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Autore: meliloto    21/11/2013    4 recensioni
[Liam P.O.V.]
«Hai fatto la tua scelta, sei sposato. Non voglio essere anche 'quello con cui hai tradito Perrie'.»
Posò le sue mani calde sulle mie. «Al mio anulare non c’è nessuna fede, questa sera sono io, sono il tuo Zayn. Nient’altro.»
***
Liam e Zayn hanno rotto da due anni, Zayn è sposato con Perrie e Liam non ha mai superato la loro storia.
[Ziam] [Accenni Larry] [Liam e Zayn P.O.V.] [:3 una faccina altrimenti sembro acida]
Genere: Angst, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Liam Payne, Zayn Malik
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Liam P.O.V.

Perché doveva essere così difficile? In teoria poteva rivelarsi la storia perfetta, il sogno di ogni singola persona al mondo, eravamo famosi, potevamo fare ciò che più ci aggradava senza preoccupazioni, in pratica, invece, era uno schifo. Uno schifo totale, perché eravamo innamorati davvero.
Non sapevo come reagire, nella mia testa quello era uno scenario plausibile da tempo ormai, stavo solo aspettando che accadesse. Attendevo in silenzio che si decidesse, definitivamente, a stare con lei.
Ma una cosa è pensarlo, un’altra è trovarsi davanti alla situazione bella che fatta. Non potevo metterci becco, non potevo fare nulla. Eppure lui era venuto a cercarmi, a chiedermi di salvarlo.
Tante volte avevo immaginato la mia reazione, quello che gli avrei detto, urlato in faccia, se fosse tornato. Ma tutto ciò che provai in quel momento fu il vuoto. Forse mi stavo finalmente liberando di quell’amore così pesante e nocivo, forse e dico forse sarei riuscito a continuare la mia vita, a fare un passo avanti senza poi doverne fare dieci indietro.
Cercò di provocarmi, di farmi scattare, perché mi conosceva fin troppo bene, sapeva che la mia parte irrazionale era incontrollabile quando usciva fuori, e voleva approfittarsene, ancora.
Ma non ci riuscì, era troppo tardi.
Sentivo il petto più leggero e la testa completamente priva di pesi, potevo spiccare il volo, come le chiavi che aveva lanciato dalla finestra.
Esagerato.
Si comportava come un bambino isterico a volte. E di conseguenza io dovevo prendere le parti dell’adulto.
«Hai intenzione di buttare anche questo dalla finestra? » gli chiesi accennando un sorriso, come a placare la tempesta che stava cercando in tutti i modi di sollevare.
Suscitai qualcosa in lui, senza dubbio attirai la sua attenzione, perché i suoi occhi così scuri e luminosi si posarono su di me adoranti, come quelli di un bimbo che vede il proprio supereroe.
Alzai la cornetta e non sentii nulla. «Zayn, dimmi che non hai tagliato i cavi del telefono. » Domandai con la mano in faccia e gli occhi chiusi.
«Senti, io avevo bisogno di parlarti, non stare a soffermarti sui metodi. » Rispose seccato.
Scoppiai a ridere, ridere di gusto.
«E non c’erano altri momenti per parlarmi? »
«No.
»
Lo fissai perplesso. «Non ho modo di uscire da qui, vero? »
Scosse la testa, estraendo dalle tasche la batteria del mio cellulare.
«E tu lo sai che se solo volessi uscirei in un secondo? » Continuai cercando di indorargli la pillola.
Mi sfidò con lo sguardo. «E come? »
«Impiegherei un secondo a riprendere la batteria. »
Sorrise, c’ero cascato come un idiota. «Vieni a prenderla. »
Cercai di contenermi, con tutte le forze. «Arriviamo ad un compromesso, io ti ascolto, poi tu, di tua spontanea volontà mi fai uscire.»
Lo stupii, sembrava spaesato. «Lo sai che non sono bravo con le parole. » Balbettò prima di sedersi sul letto a testa bassa. «I-io sono qui, mentre tutto il mondo mi sta cercando, sono qui con te, non ti basta? » riprese con la voce spezzata.
Una morsa mi ingabbiò il cuore e prese a stringere, sempre più forte ad ogni sua parola.
«Non è che non mi basta, il punto è che ormai è troppo tardi per noi. »
«Perché? » chiese alzando il capo.
Mi inumidii le labbra, pronto a distruggerlo, per il suo bene. «Perché è finita. È finito tutto.»
« Sono qui, mi sto umiliando davanti a te, potresti cercare di avere un po’ di tatto, cazzo? » sbraitò irritato.
Ci voleva pazienza, tanta, tanta pazienza con lui. «Non ti farò domande, ascolterò e basta. Coraggio, parla.» Replicai a bassa voce arrendendomi e sedendomi di fronte a lui sopra ad una cassa di legno.
Si stava torturando le mani, scrocchiando le dita nervosamente. «Sei impossibile. Ecco…» prese fiato, forse stava davvero per iniziare un discorso più lungo di due frasi. «Ho pensato un milione di volte a cosa avrei dovuto dirti, ma ogni volta il mio cervello ha sviato l’argomento perché è difficile per me. Io… io mi sono imposto questa vita perché lo ritenevo giusto per me e per gli altri, non potevo deludere tutti scegliendo te. E ora la situazione è precipitata. Io non solo non voglio un figlio da Perrie, io non voglio un figlio in questo momento della vita. E non voglio che lei soffra, perché la amo. È tutta colpa tua. Se non ci fossi tu io ora sarei felice, perché lei sarebbe la persona che amo di più al mondo. Non la seconda, la prima. E sono spaventato a morte, perché voglio te. » Concluse prendendo fiato.
Mi lasciò di stucco, a dir poco. Spalancai gli occhi e lo fisai per interminabili secondi. «Quindi mi stai dando la colpa di tutto? »
Scattò in piedi scrollando le braccia «Vedi? Non hai capito un cazzo. »
Indietreggiai un poco e poggiai la schiena contro il muro, senza però alzarmi. «Bene, ora che ti ho ascoltato posso andarmene? »
Dopo quello che avevo sentito non potevo rimanere, non potevo dargli una speranza, aveva detto di amare Perrie e mi bastava. Poteva avere comunque una vita felice, dovevo solo riuscire a convincerlo che con me era finita.
«Eh? Non hai nulla da dire? » Chiese sconvolto con gli occhi spalancati, gesticolando isterico.
«No, mi dispiace. » Risposi dopo essermi alzato, aprendo la mano per farmi ridare la batteria del cellulare.
Mi sfiorò la pelle, inserendo nella mia mano congelata quell’inerme pezzo di plastica. Le sue dita erano calde, morbide, piacevoli, terribilmente piacevoli. Mi sentii mancare e dovetti prendere un grande sospiro per non cedere. Se ne accorse subito e con uno scatto mi attaccò al muro, mostrando una forza che non ricordavo possedesse. Mi teneva stretto, schiacciato tra lui e la parete. Respirava rumorosamente, quasi ansimando e fissò la mia bocca per un'infinità di istanti, finché non decise di baciarmi. Cercavo di scostarlo da me ma opponeva troppa resistenza e la realtà era che io non volevo allontanarlo veramente.
Cedetti. Come potevo non farlo?  
Abbandonai la rigidità e mi sciolsi circondandolo con le braccia e avvicinandolo ancora a me. Era vorace, la sua lingua spingeva la mia con foga, d’ignoranza, istinto, puro istinto.
Perché quando una cosa proibita è meravigliosa, si fa di tutto per averne il più possibile nel minor tempo.
«C’è voluto molto più di quanto mi aspettassi. » Commentò staccandosi per un momento e asciugandosi le labbra umide.
«Era questo che volevi, dovevo capirlo dall’inizio. Volevi solo farti sbattere un po’. » La bile salì fino in gola, credevo di conoscerlo, ma mi sbagliavo.
«Ti facevo anche un po’ più furbo, ce ne hai messo per capirlo. » Teneva gli occhi incollati ai miei con aria strafottente. Ero stato veramente un illuso a pensare che fosse innamorato di me. Era solo il solito stronzo di cui non si capiscono le intenzioni. Non avevo idea di quello che gli passava per la testa. Sapevo solo che nonostante l’avessi superato, nonostante tutto, mi aveva distrutto di nuovo con una facilità disarmante.
«Ti odio. » Sibilai mordendomi la lingua.
«Non è vero. Ed è questo il bello. » Rispose scostandosi e avvicinandosi alla porta d’ingresso. «È sempre stata aperta. » Disse afferrando la maniglia e spalancando la porta. «Però non mi è ancora chiaro se sei talmente stupido da non averlo capito o da non averlo voluto capire. »
Inghiottii quel boccone amaro che si piantò come un macigno sul mio petto e sfilai davanti a lui uscendo tristemente in silenzio. Mi aveva fatto a pezzi e in quel preciso istante non vidi altro che la fine. Ma non era come avevo previsto, faceva infinitamente più male.
Scendevo le scale dell’albergo lentamente, come se stessi dormendo, ogni gradino mi portava ad un livello di consapevolezza maggiore. Più scendevo più mi rendevo conto che era finita.
Inserii la batteria nel cellulare e mi accorsi di non sapere neppure che giorno o che ora fosse, non appena lo accesi si intasò con una valanga di messaggi e chiamate perse. Quanto ero stato chiuso in quella stanza con lui?
D’un tratto prese a squillare.
Era lui.
  
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