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Autore: Sotalia    27/04/2008    2 recensioni
Un assurdo seguito del settimo libro, un po' amaro e molto intricato. Ho mescolato l'azione all'approfondimento psicologico dei personaggi. Perchè i sogni vivono per sempre...
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 15

CAPITOLO 15

 

EMILY E SUSY

 

Ron si alzò, malfermo sulle gambe. I vestiti gli si appiccicavano addosso, impiastrati com’erano di fango, pioggia, rifiuti e vomito. Ron si disgustò da solo, osservando le sue condizioni in un pezzo di specchio per terra. Poi successe. Appiccò il fuoco a delle cartacce. Si affrettò a spegnerle calpestandole, sforzandosi di non perdere l’equilibrio. Dannati postumi. E quel mal di testa fischiante.. che non gli permetteva di riflettere con completa lucidità.

A volte succedeva. Ecco perchè i maghi alcolizzati o tossicodipendenti venivano forzatamente isolati dalla comunità, magica o babbana che fosse: perdevano il controllo dei propri poteri. Quello era solo l’inizio. Se non avesse cominciato a darsi una regolata, da allora in poi, si sarebbe seriamente cacciato nei guai. Non voleva certo finire in quei centri di disintossicazione troppo bianchi e con quel sentore di vomito indelebile dalla facciata. Gli tremarono le mani. No, per quel giorno la bacchetta sarebbe rimasta al sicuro in tasca. Si chinò per raccoglierla da un mucchietto di immondizia in cui era caduta, ma appena la strinse tra le dita, decine di scintille colorate caddero a pioggia per tutta la lunghezza del vicolo.

“Che bello! Fallo ancora!”

Ron gelò. Qualcuno lo aveva visto. Strizzò gli occhi per snebbiare la vista. Una bambina e una giovane donna forse ancora adolescente lo fissavano dall’imboccatura sulla strada principale. Quella era Londra. E quelli erano babbani.

La bambina era entusiasta. Sorrideva speranzosa che l’uomo ripetesse lo spettacolino. La ragazza era atterrita e stringeva forte contro di sè la bambina. Fissava quello strano uomo dai capelli rossi, la bocca serrata e gli occhi spalancati. In un altro momento Ron non si sarebbe fatto molti problemi a far dimenticare alle due ciò che avevano visto con un incantesimo. Ma era troppo pericoloso. Non aveva il controllo della sua magia, e poteva accadere qualunque cosa. Non sapeva che fare. Fece qualche passo in avanti, e la ragazza indietreggiò. Improvvisamente, agli occhi di Ron, il mondo ondeggiò paurosamente, e cadde. Si accasciò contro il muro. Le due babbane lo osservavano, la ragazza inquieta ma non più spaventata, la bambina decisamente meno entusiasmata.

Poi la ragazza parlò: “Hai delle armi?”

Ron scosse la testa, ancora stordito. Non gli era mai successo di subire un’umiliazione del genere, ma nemmeno se ne rendeva pienamente conto. In quel momento più che vergognarsi era dominato dal pensiero di essere stato visto compiere una magia. Se qualcuno lo avesse scoperto, o sarebbe stato denunciato, o internato da qualche parte. Scosse la testa e alzò le mani, per quanto gli fu possibile, per dimostrare di essere inoffensivo. La ragazza sussurrò qualcosa alla bambina e gli si avvicinò. Tastò circospetta quel corpo lurido, in cerca della dimostrazione di una menzogna. Non trovò niente di pericoloso. Si pulì i palmi delle mani sui jeans. “Mi chiamo Emily” gli disse con un sorriso rassicurante. Ron notò il tono condiscendente, come si usa con chi non può capire. Non ne fu infastidito. Era troppo confuso.

“Sono Ronald”. Continuava a tenere le mani alzate. La ragazza non glielo fece presente. Era pur sempre un uomo piuttosto nerboruto.

“Bene Ronald. Mi sembra che tu abbia bisogno di aiuto, o mi sbaglio?”

Ron ragionò. Se rimaneva con quelle due finchè non si fosse ripreso, avrebbe potuto averle a portata di bacchetta non appena si fosse presentata l’occasione di incantarle.

Emily dovette notare qualcosa nel suo sguardo, perchè il suo viso si indurì. Ron scoppiò a piangere. La ragazza lo aiutò a sostenersi, e insieme si avviarono per le strade babbane di Londra, sotto gli sguardi scandalizzati di decine di babbani.

Ron non si accorse che la bambina aveva raccolto la Gazzetta del profeta da terra, nè che osservava affascinata la foto mobile di lui e Stan Picchetto ubriachi.

Emily condusse Ron fino ad un palazzo giallo e basso, con l’insegna della caritas che spiccava sulla facciata. Gli indicò i bagni e gli diede il necessario per ripulirsi e cambiarsi. Abiti babbani, da babbani poveri. Ron riemerse dal bagno finalmente senza più emanare odore acido. Era pulito, anche se il malessere dei postumi non lo abbandonava ancora. In ogni caso aveva riconquistato la limpidezza mentale, anche se per quel giorno non sarebbe stato dotato di particolare estro.

Emily gli diede un caffè e gli offrì da mangiare, ricevendo un diniego in risposta, come ovviamente si aspettava. Alcuni volontari si aggiravano per la mensa, preparandosi per il pranzo. Arrivò anche uno sparuto gruppetto di scout che si distribuì ridacchiando tra le varie postazioni. La caritas avrebbe aperto alle 12 e 30. avevano ancora un’oretta di tempo.

“Si sente meglio Ronald?” chiese gentilmente Emily. Accanto a lei teneva piegati un grembiule e dei guanti, e poi una cuffietta trasparente.

“Sto meglio, sì” annuì l’uomo, tenendo per sè il mal di testa che stava per fargli implodere gli occhi e la forte tentazione di strapparsi lo stomaco febbricitante con le sue stesse mani.

“Sono una volontaria della caritas, come avrà intuito. Se non le dispiace le chiederò i suoi dati e le farò qualche domanda, per poterle poi dare assistenza. In caso lei si rifiutasse, sono costretta a salutarla”

Il cuore di Ron cominciò a battere più forte.

Le labbra di Emily, con il loro sorriso angelico, erano fermamente rivolte nella sua direzione. La ragazza aveva sottili capelli neri che le arrivavano poco sotto le spalle, e occhi di un colore poco definito tra il grigio e il verde, con le punte esterne rivolte verso il basso. Aveva un colorito pallido che spiccava contro il colore scuro dei capelli, disordinati intorno al viso piccolo.

“Emily, posso anche parlarle di me, ma non ho documenti per dimostrare quel che dico”

Il sorriso non venne turbato, ma qualcosa nella posa delle mani giunte fece intuire a Ron che la situazione non piaceva affatto alla ragazza.

“Vedremo quel che possiamo fare, intanto lei cerchi di parlare in tutta sincerità”

Ron si sentì molto adulto. Una morsa gli prese il cuore al pensiero di dover mentire a quella giovane dall’aspetto tanto ingenuo e buono.

“Sono Ronald Connor, irlandese. Sono venuto qui da alcuni amici quando ho perso il lavoro. Li sto cercando da due settimane, sono stato derubato del mio bagaglio e mi sono rimasti pochi spiccioli”

“Per ora sapere questo è sufficiente. Il fatto che lei non possa provare di avere il permesso di soggiorno è un bel problema, ma vedremo quel che possiamo fare. Rintracciare i suoi amici in ogni caso è la prima cosa da fare. Anzi, la seconda”

Gli occhi pastello della giovane brillarono. “E la prima cosa quale sarebbe?”

“Venga con me” Si alzò e gli tese la mano diafana. Ron la guardò un attimo, troppo stordito per stupirsi davvero e la seguì.

Si ritrovarono in una stanza con molti letti. Il dormitorio. La stanza aveva un’atmosfera plumbea e neutra. Dalle finestre si avvistava il colore delle strade.

“Può spiegarmi questo?” La ragazza sfilò dai pantaloni un giornale arrotolato. La gazzetta del profeta. “Non credo” “E quindi nemmeno quel che è avvenuto in quel vicolo. Cos’era, l’avanguardia dei fuochi d’artificio? Poteva tenerseli per qualche altro giorno fino a capodanno..” “Nemmeno” confermò Ron. Era terrorizzato.

“Ho preso questa dai suoi abiti. Cos’è?”

Emily aveva in mano la bacchetta magica di Ron. In quel momento sopraggiunse la bambina. Si aggrappò ad Emily scrutando un po’ Ron un po’ il pezzo di legno che la giovane donna sventolava impaziente. “So che ha usato questa per quel giochetto di prima. Ma la prego di non giocare con me, signor Weasley”

Emily carezzò la testa bruna e appuntita della bambina al suo fianco. “Susy, saluta il signore” “Ciao signore” borbottò la piccola. Poteva avere undici anni, ma si comportava come se ne avesse un po’ di meno. Aveva un’espressione straordinariamente smarrita e vaga.

“Signorina Emily, la prego”

“La prego cosa? Comprenderà che la cosa ha sconvolto me e mia figlia”

Ron strabuzzò gli occhi. “Sua figlia? Ma quanti anni ha Emily?” “Io ne ho venticinque, e mia figlia dieci. Ma questa non è una questione che la riguarda. Adesso le farò una domanda che le potrà anche sembrare folle. Lei è un mago o qualcosa del genere?” chiese in tono improvvisamente avido, ma anche straordinariamente infantile.

Che altra scelta poteva avere? “Lo sono. E adesso che ha intenzione di fare?” Ron era improvvisamente stanco. Emily gli lanciò la bacchetta. “Ci faccia vedere quel che sa fare, Ronald Weasley” Ron la prese d’istinto, pentendosene immediatamente dopo. Vino bianco cominciò a sgorgare dalla punta della bacchetta. Possibile che ancora non si fosse ripreso? Possibile che fosse arrivato a un punto in cui era necessaria la riabilitazione? Di solito a quell’ora era già in grado di trasfigurare piccoli animali.

Provò a fermare la perdita. La fermò, ma in compenso fece diventare le pareti arancioni, e poi verdi, e poi viola e poi... fece cadere la bacchetta a terra, troppo spaventato. Emily aggrottò le sopracciglia. “Che cos’era tutto questo? Sta cercando di ingannarci, forse?”

“No” rispose Ron fremendo. Era sul punto di scoppiare a piangere. Come un bambino. Come il bambino che non era più. I bambini non si ubriacano il venerdì sera. I bambini non fanno sesso con delle sconosciute. I bambini non insultano la moglie. I bambini non amano con disperazione.

“Io.. per ora non sono in grado di usarla.”

Emily lo guardò dritto in faccia. Ron non osò farlo a sua volta. Quella ragazza lo intimidiva. Lo metteva dritto di fronte alla sua vergogna.

“Allora portami da qualcuno che può”

  
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