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Autore: Chuck    18/11/2013    2 recensioni
Eppure, nonostante questi desideri, Edward continuò a camminare accanto a Vivien, senza toccarla più; mentre Isabella li guardò, senza poter far nulla.
Cinque giorni e avrebbero ricevuto entrambi la cura.
Cinque giorni e si sarebbe dimenticati dell’altro.
Cinque giorni, per lottare per il loro amore.
Sarebbe riuscito il loro “delirium” a resistere a tutto?

Storia ispirata alla trilogia: "Delirium" di Lauren Oliver.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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#3

OHMAMMAMIA.

Non mi aspettavo questa risposta da parte vostra, dato che alla prima pubblicazione di questa storia,

quasi nessuno si era degnato di leggerla quindi...grazie, dal profondo.

Spero che questo capitolo vi piaccia...stiamo arrivando verso la fine e boom, 

non odiatemi.

Buona lettura!

Vostra Chuck.

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#3

Day three. 

“Preferisco morire a modo mio che vivere a modo vostro.”
Delirium.

 

Non si cercarono.

Non si parlavano da quel giorno alla casa abbandonata.

Il giorno della cura era arrivato.

E Isabella era sola.

 

*

Sentì i passi di Edward incespicare sul terreno irregolare e, inseguito, la sua figura sedersi accanto a lei.  Asciugò in un moto di stizza le lacrime che nessuno avrebbe dovuto vedere.

Non voleva mostrarsi debole, non doveva.

“Isabella”, sospirò.

Non disse altro, a parte il suo nome sospirato con un dolore acuto; e Isabella aveva capito.

Edward era troppo attaccato alle sue radici.

Troppo attaccato al giudizio degli altri.

Troppo spaventato per le conseguenze che la loro azione -un tempo possibile.

Troppo spaventato e amante.

Troppo amore.

Troppa paura.

Troppo dolore.

E Isabella questo lo sapeva.

“Non scapperemo per le Terre Selvagge, non è così?” Continuò a piangere e, stavolta, non nascose le sue lacrime.

Era stanca di mostrarsi forte.

Per una dannata volta in vita sua, Isabella voleva esser rassicurata e amata.

Voleva, appunto.

Edward si distanziò maggiormente, soffrendo troppo del dolore che la donna amata emanava.

Avrebbe voluto avvicinarsi, abbracciarla…avrebbe voluto…

Al diavolo!, pensò lui che, con uno scatto, corse ad abbracciare e tempestare di baci il volto di Isabella.

“Ti amo piccola, ti amo, ma non posso pensare a ciò che accadrebbe se ci dovessero prendere. Mio padre, capo della polizia, fiuterebbe all’istante il nostro piano di fuga  e credimi; ci imprigionerebbe in celle separate, a marcire con la sofferenza del nostro animo.”

“Non temo per me, temo per te.” Continuò Edward, piangendo con Isabella tra le braccia.

“Non temi allora anche la sofferenza che mi stai causando adesso? Sto soffrendo, Edward, ma ti amo.”

Si limitò a rispondere ciò, la ragazza addolorata che si alzò con passo malfermo e, una volta raggiunta la porta si fermò, guardando Edward.

“Posso chiederti un ultimo desiderio da questo delirium?”

Si alzò anche lui e si fermò dinanzi a lei.

“Tutto ciò che vuoi”.

“Baciami.”

Edward avvicinò con lentezza le sue labbra a quelle di lei e, dopo un tocco delicato dal sapore salato, cercò la lingua della sua amata, per la prima ed ultima volta.

Sotto quel cielo stellato, tra gli alberi rinsecchiti e come unica testimone la casa abbandonata; i due innamorati dissero addio al loro amore, per sempre.

 

Non poté fare a me di piangere toccandosi le labbra, Isabella.

Cercò di asciugare le lacrime velocemente, quando il professore entrò nell’aula.

Di Edward neanche l’ombra.

Ma lo sapeva già, lei.

Lui stava procedendo con la cura in quel momento, con Vivien nella stanza affianco e i suoi genitori che lo avrebbero aspettato entusiasti nel corridoio della clinica numero dodici.

Non poteva stare lì, a scuola.

Non poteva più esser circondata da gente falsa, istituzione oppressiva, amore negato; voleva essere libera, e c’era soltanto un modo per ottenere questa libertà.

Si alzò di scatto e prendendo lo  zaino in fretta, corse verso la libertà con le urla del professore ad accompagnarla.

Ma non ci fece caso e rise, rise, rise, come mai aveva fatto.

Rideva tra le lacrime.

Rideva e correva.

Rideva, correva, piangeva.

Rideva e avrebbe voluto morire, correva e avrebbe voluto fermarsi, piangeva e avrebbe voluto ridere.

Rideva, correva, piangeva; finché non arrivo allo strapiombo roccioso, sotto di sé l’oceano.

“Ti amo Edward, non potranno mai togliercelo via, questo.”*

Chiuse gli occhi, sorrise e si tuffò.

Ora sarebbe stata libera.

Ma davvero aveva agito in nome della libertà?

Oppure la sua finta libertà è stata inculcata da una società che la spinse a fare ciò?

Ora sarebbe stata libera, all’oscuro del fatto che in quello stesso momento, un altro persona stava lottando per la loro di libertà.

   
 
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