Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Seki    22/11/2013    2 recensioni
-Tieni signorina, ti regalo queste.- Lo vidi trafficare con le sue ombrella per raggiungere le tasche, prima di allungarmi una piccola bustina di plastica trasparente. Dentro c'erano due piccole pillole bianche.
-Prendi queste e poi tutto andrà bene...-
[Partecipa al contest "Look 'n' Listen" indetto sul gruppo "Fanfictions Challengers II"]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
My Heroine

The drugs begin to peak
A smile of joy arrives in me
but sedation changes to panic and nausea
And breath starts to shorten
And heartbeats pound softer
You won't try to save me!
You just want to hurt me and leave me desperate!
Sdraiata su un lettino di ospedale non sento nulla.
Attorno a me le figure dei medici che si muovono frenetici appaiono come immagini sfocate avvolte dalla nebbia, come personaggi di poco conto in un film quando la scena si focalizza solamente sul protagonista e tutto il resto perde la sua importanza.
E in questo folle istante in cui il mondo sembra procedere a rilento ecco che appari, belissimo e pericoloso come solo tu sai essere, con il volto deturpato da un sadico sorriso di gioia, mentre i tuoi occhi neri sembrano ripetere all'infinito "ho vinto io"
Improvvisamente il mondo torna ad essere percepibile e un senso di nausea mi assale.
Sento la macchina che segna il battito del mio cuore impazzire al mio fianco, mentre il suo fastidioso bip si ripete all'infinito nella stanza causando un ondata di panico generale. Il fiato comincia a mancarmi.
Così come sei arrivato, tuttavia, tu sei sparito: in un soffio di nulla; invisibile gli occhi di tutta questa gente che ignara vive una via felice ed ordinaria.
Ma io potevo vederti e, anche se ora i miei occhi si chiudono, ho ancora impresso nella memoria il tuo sorriso.
Ho vinto io.
Ho vinto io.
Ed è davvero così.
 ******
You taught my heart, a sense I never knew I had.
I can't forget, the times that I was
Lost and depressed from the awful truth
How do you do it?
You're my heroine!
Quel giorno, esattamente come il giorno prima e quello prima ancora, pioveva.
Avvolta in una misera coperta di pile, di quelle vecchie, pungenti e piene di buchi, me ne stava appollaiata sul davanzale della finestra, coi vetri spalancati,  ad osservare la fredda e pungente pioggia che mi sferzava il viso.
Non avevo mai pensato seriamente alla pioggia, o forse ci avevo pensato troppo spesso, ad ogni modo amavo quando il cielo si annuvolava e le prime goccie d'acqua scappavano dalla loro prigione soffice per raggiungere la terra rendendola ogni istante un po' più grigia, un po' più sporca, un po' più vera.
Ricordo disintamente la pioggia, tuttavia non ricordo il motivo che mi indusse ad alzarmi ed usicre di casa.
Era un evento raro per me lasicare il rifugio sicuro della mia stanza ed avventurarmi nel mondo esterno; io, la ragazza difficile da capire, impossibile da sopportare, troppo distante per poter essere raggiunta, ero finalmente uscita di casa senza alcn obbligo dettato da insulse lezioni universitarie che ormai avevo smesso di seguire o da un lavoro che non mi interessava più. Probabilmente era qualcosa di importante. Certamente era qualcosa di stupido.
Scesi le poche scale che separavano l'appartamento dove vivevo, uno squallido monolocale abbastanza vicino all'università da poteri permettere di dormire qualhe ora in più alla mattina, aprii il portone e mi avviai lungo il viale centrale, diretta verso qualcosa che nemmeno io sapevo cosa fosse. Non presi l'ombrello.
Camminai per quelle che mi parvero ore, anche se in realtà ci misi pochi istanti ad arrivare al piccolo parco pubblico di fronte alla stazione: mentre camminavo le persone mi passavano accanto come frecce indistinte dai colori scuri, troppo occupate dallo scorrere della loro vita per accorgersi di urtare o bagnare con i loro ombrelli colorati qualcuno di così insignificante, ma non mi curavo di loro, nessuno dei loro volti mi rimase impresso per più di un secondo, erano solo passanti insignificanti tanto quanto lo ero io per loro.
Il parco era vuoto: nessuna madre saggia porterebbe il suo prezioso figlioletto a giocare in quel parco sotto un acquazzone del genere.
Nessuna madre saggia porterebbe il suo  prezioso figlioletto a giocare in quel parco, punto.
Non era un bel posto e non era frequentato da persone raccomandabili, ma a me non era mai importato molto. In realtà erano davvero poche le cose di cui mi importava qualcosa e nessuna di queste poteva considerarsi vitale o, talvolta, reale. Ma andava bene così.
Del resto, in ventidue anni di vita non avevo mai trovato nessuno a cui importasse di me; come potevo dispensare un sentimento che non conoscevo?
La pioggia continuva a cadere e io, ovviamente, continuavo a bagnarmi e con tutta probabilità mi avvicinavo sempre di più a prendere un raffreddore, come minimo, ma non aveva importanza.
Il parco vuoto, la pioggia...era tutto ciò che volevo, tutto ciò che amavo. Erano, in una maniera un po' terribile, la rappresentazione stessa della mia vita: un luogo malfamato e vuoto, dove le uniche tracce che si possono trovare sono pozzanghere fatte di ricordi dimenticati.
-Signorina, tutto ok?-
Ci misi qualche istante a capire che si stavano rivolgendo a me. Sollevai lentamente la testa e scostai le corte ciocche castane appiccicate alla mia fronte per via dell'acqua e osservai il nuovo arrivato: era un uomo alto, dalla pelle scura e gli occhi neri, in una mano stringeva un piccolo ombrello rosso aperto, mentre nell'altra tanti suoi simili erano ancora incelofanati in attesa di essere venduti a qualche sprovveduto che non aveva controllato le previsioni del tempo prima di uscire di casa.
Decisi di ignorarlo, nella speranza che in questo modo non avrebbe insistito e se ne sarebbe andato tranquillamente, ma a dispetto di tutto lui si sedette al mio fianco, osservandomi e senza offrirmi riparo dalla pioggia. Gli fui grata di questo.
-Non sembra stare bene...-
L'uomo parlava con un italiano un po' strascicato, ma abbastanza corretto, tuttavia ancora un po' insicuro.
Inaspettatamente risposi, non senza essermi prima lasciata andare in un sospiro al metà tra lo sconforto e la disperazione.
-Già...-
Lui mi osservò ancora per qualce istante, come se mi stessse valutando, poi cominciò a guardarsi attorno con circospezione, come spaventato dall'idea di poter essere sorpreso da qualcuno, ma in quel luogo dimenticato c'eravamo soltanto noi.
-Tieni signorina, ti regalo queste.- Lo vidi trafficare  con le sue ombrella per raggiungere le tasche, prima di allungarmi una piccola bustina di plastica trasparente. Dentro c'erano due piccole pillole bianche.
-Prendi queste e poi tutto andrà bene...-
Velocemente si alzò, improvvisamente nervoso, mentre mi faceva dei gesti confusi con le braccia occupate per dirmi di mettere via le pasticche in fretta.
-Prima volta è gratis.-
Poi, così come era arrivato, sparì, avvolto dalla pioggia e dal buffo rumore tamburellante dell'acqua sulla stoffa tesa dell'ombrello.
Osservai per qualche istante la sua figura scomparire nella confusione della folla, poi la mia attenzione si spostò su quello che mi aveva dato.
Non ero una bambina, sapevo esattamente cosa fossero quelle piccole pastiglie bianche dall'apparenza innocua.
Risi mestamente di me stessa: sembravo davvero così disperata da convincere uno spacciatore ad avvicinarsi?
Probabilmente sì.
Non che la mia vita fosse così orribile, ma la sua normalità e tranquillità era così opprimente da rendere il respirare ogni giorno sempre più difficoltoso. Non c'era un motivo preciso, solo un'accozzaglia di piccole sviste da parte degli altri che mi avevano portata a sentirmi come un inutile personaggio di sfondo, così invisibile da non meritare nemmeno un'inqadatura completa: solo gambe e braccia, il resto non interesava a nessuno; il resto non sarebbe mai stato amato davvero da qualcuno, quel cuore confuso che mi batteva nel petto non sarebbe mai stato amato da nessuno e quella mente così libera da perdersi in contnui viaggi fantastici non sarebbe stata capita da nessuno...quindi a cosa servivo? Per chi ero importante?
Con la solita lentezza aprii il piccolo sacchetto e lascia scivolare le pasticche sul palmo della mia mano aperto.
Le studiai ancora per qualche isante, indecisa se fosse il caso di prenderle lì e subito o di aspettare una volta tornata a casa. Buffo come il pensiero di buttarle non mi fosse nemmeno balenato nella mente.
In un gesto veloce le avvicinai alla bocca e inghiottii.
Con mia somma delusione, tuttavia, non successe nulla.
Sbuffai indispettita, convinta di essere stata raggirata da uno sconosciuto e il mio umore peggiorò ulteriormente, mentre la pioggia ancora cadeva.
Fu in quel momento che lo vidi.
Poco distante da me c'era un ragazzo. Immobile sotto la pioggia, lo sconosciuto mi osservava sorridendo, mentre le piccole gocce di pioggia cadevano dai suoi capelli scuri e andavano a bagnare il suo volto dai lineamenti armonici.
Ricambiai lo sguardo leggermente intimorita, chiedendomi per quanto tempo fosse stato lì e se mi avesse vista, se fosse il caso di andarmene prima che chiamasse la polizia accusandomi di spaccio o qualsiasi altra cosa...tuttavia non sembrava minimamente intenzionato a fare nulla di tutto ciò: si limitava a guardarmi sorridendo.
Poi, accompagnato da un soffio di vento, iniziò ad avanzare verso la piccola e sporca panchina dove ero seduto fino ad accomodarsi tranquillamente al mio fianco. Quando fu abbastanza vicino mi accorsi che i suoi occhi, che non avevano abbandonato i miei nemmeno per un istante, erano neri,
-Lo fai spesso quello?-
Lo chiese come se stesse parlando del tempo, come se ci conoscessimo da una vita e come se fosse il modo più normale di iniziare una conversazione.
-No-
Mi sorpresi a rispondere allo stesso modo.
Lui sorrise gentilmente.
-Io sì...-
Ci fu un attimo di silenzio in cui il rumore della pioggia che scemava fu l'unico rumore che riuscii a distinguere chiaramente.
-Se solo importasse a qualcuno...-
Le parole sfuggirono dalle mie labbra senza che io fossi in grado di fermarle, senza controllo.
Lo sconoscituo si limitò a sorridere nuovamente e sorridere, chiudendo gli occhi per volgere il volto verso il cielo romai calmo.
-Già...-
Restammo così, seduti l'uno di fianco all'altro senza dire nulla perchè non c'era nulla da dire.
-Lawrence.-
All'improvviso la sua voce  risuonò nel parco, calda come il fuoco di un caminetto acceso in pieno inverno. Sicura.
-Il mio nome.-
Disse nuovamente, ridendo appena della mia espressione confusa e io mi ritrovai contagiata da quell'allegria, iniziando a ridere come una bambina.
Restammo ancora qualche minuto nel parco, ridendo, mentre i primi raggi di sole lasciavano insicuri il loro rifugio sicuro dietro le nuvole per illuminare quel piccolo angolo di mondo appena più sporco di altri.
Fu il nostro primo incontro.
Fu l'incontro che mi vìcambiò la vita, per sempre.
******
You won't leave me alone!
Chisel my heart out of stone,
I give in every time.
Da quel giorno tornai al parco sempre più spesso: era il mio unico rifugio, il mio piccolo angolo di paradiso lontano dalle brutture del mondo.
Ogni giorno fuggivo ai miei doveri, abbandonavo le aule scure e opprimenti dell'università e mi sedevo su quella stessa panchina, tra le mani le pillole comprate giusto qualche istante prima con i soldi che avrebbero dovuto pagare i miei studi, e parlavo con Lawrence.
Mi sentivo come una novella Wendy alla scoperta della sua personalissima Neverland, mentre lui, Peter Pan troppo cresciuto, restava al mio fianco ad ascoltare le favole che gli raccontavo, poco importava se parlavano solo di cose brutte e noiose, di eventi inutili e compleanni dimenticati.
Era diventata una sorta di routine: io prendevo le mie piccole pillole, lui arrivava e io iniziavo a parlare.
Talvolta l'effetto delle pasticche era appena più forte e io mi ritrovavo solo capace di riderementre osservavo il turbinio di colori magici con cui si riempiva l'aria, ma Lawrence non se ne andava e rideva assieme a me.
Ci misi poco ad abbandonare definitivamente gli studi e la noiosa vita che avevo sempre fatto.
Ci misi ancora di meno ad innamorarmi di lui.
Passarono i giorni, le settimane, i mesi addirittura, ma la piega che stava prendendo la mia vita stava diventando troppo magica per essere lisciata.
Non mi importava più nulla che non fosse quel parco e quel ragazzo dal sorriso furbo; non importava se i miei genitori avevano iniziato ad accorgersi di me chiedendosi falsamente preoccupati cosa mi stava accadendo; non importava se avevo perso, pian piano, i pochi amici che mi erano rimasti, spaventati da quel mondo che non riucivano a vedere.
Mi andava bene così.
-Lawrence....tu non mi lascerai mai, vero?-
Lui aveva sorriso con la solita dolcezza alle mie parole spaventate, come si fa con i bambini che chiedono al papà di controllare che il grande lupo cattivo non sia nascosto sotto il loro letto, poi, lentamente, mi aveva attirato verso il suo petto per potermi stringere in un caldo abbraccio che mi riportò indietro nel tempo, quando ancora ero una bambina e quel tipo di abbracci ero solita riceverli prima di andare a dormire dalla mamma.
Restai così per qualche istante, accovacciata tra le sue braccia alla ricerca di pretezione, poi lui si allontanò appena, giusto quel poco che bastava per permettergli di chinarsi a donarmi un bacio, mentre una nuova pillola passava dalle sue labbra alle mie.
Sì, andava bene così.
Avevo Lawrence.
Avevo la mia Neverland.
Sarei rimasta bambina per sempre, fino a quando non mi fossi allontanata da quell'abbraccio.
******
I bet you laugh, at the thought of me thinking for myself (myself).
I bet you believe, that I'm better off with you than someone else.
Your face arrives again, all hope I had becomes surreal.
But under your covers more torture than pleasure
And just past your lips there's more anger than laughter
Not now or forever will I ever change you
I know that to go on, I'll break you, my habit!
Erano passati sei mesi dal mio primo incontro con Lawrence nel parco.
Tre da quando mi aveva baciata la prima volta.
Ero felice, ma sembrava che il mondo non capisse questa mia felicità e volsesse in qualche modo straparmela, curandomi come diceva mia madre, allontanandomi dall'unica cosa che in tutta la mia vita avesse avuto davvero un senso.
Loro non capivano e continuavano ad urlare, ma più loro uravano più io fuggivo lontana.
Credevo di essere furba, di avere una vita migliore di quelle grigie e spente di tutti gli altri; fino a quando non mi ritrovai distesa sul pavimento di casa mia, priva di sensi.
Fu la mia coinquilina, l'unica a non essere ancora fuggita, ad accorgersi del mio malessere e subito mi mise a letto.
Quando ripresi conoscenza sembrava che l'intero mondo si fosse riversato nella mia stanza.
Eliza se ne stava seduta sul bordo del letto, mentre con una pezza bagnata mi tamponava la fronte; in un angolo c'era mio padre che cercava in tutti i modi di calmare mia madre, seduta su una sedia rubata alla cucina; appoggiato alla parete di fondo, infine, c'era Lawrence che mi ossevava da lontano sorridendo dolcemente, come la prima volta che lo avevo visto.
-Ti sei svegliata!-
La voce preoccupata di Eliza calamitò l'attenzione di tutti i presenti e subito i miei genitori si avvicinarono al letto, ma l'unico effetto che ebbe su di me fu quello di far aumentare il mio mal di testa.
-Eravamo così preoccupati...-
-Ci hai fatto prender eun bello spavento!-
-Come ti senti adesso? Stai meglio,tesoro?-
Le loro voci si mischiavano in un turbinio di parole che per me non avevano alcun senso e a cui non prestavo la minima attenzione.
Il mio sguardo era rivolto solo ed unicamente alla parete di fondo e al sorriso del ragazzo che se ne stava in disparte per lasciare a me e ai miei genitori una privacy di cui non sentivo il bisogno.
-Lawrence...-
Lo chiamai con un filo di voce, ma lui parve sentirmi perchè si avvicinò di qualche passo.
-Lawrence.-
Ripetei più forte e mia madre, attratta da quel nome sconosciuto smise di blaterare la sua preoccupazione senzza senso.
-Che succede, tesoro?-
La ignorai, ripetendo nuovamente il nome del mio ragazzo.
-Sono qui.-
Mi disse, ma non si avvicinava.
-Andrà tutto bene, piccola. Basta una pillola e tutto si sistemerà.-
Istintivamente allungai il braccio verso di lui, ma l'unica cosa che riuscii a raggiungere fu il comodino dal quale, urtato dalla mia poco aggraziata mano, caddero le piccole pillole bianche che avrebbero fatto passare tutto il male.
Il silenzio raggelò la stanza, ma io nemmeno sentii il cambiamaento.
Nella mia mente c'erano solo gli occhi neri di Lawrence e il suo sorriso ammaliante.
-Basta una sola pillola. Una sola e tutto il male sparirà. Una sola e io potrò tornare da te.-
Cominciai ad agitarmi, cercando disperataente di raggiungere la busta trasparente che ora si era teletrasportata come per magia nelle mani di mio padre.
-Dammele!-
Urlai, ma mio padre non si mosse, guardandomi come mai mi aveva guardato in tutta la vita: con occhi freddi e severi, delusi forse, ma che per la prima volta mi vedevano davvero.
-Dammele! Ne ho bisogno!-
Urlai nuovamente, cercando di avventari su di lui per riappropriari del mio lasciapassare per i sogni, ma le mani di Eliza mi bloccavano in una stretta che mi sorpresi essere più fore della mia volontà.
-Dammele! O Lawrene non si avvicinerà! Dammele! Lawrence! Lawrence!-
-Tesoro....chi è Lawrence?-
Le parole di mia madre mi trafissero come tanti aghi di ghiaccio.
-Che stai dicendo, mamma? Conosci Lawrence, è qui!-
Incurante delle buone maniere indicai il punto in cui sostava il ragazzo che ancora non si muoveva, che ancora non tornava da me.
-Amore...lì non c'è nessuno...-
Silenzio.
Osservai per qualche istante confusa mia madre, poi portai lo sguardo sul ragazzo poco distante da noi.
Cosa?
-Cosa? Mamma...che stai dicendo? Lui è lì! Come fai a non vederlo?-
Non capivo.
Cosa stava succedendo? Perchè nessuno poteva vedere Lawrence? Eppure lui era lì, in quella stessa stanza, a pochi passi da noi, con il suo sorriso e i suoi immutabili occhi neri.
-Loro non possono vedermi...-
Le parole di lui irrupperò nella mia mente improvvise.
-Le loro vite sono felici, vero? Loro non possono vedermi perchè nessuno di loro conosce la sofferenza della solitudine...Ma tu sì. Tu conosci il mondo per quello che è, con la sua bruttura e il suo dolore. Eppure tu hai la chiave per scappare, per un mondo migliore...Loro non possono vedermi perchè si accontentano di questo insulso mondo fatto di normalità. Ma bsta una pillola. Basta una pillola e tutto migliora, no? Basta una pillola per essere felici....basta una pillola per tornare con me.-
Il ragazzo avanzò di un passo verso di me e io, istintivamente, mi tirai indietro, sfuggendo per la prima volta quegli occhi neri che ora mi apparivano pericolosi e devianti.
-Una sola pillola e io avrò vinto sulla monotonia della vita. Non vuoi farmi vincere? Non vuoi fuggire da tutto?-
-No...basta....basta...-
Gridai per sovrastare la sua voce, mi tappai le orecchie per non sentire più le sue parole carezzevoli; tuttavia la sua voce era viva nella mia testa e nulla poteva cacciarla.
-Un ultima pillola, tesoro mio, e poi saremo insieme per sempre. Bambini per sempre. Non è questo ciò che hai sempre voluto?-
Urlai nuovamente, scuotendo la testa, mentre vedevo chiaramente dietro le mie palpebre abbassate il suo sorriso angelico diventare il ghigno di un diavolo che sa di aver vinto.
Mi agitai come una di quei pazzi di cui si leggono nei racconti, scalciai e urlai ancora, poi privata delle mie energie, semplicemente svenni.
******
You won't leave me alone!
Chisel my heart out of stone,
I give in every time.
Da quel giorno sono passate tre settimane.
Non avevo più toccato nemmeno una pillola: mio padre aveva fatto un giro di perlustrazione nella stanza, scovando quasi tutte le mie scorte, mentre io ero rimasta chiusa in ospedale per un breve periodo di disintossicazione sotto stretta sorveglianza medica e di mia madre.
Non avevo più visto Lawrence da allora.
I medici avevano detto che non c'era più alcun bisgno di tenermi in ospedale, che la crisi era passata e potevo finalemente tornare a casa.
Mia madre insistette tanto per non farmi tornare da sola nel mio vecchio e squallido monolocale, ma io fui più testarda di lei.
Quando entrai mi sembrò che non fosse cambiato nulla, che non fosse successo nulla.
Avevo la sensazione che il tempo fosse tornato a quel giorno di pioggia in cui tutta quella pazzia aveva avuto inizio, ma i piccoli segni sul mio braccio lasciati dalgi aghi della flebo mostravano la realtà.
Abbandonai la borsa con i vestiti puliti che mia madre mi aveva lasciato e mi avviai in bagno.
Sapevo dell'ispezione di mio padre, ma da quello che mi aveva detto ero certa che avesse tralasciato un unico posto.
Aprii il piccolo sportello bianco del mobiletto posto sopra il lavandino e, spostando piccol flaconi di cosmtici, giunsi al mio abbiettivo.
Per il deodorante roll ormai finito da mesi e, senza molte cerimonie, staccai il sotto della confezione che venne via con estrema facilità: nascosto all'interno di quell'improbabile nascondiglio stava una piccola bustina di plastica con un'unica solitaria pastiglia suerstite all'interno.
La fissai a lungo.
-Ancora qui, mia diletta?-
Improvvisamente una voce conosciuta si presentò alle mie orecchie, mentre dietro di me apparve un ragazzo che non avevo bisogno di girarmi per dire che stava sorridendo.
-Lawrence...-
Bisbigliai il suo nome con timore, mentre lo sentivo avvicinarsi e avvolgere le mie spalle in un caldo abbraccio.
Ah! Quel calore....
-Sei ancora intrappolata in questo mondo trsite, vero?-
Iniziò a parlari, ma questa volta non sarei caduta nella sua trappola.
-Lasciami!-
Tentai di divincolarmi, ma avevo la terribile sensazione che più io mi agitavo, più la sua stretta si rafforzava.
-Tu non appartieni a questo mondo. Tu meriti qualcosa di meglio. Torna con me. Un ultima volta. Una sola. Poi ti lascerò libera di scegliere in quale realtà ti senti più felice, più viva...-
Il ragazzo soffio dolcemente al mio orecchio, prima di posarvi un leggero bacio.
-Un ultima volta...un ultimo bacio.-
Incapace di resistergli, lasciai il mio corpo in balia dei suoi desideri e in un istante mi ritrovai nuovamente stretta in un abbraccio caldo, assuefacente.
Poi il bacio e l'ultima pillola cadde nella mia bocca, ancora una volta. Ancora un sogno.
-Adesso sei mia...-
Le ultime parole.
L'ultimo sorriso.
L'ultimo viaggio nel mondo perfetto.
Poi ci fu solo il buio.






°Blabla vari°
Mamma che fatica...
Allora spendiamo un paio di paroline su questa cosa...Il pezzo iniziale è, in realtà, la conclusione della storia. Ho voluto metterlo all'inizio perchè mi piaceva di più e per dare subito il contesto in cui si sarebbe tuffata la storia. 
Ho sempre voluto scrivere qualcosa del genere, mettendo come personaggio la personificazione stessa di una dipendenza o una malattia, perchè Lawrence è questo: la dipendenza che la droga crea...tuttavia non credo di essere riuscita a rendere al meglio quello che volevo, ma va bene lo stesso....
La canzone che ho usato è My heroine dei Silversetin che assieme a questa immagine https://scontent-b-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-frc1/q71/1004983_10202537932119216_528969982_n.jpg erano il pacchetto datomi per il contest "Look 'n' Listen" indetto da Laura Tosetti (perdonami, non conosco il tuo nick su EFP!) nel gruppo "Fanfiction Challengers II" su facebook.
Boh,  spero che non sia una schifezza colossale come pare a me....
Saluti, Seki
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Seki