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Autore: holls    18/11/2013    6 recensioni
Mary Sullivan è la classica ragazza perfetta: è bravissima, è bellissima e, soprattutto, è terribilmente odiosa.
Susy Carlsson è la classica ragazza normale: voti mediocri, né bella né brutta e, soprattutto, odia Mary Sullivan.
Ma cosa potrebbe accadere se le due si ritrovassero insieme per una ricerca di scienze? Mary Sullivan sarà davvero così perfetta come sembra?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4. La solitudine di Mary Sullivan
 

Mary è tornata a scuola. Mi fa un po’ strano rivederla dopo il nostro litigio di ieri. In realtà, mi fa più strano pensare che abbiamo avuto un litigio. Non ci eravamo mai parlate e mi rendo conto di non averla mai conosciuta davvero. Anche se, devo ammetterlo, quello che ho trovato non mi è piaciuto. D’altronde, se la odiavo, un motivo ci doveva pur essere!
Un particolare, però, mi balza subito agli occhi: Mary è da sola. Voglio dire, ha sempre le sue amiche sedute accanto, ma nessuna delle grazie le parla. Chiacchierano tra di loro, si raccontano chissà quali pettegolezzi, ma Mary è esclusa. Che succede?
Mi giro verso Monica, che da sempre, però, si professa superiore alle chiacchiere di corridoio, e puntello quindi la solita spalla di Lara, che si volta.
« Che è successo a Mary? Perché non la considerano? »
Lara spalanca gli occhi, eccitata.
« Ma come, non lo sai? Hanno litigato! Pare che sia stata una delle grazie a mettere in giro la voce sul padre di Mary, lei l’ha scoperto e si è arrabbiata tantissimo! Susy, non sai quanto sono felice! Finalmente ha quello che si merita. Tiè! »
Lara rivolge a Mary una linguaccia, poi sfodera un sorriso soddisfatto.
Mi volto nuovamente verso Monica, anche se non mi aspetto alcun tipo di commento. E, infatti, devo ricredermi!
« Sarò sincera, le sta bene. Con quell’atteggiamento, non poteva andare molto lontano. »
Sbarro gli occhi. Non credo di aver sentito mai, mai Monica sbilanciarsi così. Comincio a pensare, davvero, che siano tutti impazziti. Forse il mondo sta per finire! Dov’è finito il senno della razza umana?
 
La professoressa ha deciso di interrogare. Sono tranquilla, però: ho già sopportato il supplizio la settimana scorsa. La prof fa scorrere il dito su e giù per il registro – sadica! – finché non si ferma, puntando la vittima.
« Sullivan! Vieni. »
Mary è totalmente tra le nuvole. Scuote il capo come se fosse appena riemersa dai suoi pensieri, si alza e cammina verso la cattedra. Non sculetta come al solito, però. E, noto, ha gli stessi pantaloni di ieri. Imperdonabile, per lei! Dev’essere davvero impazzita.
Mary pone lo sguardo oltre la finestra davanti a lei, mentre aspetta che la professoressa le faccia una domanda. Che non tarda molto ad arrivare.
« Sullivan, dimmi l’imperfetto passivo del verbo moneo. »
Mary apre la bocca per dire qualcosa, ma non ne esce niente. Sta lì, zitta e ritta in piedi, senza proferire parola. La classe è col fiato sospeso. Dov’è finita Mary Sullivan con la sua super parlantina? Mary? Sveglia!
Sbirciando un po’ verso le tre grazie, noto che le stanno suggerendo qualcosa. Mary le guarda e, finalmente, parla.
« M-monebam… »
La prof batte un pugno sulla cattedra.
« Sullivan! Che stai dicendo? Ti ho chiesto l’imperfetto passivo. Forza, ancora. »
Mary gela le sue amiche con uno sguardo. Evidentemente, le hanno suggerito di proposito la risposta sbagliata. Se solo si girasse da questa parte! Ma lei si limita a sospirare. Poi posa lo sguardo sulla donna.
« Professoressa, non ho studiato. »
Gelo. Panico. Tutta la classe ha il fiato mozzato. Forse qualcuno è pure svenuto. Perfino la prof è rimasta a bocca aperta.
« Sullivan, che ti prende? »
« Non ho studiato. Mi faccia andare a posto. »
Dopo un primo momento di smarrimento, mi accorgo che metà classe sta sghignazzando. Molte compagne parlano con quella accanto, nascondendo le parole con la mano davanti alla bocca. Perfino Lara si gira, guardandomi incredula. Monica la ricambia anche.
Ma io, non so perché, non riesco a gioirne. Dopo averla vista ieri, con gli occhi gonfi e arrossati dal pianto, non riesco a godere all’idea che non abbia studiato.
Anche io smisi di studiare, per un po’. Ma ero più piccola, e mi causò meno problemi. Nonostante questo, riesco a capire come possa sentirsi e so bene che lo studio è l’ultima cosa su cui ci si possa concentrare.
La professoressa alla fine si rassegna. Le indica il posto, scuotendo la testa.
« Vai a posto, Sullivan. Ti interrogo un’altra volta. »
Sollevazione popolare. Chiara, una mia compagna, si alza e batte i palmi sul tavolo.
« Perché non le mette un tre come fa con tutti noi? Perché deve avere questo trattamento di favore? »
A rotazione, seguono le proteste di tutti i miei compagni, compresa Lara.
« Giusto, perché non le mette un tre? Non aveva studiato! »
Presto, la classe si trasforma in una piazza del mercato. Voci sovrastate, una sull’altra, incomprensibili. Mary guarda smarrita intorno a sé, senza sapere cosa fare.
« Silenzio! »
La professoressa prova a mettere ordine in quella caciara, riuscendoci. Con quella voce capace di spaccare bicchieri, anche io mi sarei zittita all’istante. I miei compagni si ricompongono, continuando a parlottare tra loro. La prof riprende la parola.
« Sono io l’insegnante e io decido. Questione chiusa. »
Inutile descrivere la collera dei miei compagni, i loro discorsi concitati, qualche parola grossa. Io, invece, riesco solo a guardare quella figura che si fa sempre più piccola.
Penso proprio che vorrebbe sprofondare.
 
Durante la ricreazione, Mary se ne sta seduta al suo posto. Con la scusa del bagno e dei miei incontrollabili problemi intestinali, mi sgancio da Monica e Lara che continuano a guardarmi in cagnesco. So che sospettano qualcosa, anche se forse non ne sanno la natura. Le guardo svoltare l’angolo, poi mi dirigo davvero verso il bagno – nel caso in cui tornassero indietro.
Come entro, qualcosa mi balza subito agli occhi. Qualcuno ha imbrattato i muri con un uniposca nero. Mi avvicino un po’ e mi indispettisco. Sul muro c’è scritto, infatti, qualcosa tipo “Mary Sullivan racchia”. Alzo gli occhi e mi accorgo che non è l’unica opera d’arte che ignoti hanno sfornato. Leggo ancora: “Mary Sullivan cocca dei prof” e una serie di altri epiteti poco carini accostati al nome di Mary.
Sono furiosa. Capisco la rabbia dei miei compagni, ma perché nessuno prova a capirla? È vero, in passato non ha mai fatto niente per rendersi adorabile agli occhi degli altri, però non riesco a essere così crudele.
Esco dal bagno contrariata, quando noto le tre grazie in corridoio. È vero, teoricamente sono due, ma ormai il loro titolo è ‘le tre grazie’, e tali rimarranno. Certo, potrei chiamarle ‘il duo di galline’, ma… ormai hanno già un nome. Questione chiusa, come direbbe la professoressa Clark.
La cosa che mi balza subito agli occhi, però, è la loro compagnia. Riconosco chiaramente un gruppetto di ragazzi della classe accanto alla nostra, e sono abbastanza certa che facessero tutti il filo a Mary! Assottiglio lo sguardo, perché c’è qualcosa che non va: uno di quelli, lo riconosco, è proprio il ragazzo con cui esce Mary! Che ci fa insieme alle grazie?
È una domanda forse retorica, me ne rendo conto. Mary, adesso, non è più perfetta e nessuna la vuole più. L’hanno gettata via tutti come uno straccio vecchio.
Passo accanto al gruppetto starnazzante e, come temevo, le tre grazie non fanno altro che spettegolare su Mary insieme ai ragazzi.
« L’abbiamo mollata, quella là! Lo dicevo, io, che non valeva niente! È solo una montata! »
« E pure stupida! »
Il repertorio delle grazie continua su questo filone, in mezzo a risate ocheggianti. Mi domando se abbiano avuto il coraggio di dirgliele in faccia, queste cose. Forse, conoscendole, è anche probabile. Chissà come si è sentita Mary, quando ha scoperto che le sue amiche la disprezzavano così. Se succedesse a me, di essere scaricata in questo modo, non so proprio come reagirei. Certo, qui è un po’ diverso: non sono soltanto le sue amiche a disprezzarla, ma l’intera scuola. Nei corridoi, mi accorgo, non si parla d’altro.
Dev’essere dura reggere un peso del genere, da sola. Un momento prima ti adorano, e quello dopo non esisti più.
Abbandonata, così.
Rientro in classe e noto che Mary è ancora lì da sola, al suo banco, a mangiare la colazione che qualcuno ha preparato per lei. Un panino al prosciutto cotto che mastica quasi controvoglia. Riesco perfino a vedere il boccone che scende a fatica.
Vorrei parlarle, ma cosa potrei dire senza sembrare banale? Me ne sto sulla soglia, a girarmi i pollici e rimuginare, finché non mi viene in mente qualcosa. Mi avvicino a lei a piccoli passi e soltanto quando le sono praticamente davanti si accorge della mia presenza. Non dice nulla, però. Mi guarda solo con quegli occhi pietosi.
« Ehm, Mary. Volevo dirti che oggi, se ti va, potremmo vederci per continuare la ricerca. »
Lei rimane impalata, con la bocca ancora intenta a strappare l’ennesimo morso. Mi fissa stupita e non risponde – nemmeno dopo aver liberato la bocca dal panino. Provo a ottenere una risposta.
« Facciamo verso le quattro, come l’altra volta? »
Non faccio in tempo a ottenere una risposta, che la campanella suona. Istintivamente mi dileguo e corro al mio posto. Mi accorgo però che è stato davvero un gesto stupido. Mary penserà che non voglio farmi vedere con lei.
Ma posso forse negarlo? La verità è che sono una codarda e mi vergogno. Se Monica e Lara mi vedessero in compagnia di Mary, come reagirei?
Tutti i miei compagni sono rientrati, comprese Monica e Lara che cominciano subito col terzo grado.
« Che ti succede in questo periodo, Susy? Non è che ci nascondi qualcosa, vero? »
Io ridacchio e scuoto la testa.
« Macché, figuratevi! Ve l’ho detto, non sto bene. »
Monica soffia col naso e lancia un’occhiata a Lara.
« Se lo dici tu. Scopriremo con chi ti vedi, sai? E se sarà un ragazzo con cui esci, non ti perdoneremmo mai di non avercelo detto! »
Ridacchio ancora, e sento che le guance si colorano di rosso. Non è certo l’imbarazzo per qualcuno con cui esco, ma la vergogna che provo per me stessa nell’aver messo su questo teatrino. È abbastanza convincente, però, per convincerle a non fare altre domande.
Io però comincio a vergognarmi davvero. Mi sto comportando male con tutti.
Spero che nessuna delle due parti scopra come mi sento.
Guardo verso il posto di Mary e vedo che anche lei è girata verso di me. Quel viso lugubre, però, improvvisamente si illumina con qualcosa: un sorriso. Piccolo, quasi impercettibile, ma sento che c’è. Poi si volta subito verso il quaderno davanti a lei.
Lo prendo come un sì alla mia proposta, Mary!
… Sperando di non aver cannato in pieno.
 
***
 
Ormai su questo divano dovrebbero scriverci il mio nome. Proprio qui, su questi dieci centimetri quadri dove poggio le mie chiappe ogni volta. Come al solito, non tocco nulla.
So che mi state guardando, cari oggetti antichi e delicati, ma non vi sfiorerò nemmeno con un fiore! Non riuscirete a farmi combinare disastri, nossignore!
Sto parlando con gli oggetti? Ok, va tutto bene. Forse.
Mary arriva e io sobbalzo, presa com’ero a minacciare gli oggetti – in particolar modo, un candelabro dall’aspetto molto delicato.
Mi aspetto il suo sguardo di sufficienza e le sue battute acide, ma niente. Mary mi fissa, semi-nascosta dalla porta.
« Sei venuta davvero. »
Sbatto le palpebre, cercando di capire quel sussurro. Faccio spallucce, arresa.
« Certo che sono venuta. Te l’avevo detto, no? »
Lei sorride appena, aprendo un poco la porta.
« Vieni, andiamo in camera. »
La vedo sparire dietro la porta, e io quasi corro per raggiungerla. E, devo ammetterlo, per poco non inciampavo sul portariviste. Lo guardo minacciosa. Ci hai provato, eh?
Smetto di parlare con gli oggetti e seguo Mary.
 
Camera sua è davvero accogliente. La prima volta l’avevo vista di sfuggita, ma, adesso che ho occasione di guardarla meglio, mi accorgo che è davvero piena di ogni cosa. Decorazioni al muro, centinaia di peluche, giocattoli e, per finire, un meraviglioso letto a baldacchino al centro della stanza.
Quasi come una bambina piccola, gongolo e guardo con occhi sognanti quel letto che sembra comodo e morbidissimo. Mary se ne accorge e mi fa cenno di sedermi. Io non me lo faccio ripetere due volte.
« Wow, è davvero morbido! Dev’essere fantastico dormirci su. »
« Sì, è comodo. E poi è grande, vedi? C’entrano anche due persone. »
Mary si ferma un attimo, poi accarezza la trapunta in seta del letto. Noto solo adesso le unghie curatissime che ha, e d’istinto nascondo la mia mano che, invece, le ha tutte mangiucchiate.
« Perché lo hai preso così grande? »
Mary smette di accarezzare la coperta e abbassa lo sguardo.
« Ho insistito tanto per farmelo comprare così. Speravo di dormirci con un’amica, un giorno. Immaginavo di stare con lei a raccontarci i segreti e i pettegolezzi. »
Scruto i suoi occhi e leggo solo tanta tristezza. Ripenso ai pigiama party con Monica e Lara, ai cuscini che ci siamo tirate, ai calci durante la notte. Poi guardo questo letto, così grande e così freddo. Solo. Una piazza che non è mai stata riempita. Sento che quella di Mary è una confidenza molto intima, e mi domando perché la stia facendo a me, che fino a ieri la detestavo. C’è qualcosa di strano in tutto questo, qualcosa che non riesco ad afferrare. La guardo ancora mentre i suoi occhi si perdono sull’altra piazza del letto.
Provo a cambiare argomento.
« Hai tantissimi peluche! Anche io li avrei voluti, ma i miei non me li compravano mai. Quanto ti invidio! »
Mary ridacchia e sbatte le palpebre in modo irregolare. Mi sembra quasi di notare un po’ di lucidità nei suoi occhi, come se stesse ricacciando le lacrime. Si alza e afferra uno di loro, portandolo poi qui sul letto.
« Sai, Susy, quando ero piccola speravo che i peluche potessero parlare. Allora chiedevo a mio padre di comprarne tanti, perché sognavo che si risvegliassero tutti, un giorno, e mi tenessero compagnia. È solo da qualche anno che ho smesso di sperarci. Sono stupida, vero? »
« Non sei stupida! È un pensiero molto dolce. »
Ok, non è la cosa migliore che potessi dire. Ma solo ora mi accorgo che Mary mi sta aprendo il suo cuore, con sincerità, e io mi sento tanto in imbarazzo per il doppio gioco che sto conducendo.
Con le mie amiche potrò usare la scusa della ricerca, ma per quanto? E dopo, cosa accadrà? La mollerò come se non ci fossimo mai conosciute?
Dovrei avere il coraggio di dire a Monica e Lara che mi sento vicina a Mary, e che il mio sentimento è sincero. Ma non l’accetterebbero mai, lo so.
« Ti andrebbe di rimanere questo pomeriggio? »
Mary mi guarda sorridente, poi corre a fissarsi i piedi.
« Che intendi? »
« Lo so che non sei venuta per la ricerca. Grazie, Susy. Sono felice che tu sia qui. »
Lei mi guarda e sorride. Anzi, sono i suoi occhi che sorridono. Per la prima volta, dopo tutto questo tempo, intravedo un sorriso sincero in lei.
« Allora, rimani? »
Rifletto un attimo. Posso rimanere, no? In fondo c’è una ricerca da fare.
Sono patetica. Me lo dico anche da sola. Ma per ora provo a sbrogliare così la situazione. Poi ci penserò.
La gamba mi vibra; qualcuno mi sta chiamando.
« Scusa un attimo. »
Detto ciò, prendo il telefono per rispondere e mi sento scossa da un tremito. È Lara.
« Pronto? »
« Susy! Ma dove sei finita? »
Sento che dovrei avere paura. Ho dimenticato qualcosa.
« Perché? »
« Come sarebbe ‘perché’? Avevamo detto di vederci da Monica, oggi! Non te ne sarai mica dimenticata? »
« No, no! Certo che no! »
Certo che sì, in realtà. Ormai dovrebbero conoscermi.
« E allora che aspetti? Dai, vieni. A dopo! »
« Lara, aspetta! Non posso, oggi. Ho la ricerca da fare. »
Dall’altro capo, sento Lara scoppiare a ridere fragorosa.
« Dai, Susy! Da quando ti interessa lo studio? Molla la ricerca e vieni! »
Capisco che avrei dovuto inventare un’altra scusa. In effetti, quella dello studio non regge molto.
« Lara, io… »
« Susy, non rovinare tutto! O forse ci stai davvero nascondendo qualcosa? »
« Figurati, ma che stai dicendo! Arrivo subito, dai. »
Lara mi saluta e riattacca, e io a malapena riesco a sibilare un ‘ciao’. Senza rendermene conto, ho appena rifiutato l’invito di Mary. Sento una morsa stringermi il cuore. Abbasso lo sguardo perché non ho il coraggio di guardare il suo, che fino a poco fa era sull’orlo delle lacrime. Forse, per la prima volta, aveva un’amica da invitare a casa, e io la mollo così. E tutto questo per cosa? Per la mia stupidità, ecco!
Quanto vorrei rimanere con Mary! Ma ormai ho rifiutato. Mi odio. Vorrei sparire.
« Vai, Susy. Le tue amiche ti aspettano. »
Non c’è rancore nella sua voce. Forse un po’ di malinconia e di apparente felicità. Alzo gli occhi e lei mi sorride ancora.
« Scusa. »
« E di cosa? Ti ho solo fatto un invito e non puoi, tutto qui. »
Vorrei dirle che lo sappiamo entrambe che non è così. Ho preferito le mie amiche a lei. Non ho avuto il coraggio di farmi valere. Provo a rimediare.
« Sarà per un’altra volta. Rimarrò volentieri. »
Lei tira il sorriso da una parte.
« Vai, ora. Non farle aspettare. »
Mi alzo, continuando a fissare quella creaturina che, in questo momento, mi appare così fragile. Lei mi fa ‘ciao’ con la mano, mentre mi avvio verso la porta.
E così la lascio lì, seduta su quel letto troppo grande per lei, circondata da tanti pupazzi che non potranno mai parlare.
   
 
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