Perdonate
il
ritardo.
Avvertimenti:
questa storia tratterà di divorzio e
omosessualità.
Perdonate
l’HTML, ma ogni tentativo che faccio è nullo.
Però se qualcuno di voi potesse
darmi un suggerimento, gliene sarei grata. Ho seguito anche le
indicazioni di
EPF, però questi sono i risultati.
Poi
mi chiedi come sto…
E
il tuo sorriso spegne i miei tormenti.
La
differenza tra me e te-Tiziano Ferro
Gasthaus
Beilschmidt, Schloßstraße27,
Germania,
Berlino.
15
Giugno 2013
Era
ormai sera
quando Ludwig infilò le chiavi nella serratura del suo
appartamento.
Quando
entrò
dentro l’appartamento e chiuse la porta, il tedesco si rese
conto che c’era
qualcosa che non andava, iniziando da se stesso. Lui che normalmente
adorava la
quiete, adesso gli sembrava di detestarla. Il silenzio che permeava
nella
stanza era interrotto solo dal ticchettio dell’orologio al
muro e dal tonfo
metallico delle gocce che cadevano dal rubinetto al lavandino in
alluminio
della cucina. L’appartamento era così silenzioso
che quando poggiò
delicatamente il mazzo di chiavi dentro il posacenere riuscì
a sentire il
tintinnio di ciascuna chiave, simile a tanti campanellini.
Si
ritrovò a
camminare dentro il suo appartamento come un ladro, con le scarpe in
mano e
quasi in punta di piedi. Se in quel momento avesse accesso la luce e si
fosse
guardato allo specchio vicino all’ingresso, avrebbe avuto la
possibilità di
rendersi conto che sembrava un cretino.
Quando
arrivò
nella sua camera, si lasciò cadere a peso morto sopra il
letto e continuò a
riflettere su cosa non gli quadrasse nel suo nuovo appartamento. Forse
erano le
finestre che davano direttamente sulla strada a dargli fastidio, si
disse. Sì,
decise che erano le finestre.
Nell’altro
appartamento
le finestre davano sul cortile e Änne aveva adornato ciascun
davanzale con
delle orchidee rosse, come i suoi ondulati capelli. Lei sosteneva che
le
orchidee rosse davano un tocco più accogliente e moderno
alla loro casa. A lui
le orchidee non erano mai piaciute, a dir la verità.
Però ogni domenica
lasciava che Änne comprasse due o tre vasi e le annaffiava con
regolarità di una
volta al mese con lo spruzzatore, come consigliava
l’enciclopedia dei fiori.
Änne aveva buon gusto e il loro appartamento sembrava uscito
da una sofisticata
rivista per arredamenti interni. I divani erano color bianco
immacolato, le
sedie e il tavolo color nero, la cucina in acciaio inox e il pavimento
era piastrellato
di mattonelle in granito. Ludwig non era mai stato un sentimentalista,
però
doveva ammettere che quando faceva le scatole quasi gli era dispiaciuto
non
potersi portare via uno dei divani, perché li aveva
associati ai momenti
passati con Änne. Sopra quei divani aveva letto il Frankfurter
Allgemeine con Änne
vicina che
gli raccontava distrattamente la sua giornata. Ogni tanto su quei
divani, ma
solo dopo un po’ di insistenze, aveva fatto l’amore
con Änne.
Buttandosi
su un
fianco, il tedesco pensò che se avesse comprato un divano
bianco forse avrebbe
smesso di sentire il dolore allo stomaco. E quando provò a
rannicchiarsi per
calmare il dolore, si rese conto che non si era ancora cambiato di
abiti. Con
un sospiro si alzò dal letto e si trascinò dentro
il bagno.
Dopo
essersi
spogliato, iniziò a piegare tutti i suoi abiti. Ludwig aveva
una sua tecnica
personale per sistemare i suoi vestiti. Iniziava
sempre con la canottiera, poi la
camicia—stando attento a non lasciare pieghe sul colletto e
sui polsi—quindi il
gilet e infine i pantaloni. Nel momento in cui piegò i
pantaloni dalla tasca
cascò una palla accartocciata che andò a toccare
i suoi piedi. Si chinò e
quando la strinse nelle mani si ricordò che
cos’era. Era la foto che aveva
accartocciato per impedire a quel ficcanaso italiano di fargli altre
domande.
Con
cura aprì la
foto accartocciata, maledicendo tra i denti il ragazzino italiano, e
poi la
guardò. Con dita tremanti tratteggiò le due
sagome nella foto e sentì il suo
cuore affondare. La foto era stata scattata ai tempi in cui faceva
l’università
e ritraeva lui insieme ad un altro ragazzo. Gilbert, il suo
fratellastro.
Con
le dita
poggiate sopra la foto e gli occhi chiusi, Ludwig ripercorse
mentalmente il suo
passato che lo aveva portato a conoscere Gilbert.
Aveva
quindici
anni quando Joseph—così si chiamava suo
padre—divorziò da Elsie, sua madre. Da
quel momento in poi Ludwig aveva perso ogni speranza di ricevere pacche
o
parole gentili da parte del padre. Rimproveri e sgridate erano
diventanti gli
unici mezzi di dialogo che Joseph usava con lui. Aveva passato tre anni
nell’insoddisfazione perenne di suo padre, che sminuiva
costantemente qualsiasi
cosa facesse, anche i suoi successi accademici.
All’età di diciotto anni si era
iscritto alla leva e aveva passato un anno intero dentro una caserma
militare,
senza mai ricevere visite da suo padre che era troppo impegnato con il
suo
studio di architetto. Se faceva confronti tra la sua vita passata
nell’ombra di
suo padre e quella militare, risultava che sentiva la mancanza della
seconda.
Almeno dentro la caserma, quando faceva qualcosa di giusto, riceveva i
giusti
riconoscimenti e anche qualche pacca. L’anno seguente poi si
era iscritto alla
facoltà di Economia, a Monaco. E proprio
nell’antica università aveva
incrociato la strada di Gilbert e suo padre si era risposato con una
donna
giovane chiamata Hazel, la madre di Gilbert. Nel momento in cui aveva
incontrato Gilbert, la sua vita era drasticamente cambiata.
Riaprì
gli occhi e
guardò di nuovo la foto, pensando che era veramente venuto
male, mentre Gilbert
sembrava un attore. Sorrideva con l’orgoglio di chi non
cambierebbe nulla di
sé. Il suo braccio cingeva il collo di Ludwig, che fissava
l’obbiettivo della
macchina fotografica con espressione seria, anche troppa per i suoi
diciannove
anni, e aveva le braccia inerti sui fianchi.
Nonostante
avesse
conservato la stessa espressione arcigna e seria di quando era giovane,
il
tedesco non poté fare a meno di ammettere che ormai era
invecchiato. Il ragazzo
dal viso giovane e liscio non c’era più, era stato
sostituito da un vecchio con
l’espressione arcigna
e la
carnagione pallida come quella di un riesumato.
Se Gilbert lo avesse visto in quel momento, non
l’avrebbe riconosciuto.
Per
scacciare quei brutti pensieri, Ludwig si sciacquò il
viso, bagnò i capelli per togliere il gel e si
guardò allo specchio.
Lui
non era mai stato un tipo fissato con il proprio
aspetto fisico, però quel piccolo viaggio mentale al passato
lo indusse a
confrontarsi con il presente e a vedere quanto il tempo lo avesse
danneggiato.
Il
naso e gli zigomi pronunciati gli donavano un’aria
nobile e distoglievano l’attenzione dalle piccole rughe che
erano recentemente
apparse agli angoli dei suoi occhi azzurri. Però il suo
sguardo troppo arcigno
e la sua fronte sempre aggrottata gli davano l’aspetto
dell’orco cattivo delle
favole.
Con
un sospiro di rassegnazione, Ludwig si passò una mano
in mezzo ai corti capelli biondi e si disse amareggiato che era uno
stupido a
pensare al proprio aspetto fisico come un adolescente. Era un adulto e
quindi
le occhiaie, le rughe e lo sguardo torvo facevano parte del suo status
attuale.
Quando
uscì dal bagno, con solo i boxer addosso, decise
che piuttosto doveva preoccuparsi di tirare fuori un pigiama
dall’armadio e
andare a dormire.
Stava
decidendo se era meglio mettere il pigiama di
flanella a righe oppure solo i boxer con la canottiera, quando qualcuno
bussò
alla sua porta.
Ludwig
rimase in silenzio, domandandosi se era il caso di
andare ad aprire o no. Forse era solo un turista che aveva sbagliato
stanza,
pensò con indifferenza mentre tornava a decidere quale
pigiama indossare.
Oppure,
poteva essere suo nonno visto che non la smetteva
di bussare o un turista stordito dalla birra.
Infilandosi
rapidamente il primo paio di jeans che era riuscito
a pescare fuori dall’armadio e mettendosi una maglietta nera,
Ludwig andò ad
aprire la porta e poi desiderò non averlo fatto.
Con
espressione allegra e un portatile nero sotto il
braccio, il ragazzino italiano di quella mattina esclamò
sollevato “Wow! Stavo
iniziando a pensare di aver sbagliato stanza!”
Ludwig
rimase in silenzio, domandandosi basito se stava
facendo un incubo.
Poi
gli ritornò in mente la loro conversazione di quella
mattina e non resistette alla tentazione di riprendersi una piccola
rivincita a
spese dell’italiano, quindi con aria sarcastica
domandò “Per caso hai smarrito
un altro povero e ignaro vecchietto?”
Il
ragazzino aggrottò la fronte per un attimo, come se si
fosse offeso, ma poi spalancò gli occhi e improvvisamente
scoppiò a ridere.
“Oh,
buona questa! Comunque no, stasera basta con le
buone azioni! Ricomincio domani!”
Aspettandosi
una reazione diversa da quella risata,
Ludwig non aggiunse altro e si limitò ad aspettare una
spiegazione da parte
dell’italiano. Doveva avere di sicuro un' ottima ragione per
venirlo a
disturbare nel cuore della notte, o almeno questo gli augurava il
tedesco. Lo
guardò con attenzione e non riuscì a trattenersi
dal pensare che il ragazzino
aveva un sorriso perfetto come quello di un attore e che gli ricordava
molto
quello di Gilbert. Con un’unica differenza: il sorriso del
castano non era
studiato, ma spontaneo.
I
due continuarono a fissarsi in silenzio, e Ludwig
iniziava ad annoiarsi, quindi decise di prendere in mano la situazione
e disse
“Se non ti sei perso un vecchietto, per quale motivo sei
venuto a bussare alla
mia porta a quest’ora della notte?”
“Oh,
giusto! Hai la connessione ad internet?” gli rispose
con un’altra domanda l’italiano guardandolo con
aria di scusa.
Ludwig
aggrottò la fronte, stranito per la domanda.
“Sì,
perché?”
“Fantastico!”
esclamò entusiasta l’altro entrando
dentro la sua stanza come se lo
avesse appena invitato a farlo e accendendo la luce.
Senza
parole, Ludwig seguì con gli occhi l’italiano, che
aveva già poggiato il portatile sul tavolo e lo stava
aprendo.
“Scusa,
eh! La connessione ad internet dentro la mia
camera fa schifo. Ogni volta che provo ad aprire Skype la finestra non
si
apre.” Gli disse il ragazzino mentre dalla tasca dei
pantaloni estraeva quella
che sembrava una pennetta USB, di colore rosso.
Il
tedesco guardò il castano che armeggiava con il
computer e iniziò a pensare seriamente che stava sognando.
Magari si era
addormentato e non se ne era accorto. Succedeva a tante persone,
soprattutto a
quelle stressate. Ma lui non lo era. Non fino a quel momento.
Sperando
che quello fosse solo un incubo, Ludwig domandò
scorbutico “E perché dovrebbe essere un problema
mio!”
“Bè,
perché devo chiamare mio fratello. Prima che lui
chiami la polizia!”
“La
polizia?!”
Sì,
decisamente doveva essere un incubo.
“Sì,
la polizia. Ma non ti preoccupare, eh!” disse poi
l’italiano girandosi verso la parte e sorridergli come se
niente fosse.
Sentendo
l’approssimarsi di un infarto, il tedesco sbottò
incredulo. “Non mi devo preoccupare?!...Non mi devo
preoccupare,
dici?!...Oddio!”
Lasciandosi
cadere pesantemente contro la porta per non
svenire sul pavimento, il cervello di Ludwig incominciò a
elaborare i possibili
motivi per i quali l’italiano era coinvolto con la polizia.
‘Lo
sapevo, è un mafioso! Come tutti gli italiani.’
Pensò
inorridito ma allo stesso incuriosito perché era la prima
volta che vedeva con
i suoi occhi un mafioso. Probabilmente era ricercato per ricettazione
di armi e
spaccio di droga. Forse era il caso che lui chiamasse la polizia, prima
che
venisse coinvolto. Però forse era troppo tardi! Magari si
era già reso
complice!
‘Oddio!
Oddio! Lo sapevo che non dovevo aprire la porta!
Lo sapevo!” pensò sempre più agitato il
tedesco mentre fissava paralizzato dal
terrore il ragazzino davanti a lui. Quell’aria tonta e
infantile probabilmente
doveva essere solo una facciata, e lui si era lasciato trarre in
inganno come
un allocco.
Probabilmente
l’italiano doveva aver notato che il volto
del tedesco era diventato più bianco e che aveva smesso di
respirare perché iniziò
a dire “Ehy, non ti preoccupare per me, ti ho detto! Ora
sistemo tutto! Dai,
ricomincia a respirare perché sennò ti viene un
aneurisma! L’ho letto una volta
su internet, nel sito ‘dieci cose che non sapevi’.
E poi a scuola mi hanno
raccontato che una volta un ragazzo aveva fatto con un suo amico una
scommessa
su chi dei due tratteneva di più il respiro. E il ragazzo ha
vinto perché ha
trattenuto il respiro per più di quindici minuti. O forse
erano dieci?...Bhò,
non me lo ricordo più. Comunque, dopo un mese quel ragazzo
è morto per un
aneurisma! Quindi fidati, è roba sicura quella che ti
racconto!”
Quando
l’italiano smise di parlare, Ludwig aveva ripreso
a respirare da circa dieci minuti. Si sentiva stordito e sfiancato, ma
era
sicuro che non era perché prima aveva trattenuto il respiro.
Durante
quel lungo monologo, aveva potuto appurare che il
ragazzino era il classico tipo che ‘apre bocca senza
pensare’. Non aveva mai
sentito dire tante assurdità in una volta sola. E non si era
nemmeno fermato
per riprendere fiato, pensò incredulo il tedesco. Ma
dopotutto se non aveva un
cervello, come aveva appena dimostrato, l’ossigeno non gli
serviva.
Staccandosi
dalla porta, Ludwig si domandò come fino a
pochi minuti fa avesse potuto pensare che quel ragazzino poteva essere
un
pericoloso criminale. L’unica cosa davvero pericolosa in
quella stanza era lui
stesso perché stava iniziando a perdere la pazienza.
“Oh,
meno male che hai ricominciato a respirare! Stavo
già iniziando a temere per te!” esclamò
sollevato l’italiano.
“Tranquillo
per me. Non me ne verrà uno.” Replicò
lui,
poi gli scoccò un’occhiata sarcastica “E
sicuramente a te non verrà mai.”
“Oh.
Ma allora anche tu hai letto quel sito!”
Ludwig
si schiaffò una mano alla fronte, un gesto che
ormai non faceva più da anni, e cercò di
mantenere la calma. Non era nel suo
stile attaccare i deficienti di cervello.
L’italiano
intanto aveva iniziato a pigiare rapidamente
sopra i tasti del pc, e cliccò varie icone, esultando quando
una piccola
finestra sul desktop del suo portatile si aprì.
Improvvisamente
una voce maschile, che in quel momento
però poteva somigliare allo squittio di un topo, invase la
stanza. Dal tono
della voce, Ludwig capì che chi si trovava
dall’altra parte del pc non doveva
essere molto felice. Almeno non come l’italiano dentro il suo
appartamento.
“Ehy,
Romano!” esclamò ad alta voce il ragazzino,
sventolando una mano davanti al pc. Una cosa molto stupida secondo il
tedesco
dato che il suo interlocutore si trovava da un’altra parte.
“…
‘Ehy, Romano’?... Sono passate più di
otto ore nelle
quali avrò avuto sì e no cinque infarti per colpa
tua e tu pezzo di deficiente
schifoso mi dici ‘Ehy, Romano’!?... Sei un pezzo di
merda, ti vorrei prendere a
mazzate in questo momento! Ringrazia Dio che c’è
un cazzo di display a tenerci
lontano!”
Quelle
minacce non parvero avere nessun effetto sul
castano, che replicò tranquillamente “Lo so che
sei solo preoccupato, Romano.”
“Io
non sono ‘preoccupato’, io sono incazzato! Mi hai
sentito schifosa merda! Sono incazzato!”
“Non
dire così, fratello. Avanti, tranquillo, inspira ed
espira. Altrimenti ti viene un aneurisma.”
L’aneurisma
deve essere una cosa davvero molto importante
per gli italiani, pensò Ludwig, che in tutto il dialogo
aveva riconosciuto solo
quella parola.
“Romano,
Romano… No, respira! No. Guarda che continui ad
urlare a dire bestemmie lo dico al nonno! Lo sai che a lui non
piacciono le
bestemmie!”
“E
non gli piacciono nemmeno gli infami! Sì, sei un
infame! Mi hai sentito bene e non fare quella faccia! Sei un infamone
schifoso!” sbraitò l’altro italiano
agitando le mani in aria, rischiando più volte
di scaraventare il
computer dall’altra parte.
“Smettila,
Romano! Guarda che se questo fosse un
programma per minori, in questo momento la tua conversazione sarebbe
solo un
unico e lungo ‘Bip’. E il MOIGE ti avrebbe reso
muto!” lo rimproverò il castano
agitando il dito indice come un professore con l’alunno
cattivo.
“Ti
piacerebbe pezzo di merda!”
Il
tedesco si sentì uno stupido a rimanere in piedi
dentro il suo appartamento come se fosse lui l’ospite.
Però non riusciva ad
avvicinarsi all’italiano per chiudergli il portatile e
cacciarlo a calci fuori
dal suo appartamento. E comunque sembrava che l’altro ragazzo
avesse finito di
inveire perché la voce si era fatta più bassa,
per gli standard di un italiano
ovviamente.
“Dove
sei comunque testa di minchia?” Domandò Romano,
sperando in una risposta positiva.
“In
Germania.” Rispose con una scrollata di spalle il
castano.
“Dove?!”
““In
Germania. Sai quella nazione situata al Nord,
confinante con l’Austria…”
“So
dov’è la Germania, idiota!”
“Ne
sei sicuro? Perché mi ricordo alle elementari
prendevi sempre sufficiente e sole perché eri simpatico alla
maestra.”
“Oddio,
non iniziare a divagare, cretino! Voglio sapere
dove sei esattamente.”
“Ecco…”
Iniziò a balbettare il ragazzino tormentandosi le
dita.
Ludwig
pensò che era giunto il momento di intervenire.
“Ehy, non stare troppo al computer! La connessione ad
internet costa!”
L’italiano
non si degnò di voltarsi verso di lui, e
continuando a guardare il pc, agitò una mano con fare
sbrigativo “Sì, sì. Ora
finisco.”
“O
mio Dio! Chi ha parlato prima? Hulk?”
“Non,
non è Hulk…lui
è…” Allarmato il castano si
girò
verso il tedesco e gli chiese “Oddio, come ti
chiami?”
“Come
non sai come si chiama! Un momento. C’è qualcuno
con te?”
“Ludwig
Beilschmidt” Disse tagliente il biondo,
rendendosi conto che non si erano nemmeno presentati. Aveva fatto
entrare uno
sconosciuto nel suo appartamento.
“Ludwig
Beilschidt” ripeté a pappagallo storpiando il
nome del tedesco.
“Sei
nella stanza di un crucco! A quest’ora della notte!
Oddio, ti ha rapito! Ti ha sequestrato! Lo sapevo che in quella nazione
sono
tutti depravati e maniaci sessuali! Esci immediatamente da
lì! Mi hai sentito?!
Esci!”
Imbarazzato,
l’italiano si portò un dito davanti al naso
e guardò male suo fratello. “Shhh, Romano
smettila! Ti sente!”
“E
che cazzo mi frega! Tanto quello non capisce una
mazza…” borbottò schifato
l’altro ragazzo.
Il
ragazzino incrociò le braccia davanti al petto e
scosse la testa con delusione “Sei sempre il solito, Romano.
Dovresti
vergognarti!”
“Sì,
sì. Prima o poi lo farò. E comunque non sono io
l’ingenuo che permette a degli sconosciuti di portarmi nella
loro stanza! La
mia ultima parola è questa: esci immediatamente da
lì!”
“Sì,
sì. Tranquillo lo faccio. Comunque non hai detto
niente al nonno, vero?”
“No,
io non sono una spia. E comunque il nonno mi farebbe
lo scalpo se in qualche modo venisse a sapere che tu non sei qui con me
e
Antonio in Spagna!”
Un’altra
voce più gioviale e allegra della prima, si
aggiunse alla conversazione. Ludwig capì che doveva essere
spagnolo, per via del
forte accento marcato.
“Hola,
Feliciano! Come stai?”
L’italiano
agitò le braccia in aria, esclamando ad alta
voce “Ciao, Antonio! Io sto bene! E tu?”
“Benissimo,
anche se sempre in cattiva compagnia!”
“Questo
lo dovrei dire io, stupido mangia-churros!”
“Romano,
smettila di insultare Antonio!”
“Oh,
non ti preoccupare per me! Lo so tenere a bada da
solo questo ragazzaccio!”
“Ehy,
che cazzo fai! Fermo, non mi toccare i capelli! No!
Non farlo!”
Nell’appartamento
del tedesco si espanse un urlo atroce
per poi essere seguito da una serie di impropri.
La
risata di Feliciano riempì la stanza e per un attimo
Ludwig pensò non fosse poi così fastidiosa come
quella mattina. Resosi
conto di quello che aveva pensato,
scosse la testa e decise di riprendere in mano la situazione. Con passo
deciso
andò dietro l’italiano e si schiarì la
gola.
“Oh,
hai mal di gola?” gli chiese il ragazzino voltando
il volto raggiante verso di lui.
“No, non
è mal di
gola il mio!”
Feliciano
tirò fuori la lingua e gliela mostrò
“Scherzavo! Ho capito. Ora spengo il computer!”
Quindi voltandosi verso lo
schermo del computer, agitò la mano “Ciao, Romano.
Notte Antonio! Ci sentiamo
domani alla stessa ora, o almeno così spero!”
Ludwig
guardò l’italiano chiudere il portatile e
l’appartamento cadde di nuovo nel silenzio più
totale. Tutto gli sembra
surreale. Poco fa stava decidendo con quale pigiama andare a dormire, e
poi
l’italiano era entrato nel suo appartamento e aveva litigato
con suo fratello.
Il
ragazzino si stiracchiò un attimo, poi abbozzando un
sorriso gli disse “Credo che ti devo delle spiegazioni a
questo punto.”,
Ludwig
ormai ripresosi completamente, disse tagliente
“Non mi interessano le tue spiegazioni. Potevi pensarci
prima. Voglio solo che
tu esca dalla mia stanza. Ora!”
Il
ragazzino non parve sentire la sua risposta perché
esclamò contrariato “E invece no. Te lo devo dire
perché sono venuto in camera
tua nel cuore della notte…”
“Per
chiamare tuo fratello, me lo hai già detto.”
Tagliò
corto Ludwig incrociando le braccia al petto e assumendo un aspetto
minaccioso.
“Sì.
È quello che ho fatto. Ma l’intenzione era
un’altra
inizialmente.”
“Non
mi interessa. Vattene. In che lingua te lo devo
dire?”
“Magari
nella lingua della gentilezza?” lo prese in giro
l’italiano, ma subito se ne pentì quando vide
l’espressione scocciata e
distante del tedesco.
“Vuoi
che sia gentile. Ok. Te lo dico gentilmente: esci
dalla mia stanza prima che chiami la polizia, per favore!”
“Oh,
e adesso vorresti chiamare la polizia. Dopo che mi
hai fatto entrare!” replicò amareggiato
l’italiano senza comunque alzarsi dalla
sedia.
Ludwig
aggrottò la fronte e strinse i pugni. Non
sopportava essere contradetto. “Io non ti ho invitato ad
entrare. Hai fatto
tutto da solo! Ed ora ti pregherei di fare altrettanto uscendo dalla
mia
stanza.” Detto questo buttò alla finestra
l’educazione e afferrò per un braccio
l’italiano per trascinarlo fuori.
“No.
Ahi! Lasciami il braccio! Ho capito, ho capito! Non
sono un bambino!” protestò il ragazzino mentre
veniva trascinato malamente
verso la porta.
Ludwig
aprì la porta e con forza scaraventò il ragazzino
fuori dal suo appartamento. Era troppo turbato riguardo al fatto che
non aveva
cacciato via l’italiano quando aveva avuto
l’opportunità. Non si era mai
comportato in modo così incoerente in vita sua.
Pensando
a tutte queste cose, il tedesco non si accorse
di aver messo troppo forza nel gesto e l’italiano
andò a sbattere la schiena
contro il muro, accasciandosi poi contro il muro, come una bambola di
pezza.
Ludwig
pentito per il gesto ma soprattutto preoccupato di
finire in tribunale per lesioni fisiche, andò verso
l’italiano,
inginocchiandosi vicino a lui.
“Oddio,
mi spiace! Mi spiace tantissimo!” esclamò mentre
con le mani tastava le braccia e la testa del ragazzino alla ricerca di
bozzi
sospetti.
“Hm,
mi fa male la schiena.” Si lamentò
l’italiano mentre
riprendeva i sensi.
Ludwig
sentendosi ormai un dottore, sventolò tre dita
davanti al naso del castano e gli domandò “Quante
dita vedi, ragazzino?”
“Cinque…
anzi, no…Sei!”
A
quella risposta, agitatissimo il tedesco gli fece
poggiare la testa contro il petto e si affannò per cercare
il cellulare che in
quel maledettissimo momento non trovava. Poi iniziò a
pensare ai probabili
titoli che avrebbe letto domani nelle prime pagine dei quotidiani:
“Cittadino
tedesco aggredisce un ragazzino italiano!” oppure
“Dipendente delle banca
impazzito molesta e poi tenta di uccidere un minorenne!”. Di
sicuro avrebbe
perso il suo posto alla Deutsche- Bank, poi ci sarebbe stato
l’arresto, poi il
tribunale e forse i domiciliari. E scontata la pena non avrebbe
più trovato
lavoro, sarebbe diventato un disoccupato, avrebbe perso la casa e alla
fine
sarebbe andato a
vivere sotto i ponti…
Mentre
pensava e pianificava tutte
le cose peggiori che gli sarebbero potute
succedere, sentì degli sbuffi provenire
dall’italiano. Preoccupato che stesse
per aver un qualche tipo di attacco, Ludwig prese il volto
dell’italiano tra le
sue mani e gli disse pentito “Oddio, mi spiace! Mi spiace,
tantissimo!”
Vide
le labbra dell’italiano tremare e poi aprirsi per
liberare una risata bella forte.
“Ahahhahaha!
Ci hai creduto! Non ci posso credere!” disse
l’italiano tra una risata all’altra, poi
alzò un dito e glielo puntò contro il
viso “Dovevi vedere che faccia ridicola avevi quando ti ho
detto che vedevo sei
dita!”
Mentre
l’italiano rideva sguaiatamente, rischiando di
attirare l’attenzione dei turisti nella locanda, Ludwig lo
fissò senza parole,
basito. Lo aveva preso in giro. La prima sensazione che
sentì fu la rabbia e
l’indignazione. Poi però quando le vennero in
mente tutte le cose assurde a cui
aveva pensato fino a pochi minuti fa e i due sentimenti negativi si
trasformarono in sollievo. Abbozzò un sorriso e dovette
riconoscere che il
ragazzino era davvero bravo a prenderlo in giro. Come Gilbert.
“Ok.
Ti sei preso la tua vendetta. Ora però tornatene in
camera tua.”
Il
castano si alzò lentamente dal pavimento. Contorse la
schiena da una parte all’altra e poi con un sorriso gli porse
una mano: “Mi
chiamo Feliciano Vargas. Piacere di conoscerti!”
Ludwig
esitò un attimo, poi allungò anche lui una mano e
gliela strinse.
Non
poteva immaginare quanto la sua vita sarebbe
cambiata, a partire da quella notte.
Angolo
autrice: Ho riscritto il capitolo,
come avrete notato. La prima versione non mi convinceva tanto. Spero
che questa
vi piaccia.
Alcune
spiegazioni: Ludwig è un uomo sposato
che sta attraversando un periodo difficile, quindi perdonate il suo
carattere
così poco da ‘duro’. È
difficile entrare nella testa di un uomo, soprattutto
quando è sposato. Poi, nella mia storia Gilbert è
solo il fratellastro di
Ludwig. Feliciano è solo un ragazzo che si comporta come un
adolescente.