Sorrisi al suo
ennesimo complimento
ed immediatamente percepii una sensazione di calore propagarsi sul
viso, colorando
di un rosso scarlatto le guance.
Io e Niall avevamo appena terminato
di mangiare il dolce. Pochi giorni prima, infatti, mi aveva proposto di
cenare
insieme a casa sua, così quella sera aveva cucinato e
preparato tutto nei
minimi dettagli. Niall aveva ricreato un'atmosfera calda ed
accogliente,
preoccupandosi persino di accendere delle candele profumate in
soggiorno.
Quando ero arrivata lo avevo trovato ancora con il grembiule indosso e
la
cucina cosparsa di pentole, ciotole e salse. Si era scusato per il
disordine,
ma poi in un attimo era riuscito a sistemare tutto. La cena era stata a
dir
poco squisita e la dedizione con la quale si era adoperato per
realizzarla le
donava un tocco magico. Avevo riflettuto più volte sul fatto
che Niall non mi
avesse semplicemente invitata a uscire o a cena in un ristorante
elegante, ma a
casa sua e ciò rendeva tutto molto più intimo.
Ero lusingata dal suo interesse
e dalla sua voglia di rendermi partecipe della sua vita in ogni modo
possibile,
partendo proprio dalla quotidianità, ma al contempo ero
completamente
spaventata da ciò.
Non mi sentivo affatto pronta ad
affrontare una storia tanto seria e coinvolgente con Niall. Il mio
timore era
dato dalla consapevolezza di non poter ricambiare, almeno non in egual
misura,
l'intensità dei sentimenti che ci legavano.
Percepivo chiaramente che era Niall
che di giorno in giorno si propinava affinché la mostra
relazione non si
scalfisse, mente io divenivo sempre più parte passiva.
"Niall, smettila di versarmi
altro vino.", lo ammonii con voce carezzevole quando notai il mio
bicchiere riempirsi nuovamente di un liquido di color rosso mogano.
"Andiamo, questo sarà appena il
terzo bicchiere.", constatò lui regalandomi un sorriso tanto
ampio che mi
fece sciogliere all'istante.
I suoi occhi azzurri erano
particolarmente vivaci quella sera, esprimevano un'innata
vitalità e felicità e
per un attimo pensai che potessi essere io la ragione di ciò.
Il mio cuore perse un battito a
quell'eventualità.
Fui scossa da una profonda fitta che
mi colpì al petto, straziando ed attanagliando il cuore. La
mia storia con
Niall era basata su una mancata verità, una bugia, un
evento, o una persona, che
volutamente gli avevo tenuto nascosto per non farlo soffrire
inutilmente.
Sapevo che con Harry non avrei mai
avuto la possibilità di creare una relazione stabile e
duratura, sapevo che non
avrei mai avuto un attimo di tranquillità, sapevo che lui
non era Niall.
Mi vergognai nel concepire, anche se
solo come pensiero, da quanta codardia fossero state dettate le mie
scelte.
"Voglio sapere tutto di
te.", esordì facendo un mezzo giro sullo sgabello sul quale
era seduto.
Poggiò i gomiti sul legno chiaro
della penisola e si sporse in avanti, giungendo ad appena una spanna
dal mio
viso.
Puntai lo sguardi sulle mie ginocchia,
imbarazzata da quella sua richiesta.
"Tu ormai sai tutto di me,
mentre io a stento so come si chiamano i tuoi genitori.",
spiegò con voce
giocosa.
Prese la mia mano destra e subito la
intrecciò alla sua, mentre con l'altra mi costrinse ad
alzare il volto
facendomi nuovamente incontrare l'azzurro dei suoi occhi.
"C'é davvero poco da sapere sul
mio conto.", provai a dire scrollando le spalle e sorridendogli appena.
Sperai che il mio patetico tentativo
di sviare la conversazione andasse a buon fine, ma ebbi la conferma
contraria
quando vidi lo sguardo di Niall assottigliarsi pericolosamente.
"Com'era la tua vita a
Doncaster?", mi chiese ad un soffio dalle mie labbra.
Trattenni il respiro a quella sua
domanda. Non mi piaceva parlare del passato, non avevo mai gradito
dover
ricordare gli anni appena trascorsi a studiare e compiacere i miei
genitori.
Esitai prima di rispondere e lui parve notarlo. Portò una
mano sulla mia
guancia e la accarezzò dolcemente, infondendomi sicurezza e
tranquillità. Era
sorprendente constatare quanto un suo semplice tocco potesse
positivamente
influire sul mio corpo.
"Insomma, sono solo curioso e tu
non ne parli mai.", si giustificò piegando le labbra in un
sorriso
gentile.
Mi scostai leggermente, per creare
una maggiore distanza tra i nostri volti, poi presa da un impeto di
panico
afferrai il bicchiere ricolmo di vino e ne bevvi un sorso, illudendomi
che
sarebbe stato sufficiente a disinibirmi.
"Sono sempre stata una tipa
studiosa.", sbottai tutto d'un tratto, convinta che una confessione
lampo
mi avrebbe aiutata ad uscire illesa dal tuffo nel passato.
"Seguivo lezioni di pianoforte e
danza, per qualche tempo ho fatto anche equitazione, ma con scarsi
risultati.", raccontai senza soffermarmi su alcun tipo di particolare.
Niall sorrise, incitandomi a
continuare sullo sguardo.
"Ero nella redazione del
giornalino scolastico, mi occupavo prevalentemente della sezione
dedicata alla
cultura. Adoravo fare fotografie e recensire spettacoli teatrali e
musical.", ricordai.
Mille immagini mi offuscarono la
vista, costringendomi ad immergermi in quella serie di ricordi.
Non era piacevole ricordare, non ero
mai stata soddisfatta della mia vita, seppur l'avessi sempre accettata
senza
mai preoccuparmi di volerla cambiare.
Ciò che mi aveva sempre intrappolata
in quella posizione di stallo era la sicurezza a la
stabilità su cui essa si
fondava. Avevo sempre avuto paura dell'ignoto, delle novità
e forse proprio per
questo Harry era riuscito ad incantarmi con quel suo fascino
imprevedibile.
"E i tuoi amici?", mi
domandò ingenuamente Niall.
D'istinto spostai lo sguardo sul
quadro appeso alla parete alle sue spalle, focalizzando la mia
attenzione su
altro, come se ciò bastasse a lenire le ferite che quella
domanda aveva
rievocato.
"Non sono mai stata particolarmente
socievole. I miei genitori erano iscritti ad un club e partecipavano
praticamente a tutti gli eventi, quindi alla fine si era creata una
specie di
comitiva.", spiegai ed ancora una volta la mia mente fu invasa da una
serie di fotogrammi, istanti passati di vita. C’erano tutti,
seduti in cerchio
al solito tavolo per una di quelle noiose e subdole cene a cui erano
costretti
a partecipare.
C'era Kate, la figlia del collega di
mio padre, concentrata a sistemare la sua acconciatura, controllando il
suo
aspetto attraverso l'immagine che un piccolo specchio che teneva
nascosto in
una mano le rifletteva. C'era William che raccontava della sua ultima
corsa in
sella alla moto appena acquistata con i soldi della sua paghetta
mensile e
c'era Edward intento a mandare messaggi con il suo cellulare appena
entrato in
commercio che già pianificava il prossimo incontro con la
fidanzata di suo
fratello. Lydia, invece, si limitava a criticare qualsiasi cosa
entrasse nel
suo raggio visivo, sorridendo con fare altezzoso e sprezzante, mentre
Thomas
beveva ormai il decimo bicchiere di vino bianco. Jasmine fissava il suo
piatto,
ancora ricco di pietanze che non erano state minimamente toccate.
Quella sera,
esattamente come tutte le altre, non avrebbe mangiato nulla e nessuno
di noi le
avrebbe fatto domande. Riuscivo ancora a ricordare distintamente il suo
corpo
ormai scheletrico, gli occhi scavati, le guance sciupate, lo sguardo
assente,
ma terrorizzato, i lineamenti tesi, preoccupata dalla
possibilità che qualcuno
si accorgesse di lei. Poi c'era George con le sue camicie che
contenevano a
stento i suoi pettorali, pronto a cogliere qualsiasi pretesto pur di
vantare i
suoi evidenti muscoli, frutto di anni di allenamento come quarterback
della
squadra di football della scuola. Ed infine c'era Wilke che attendeva
in
trepidazione che la serata volgesse al termine per poter raggiungere il
bar
presso il quale giocava ripetutamente a poker, spesso perdendo molto
più di
quanto riuscisse a vincere, tanto che una volta era stato costretto a
dover
rubare dei soldi dal portafogli del padre per poter saldare i debiti
che si
erano accumulati a causa delle sue sconfitte. Agli occhi estranei delle
persone
eravamo perfetti, ricchi, giovani e felici, ma in realtà
eravamo solo un
mucchio di ragazzini viziati, viziosi ed egocentrici, ognuno
concentrato sul
proprio inconfessato bisogno di essere notato, ascoltato e compreso,
ognuno
bisognoso di affetto, quell'affetto la cui mancanza non poteva in alcun
modo
essere sopperita dai soldi.
Non li avevo più sentiti da quando
ero partita, nessuno di loro.
"Ero un'assidua frequentatrice
della biblioteca comunale, chiamavo tutti gli assistenti per nome ed
avevo
persino una poltrona riservate esclusivamente alla sottoscritta.",
continuai riprendendo il filo del discorso.
"E in quanto a ragazzi?",
mi chiese lasciandomi del tutto spiazzata.
Quando avevo iniziato a raccontargli
di com'era la mia vita non avevo capito che in realtà il suo
intento era fare
chiarezza sulle mie esperienze sentimentali.
Presi un respiro profondo e strinsi
forte la mano destra in un pugno, mentre con lo sguardo vagano su tutta
la
cucina.
Non volevo ammettere quanto nuovo per
me fosse questo ambito e, soprattutto, volevo accuratamente evitare la
questione dei rapporti intimi.
Lui non preferì parola, probabilmente
in attesa che trovassi il coraggio per proseguire.
Non aveva cambiato domanda e da ciò
recepii che non aveva affatto intenzione di sviare il discorso.
Del resto era comprensibile. Niall mi
aveva raccontato ogni cosa del suo passato, dalla sua prima
insufficienza alla
sua prima ragazza, mentre io mi ero sempre limitata ad ascoltarlo. Era
curioso
e non potevo di certo biasimarlo per questo.
"Solo uno.", confessai
sincera solo in parte.
Era chiaro che mi stessi riferendo ad
Harry, ma preferii omettere quel dettaglio.
"Ne eri innamorata?",
domandò dopo una manciata di secondi, avendo intuito che non
avrei aggiunto
altro di mia spontanea iniziativa.
Trattenni il fiato per un istante che
mi parve interminabile, cercando una risposta a quel semplice quesito
che tanto
mi aveva spiazzata. Non fui in grado di fornirgli una risposta
immediata.
Harry era la persona più irritante
che conoscessi, l'unica capace di farmi innervosire con una sola
battuta, di
farmi perdere il controllo, di tirar fuori l'Elizabeth meno riflessiva
e
gentile, quella più sfacciata e trasgressiva. Odiavo quanto
e come riuscisse ad
influire con i suoi
atteggiamenti sul mio umore e sulle reazioni del mio corpo. Era stato
sufficiente
un suo sguardo per far accelerare il mio battito cardiaco, un suo tocco
per
farmi fremere e tremare come una foglia, un attimo per far colorire le
mie
guance di un rosso porpora imbarazzante.
Ogni qualvolta si era avvicinato a me,
avevo percepito una strana sensazione attanagliare il mio stomaco,
faticavo a
rimanere lucida e respirare diveniva un'impresa di difficile
attuazione.
Ma, infondo, io non sapevo cosa
significasse essere innamorati. Mia nonna mi aveva sempre detto che,
quando lo
sarei stata, lo avrei capito, magari semplicemente guardando negli
occhi del
presunto ragazzo o abbracciandolo forte tra le mie braccia.
"No, non credo.", mormorai
incerta.
Niall sembrò tirare un sospiro di
sollievo, forse rallegrato dalla certezza di poter essere il primo.
Cercò il mio sguardo e mi regalò un
accogliente e caldo sorriso non appena i nostri occhi si incontrarono.
Tuttavia, non riuscii a ricambiare tutto
l’affetto che nutriva nei miei confronti e che trapelava da
quel piccolo gesto.
Rimasi immobile a fissarlo, concentrandomi
sui lineamenti del suo viso, mentre il senso di colpa dilagava in me.
Lui si avvicinò fino a far sfiorare
dolcemente i nostri nasi, poi poggiò le sue labbra umide
sulle mie, ancora
inumidite dal vino.
Fu nell'esatto momento in cui le
nostre lingue si incontrarono che, per la prima volta, fui totalmente
sicura di
star commettendo un errore.
Avrei dovuto dirgli la verità, avrei
dovuto raccontargli di quando a Natale io ed Harry ci eravamo
frequentati e di
quando, appena una decina di giorni fa, ci eravamo nuovamente baciati.
Ero stata una codarda a tentare di
omettere l'accaduto con ogni espediente possibile e nel farlo avevo
inequivocabilmente ferito anche Harry.
Mi scostai, indietreggiando di poco
per poter interrompere il bacio.
Niall sorrideva ancora, mentre
percepii il mio volto incurvarsi in un'espressione crucciata e
preoccupata.
Lo avrei fatto soffrire, ma meritava
di sapere la verità, meritava di sapere quanto squallida
fosse stata la sua
ragazza.
"Devo dirti una cosa.",
sussurrai a denti stretti.
Il suo viso repentinamente si
trasformò in una maschera di tensione ed insicurezza, aveva
la forte corrugata
e gli occhi arricciati.
Pensai ad un modo per rendere la
notizia meno shockante e, soprattutto, meno dolorosa.
Avrei potuto iniziare un discorso per
prepararlo adeguatamente, oppure confessare di punto in bianco.
Temevo, tuttavia, che se avessi
iniziato a parlare, vedendo la sua espressione delusa e rattristata, mi
sarebbe
venuto meno il coraggio di concludere ciò che avevo in mente
di fare, così in
un attimo optai per la seconda soluzione.
"Ho baciato Harry.",
dichiarai con un filo di voce e li sguardo puntano sul pavimento per la
vergogna.
Di sottecchi vidi Niall sgranare gli
occhi sbigottito da quella rivelazione.
Rimase in silenzio per qualche
secondo, o forse si trattava di minuti.
Avevo completamente perso la
percezione dello scorrere del tempo. Aspettavo una sua reazione, delle
grida,
una sfuriata, ma lui continuava a prendere tempo per metabolizzare le
mie
parole.
"Quando?", chiese in un
ringhio, mentre faceva scivolare una mano tra i suoi corti capelli
biondi.
Strizzai gli occhi, consapevole che
non avrebbe gradito affatto la risposta che stavo per dargli.
"Più di una volta, l’ultima la
mattina dopo il concorso.", mormorai.
Un tonfo risuonò tra le pareti della
stanza e, nonostante non lo avessi visto, capii che Niall aveva appena
sferrato
un pugno sul muro alle sue spalle.
"Va' via.", mio ordinò con
voce graffiata.
Alzai il volto, per cercare il suo.
Niall era in piedi, con un braccio si
reggeva alla parete. Aveva il capo recinto verso destra, il suo sguardo
era
assorto nel vuoto.
Il suo volto era furente, i suoi
lineamenti tesi e duri.
"Niall, mi dispiace,
io...", provai a dire, ma fui interrotta.
"Ho detto che devi
andartene.", ripeté e nei suoi occhi colsi agitazione.
Stava cercando di trattenere i suoi
istinti.
Scossi lievemente il capo e mi alzai,
poi mossi qualche passo in sua direzione.
Non volevo lasciarlo solo in un
momento come quello. Era un ragazzo giudizioso e responsabile, non
avrebbe mai
fatto sciocchezze neppure in simili circostanze. Tuttavia, mi sentivo
colpevole
e lo ero per davvero. Avrei fatto qualsiasi cosa pur di alleviare il
suo
dolore.
"Non l'ho programmato, mi
dispiace così tanto.", mi scusai provando ad avvicinare una
mano al suo
braccio.
Lui la scansò con un gesto violento e
brusco per poi superarmi con una leggera spallata.
Camminava con ampie falcate per la
stanza, da un estremo all'altro senza sosta alcuna. Aveva incrociato le
braccia
al petto, ma poco dopo le aveva liberate da quella castigante posizione
ed
aveva iniziato a muoverle freneticamente.
Sospirai, indecisa su ciò che avrei
dovuto fare. Da un lato volevo provare a dargli una spiegazione che,
seppur
banale, avrebbe potuto fargli comprendere quanto realmente il nostro
rapporto fosse
importante per me. Dall'altro, invece, immaginavo quanto desiderasse
rimanere
da solo in quel momento, così da poter riflettere in modo
più lucido.
Mi mordicchiai il labbro, pensando
alle parole più opportune.
"Niall.", lo richiamai flebilmente.
Lui si voltò di scatto, puntando i
suoi occhi azzurri pieni di rabbia nei miei.
"Va' via!", urlò facendomi
sussultare per lo spavento.
Non lo avevo mai visto tanti adirato
e per un attimo temetti una sua reazione.
Annuii, senza riuscire a replicare in
alcun modo.
Racchetai tutte le mie cose, seguita
perennemente dal suo sguardo accusatorio e denigratorio, avvolta da
un'inquietante
e silenziosa atmosfera, poi senza aggiungere altro mi avviai in
direzione della
porta.
"Allora ciao. ", lo
salutai.
Niall non rispose, ma prima che la
porta si richiudesse alle mie spalle fui scossa da un assordante tonfo.
Mi precipitai giù per le scale, poi
corsi in strada con urgenza, quasi come se allontanarmi da quel posto
fosse
stato sufficiente a dimenticare tutto quello che era successo a causa
mia.
Avevo ferito Louis, avevo tradito Niall ed allontanato Harry solo per
la paura
dell’intensità del sentimento a cui ancora non
avevo dato un nome che ci legava.
Il mio corpo tremava, il petto si alzava ed abbassava ad un ritmo
veloce, ma
non regolare, gli occhi pizzicavano e delle lacrime cadevano copiose
sul mio
viso.
Il cielo era ormai buio, illuminato
solo dalla luce di qualche lampione, posti ad ampi intervalli sul
marciapiede
che costeggiava la carreggiata.
Volevo andar via, scappare, fuggire. Accelerai
il passo, procedendo lungo quella via che conoscevo ben poco.
Non sapevo cosa fare, dove andare, chi
chiamare. Continuavo a camminare con passo veloce ma incerto,
combattendo
contro me stessa per reprimere i singhiozzi che il pianto causava.
Con una mano asciugai una guancia, ormai
bagnata, poi passai agli occhi.
Vagai senza meta, guidata dal mio istinto,
fino a quando non mi ritrovai in un quartiere che conoscevo vagamente.
Non
sapevo di quanto mi fossi allontanata da quella casa, o quanto tempo
fosse
trascorso. Infreddolita, iniziai a vagare con lo sguardo tra le varie
strutture
che si ergevano ai margini della via, cercando in ognuna di esse
qualcosa di
familiare che mi avrebbe permesso di identificarle e, di conseguenza,
di orientarmi.
Avevo letto il nome della strada ad un incrocio, ma non ricordavo di
esserci
già stata. Ad un tratto scorsi un’insegna che
lampeggiava nel buio ed
immediatamente riconobbi un locale, una gelateria, dove Louis mi aveva
portata
prima delle vacanze di Natale. Mi fermai all’istante e, senza
pensare, mi
trovai a compiere l’ennesimo gesto automatico. Estrassi il
cellulare dalla
borsa e cercai nella rubrica un numero che in realtà
conoscevo a memoria, ma
che in quel momento non avrei mai potuto ricordare.
Sussultavo ad ogni squillo, pregando che
rispondesse, ma spaventata allo stesso tempo.
“Si?”, esordì una voce assonnata
dall’altro
capo del telefono.
Nel riconoscerlo scoppiai in lacrime,
riscoprendomi incapace di contenere l’angoscia e la
sofferenza che avviluppava
la mia mente ed il mio cuore.
“Lizzie, sei tu?”, mi chiese apparentemente
preoccupato.
Neppure quella volta fui in grado di fornirgli
una risposta, al contrario i miei singhiozzi si fecero più
profondi e rumorosi.
“È successo qualcosa? Lizzie, parla! Sono
preoccupato!”, esclamò e nel suo tono era evidente
un forte stato di
agitazione.
“Louis, sono davanti a quella gelateria vicino
casa di Niall.”, riuscii a dire, nonostante la mia voce fosse
rotta da continui
sussulti. “Mi vieni a prendere?”, chiesi con tono
supplichevole.
“Non muoverti, arrivo.”, mi ordinò prima
di
riagganciare.
Mi accostai alla saracinesca di metallo del
locale esitando ad ogni passo, quasi ne avessi paura. Con cautela mi
accasciai
a terra, portai le ginocchia al petto ed avvolsi le braccia intorno ad
esse.
Chiusi gli occhi, lasciando poi cadere la testa in avanti ed attesi
l’arrivo di
mio fratello.
“Lizzie, piccola, che ti è successo?”,
mi
sentii chiamare da una voce stranamente troppo vicina.
Le mie spalle furono avvolte da delle braccia
calde, infondendomi tranquillità e sicurezza.
Alzai di poco il volto, il necessario per
poter guardare negli occhi mio fratello.
Ancora una volta avevo perso la cognizione del
tempo, ma fui lieta di vedere il suo volto. Aveva il viso preoccupato,
un’espressione apprensiva, ma dolce e non era arrabbiato con
me.
D’istinto ricambiai l’abbraccio, stringendolo
forte la mio petto ad inspirando il suo dolce profumo, mentre altre
lacrime
solcavano le mie guance.
“Scusa Lou, scusami.”, sussurrai quasi sul suo
collo.
“Va tutto bene, va tutto bene.”, mormorò
mentre mi accarezzava dolcemente i capelli.
Strinsi forte la sua maglietta nella mia mano
destra, incapace di fermare i singhiozzi.
“Sono stata una stupida irresponsabile.”, mi
accusai. “Ho ferito Niall ed Harry ed ho deluso
te.”, riuscii a dire prima di
essere travolta nuovamente dal pianto.
Louis continuava ad accarezzarmi,
inginocchiato davanti a me, e mi stringeva forte a lui, trasmettendomi
con quei
gesti il suo affetto.
“Ho detto a Niall di Harry.”, spiegai.
Lo sentii sospirare prima di aumentare la
stretta intorno al mio corpo.
“Vedrai che sistemeremo tutto.”, mi
rincuorò. “Ora
però andiamo, forza.”, mi esortò
alzandosi in piedi per poi porgermi una mano.
Non ero per nulla convinta delle sue parole,
ma in quel momento volevo solo tornare
a
casa, così la afferrai e raggiungemmo la sua auto, poi mise
in moto e mi
riaccompagnò al campus.
Angolo Autrice
Salve a tutti!!:D Com'è andato il fine settimana??
Io mi ero riproposta di studiare, ma poi sono finita a vagare per efp per tutto il pomeriggio!!xD
Comunque, ecco qui il nuovo capitolo!!:D Finalmente Lizzie si decide a fare qualcosa!
Quante di voi aspettavano con ansia questo momento??:D:D
E ne approfitto per rinnovare i miei auguri per giu_giu_, anche se in vergognoso ritardo!!
Allora, grazie mille a tutte quelle persone che seguono, preferiscono e ricordano!!!<3
Grazie a chi legge e, soprattutto, grazie a quelle magnifiche persone che con i loro commenti
mi hanno resa ultra-mega-felice!!!<3 Thanks girls!!!*.*
Bene, bene... per ora credo sia tutto!:D
Nel prossimo capitolo, piccolissima anticipazione, cercheremo di risolvere alcune questioni e...
beh, diciamo che ho lasciato spazio al mio lato, che solitamente non emerge quasi mai, più zuccheroso...xD
Vabbè, fatemi sapere cosa ve ne pare!!:D
Ah, e se avete un po' di tempo mi farebbe davvero molto piacere sapere cosa ne pensate di Skins, altra storia che sto scrivendo!:D
Alla prossima!:*
Astrea_