Capitolo
1
La
sveglia segnava le nove quando Nathan aveva, stancamente, aperto un
occhio, infastidito dalla leggera luce del sole.
La
sera prima, preso dallo sconforto e dalla stanchezza, si era
dimenticato di accostare le persiane e adesso il caldo sole della
California
cercava in tutti i modi di intrufolarsi nella grande stanza.
Nonostante
sentisse caldo, tirò il lenzuolo in modo da coprirsi la
testa e cadere di nuovo in un sonno ristoratore.
Niente.
Sbuffò
infastidito quando un rumore di pentole arrivò dalla cucina
della suite.
Perché
Stana stava cucinando?
Da
quando alloggiavano lì, avevano sempre usufruito dei
vantaggi e dei
comfort dell'hotel, ordinando la colazione e facendosela portare con il
comodo
servizio in camera.
Cosa
le era preso?
Ormai
spazientito, si alzò e si diresse in bagno. Aprì
l'acqua del
lavandino e si sciacquò la faccia, si sistemò il
ciuffo di capelli bagnandolo
un po' e poi si guardò allo specchio, sobbalzando
impercettibilmente una volta
aver visto la sua figura riflessa.
Delle
profonde occhiaie violacee gli contornavano gli occhi, le rughe
sulla fronte erano più profonde del solito e il suo aspetto
non era dei
migliori.
Aveva
avuto un sonno agitato, si, ma di certo non si aspettava di
trovare dei segni così evidenti del poco sonno sul suo viso.
Si
asciugò con il telo appeso alla porta del bagno e
tornò nella
camera, per cercare qualcosa da indossare. In altre occasioni, non si
sarebbe
di certo fatto molti problemi a camminare per la suite con addosso solo
i
boxer. Ma adesso, in quel momento... Non si sarebbe sentito a suo agio,
sicuramente.
Scelse
un pantaloncino grigio della tuta che gli arrivava al ginocchio
e una semplice maglietta nera.
Quando
uscì dalla sua camera, i piedi nudi si mossero silenziosi
sul
parquet finché non arrivò nella cucina.
Stana
era indaffarata nella preparazione della colazione, armeggiava
con una padella sui fornelli e ogni tanto dava un'occhiata e una
mescolata ad
una ciotola posata sul bancone da lavoro.
Sulla
penisola di marmo al centro della sala, aveva messo due
tovagliette bianche, una di fronte all'altra, ed aveva apparecchiato
senza
dimenticare nulla. Il caffè era pronto e fumante in due
tazze, anch'esse una di
fronte all'altra. Il profumo aleggiava per tutta la cucina e Nathan
inspirò a
pieni polmoni, beandosene estasiato.
Come
preparava il caffè Stana, non lo preparava nessuno, questo
era da
ammettere.
Diede
un colpo di tosse, facendo notare alla donna la sua presenza, che
sobbalzò facendo uscire un po' di impasto dalla ciotola in
cui stava girando il
mestolo.
"Buongiorno",
disse Nathan prima di sbadigliare. Si sentiva
un po' in imbarazzo, non sapeva cosa dire. Si avvicinò
lentamente ai fornelli e
guardò il contenuto della padella. Pancakes. La sua
colazione preferita. Poi
guardò Stana, interrogandola con gli occhi.
"Ehm...
Buongiorno, Nathan", rispose lei abbassando lo
sguardo sul cibo che cuoceva.
Lui
si allontanò da lei, andandosi a sedere su uno dei due
sgabelli.
"Come mai stai usando la cucina?".
Stana
spense il fornello girando la manovella e sospirò
pesantemente.
Mantenne lo sguardo davanti a se, consapevole degli occhi di Nathan
fissi sulla
sua schiena.
"Avevo
solo voglia di cucinare, tutto qui", disse, sapendo di
essere stata poco convincente.
Ma
Nathan non ribatté.
"Okay".
Girò
la padella in un piatto così da farci scivolare i pancakes e
lo
porse a Nathan. Il tutto senza guardarlo neanche per un istante. Poi,
svuotò il
contenuto della ciotola nella padella e riaccese il fuoco per cuocerne
altri.
"Puoi
iniziare a mangiare, ora preparo quelli per me", disse.
"No,
ti aspetto", rispose lui. "Hai dormito bene?".
"Non
ho dormito molto, in realtà", rispose lei, questa volta
sinceramente "Tu?".
"Ho
dormito magnificamente, il letto è davvero comodo",
mentì.
Stana
fece saltare i pancakes con un colpo di polso.
"Beato
te". Nathan sorrise amareggiato, poi prese la sua
tazza e ne bevve un lungo sorso. Si sentiva già meglio.
Osservò
Stana mentre si sedeva a tavola con il suo piatto in mano.
Mangiarono
in silenzio, nessuno dei due sapeva cosa dire, fino a quando
Stana posò le sue posate accanto al piatto e si
pulì la bocca con il
tovagliolo.
"Nathan...",
iniziò a dire, un po' incerta, "riguardo a
ieri sera, io...".
"È
tutto apposto, Stana, sul serio".
"No,
non lo è", rispose, stizzita. "Ho esagerato e tutte
quelle cose che ho detto, non le penso affatto...".
"È
qui che ti sbagli", stavolta fu Nathan a smettere di
mangiare. Alzò lo sguardo e incontrò, finalmente,
gli occhi di Stana. Erano
rossi. Aveva pianto?
"Come,
scusa?".
"Tu
quelle cose le pensi, eccome".
"Nathan,
ma cosa..."
"Le
pensi, Stana. Pensi quello che pensano tutti. Pensi che io
cambi donna come i calzini, pensi che io non riesca ad avere una storia
seria,
pensi che ti porterei a letto per poi fregarmene di te. È
qui che ti sbagli.
Avrò anche cambiato spesso donna, ma non ho mai trattato
nessuna di loro come
oggetto. E con te... Non ti tratterei di certo come una di loro. Ma tu
non puoi
saperlo, dato che non hai mai voluto darmi una chance".
"Tu
non me l'hai mai chiesta", disse lei in un sussurro.
Nathan
sbatte il pugno sul tavolo. "Questa è bella!",
sbraitò. Poi si alzò di scatto, facendo cadere
all'indietro lo sgabello.
"Questa è davvero bella", disse di nuovo, prima di dirigersi
verso la
sua camera.
Si
chiuse la porta alle spalle sbattendola.
"Adesso
basta! Non accetto di essere trattato come un
cretino", disse a sè stesso, ma alzando comunque la voce.
Afferrò
la valigia da sotto il letto ed iniziò a riempirla
velocemente,
buttandoci alla rinfusa i vestiti. Era furioso. Le mani gli tremavano,
aveva
caldo. Si tolse la maglietta e la tirò nel bagaglio, poi
afferrò dalla sedia la
camicia della sera prima e la indossò. Andò in
bagno a lavarsi, poi raccolse le
sue cose e mise anche quelle nella valigia.
Prese
i pantaloni e se li infilò, allacciò la cinta e
si mise le
scarpe. Era pronto.
Diede
un'occhiata alla camera, assicurandosi di non aver dimenticato
nulla, ed uscì dalla stanza.
Stana
era seduta sul divano, guardava il pavimento, preoccupata.
Nathan
non la degnò nè di uno sguardo, nè di
una parola.
Superò
il soggiorno della suite e si diresse verso la grande porta
della camera.
"Dove
stai andando?!".
L'attore
si fermò, la mano già sulla maniglia. Adesso
Stana era alle
sue spalle, in piedi. Lui si voltò, la guardò
pensando che era davvero bella,
anche di mattina dopo una nottata difficile.
"Vado
via, Stana", disse con calma.
Lei
spalancò gli occhi.
"Ma...
Ma, Nathan, il tour non è ancora finito! Tu... Tu non
puoi!" Balbettava. "Andrew andrà su tutte le furie e io...".
"Non
mi importa niente di quello che dirà Andrew!".
"E
di me? Di me non ti importa?", chiese in un sussurro.
"Mi lascerai qui, da sola?".
"Sei
adulta abbastanza per affrontare la premiazione da
sola", rispose freddamente.
"Perché
vuoi andartene?".
"Non
voglio più restare, Stana. Non posso restare. Ho bisogno di
schiarirmi le idee, voglio tornare a casa", spiegò lui,
ancora troppo
calmo.
Stana
sorrise, le lacrime che scorrevano sul viso. "Bravo.
Affronta i problemi in questo modo. Vai via".
Poi
si voltò, aspettando il rumore della porta. Prima
però, senti la
voce di Nathan, ancora una volta.
"Non
sto scappando. Ho passato sette anni della mia vita ad
affrontare questo problema, ma adesso sono davvero stanco. Questa
situazione...
io non la reggo più. Sono stanco".
"Cosa
vorresti dire?".
"Ci
vediamo a Los Angeles, Stana", rispose lui, prima di
chiudersi la porta alle spalle.
L'aereo
atterrò prima del previsto. Stana si slacciò la
cintura di
sicurezza e prese la borsa da sotto il sedile. Si alzò
sistemandosi la giacca,
aspettò che la gente lasciasse libero lo stretto corridoio
fra le poltrone e
poi scese a sua volta.
Il
suo bagaglio non tardò ad arrivare, lo prese e si diresse
verso
l'uscita, dove una macchina argentata la stava aspettando. L'aria calda
di Los
Angeles l'investì all'instante, impedendole di respirare per
un attimo.
Senza
aspettare che suo fratello le aprisse lo sportello, mise la
valigia sui sedili posteriori prima di sedersi accanto al conducente.
"Stana!",
la accolse stupito il giovane, non avendola neanche
sentita entrare. L'abbracciò maldestramente a causa del
freno a mano che li
divideva. "E Nathan dov'è?", chiese innocentemente,
guardando dietro
di se.
Stana
abbassò lo sguardo, un velo di tristezza comparve sul suo
volto.
"Oh,
lui non è qui. È dovuto tornare prima".
"Capisco",
rispose il ragazzo. "È successo qualcosa?".
Stana
negò con il capo senza dire nulla. Non aveva voglia di
parlarne.
Il
fratello capì, così ingranò la marcia
e partì, senza più tornare
sull'argomento Nathan.
"Stana,
ragazza mia, ben tornata!", Andrew l'accolse con un
caloroso abbraccio, prima di baciarle le guance. L'attrice
arrossì, ricambiando
la stretta. "Complimenti! Davvero complimenti! Eri splendida a quella
cerimonia, ti ho vista in televisione", disse entusiasta. "Mi
dispiace che Nathan non sia potuto rimanere... A proposito, stasera
abbiamo
organizzato una cenetta fra di noi, il nostro ragazzone deve fare un
annuncio.
Te la senti?".
A
Stana gelò il sangue nelle vene. Che tipo di annuncio doveva
fare
Nathan? Annuì titubante, prima di sorridere, cercando di
rassicurare Andrew.
"Ora
vatti a riposare, per favore. Domani dobbiamo ricominciare a
girare!"
Stana
fece per andarsene, ma Andrew la fermò ancora una volta.
"Ah,
Stana, ti passerà a prendere Tamala, lo stava dicendo prima
quando Nathan ha organizzato...".
"Nathan
era qui?", lo interruppe.
"Certo,
perché non dovrebbe esserci? Adesso è nel suo
camerino".
Stana
sorrise contenta "Grazie, Andrew. Vado a risposare. A
stasera!", lo salutò prima di uscire dall'ufficio.
Ecco
il primo capitolo.
Aggiorno puntuale,
stranamente.
Grazie a Ivi, che
ha betato (trovando degli errori, finalmente *-*), e mi ha suggerito
alcune
cosette u.u
Al prossimo
capitolo,
baci, Fede.