Ma guarda guarda
un po’ chi pubblica un altro capitolo? Eh sì, proprio io! Credevate che vi
avrei fatto aspettare dei mesi, eh? E invece no! Visto che
brava che sono stata? A dire il vero questo capitolo era già pronto tre giorni
dopo la pubblicazione del capitolo trentotto, ma ho preferito aspettare un paio
di settimane, prima di pubblicare.
Vi comunico che il prossimo, il capitolo quaranta, verrà pubblicato il giorno 9 dicembre!
E ora vi lascio alla lettura di questo nuovo capitolo!
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ASK:
A te, che da un anno ci hai lasciati. Spero tu stia bene,
ovunque tu sia.
Ci manchi.
Chapter XXXIX:
Goodbye Hogwarts
"It’s hard to say it, it’s time to say it:
goodbye"
-Photograph, Nickelback-
Aprile e maggio
erano trascorsi veloci e lenti al tempo stesso. Com’era possibile? Le giornate
per Alistair sembravano durare un’infinità, ma al tempo stesso gli pareva che
scorressero rapide come se qualcuno avesse premuto il tasto “avanzamento
rapido”. Faceva di tutto per evitare di pensare a Hermione sebbene la cosa gli risultasse impossibile. Ogni volta che la vedeva in
lontananza per i corridoi, subito si nascondeva oppure la superava di gran
carriera e, una volta che era a debita distanza, si fermava, si appoggiava alla
parete e chiudeva gli occhi rendendosi conto d’aver trattenuto il respiro.
Aveva sempre bisogno di qualche minuto per riprendersi: tremava e il cuore
martellava forte nel petto. Quando passava del tempo con i suoi amici era
distratto e poco presente. Inoltre più e più volte aveva rischiato di
ritrovarsi a duellare con Weasley, ma aveva sempre resistito alla tentazione:
sperava per lui che non osasse avvicinarsi a Hermione più di troppo altrimenti
non sarebbe stato in grado di trattenersi. Solo una cosa pareva dargli un
minimo di conforto: lo studio. Ed era così che era riuscito ad affrontare quei
terribili mesi.
Maggio, poi, si era
trasformato in giugno e i M.A.G.O. erano arrivati.
Aveva dovuto dare ripetizioni a tutti, da Eric a Claudius per far sì che li
superassero in modo decente. Dal canto suo, invece, non aveva riscontrato alcun
problema e, anzi, li aveva trovati persino facili.
Finalmente
era giunto l’ultimo giorno di scuola. Dopo sette anni aveva concluso
la sua istruzione magica. Insieme ai suoi amici, Alistair era in riva al lago
seduto in disparte all’ombra di un albero. Chiuse gli occhi e appoggiò il capo
al tronco. Aveva una paura bestiale: lo aspettava un anno al servizio di un
medimago Mangiamorte che gli avrebbe insegnato tutto sulla Medimagia, ma
soprattutto sarebbe stato un anno di menzogne e di lontananza da Hermione.
Quanto sarebbe durata ancora questa guerra? Non ne aveva idea, forse sarebbe
durata per tutta la sua vita: al solo pensiero rabbrividì terrorizzato. Sbuffò sonoramente e passò una mano tra i
capelli, pensando che forse era giunta l’ora di tagliarli. In fondo la sua vita
era cambiata totalmente: perché non cambiare anche
qualcosa del proprio aspetto fisico?
“Che
hai?” Domandò Eric sedendosi al suo fianco.
“Niente.”
Rispose aprendo gli occhi.
“Non è
vero.” Insistette.
“Ho
detto niente.” Ribadì.
“Senti,
Al, ti conosco da quando siamo due mocciosi, quindi non venire a dirmi che non
hai niente perché non ci credo, ok?”
“Se ti
dico che non ho niente, è perché non ho niente.” Sibilò.
“Stronzate!”
“Piantala, per Salazar.” Sbottò Alistair stizzito.
“Stai
pensando ancora alla Sangue Sporco, vero?” Domandò il biondo dopo qualche
istante di silenzio.
Alistair
fece un respiro profondo e annuì lentamente.
“Che
cavolo, Al!”
“Senti,
non posso farci niente, ok?” Sibilò chiudendo le mani a pugno. “Anche se sono
un Mangiamorte, i miei sentimenti per lei restano immutati, anzi: sono ancora
più forti e mi fa male anche solo respirare. Mi sento uno schifo per come l’ho
trattata e se ripenso a quel giorno, a come l’ho trattata, alle cattiverie che
ho detto, vorrei solo suicidarmi nel modo più doloroso possibile. Mi farei
cruciare dal Signore Oscuro in persona se servisse ad
alleviare un minimo il mio dolore, ma non posso farci niente!” Continuò, ormai
sul punto di scoppiare. “Ogni minuto lontano da lei, è un minuto
sprecato. Giorno dopo giorno sono morto dentro. E
perché? A causa del mio Marchio, che odio con ogni fibra del mio essere. Lo
odio. Odio non poter stare con lei, odio essere un Mangiamorte solo perché lo è
mio padre.”
“Io…”
Mormorò Eric dopo un po’. “Io credevo che fosse stata una tua decisione. Una tua scelta.”
Alistair
volse lo sguardo alla superficie del lago e sbuffò sonoramente.
“No.
Non lo è stata.” Disse amaramente serrando la mascella. “Ma
non importa.” Fece una smorfia e posò lo sguardo sul suo migliore amico. “E’ comunque una grande opportunità e di questo sono felice: devo
sacrificare una parte di me stesso per un bene superiore, ma è giusto così.
Il Signore Oscuro mi affiancherà a un medimago suo
fedele servitore che vive in Francia. Passerò il prossimo anno a studiare
medimagia e di questo gliene sono grato.” Mentì. “Sono
felice di poter servire il Signore Oscuro.”
“Anche
se lo odi perché ti ha allontanato da lei?”
“Sì.”
Rispose senza indugi Alistair: essere un buon Occlumante aveva i suoi vantaggi.
“Ti
manca tanto?” Domandò Eric sebbene sapesse già la risposta.
“Ogni
secondo che passa, sempre più.” Rispose tornando a osservare la superficie del
lago.
“Lo
so.” Mormorò il biondo accennando un sorriso, per poi posare una mano sulla sua
spalla. “Mi dispiace. Dico davvero.”
“Tu?”
Chiese scettico posando nuovamente lo sguardo sul suo migliore amico.
“Ok, è
una schifosa Sangue Sporco, ma ti rendeva felice e da quando l’hai lasciata non
sei più tu. Ti aveva dato vita.” Rispose borbottando
quasi in imbarazzo per ciò che aveva appena detto. “Credi non
abbia notato il tuo sguardo quando credi che nessuno ti veda? Mi fa star
male questa cosa. Mi uccide perché vorrei fare qualcosa
ma mi pare che tutto ciò che faccio peggiori soltanto le cose. Ti faccio arrabbiare e basta.”
Alistair
lo guardò qualche secondo, poi accennò un sorriso e gli diede una pacca sulla
spalla.
“Grazie,
vecchio mio. Ma non
preoccuparti. E’ a posto così.” Lo ringraziò.
Eric
fece per dire qualcosa, ma s’interruppe quando Claudius li raggiunse.
“Venite
a fare il bagno?” Domandò con indosso solo i boxer neri.
“Ci
sto!” Esclamò Eric scattando in piedi e iniziando a sbottonarsi la camicia.
“Basta che non mi guardi il culo, Warrington: non
vorrei ti eccitassi.” Lo sfotté con un ghigno divertito.
“Non
succederà.” Lo tranquillizzò Adrian abbracciando da dietro il proprio ragazzo
per poi baciargli piano il collo. “Ha già un ragazzo che lo fa eccitare.”
“Lo
spero per voi.
Vi voglio bene ragazzi, ma sono etero.” Disse lasciando cadere la camicia a
terra.
“Vieni
anche tu, Al?” Domandò Adrian.
“No,
andate pure.
Io andrò a fare un giro.” Mormorò il Caposcuola.
Adrian
e Claudius annuirono, poi tenendosi per mano si allontanarono e andarono a
tuffarsi nel lago, per poi riemergere baciandosi: quei due erano perfetti
insieme.
“Sicuro
di non voler venire?” Incalzò Eric.
“Sì,
sicuro.” Mormorò grattandosi l’avambraccio sinistro.
Il
biondo osservò il suo gesto e un lampo di pura invidia attraversò i suoi occhi.
“Si
vede?” Chiese bramoso di sapere.
“Sì.”
Sussurrò in risposta. “E’ per questo
che porto sempre le camicie a manica lunga e non le arrotolo mai.”
Continuò accennando un sorriso.
Eric
fece per chiedere se poteva vederlo ancora una volta, ma si bloccò e scosse il
capo.
“Dai, va’ in acqua. Io andrò a farmi un giro.” Lo incitò con un
mezzo sorriso.
“Ci si
vede a cena, allora?”
“Sì,
ci si vede a cena.” Rispose annuendo.
“Hey, coglioni, sto arrivando!”
Urlò Eric rivolgendosi agli amici già in acqua.
Iniziò
a correre e si tuffò in acqua, andando subito ad attaccare Kain. Lo blocco con
un braccio, chiuse la mano destra a pugno e gliela strofinò sui capelli.
Alistair
sospirò quasi invidioso per quell’innocenza che ancora avevano i suoi compagni:
loro non avevano alcuna responsabilità, erano liberi di fare ciò che volevano.
Sospirò, poi si alzò e infilò le mani nelle tasche dei pantaloni. Tenendo il
capo chino iniziò a camminare per il grande cortile della scuola accennando un
sorriso ogni volta che un ricordo gli attraversava la mente: per esempio la
prima lezione di Cura delle Creature Magiche, quando era riuscito a farsi
assegnare dieci punti per una risposta corretta. Oppure quando, il precedente
anno, si era imboscato tra i cespugli insieme a Fleur Delacour e si erano
divertiti parecchio. O quella volta in cui lui ed Eric si erano
nascosti nelle serre e si era preso la prima e unica sbronza di tutta la sua
vita. E poi c’era il Salice Piangente sotto il quale Hermione e lui avevano
fatto un pic nic passando
il tempo a baciarsi e coccolarsi quel giorno di marzo che le aveva detto che l’amava. Al solo pensiero il cuore di Alistair sembrò andare
nuovamente in frantumi: ricordare era ancora più doloroso di vivere poiché sapeva
che quei giorni non sarebbero più tornati nemmeno una volta finita la guerra.
Come potevano tornare? Non sapeva se sarebbe sopravvissuto, come lo avrebbe
fatto e soprattutto che persona sarebbe diventato.
Inoltre, come poteva lei fidarsi nuovamente di lui? Anche se fosse
venuta a conoscenza della verità, era stato terribile ed era sicuro che
non lo avrebbe mai e poi mai perdonato sebbene in cuor suo ci sperasse.
Scacciò
i ricordi ed entrò nel castello, ma anche lì essi sembravano tormentarlo e non
lasciargli un attimo di pace. Iniziò a percorrere un corridoio quando vide
Harry Potter, il suo fratellastro. Si fermò e abbassò lo sguardo: la Profezia,
il suo essere in perenne conflitto con il Signore
Oscuro, le continue perdite che subiva, per ultima quella del suo padrino,
Sirius Black. Avevano entrambi perso la loro mamma, si era sacrificata per
salvarlo. Molti lo avrebbero odiato per questo ma non lui: amava ancora di più
la sua mamma per ciò che aveva fatto. Si era sacrificata per permettere a suo figlio
di sopravvivere e, magari, un giorno, far sì che venisse a
conoscenza del fatto che loro due erano fratelli.
Sollevò
nuovamente il capo e si schiarì la gola richiamando l’attenzione di Harry che
immediatamente sobbalzò. Si voltò di scatto e quando lo riconobbe
chiuse le mani a pugno.
“Scusa,
non volevo spaventarti.” Si scusò Alistair.
Harry
rimase in silenzio incapace di dire qualsiasi cosa mentre lo osservava: era
dimagrito, s’era fatto più pallido e sotto gli occhi
aveva due grandi occhiaie. Tutto questo lo mandava in confusione: che fosse lo
stress per gli esami? No, Alistair non s’era mai
preoccupato per lo studio e da quanto sapeva era anche piuttosto bravo in tutte
le materie. Che fosse per Hermione? Ma come faceva a
soffrire se era stato lui a lasciarla e dire quelle cattiverie? Scosse il capo
e tirò su col naso, sull’orlo delle lacrime. La morte di Sirius era come una
Spada di Damocle che lo faceva soffrire immensamente. Per non parlare dei sensi
di colpa: se solo si fosse impegnato di più in Occlumanzia
tutto quello non sarebbe successo.
“Io…”
Iniziò Alistair titubante. “Mi dispiace per la morte del tuo padrino.” Mormorò.
“So… so come ci si sente.”
Ancora
una volta Harry rimase in silenzio. Perché Alistair gli stava rivolgendo la
parola? E soprattutto, come poteva sapere cosa si
provava a sentirsi responsabile della morte di qualcuno? Sapeva che sua madre
era morta: che si riferisse a quello? Che si sentisse in colpa per la di lei prematura dipartita?
“So
che mi odi.
Non sono stato tanto gentile, ma ho bisogno di chiederti un favore.” Mormorò Alistair.
“Che
favore?” Domandò con un filo di voce.
“So
che ti parrà assurdo, che sono stato una persona schifosa e che non mi merito
niente se non odio, ma promettimi che starai vicino a Hermione e ti prenderai
cura di lei.” Mormorò in risposta. < Senza
ovviamente toccarla altrimenti ti castro anche se sei
mio fratello. > aggiunse nella propria mente.
Immediatamente
Harry si irrigidì: con che coraggio avanzava una tale
pretesa? Non che non lo avrebbe fatto, ma come poteva chiedergli un tale favore
dopo il modo in cui l’aveva trattata? Aveva visto la sua migliore amica felice
grazie a lui e sempre grazie a lui l’aveva vista ridursi a un fantasma e andare
in mille pezzi. No, Alistair non aveva alcun diritto di chiedergli quel favore,
non dopo ciò che aveva fatto.
“Non
hai alcun diritto di chiedermelo.” Sibilò. “Se sta così
è per merito tuo, Piton.”
“Lo
so. Lo so benissimo, questo.” Sbottò spazientito. “Ma
ti sto supplicando, Harry.” Continuò quasi disperato. “Ti supplico di starle accanto. Fallo e basta, senza fare
domande.”
“Non
c’è bisogno che tu mi dica come comportarmi con la mia migliore amica. So cosa fare e non fare.”
“Grazie.”
Sussurrò
Alistair tirando un sospiro di sollievo.
“Non
lo faccio per te, sia ben chiaro.” Mormorò per poi fissarsi le mani. “Ti
credevo diverso dai tuoi compagni.” Ammise.
Serrò
la mascella e chiuse le mani a pugno per evitare di ribattere: non poteva certo
tradirsi, doveva mantenere un certo contegno.
“E’
ora che io vada.” Disse Alistair. “Buona estate, Potter.”
“Già. Anche a te.”
Senza
aggiungere altro, Harry infilò le mani in tasca e a capo chino s’allontanò sotto lo sguardo di Alistair.
<
Mi dispiace, fratellino, ma non posso dirti niente. Ne andrebbe della tua e
della sua vita e non è ciò che voglio. > pensò. Harry non si meritava tutto
quello che lo aspettava. Aveva da poco scoperto che erano fratelli, ma questo
non gl’impediva di provare dell’affetto per lui, di
sentirsi responsabile della sua sicurezza. Quella maledetta Profezia aveva
distrutto la vita a entrambi, privandoli di una madre che li avrebbe amati allo
stesso modo. Non gl’importava se lei se n’era andata e
lo aveva lasciato a suo padre, era sicuro che se non fosse morta ogni cosa
sarebbe stata diversa. Lui e Harry
avrebbero scoperto la verità molto prima, magari sarebbero persino cresciuti
insieme. Non avrebbe dovuto diventare un Mangiamorte,
né avrebbe dovuto lasciare Hermione. Se il Signore
Oscuro non avesse ucciso sua madre, sarebbe stato felice. Ma, come ormai aveva
imparato da tempo, di se e di ma non poteva vivere
perciò era inutile continuare a rimuginare su ciò che il destino gli aveva
riservato.
Osservò
l’angolo dietro cui era sparito suo fratello e accennò
un sorriso.
“Vedi
di mettercela tutta, fratellino.” Mormorò tra sé e sé. “Io farò tutto il
possibile.”
Fece
un respiro profondo, poi si voltò e percorse il corridoio a passi lenti dirigendosi
verso la propria Sala Comune. Una volta arrivato in camera andò subito in
bagno, si spogliò e si fece una doccia. Quando tornò in stanza
trovò i suoi amici ad attenderlo e, così, tutti insieme e per l’ultima volta,
si incamminarono verso la Sala Grande dove consumarono il loro ultimo pasto a
Hogwarts. Tornarono nella Sala Comune Serpeverde e Alistair si sedette su una
poltrona davanti al caminetto spento mentre Eric s’intratteneva con una ragazza
del quarto anno con cui senza dubbio sarebbe andato a letto. Kain, invece, era
abbracciato a Pansy Parkinson, la sua ragazza, a cui sussurrava parole dolci e con cui si scambiava sorrisi
e battute. Adrian e Claudius, invece, s’erano
imboscati da qualche parte.
Senza
nemmeno salutare i compagni, Alistair si alzò e si diresse in camera. Si cambiò
e si infilò nel letto che per sette lunghi anni era
stato suo: sì, Hogwarts gli sarebbe mancata da morire. Sospirò e chiuse gli
occhi scivolando poco dopo nel sonno.
Il
mattino dopo si svegliò presto a causa degli incubi a cui
ormai si era abituato. Aspettò che anche i suoi compagni furono svegli e finì
di preparare il baule, poi accennò un sorriso a Eric e insieme abbandonarono la
Sala comune, per poi attraversare tutto il castello e raggiungere l’uscita dove
salirono su una carrozza che li portò alla stazione dove l’Espresso di Hogwarts
li aspettava per riportarli a casa.
Si
aggrappò al corrimano e posò un piede sul treno, per poi voltarsi a guardare
Hogwarts in tutta la sua magnificenza.
“Non
riesco ancora a credere che è l’ultima volta che la vediamo.” Borbottò Eric
dietro di lui.
“Già.”
Mormorò Alistair. “Nemmeno io.”
“Dai,
saliamo.” Disse il biondo.
E
così, i due amici salirono sull’Espresso di Hogwarts per l’ultima volta in vita
loro.