Stava
arrivando un uomo.
Lo
sentiva.
Lo
stava aspettando da giorni.
Le
immagini si alternavano senza una sequenza logica.
Di
corporatura media. Capelli castani. Ventinove anni. Già
padre.
Apparentemente
un uomo come tanti.
Eppure
c'era qualcosa in lui di singolare che suscitava il suo interesse.
Da
tempo non percepiva un'aura tanto inquieta.
Si era
sforzato di captare maggiori informazioni su di lui, testando il
limite massimo delle proprie capacità.
Aveva
infine compreso che non poteva sapere più di quanto avesse
già
intuito.
Certo,
i suoi poteri non erano ancora pienamente spiegati, ma c'era
dell'altro: era come se quell'uomo avesse costruito intorno a
sé un
muro che la mente di un veggente non poteva oltrepassare.
Non
riusciva ad interrogare il passato, né a prevedere il
futuro. Taja
non era d'aiuto, da tempo irraggiungibile, persa chissà
dove. Doveva
esserle capitato qualcosa di tremendo. Dunque per il momento aveva
rinunciato ad avventurarsi nel limbo.
L'uomo
era arrivato fino alla spiaggia verso le sei di sera. Con la mente
annebbiata, Vanth lo osservò leggere la freccia che ancora,
dopo
anni, indirizzava verso Queen Merleen al centro della palude.
Attese
estenuanti minuti prima che l'uomo trovasse abbastanza coraggio da
salire sulla barchetta messa a disposizione per “i viaggi
nell'oltretomba”, definiti ironicamente tali dagli abitanti
del
villaggio vicino.
L'uomo
non era del luogo, giungeva da molto lontano. Vanth non avrebbe
saputo dire quanto lontano.
Infine,
l'uomo spinse la barchetta sull'acqua fetida della palude e vi
saltò
dentro. Remò lentamente seguendo l'indicazione della vecchia
freccia.
Vanth
perse il contatto ma non importava, perché presto lui
sarebbe
arrivato.
Il
veggente uscì dalla porta d'ingresso e si sporse dalla
balaustra di
legno umido, interrotta in un solo punto da una scala a pioli che
consentiva l'accesso alla palafitta.
Un
alligatore placido nuotava intorno ai pali infissi verticalmente, a
sostegno del tavolato orizzontale che reggeva l'abitazione. Vanth lo
conosceva: era Mr. Jambo.
Il
bambino voodoo conosceva molte cose sugli alligatori, animali
estremamente attivi, carnivori e pericolosi. Nella libreria erano
numerosi i volumi a loro dedicati. Essere informato su flora e fauna
della palude era semplicemente fondamentale se si viveva in una
palafitta immersa in quell'ambiente.
Aveva
visto Mr. Jambo nascere dal suo uovo: si ricordava ancora le crepe
del guscio, un occhio chiaro che lo fissava e le zampette unghiate
che lottavano per aprirsi un varco verso l'esterno. Vanth non l'aveva
aiutato come avrebbe fatto la madre premurosa, se fosse sopravvissuta
alla trappola umana che l'aveva uccisa: era rimasto a fissarlo nella
schiusa, finché il piccolo si era riuscito a liberare da
solo e
svelto era scivolato fino all'acqua per immergervisi.
Mr.
Jambo era un caimano dagli occhiali e il primo alligatore che Vanth
aveva visto venire al mondo: l'animale aveva ora poco più di
tre
anni, ma aveva già raggiunto i due metri di lunghezza.
Era un
alligatore solitario: aveva sovvertito la struttura sociale del
gruppo e ad essa aveva preferito un atteggiamento fortemente
territoriale.
La sua
area era intorno a quei pali e più di una volta l'aveva
difesa in
modo estremamente aggressivo da altri alligatori, sfociando infine in
un comportamento cannibalesco.
Vanth
ammirava il giovane caimano, tanto forte ed indipendente. Il bambino
lo avrebbe riconosciuto fra mille. Percepiva una forte
affinità con
Mr. Jambo ed era convinto che anche l'animale l'avvertisse con lui.
C'era
in effetti un tacito accordo fra loro.
Vanth
permetteva all'alligatore di indugiare intorno alla sua casa, mentre
l'animale evitava di scegliere lui e i suoi clienti come preda del
giorno.
La
voce che quel ragazzo fosse effettivamente figlio di un alligatore si
era rinforzata da quando nel villaggio era giunta voce che Vanth
Janas avesse un simile rettile come guardiano alla casa.
“Sta
arrivando un uomo” sussurrò Vanth in direzione di
Mr. Jambo
“permettigli il passaggio”.
Come
se avesse intuito le parole umane, il caimano diede un vigoroso colpo
di coda e si spostò di lato.
Ancora
lontano, dall'altra parte della palude, l'uomo non smise di remare,
seppur lentamente poiché non voleva attirare l'attenzione su
di sé.
Evitò
accuratamente di passare troppo vicino a quelli che erano alligatori
galleggianti a filo d'acqua. Fece attenzione a non incuneare la
barchetta in un canneto o in mezzo alle spesse radici acquatiche
delle piante paludose.
Quando
scorse finalmente la casa di Queen Merleen, sospirò di
sollievo.
Almeno fino a quando notò un altro alligatore nuotarvi
intorno; ma
rimaneva laterale rispetto alla scala. Così, ingoiando
saliva a
vuoto, decise che giunto fino a quel punto non poteva tornare
indietro senza un nulla di fatto. Si avvicinò alla scala.
L'alligatore rimase immobile. L'uomo gettò la piccola ancora
oltre
l'acqua e salì i pioli instabili.
Salì
sul tavolato e oltrepassata l'inusuale soglia, si ritrovò in
un
luogo avvolto dalla penombra. Un tanfo di putrefazione ed erbe lo
costrinse a portare una mano davanti al naso.
Le
uniche fonti di luce erano le candele e i pallidi raggi solari che
attraversavano l'ingresso alle sue spalle.
Sugli
scaffali, i vasetti contenenti resti animali, le ceramiche, i teschi
umani luccicavano di un brillio inquietante; così l'uomo fu
sul
punto di voltarsi e scappare.
Vanth
percepì la sua paura e ridacchiò; l'uomo allora
sobbalzò in
direzione dei drappi verdi che impedivano al suo sguardo di vedere
altro: ora sapeva con certezza che la casa era abitata come sperava,
ma non riusciva a scorgere chi avesse riso di lui.. la donna? Non era
sicuro.
"Benvenuto”
esclamò Vanth “avvicinati per favore" aggiunse il
veggente
con la vocina acuta ed allegra, così in contrasto con
l'ambiente.
L'uomo
scoprì di essere rimasto paralizzato dalla suggestione.
"Per
favore, Dassen"
lo incoraggiò Vanth con più enfasi, rivelandogli
così che sapeva
il suo nome. Il suo tono era dolce, leggermente infantile "voglio
vedere come sei fatto" disse.
Dassen
costrinse ogni fibra del suo essere ad avanzare. Vi riuscì
dopo
qualche istante. Mosse solo tre, quattro passi, sufficienti a
scostare i drappi e a vedere in volto il giovane ragazzo che sedeva
composto sulla scomoda poltrona.
Doveva
avere sui dodici anni. I capelli biondi erano legati in lunghe
treccine appoggiate sulle spalle. In testa indossava una bandana
azzurra, ma il suo corpo era fasciato da una tunica marrone. Alle
caviglie nude c'erano preziose cavigliere d'oro.
Ciò
che destò maggiormente il suo stupore fu però lo
sguardo del
fanciullo. Era di un verde spento quanto le acque che aveva
attraversato; eppure animato di una scintilla unica, brillante.
“Tu
cerchi Queen Merleen, ma lei non abita più in questa
casa” esclamò
all'improvviso Vanth e Dassen sussultò “ora lei
abita nel mondo
dei morti” concluse il bambino.
La
luce tremolante delle candele tracciava giochi d'ombra sul suo viso
minuto, facendolo apparire innaturalmente scheletrico. L'espressione
di Dassen divenne funerea e sbiancò in volto.
Pochi
cercavano ancora Queen Merleen.
La
notizia della sua morte era volata come trasportata da ali e si era
diffusa in poco tempo.
La
potente strega era stata trovata sulla spiaggia, poco distante dal
cartello che lei stessa aveva impiantato nel terreno fangoso. La
salma mostrava lacerazioni in più punti e al corpo mancava
un
braccio, una parte di busto e l'intera gamba sinistra. Sul petto i
segni della dentatura degli alligatori.
Queen
Merleen era morta in modo misterioso e il suo cadavere era stato un
succulento banchetto per la fauna del luogo, prima che qualcuno del
villaggio avesse diffuso la notizia del suo decesso.
Nessuno
aveva osato toccare la salma della potente strega, per il timore di
incappare in una maledizione postuma. In seguito, era stato
organizzato per lei un rude funerale e, chiusa in una bara di legno
pregiato, era stata seppellita in una buca: non occuparsi del
cadavere avrebbe potuto significare avere a che fare con il suo
spirito rabbioso per l'eternità. Ed era anche peggio.
“Avevi
bisogno di parlarle” continuò il bambino
“ma ora so con certezza
che non conosci la ragione che ti ha spinto a cercarla”
decretò,
cogliendo il dubbio nella mente di Dassen.
L'uomo
si ritrovò la gola secca: come poteva quel bambino saperlo?
Forse
era evidente: chiunque andava lì per parlare con Queen
Merleen.
Eppure era vero, non sapeva il motivo che l'aveva spinto ad
attraversare la palude pur di farlo, quasi un incantesimo
ipnotizzante.
“Vieni
più vicino” lo esortò Vanth e l'uomo
obbedì, succube.
La
luce delle candele intorno alla poltrona, finalmente, permise al
bambino voodoo di scrutare i lineamenti di quel viso che nella sua
testa era rimasto sgranato per molto tempo.
Dassen
aveva il viso quadrato, una fronte ampia, due sopracciglia scure e
cespugliose, sotto le quali si intravedevano gli occhi azzurri. Il
naso era lungo e sottile, la bocca piccola e serica. La carnagione
sarebbe stata naturalmente chiara, ma il sole aveva baciato il suo
viso abbronzato. Profumava di fiori e vestiva all'orientale, come
quei mercanti del sud est che raramente aveva incontrato.
Si
ricordava di Kiir, cliente di sua madre, vecchio uomo con baffi neri
e bava alla bocca. Dopo la scomparsa di Queen Merleen, non aveva
più
fatto visita.
“Sai
chi sono?” domandò Vanth. L'uomo scosse la testa.
“Mi
chiamo Vanth Janas” si presentò il bambino
“e sono il figlio di
Queen Merleen”.
L'uomo
recepì la notizia ma era decisamente paralizzato per reagire.
“Dammi
le tue mani” lo esortò Vanth “mostrami
il loro palmo”.
Se non
riusciva a leggere più di così la sua mente,
avrebbe letto le sue
mani.
Dassen
porse le mani al veggente che le afferrò con le proprie.
Sotto la
luce tremolante delle candele, il bambino studiò le mani
dell'uomo e
confronto la loro diversità. Era essenziale osservarle
entrambe:
nella destra intravedeva le modifiche del carattere operate tramite
la volontà, nella sinistra le caratteristiche innate.
Le
scrutò per qualche minuto.
Dassen
era un uomo comune con una vita comune di media lunghezza.
Non
possedeva talenti spiccati. Una predisposizione per il pragmatismo e
il raziocinio. Paura di lasciarsi andare in amore, contrapposta alla
celata dolcezza d'animo. Scarso accenno al lato mistico ed esoterico
della vita. Due figli.
La
linea della vita era interrotta da brevi trattini, trascurabili, ad
eccezione di uno.
“Vedo
una disgrazia, molto recente” disse con voce tetra
“che interrompe la
linea della tua vita”. Questo lo lasciò
sbalordito; il bambino non capiva: una simile nefasta linea non poteva che esser
simbolo di recente decesso: eppure l'uomo era vivo davanti a
lui! Dassen era scampato alla Manan, la morte.
Come vi era riuscito?!
Dassen
mostrò un'espressione perplessa.
“Disgrazia recente?”
domandò incerto.
Vanth
era sicuro che ciò che aveva visto nelle mani dell'uomo
avesse avuto
ripercussioni nella memoria, procurandogli l'evidente amnesia.
Più
trascorreva il tempo in compagnia di quell'uomo, più si
accorgeva
che c'era qualcosa di inquietante in lui. Non comprendeva cosa e in
quale misura. Era una sensazione pulsante che per esperienza sapeva
di dover tenere in considerazione, ed era certo avesse a che fare con
quanto Taja gli aveva riferito.
Come
poteva del resto un semplice uomo ergere una barriera simile a
protezione dei propri ricordi? Normalmente Vanth avrebbe potuto
leggerli con discreta semplicità nonostante lui li avesse
apparentemente rimossi; non ci riusciva, come se in effetti Dassen
non possedesse affatto memoria.
“Raccontami
chi sei” lo esortò “hai
famiglia?”.
Era
curioso che un veggente ponesse una simile domanda. Eppure il muro
intorno alla mente del visitatore aveva impedito a Vanth di sondarla.
Come
un antico eco, emersero nella testa del bambino parole materne.
"Se
accadrà qualcosa che non saprai prevedere od intuire allora,
figlio
mio, quello è semplicemente il tuo destino a cui non potrai
opporti
in alcun modo".
Quell'uomo
faceva parte del suo destino?
“Io..ho
una moglie” replicò Dassen “e due
figlie”.
“Qual'è
il tuo mestiere?”.
Non
era un mercante e Vanth già lo sapeva. Aveva le mani
callose, un
uomo abituato a mestieri più rudi.
“Non
lo so” esclamò infine l'uomo “davvero,
io non lo so”.
Il suo
sguardo vagava inquieto per la stanza. Cominciò a
focalizzarsi sui
vasetti che contenevano occhi umani immersi in liquidi giallognoli.
Cosa ci faceva in un posto simile? E perché non riusciva a
ricordare
la propria vita? Sentì il terrore paralizzarlo una seconda
volta.
Vanth
sorrise. Non di compassione, ma di eccitazione. Aveva uno strano
enigma davanti agli occhi e avrebbe dovuto risolverlo da solo. Senza
Queen Merleen ad aiutarlo, senza Taja.
Alla
mente si riaffacciarono le ultime frasi della sua guida: “c'è
agitazione, qualcosa di grave sta succedendo; fai di tutto.. fai di
tutto per scoprirne la causa”.
“Se
vuoi ricordarti tutto, io posso aiutarti” esclamò
Vanth Janas.
L'uomo
riportò l'attenzione sul bambino.
“Puoi
farlo davvero?” chiese e il veggente annuì.
“Preparerò
una pozione. Ma avrò bisogno di alcuni ingredienti che solo
tu puoi
procurarmi”.