Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: readingsmydrug    21/11/2013    2 recensioni
Justin Bieber è un diciannovenne come tanti altri... o forse no? Da un po' di giorni si trova sempre davanti una misteriosa ragazza che prenderà un ruolo fondamentale nella sua vita. Soprattutto perchè sarà lei a spiegargli che in realtà non è un normale dociannovenne come lui crede, è molto di più, è destinato a salvare il mondo da un incombente pericolo che minaccia di distruggere la Terra.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chaz, Justin Bieber, Ryan Butler
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHAPTER 2.


Chiusi gli occhi e inspirai a fondo, riempiendomi le narici di aria fresca.
Quando li riaprii un raggio di sole mi abbagliò per qualche istante, costringendomi a voltare lo sguardo verso, serrando le palpebre.
Ero seduto su quella panchina da più o meno mezz’ora. Non era una bella panchina, la vecchia vernice rossa che un tempo era accesa e lucida ora si stava scrostando dal legno scheggiato, perdendo tutta la luminosità e la vivacità del colore; i braccioli e le sbarre che sostenevano lo schienale erano in ferro nero, che però era ricoperto per i tre quarti della superficie da ruggine. Nonostante questo, quella panchina era terribilmente comoda, o forse lo era semplicemente per il fatto che ero terribilmente stanco e avevo bisogno di starmene seduto in pace.
Il sole estivo delle tre del pomeriggio batteva forte sul parco in cui eravamo venuti Chaz, Ryan ed io per rilassarci, ma sopra di me cresceva un’imponente quercia che con i suoi rami rigogliosi mi copriva dai raggi caldi, facendomi stare all’ombra.
Un piacevole venticello si era alzato da qualche minuto, il che, mischiato all’ombra, era davvero una bella cosa, considerato che stavo morendo di caldo.
Abbassai lo sguardo sull’erbetta verde che cresceva sotto i miei piedi, anche lei sovrastata dall’ ombra, qualche raggio però penetrava le grandi foglie della quercia, illuminando di tanto in tanto il prato con qualche spruzzo dorato.
Un uccellino si posò su un ramo della quercia e con un movimento brusco fece cadere prematuramente una foglia verde smeraldo dalle striature leggermente più chiare, che andò a posarsi delicatamente sulla panchina sulla quale mi trovavo.
La sfiorai con l’indice prima di prenderla e iniziare a rigirarmela tra le mani, studiandone ogni dettaglio. Non feci in tempo a riappoggiarla sulla panchina che sentii la voce di Chaz urlare “PALLA!”.
Mi voltai di scatto verso i miei due amici che stavano giocando a calcio da un po’, senza la maglietta ovviamente, per attirare l’attenzione di qualche ragazza seduta sotto un albero a distanza di qualche metro da me, ma non fui abbastanza veloce: mi trovai di fronte un pallone da calcio che sfrecciava come un missile dritto verso la mia faccia.
Non ebbi nemmeno il tempo di chiudere gli occhi. Le cuciture della palla in cuoio mi si stamparono sulla pelle mentre un dolore lancinante prendeva il sopravvento su tutto il mio volto. Gemetti dal dolore mentre la mia testa si piegava all’indietro.
Rimasi lì, immobile, con il viso rivolto verso i rami della quercia, gli occhi serrati e il naso... e il naso non c’era più.
“Cazzo!” urlai piegandomi poi su me stesso, portando entrambe le mani nel punto dove una volta c’era il mio naso. Quando le mie dita lo toccarono notai con sollievo che in verità c’era ancora, solo che il dolore era talmente forte che non lo sentivo più.
Rimasi con gli occhi chiusi mentre la zona intorno ad esso cominciava a bruciarmi, sentivo la pelle pulsare.
Le mie orecchie percepirono i passi di Ryan e Chaz corrermi incontro. Una furia omicida iniziò a crescermi nello stomaco facendo partire un formicolio che si allargò  fino alle gambe e alle braccia.
Ryan mi appoggiò una mano sulla schiena, piegandosi un po’ verso di me. “Stai bene, Justin?”
Mi alzai di scatto, pronto a sputargli addosso qualche insulto e la mia testa sbatté contro i suoi denti. Sentii i suoi lamenti, mentre si portava le mani alla bocca. Io invece allungai la mano destra sulla testa urlando dalla frustrazione. “Qualcun altro vuole colpirmi? Coraggio! Cinquanta punti il petto! Mille punti lo stomaco!” urlai senza rivolgermi a nessuno in particolare.
“E le parti basse quanti punti valgono?” chiese Chaz con innocenza.
Il mio sguardo tagliente si posò su di lui. Lo vidi sbiancare, fece un passo indietro balbettando qualche scusa “Mi... Mi dispiace, amico... Non volevo tirarti una pallonata in piena faccia...”
“LO SPERO!” sbottai scattando in piedi.
Ryan era alla mia sinistra e si stava torturando il labbro inferiore con la lingua, era spaccato.
“Ehi, Justin.” mi richiamò poi.
“Che vuoi?” chiesi scocciato, senza staccare lo sguardo da Chaz. Strinsi le mani a pugno.
“Ti sanguina il naso...” rispose lui piano.
Allentai i pugni e sollevai le mani per osservarne le dita: erano coperte di sangue. “Fantastico.”
Ironizzai cercando un pacchetto di fazzoletti nelle tasche dei jeans.
Chaz me ne porse uno con la mano tremante. Lo presi bruscamente e lo portai alle narici sperando di rallentare il flusso del sangue. Cominciai a sentire dei giramenti di testa e tornai a sedermi sulla panchina con il fazzoletto premuto sulla faccia.
“Dovresti andare al pronto soccorso, potrebbe essere rotto.” Commentò Ryan con un cenno del capo, indicava il mio naso.
Nella mia mente li avevo già uccisi tre volte. “Bene.” Dissi alla fine “Ma voi verrete con me.”
 
Quando uscimmo dall’ospedale avevo un sacchetto di ghiaccio premuto sul naso.
“Beh, almeno non è rotto.” Commentò Chaz sforzando un sorriso, continuando però a camminare guardandosi i piedi.
Evitai di guardarlo male, tanto non se ne sarebbe accorto, così mi limitai a tirargli un calcio negli stinchi. “Ahia!” si lamentò lui. Aprii la bocca per rispondere al suo lamento, ma la richiusi subito.
Eravamo appena entrati nel parcheggio dell’ospedale e ad un solo metro da me c’era una bellissima automobile della quale però non conoscevo la marca. Era nera, con i finestrini oscurati, il modello era tremendamente elegante, eppure quella vernice lucida e brillante sembrava nascondere qualcosa. Osservandola bene appariva quasi come se pulsasse, come se il veicolo fosse vivo e dentro di esso vi scorresse del sangue. Scrollai la testa, la pallonata doveva avermi fatto ammaccare il cervello.
“Avete mai visto un auto così?” chiesi.
Con la coda dell’occhio vidi i miei amici fare lentamente di ‘no’ con la testa.
Mi fermai ad osservare il finestrino dalla parte del guidatore, lo stavo fissando così intensamente che avevo paura di consumarlo. E così successe.
Come per magia, il colore scuro che ricopriva il finestrino si sgretolò come sabbia e lasciò spazio ad un vetro trasparente, pareva quasi che non ci fosse. Dentro l’auto una ragazza dai capelli corvini e gli occhi azzurro ghiaccio mi stava osservando.
Sussultai. Era la stessa ragazza del locale della sera prima. Un profumo di liquirizia mi invase le narici ed ebbi quasi un capogiro.
Non riuscii a staccare gli occhi da lei, il suo sguardo era come una calamita. Notai alcuni particolari del suo viso che la sera prima non avevo notato, come gli zigomi pronunciati e il mento dai lineamenti né troppo dolci, né troppo duri, ma comunque unici nel suo genere.
Qualche ciocca di capelli scuri come il petrolio le cadeva dalla coda di cavallo che si era fatta probabilmente senza curarsi troppo dell’aspetto estetico. Le labbra erano carnose e rosse, facevano molto contrasto con la pelle chiara del suo viso. Qualche minuscola lentiggine le ricopriva le guance. Indossava una T-shirt verde militare, niente scollatura. Le mani erano saldamente strette al volante, le dita affusolate, sembravano delicate e morbide, le unghie non erano molto curate, corte e mangiucchiate, portava molti anelli, alcuni argentati, altri sembravano di bronzo, alcuni di essi avevano delle pietre incastonate nel metallo, delle pietre colorate, dai riflessi con le gradazioni arcobaleno, non ne avevo mai viste di simili.
Feci per aprire bocca, ma il finestrino tornò di colpo scuro e mi fu impossibile guardare cosa c’era all’interno.
Sussultai di nuovo e per poco non mi scivolò il ghiaccio dalla mano.
“Tutto okay, Justin?” chiesero all’unisono i miei due migliori amici.
Annuii lentamente, continuando a fissare il finestrino, con gli occhi aperti leggermente più del normale.
 
Infilai la chiave nella serratura di casa ed aprii la porta entrando nell’appartamento che Chaz, Ryan ed io condividevamo da quasi un anno, ormai. Scalciai le scarpe da un lato dell’entrata e mi diressi in cucina senza aspettare che quei due cretini dei miei migliori amici mi seguissero.
Disposi sul tavolo un piattino bianco, mi inumidii le labbra prima di infilare la testa nella dispensa e prendere l’occorrente per un delizioso panino con la nutella.
Diedi il primo morso al pane e lo poggiai sul piatto masticando il boccone con calma, mentre studiavo le venature del tavolo in legno scuro su cui stavo mangiando, sopra di esso era appoggiata una tovaglia a rombo con dei motivi a righe colorate che intersecandosi fra loro formavano altri colori. Al centro del tavolo c’era una bacinella verde pastello e all’interno c’erano due mele e una banana un po’ troppo matura.
Ripresi il panino fra le dita, facendo cadere qualche briciola sul piatto in ceramica che si illuminò di una luce dorata.
Addentai il panino con il volto irradiato da quel raggio così caldo e piacevole.
Dopo aver masticato il boccone per una manciata di secondi, mi ci strozzai cercando di inghiottirlo. Il piatto si stava illuminando! Feci cadere il panino a terra con la bocca che formava una ‘O’ “Ma che diavolo..?!”
Mi spinsi all’indietro con i piedi, la sedia non si mosse; le gambe davanti si alzarono e io caddi all’indietro battendo la schiena sul pavimento. Non mi preoccupai del dolore alla spina dorsale e mi misi seduto di scatto indietreggiando lentamente e premendo le scapole contro la superficie bianca e fredda del frigo. Ignorai la pressione delle calamite da frigo sulla pelle, anche se non era affatto piacevole.
La luce che usciva dal piatto si affievolì, fino a spegnersi.
Tutto tornò normale. Eccetto il battito del mio cuore.
Mi alzai diffidente avvicinandomi con cautela alla tavola sulla quale era appoggiato il piatto, lo sfiorai con un dito, era freddo, i decori sul bordo erano color pastello, ricordavano un po’ i colori primaverili. Non sembrava esserci nulla di strano nel piatto a parte degli strani segni neri di bruciature proprio al centro di esso. Erano coperti dalle briciole di pane.
Afferrai il piatto e svuotai il contenuto nel lavello, una volta tolto lo sporco notai che quei segni neri in realtà rappresentavano delle parole.
Justin, abbiamo bisogno di te.
Guardai il piatto. Gli occhi strabuzzati. La bocca spalancata.
La scritta svanì lentamente. Mi sentii le mani come di burro. Non riuscii più a tenere la presa salda sul piatto che scivolò dalle mie dita come se fosse cosparso d’olio. Cadde ai miei piedi rompendosi in tre grandi parti e facendo spargere il resto delle schegge in modo disordinato sul pavimento della cucina.
Feci un passo indietro, mi inumidii e labbra e mi passai una mano sulla nuca, sfiorandola lentamente i polpastrelli. La mia gola si era completamente seccata. “Cavolo.” Sussurrai.














BUOOOONSALVE c:
Ecco postato il secondo capitolo :D
premetto che non ho assolutamente ispirazione per scrivere uno spazio autrice devente perchè ho passato una giornata schifosa c:
Cooooooomunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto u.u Justin ri-incontra la ragazza misteriosa della sera al biliardo.. ta ta taaaaaannnnn
Questo capitolo è un po' più movimentato di quello prima, nel senso che qui è successo qualcosa di insolito yay a meno che per voi sia normale vedere scritte iluminate sui piatti della vostra cucina :C allora in questo caso.. mi dispiace di avervi deluso çwç
Con questo vi lascio, perchè non voglio cominciare a delirare troppo u.u
#peace
  
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