si lamentò una Idhel di sei anni. 
« Nessuno mi aveva detto di contare fino a cento! Ho vinto quindi tocca a te contare! » le rispose il bambino dai riccioli scuri. Lei mise il broncio, pestò i piedi per terra e strinse i pugni. Il viso che diventava rosso per la rabbia assomigliava sempre di più ad un pomodoro bello maturo. 
Il figlio del re del Clan dell'Aquila sorrise, divertito. Raccolse una margherita dal giardino del castello e gliela porse: « Dai, cambiamo gioco. Facciamo la pace? »
Idhel fece per prendere il fiore, ma l'altro fu più svelto e lo infilò fra i capelli corvini di lei. 
« Grazie Ethan ». 

Gli occhi di Idhel luccicarono di lacrime di gioia: « Ti ho trovato » mormorò « allora non sono l'unica sopravvissuta! ». 
Ethan scosse il capo e si portò un dito alla tempia: « Ehm, non credo. Mi state scambiando per un'altra persona...  »
« Ed invece sei proprio tu! ». Il ragazzo si liberò dalla stretta, sfregandosi il polso con l'altra mano. 
Idhel emise un lungo sospiro, fissando l'umido pavimento di legno. 
« Chi siete veramente?! » sibilò mamma Louise, mettendosi davanti al ragazzo. L'idea che potessero considerarla cattiva o peggio, le fece ribollire il sangue nelle vene. 
Doveva rivelare la sua vera identità:
« Sono Idhel. Figlia del Re del Clan della Fenice ». I due spalancarono ancora gli occhi, per la sorpresa: « M-ma voi...voi siete morta! »
« Mi hanno risparmiata. Non so perchè. La regina Elieen deve solo obedire agli ordini di re Ahab, il signore oscuro ». 
Idhel cercò di scacciare le immagini di quella notte, l'odore di sangue, il ricordo di quando l'avevano rinchiusa nella sua cella fredda e buia in cui aveva vissuto per ben otto anni. Nonstante fossero passati tanti anni non lo sapeva. Non sapeva perchè Elieen avesse avuto pietà per lei.
Chiuse gli occhi: molto probabilmente, Ethan col tempo aveva dimenticato chi fosse davvero. Parole di una vecchia canzone che cantava sempre la regina del Clan dell'Aquila le tornarono sulla punta delle lingue.
Trovando il modo migliore per cantarla, cominciò a recitare quelle piccole strofette: 

 
"Che ne sarà di te, quando l'aria cesserà di sorreggerti in cielo?
Che ne sarà di te quando il sole smetterà di illuminarti il volto ogni giorno?
Il tuo cuore batte al ritmo del vento
e i tuoi occhi lo colorano, colorano
Stringi la mia mano, non aver freddo
ci sarà sempre qualcuno a..."

« ...a renderti felice » concluse Ethan, lo sguardo perso nel vuoto. Idhel sorrise e dalle labbra le sfuggì una piccola risata di speranza. 
  
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