“Preferisco
morire a modo mio che vivere a modo vostro.”
Delirium.
Non si cercarono.
Non si parlavano
da
quel giorno alla casa abbandonata.
Il giorno della
cura era
arrivato.
E Isabella era
sola.
*
Sentì
i passi di Edward incespicare sul terreno
irregolare e, inseguito, la sua figura sedersi accanto a lei. Asciugò in un
moto di stizza le lacrime che
nessuno avrebbe dovuto vedere.
Non
voleva mostrarsi debole, non doveva.
“Isabella”,
sospirò.
Non
disse altro, a parte il suo nome sospirato con
un dolore acuto; e Isabella aveva capito.
Edward
era troppo attaccato alle sue radici.
Troppo
attaccato al giudizio degli altri.
Troppo
spaventato per le conseguenze che la loro
azione -un tempo possibile.
Troppo
spaventato e amante.
Troppo
amore.
Troppa
paura.
Troppo
dolore.
E
Isabella questo lo sapeva.
“Non
scapperemo per le Terre Selvagge, non è
così?”
Continuò a piangere e, stavolta, non nascose le sue lacrime.
Era
stanca di mostrarsi forte.
Per
una dannata volta in vita sua, Isabella voleva
esser rassicurata e amata.
Voleva,
appunto.
Edward
si distanziò maggiormente, soffrendo troppo
del dolore che la donna amata emanava.
Avrebbe
voluto avvicinarsi, abbracciarla…avrebbe
voluto…
Al
diavolo!, pensò lui che, con uno scatto, corse ad
abbracciare e tempestare di baci il volto di Isabella.
“Ti
amo piccola, ti amo, ma non posso pensare a ciò
che accadrebbe se ci dovessero prendere. Mio padre, capo della polizia,
fiuterebbe all’istante il nostro piano di fuga
e credimi; ci imprigionerebbe in celle separate, a marcire
con la
sofferenza del nostro animo.”
“Non
temo per me, temo per te.” Continuò Edward,
piangendo con Isabella tra le braccia.
“Non
temi allora anche la sofferenza che mi stai
causando adesso? Sto soffrendo, Edward, ma ti amo.”
Si
limitò a rispondere ciò, la ragazza addolorata
che si alzò con passo malfermo e, una volta raggiunta la
porta si fermò,
guardando Edward.
“Posso
chiederti un ultimo desiderio da questo
delirium?”
Si
alzò anche lui e si fermò dinanzi a lei.
“Tutto
ciò che vuoi”.
“Baciami.”
Edward
avvicinò con lentezza le sue labbra a quelle
di lei e, dopo un tocco delicato dal sapore salato, cercò la
lingua della sua
amata, per la prima ed ultima volta.
Sotto
quel cielo stellato, tra gli alberi
rinsecchiti e come unica testimone la casa abbandonata; i due
innamorati
dissero addio al loro amore, per sempre.
Non
poté fare a me di
piangere toccandosi le labbra, Isabella.
Cercò
di asciugare le
lacrime velocemente, quando il professore entrò
nell’aula.
Di Edward
neanche
l’ombra.
Ma lo sapeva
già, lei.
Lui stava
procedendo
con la cura in quel momento, con Vivien nella stanza affianco e i suoi
genitori
che lo avrebbero aspettato entusiasti nel corridoio della clinica
numero
dodici.
Non poteva stare
lì, a
scuola.
Non poteva
più esser circondata
da gente falsa, istituzione oppressiva, amore negato; voleva essere
libera, e
c’era soltanto un modo per ottenere questa libertà.
Si
alzò di scatto e
prendendo lo zaino
in fretta, corse
verso la libertà con le urla del professore ad accompagnarla.
Ma non ci fece
caso e
rise, rise, rise, come mai aveva fatto.
Rideva tra le
lacrime.
Rideva e correva.
Rideva, correva,
piangeva.
Rideva e avrebbe
voluto
morire, correva e avrebbe voluto fermarsi, piangeva e avrebbe voluto
ridere.
Rideva, correva,
piangeva;
finché non arrivo allo strapiombo roccioso, sotto di
sé l’oceano.
“Ti
amo Edward, non potranno mai togliercelo via,
questo.”*
Chiuse gli
occhi,
sorrise e si tuffò.
Ora sarebbe
stata
libera.
Ma davvero aveva
agito
in nome della libertà?
Oppure la sua finta libertà è
stata inculcata da una
società che la spinse a fare ciò?
Ora sarebbe
stata
libera, all’oscuro del fatto che in quello stesso momento, un
altro persona
stava lottando per la loro di
libertà.