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Autore: MrsCrowley    23/11/2013    2 recensioni
Resti stupita invece nel notare che è entrata una persona che non conosci, tu che cataloghi tutti per liste e che trovi orribili difetti anche per le persone più belle. A lei non riesci a trovare un difetto, ti concentri solo sui suoi occhi, gli occhi di Caronte, gli occhi di qualcuno che sembra disperato come te.
''Caron dimonio, con gli occhi di bragia.''
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quello però era solo un primo incontro, e di sicuro tu non avevi intenzione di ripetere così presto l’esperienza mistica appena provata.
Eri uscita dal bagno, avevi interrotto quel contatto tra i vostri occhi che si cercavano, tra le vostre menti che sembravano quasi sfiorarsi.
Eri uscita, eri scappata via ma non avevi potuto fare a meno di passarle accanto, in quello spazio così stretto, di sentire il profumo della sua pelle, di guardarla di profilo, di lasciare che l’odore d’oriente del suo corpo ti arrivasse alla gola.
La tua attrazione per il misticismo era saltata fuori quasi all’improvviso, e ritornando in classe non riuscivi a fare a meno di pensare ai fiori d’arancio, le candele accese, il rilassamento dei sensi.
Eri tornata in classe quasi sorridente, nonostante dentro ci fosse la professoressa che meno sopportavi al mondo.
Ti eri lasciata scivolare accanto alla tua compagna di banco con quell’espressione indecifrabile, un sorriso misto ad un pizzico di segreto, imperscrutabile, la stessa espressione della Gioconda di Leonardo.
La tua compagna ti aveva guardata accigliata, quasi come se stentasse a riconoscerti, e al tempo stesso aveva sulle labbra il sorriso di chi aveva capito tutto.
Lei per te non era solo una compagna di banco, era una compagna di vita per lo più, quella a cui avresti affidato tutto, anche te stessa se necessario.
A modo tuo le volevi bene, ma eri come sempre troppo problematica per dimostralo: fortuna che ti capiva, ti capiva dal colore dei tuoi occhi e da quei sorrisi strani che facevi, ti capiva senza che aprissi bocca.
-“Marco?” sussurrò, fregandosene anche lei del greco e guardandoti interrogativa, come un poliziotto intenzionato a farti subire un interrogatorio pesante e stressante.
-“Si fottesse” rispondesti meccanicamente, ignorando il pensiero di quel ragazzo.
Come aveva anche solo potuto pensare che il tuo umore potesse essere legato a lui, stupido essere invertebrato che a stento è in grado di dire due parole di senso compiuto?
-“Un poco ti piace” ti aveva accusata con ferrea sicurezza, ignorando il modo teatrale in cui roteavi gli occhi.
-“E poi è dolce, adiamo… ti ha portata in braccio in classe stamattina, lo abbiamo visto tutti!”
Tutto quello che fosti in grado di fare fu alzare le spalle, con indifferenza assoluta.
Sì, ti eri lasciata prendere in braccio come una principessa, e allora?
Questo non significava che provavi qualche sorta di avverso sentimento nei confronti di quel ragazzo.
-“Rompicoglioni” avevi boccheggiato, sorridendo però.
-“Ho colto nel segno?” la sua risposta, piccata.
-“Ascoltami bene: io non provo niente per quel ragazzo. Tutt’al più che sai che è fratello di suo fratello…” ti esasperavano tutte quelle domande a cui non sapevi dare una risposta precisa.
Marco non ti piaceva, non davvero, era solo un ripiego momentaneo.
Ti faceva stare bene, ti faceva sorridere e si vedeva lontano un miglio che lui stravedeva per te.
Appagava il tuo desiderio infantile di essere il centro del mondo, ti guardava con quegli occhi grandi come se fossi la sola cosa davvero preziosa, bella e importante.
E tu sapevi di esserlo a modo tuo, lo hai sempre saputo, ma adoravi sentirtelo ripetere.
Era un toccasana per il tuo ego, per la tua sete di vendetta, per tutti i progetti di stronzaggine che la tua mente riusciva a rielaborare.
Sì, perché lui era il fratello del ragazzo che ti aveva spezzato il cuore, ammesso che tu ne avessi uno.
Era il fratello del ragazzo che ti aveva insegnato che la nobile arte del cinismo va usata su tutti, non solo su chi ti ferisce.
Doveva pagare una colpa non sua, Marco, ma a te non interessava molto di fargli del male, nulla era più importante nel caos totale del tuo cervello.
-“Oh, che ragionamento intelligente… Non avrei mai detto che era il fratello di suo fratello, grazie per avermi illuminata” la risposta secca ti giunge nell’orecchio, avevi perso il filo del discorso, guardavi la lavagna con aria assente, persa nei tuoi diecimila pensieri.
-“Che vuoi che ti dica?” Non avevi niente da dire a riguardo, non avevi un pensiero critico su questa cosa, lasciavi che la realtà dei fatti ti soggiogasse poco alla volta.
Non avevi neanche voglia di uscirne fuori, ti eri abituata all’abitudine, oramai.
-“E per domani traducete due versione, fate l’esercizio di sintassi, portate il vocabolario di latino e commentate le Catilinarie in greco” concluse la professoressa, mentre il trillo della campanella faceva tirare un sospiro di sollievo a tutti e tu ti alzavi come una molla, pronta per scendere in cortile.
Il tuo solo quarto d’ora di vita in tutte quelle ore scolastiche.
I tuoi amici ti spintonano, ti prendono in giro, si prendono in giro tra di loro e chiacchierano, ma tu sei assente.
Hai la mente altrove e loro se ne accorgono, ma non fanno domande.
Come ad ogni ricreazione, Marco ti rapisce, ti abbraccia, ti porta dove stanno i tuoi amici.
Stai quasi per ribellarti, vuoi andare via, vuoi tornare dai tuoi amici, ma poi noti qualcosa che ti fa cambiare idea.
O meglio qualcuno.
La ragazza di prima è tra i suoi amici, una nota stonata in tutta quella Babilionia di gente che ti è altamente sul cazzo.
Se frequenta tizi del genere, è evidente che ti eri sbagliata su di lei.
Eppure la sua pelle profuma ancora d’Oriente, e i tuoi occhi cercano ancora i suoi, per una frazione di secondo.
Marco è contento che tu non sia scappata via, è contento che almeno per quel giorno non dai cenni d’insofferenza.
-“Giornata fortunata?” ti chiede,  o forse se lo chiede ad alta voce.
Alzi le spalle, alzi sempre le spalle, non ti sprechi ad aprire bocca.
La gente non è abbastanza meritevole da farti fare questo sforzo.
Marco ti trascina via, lontano dai suoi amici che iniziano a fare i cretini, lontano anche da quella ragazza di cui non sai il nome.
Senti il suo sguardo perforarti la schiena, mentre la mano del ragazzo cerca la tua.
Sapientemente gliela neghi quasi per caso, fingendo di non aver capito le sue intenzioni, pensando che è davvero ritardato se spera di poter attaccare bottone così facilmente.
Ti parla, ti parla della sua musica e tu fai finta di ascoltarlo, annuisci sempre, pensando che il suo ego è forse un poco troppo montano ma aggiungendo qualche complimento sparso qua e là, per non destare il sospetto.
Ti chiede se un giorno vuoi andare a casa sua a sentirlo suonare dal vivo e tu cogli la palla al balzo.
-“Solo suonare?” chiedi melliflua, lasciando che il suo sguardo interrogativo percorra la tua figura, alla ricerca di un segnale di tradimento, come se si aspettasse di sentirsi dire che stai scherzando, ovviamente.
Ma tu non stai scherzando, del resto è per quello che ti sei sorbita le sue interminabili chiacchiere sulla sua bravura, la sua chitarra, la sua passione.
-“Che vuoi dire?” chiede, quasi sconvolto.
Ritardato come sempre.
Tu sospiri, e la campanella suona sul momento cruciale, ne sei quasi felice.
Non puoi di certo spiegargli la storia dell’ape e del fiore, è un compito che non spetta di certo a te.
Alzi gli occhi al cielo e sorridi, poi gli fai cenno di salire le scale, insieme.
“Che onore” ti fa notare lui, di solito lo abbandoni sempre sulle scale, e invece stavolta no.
Oggi è davvero il suo giorno propizio, può urlarlo forte.
Un’altra ora soltanto e poi finalmente esci fuori da quelle pareti grigie, una noiosa ora di inglese e poi sei libera anche tu.
Te lo ripeti come un mantra, tra un’ora andrai in villa con una tua amica, tra un’ora sarai fuori da quel mondo assurdo.
E poi, ora che ci pensi è sabato, quindi…
Non potresti davvero chiedere di meglio.
L’ora passa veloce, tu disegni ghirigori sul banco, e raccogli le tue cose appena il professore finisce di spiegare, sei la prima ad uscire dalla classe e lasci che gli altri ti ricorrano, hai fretta.
Hai sempre fretta, hai fretta di vivere, di crescere, di fare del male a chi ne ha fatto a te, di vendicarti, di andare via, di sentirti libera.
Hai anche fretta di respirare a volte.
La villa è quasi deserta, e tu ti siedi e parli, parli a questa tua amica, parli di fantasmi e di horror, parli di Bloody Mary, parli di esorcismi, degli argomenti che conosci meglio e che più ti interessano.
Forse le uniche cose che catturino per davvero la tua attenzione.
Ti interrompi quando la ragazza che hai incontrato in bagno si posiziona davanti a voi, e saluta la tua amica.
Poi si presenta, sorridente, si butta quasi sopra di te.
Ti dice che ama la tua maglietta, e anche quella che avevi l’altro giorno.
Ti dice che le sei sempre piaciuta, ti guardava ogni tanto in cortile e a pelle le eri simpatica.
Vorresti correggerla e dirle che non si tratta di simpatia, ma di empatia, vorresti consigliarle di leggere Freud ma non lo fai, la lasci parlare, la lasci fare.
Ti fa ridere un poco questo suo atteggiamento, ma non sarcasticamente come tuo solito.
La trovi quasi dolce, in maniera un poco inquietante, come te quando cerchi di esserlo, fa paura.
-“Bella collana” la freni, strizzandole l’occhio.
-“Anche la tua” risponde complice guardando il tuo pentacolo.
Poi si gira, e i vostri occhi si posano sulle stesse due persone.
È un istante, e tu vorresti essere dotata del dono dell’invisibilità, ma sai che non è possibile.
Due ragazzi sono a pochi metri da voi, due ragazzi che conosci bene ma che non vorresti mai vedere insieme.
-“Ciao Marco!” saluta lei, e tu vorresti prenderla a sprangate.
Che cazzo ha al posto della testa?
Alzi gli occhi verso di loro, furente.
Entrambi ti fissano, entrambi vorrebbero avvicinarsi.
Marco non lo vedi da mezz’ora, quell’altro essere anche noto come suo fratello invece non lo vedi da due mesi.
E sarebbe stato meglio non vederlo.
Perché lui ti guarda, stupito di vederti, come se fosse impreparato, come se non avesse messo il suo abito migliore e se ne stesse pentendo amaramente.
Ti guarda interrogativo quando tu guardi suo fratello, come se si chiedesse se vi conoscete o meno.
Avanzano entrambi verso di te e tu li vedi come fossero la Morte che avanza con un’ascia.
Sei sbiancata, sei diventata dello stesso colore del fondotinta usato da Manson.
Alzi la mano a metà tra un cenno di saluto e un ordine di fermarsi dove sono, e loro capiscono.
Capiscono che si trovano di fronte a un triangolo, o forse sono troppo idioti per capirlo.
Il sospetto che tu stia giocando sporco lo hanno, lo leggi nei loro occhi.
Sorridi, e concentri la tua attenzione sulla ragazza sconosciuta che ti ha messo nei casini.
La odi, mentre due secondi fa l’adoravi.
Amo et odi.
Odi et amo.
Eppure quando vi salutate hai la sensazione che ti manchi qualcosa.
Per questo nel pomeriggio chiedi il suo numero, vuoi inviarle un messaggio, ma fissi lo schermo indecisa.
Cosa potresti scriverle infondo?
Ciao, sono la ragazza della villa, Aredhel. È stupido se ti dico che anche io sento quell’empatia di cui parlavi stamattina?’
Glielo scrivi, sfacciata, e ripensi all’Oriente, i fiori d’arancia e le candele.
  
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