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Autore: Acinorev    23/11/2013    15 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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More than I can say

Capitolo 26

Vicki.
 
Se qualcuno – chiunque – mi avesse vista in quel momento, di certo avrebbe pensato che fossi affetta da un qualche disturbo psicologico più o meno grave. Non avrebbe potuto pensare ad un’altra possibilità, nello scontrarsi con il mio sorriso quasi inquietante che mi accompagnava ovunque, mentre pulivo il bagno e rifacevo il letto, lavavo i piatti della colazione e passavo lo straccio sui mobili della cucina.
I capelli legati in una crocchia che stava su per miracolo, una vecchia felpa di mio fratello a farmi da vestito e i calzini di lana grigia che impedivano al freddo del pavimento di raggiungermi. La musica che proveniva dallo stereo acceso e, appunto, le mie labbra inclinate all’insù inesorabilmente.
E non mi importava nemmeno: volevo sorridere, volevo improvvisare qualche imbarazzante passo di danza tra una pulizia e l’altra e canticchiare tra me e me, usando il manico della scopa come microfono. Volevo farlo perché rispecchiava a pieno il mio stato d’animo, la felicità che mi stringeva il cuore e che mi faceva sentire tanto bene da permettermi di ignorare Brian e le impronte delle sue scarpe da ginnastica all’ingresso, che avevo appena reso lucido e splendente con tanto olio di gomito.
Il merito, ovviamente e – troppo – sdolcinatamente, era di Louis. Non lo vedevo da un giorno, ormai, ma la sua assenza mi pesava meno del previsto, perché avevo ancora addosso la sensazione del suo respiro pesante su di me: la notte passata insieme all’hotel mi aveva condizionata talmente tanto da lasciarmi impresse sulla pelle tutte le emozioni che avevo provato tra quelle coperte costose e tra quelle braccia, mentre Louis si muoveva lentamente nel sonno o mi cingeva il corpo senza nemmeno rendersene conto, e mentre cercavo di capire se le sue carezze leggere e delicate fossero solo un sogno. In qualche modo, quel momento era in grado di rincuorarmi e di alleviare la mancanza che sentivo, intervallata da telefonate e messaggi ai quali mi aggrappavo con la paura di doverli perdere: certo, mi era dispiaciuto svegliarmi senza di lui al mio fianco, ma in fondo erano le due passate del pomeriggio e Louis mi aveva precedentemente avvertito dei suoi impegni per quella giornata.
Ricordavo ancora come mi fossi stiracchiata lentamente nel letto, ancora con gli occhi chiusi per prepararmi a trovare Louis accanto a me, magari con i capelli disordinati e gli occhi assonnati: e ricordavo anche come mi fossi messa a sedere di scatto, quando avevo trovato il letto vuoto. Sul suo cuscino, quello con il suo profumo, c’era solo un bigliettino scarabocchiato da una scrittura frettolosa e a tratti poco comprensibile:
 
Russavi così bene che ho preferito non svegliarti :)
Sentiti libera di ordinare la colazione o il pranzo, ho pagato in anticipo.
Buongiorno,
Louis”,
 
c’era scritto. Ed io avevo riletto quelle poche parole innumerevoli volte, attraversando stati emotivi diversi: inizialmente, l’imbarazzo per la prima frase, mentre mi chiedevo se davvero avessi russato e quindi mi fossi fatta una figura degna di me, o se mi stesse solo prendendo in giro. Poi, la curiosità di sapere cosa avesse provato lui nello svegliarsi al mio fianco e se si fosse fermato ad osservarmi, come io ero sicura avrei fatto, se fossi stata al suo posto. E infine, la gratitudine e la pura felicità dovute al suo piccolo grande gesto di galanteria affettuosa.
Tutto quello mi bastava – ancora a distanza di ventiquattro ore – a contrastare la nostalgia, e la lieve stizza che i suoi impegni di lavoro mi provocavano, nonostante io li capissi.
«Victoria, che problemi hai?»
La voce di mio fratello mi fece riscuotere e anche spaventare. Mi voltai alle mie spalle e spostai lo sguardo su di lui, che si stava sedendo sul divano. Bello come al solito e altrettanto sfaticato.
Solo a quel suo commento mi resi conto di quanto energicamente stessi spolverando la vetrinetta accanto al televisore: sbuffai e mi passai una mano sulla fronte.
«Al posto di fare lo spiritoso, perché non mi dai una mano?» lo ripresi, cercando – inutilmente – di convincerlo a muovere anche solo un dito. Ormai, dopo tutti quegli anni, ero sul punto di arrendermi alla sua pigrizia.
«Tanto hai quasi finito – borbottò, alzando le spalle e provocando in me una smorfia di disappunto divertito. – Piuttosto, hai novità di Stephanie?» chiese, cogliendomi alla sprovvista.
«Novità? In che senso?» domandai, con la fronte aggrottata.
Lui si passò una mano tra i capelli corti e sospirò. «Non so. L’altro ieri l’ho chiamata, perché volevo farle una sorpresa, ma mi ha mentito, dicendo che fosse a casa quando io ero proprio lì e il citofono suonava a vuoto. E, forse sono paranoico, ma sono abbastanza sicuro di aver sentito una voce maschile dall’altra parte della cornetta, con lei» spiegò, con lo sguardo perso sulle sue mani, come se stesse ripensando all’accaduto.
Sentii il sangue raggelarsi nelle vene al pensiero di Stephanie e Liam, che avrebbero potuto essere insieme: di sicuro sarebbe stato un buon motivo per mentire a Brian.
«E ieri ho provato di nuovo a chiamarla, ma non ha risposto – aggiunse, interrompendo le mie ipotesi. – So bene che non è affatto una ragazza semplice e che tra di noi le cose sono un po’ complicate, ma… Voglio dire, secondo te si vede con qualcuno?»
Spalancai gli occhi e il respiro mi morì in gola: sì, Brian, Stephanie si vede con qualcuno, e anche da molto tempo e alle tue spalle. Ma non potevo dirglielo, o meglio, avrebbe dovuto saperlo, ma potevo essere io la persona a rivelargli una cosa del genere?
Il tempo che usai per decidere cosa fare e le parole da usare, però, fu una risposta esauriente per mio fratello.
«Lo sapevo – sussurrò, alzandosi dal divano e assottigliando lo sguardo. – Lo sapevo» ripeté.
«No, Brian, cosa…»
«Hai esitato, Victoria. Ti conosco sin troppo bene, e non sono stupido» mi anticipò.
«Ma…»
«Da quanto tempo?» domandò, stringendo i pugni e imponendosi il contegno militare che faceva parte di lui.
«Brian…»
«Sono tuo fratello – mi interruppe, di nuovo. – Me lo devi».
Ero in trappola e lui aveva ragione. Per quanto volessi bene a quella che era la mia migliore amica, mio fratello aveva la priorità, e il suo sguardo cupo e arrabbiato mi suggeriva quanto quel sospetto lo stesse divorando dall’interno: era vero, non erano affari miei né era mio diritto o dovere intervenire, ma Brian me lo stava chiedendo con la mascella serrata ed il respiro accelerato.
Abbassai gli occhi sul tappeto che ci divideva, torturandomi il labbro. «Non dovrei essere io a dirtelo» mormorai, protestando debolmente un’ultima volta, anche se sapevo che non avrei ottenuto nessun risultato.
«Victoria – lo sentii respirare profondamente. – Per favore».
Spostai lo sguardo su di lui e quasi mi sconvolse trovarmi di fronte la sua espressione ferita ed impaziente: era come se stesse aspettando un dolore lancinante che sapeva di non poter evitare. «Un paio di mesi – dissi flebilmente, stando attenta ad ogni suo gesto, ad ogni suo movimento impercettibile. – Ma è un rapporto strano, loro… Tu eri già partito, non ti ha tradito: solo che poi sei tornato, ma… Non è niente di serio e sai com’è Stephanie, lei non è in grado di… Brian, aspetta! Dove stai andando? Brian!»
Ma mio fratello aveva già raccolto il cappotto dall’appendiabiti e si era già precipitato fuori dalla porta di casa.
 
 
Brian.
 
Sentivo la rabbia pervadermi fin dentro i muscoli.
La mascella quasi mi faceva male per quanto la tenevo serrata, mentre cercavo di mantenere la calma nel traffico londinese: mi sarebbe bastato davvero poco per perdere la pazienza, e non volevo che un autista malcapitato dovesse subire il mio pessimo stato d’animo, né che mi rubasse del tempo prezioso.
Dovevo arrivare il prima possibile a casa di Stephanie, e l’avevo giurato: se non l’avessi trovata, sarei rimasto davanti a quel portone fino a quando non l’avessi vista arrivare.
Avevo bisogno di parlare – o di urlare – e soprattutto di capire: ovviamente Victoria non era scesa nei dettagli, e io sapevo di non poter pretendere troppo da lei, ma il solo pensiero che Stephanie fosse stata con un altro mi annebbiava la vista. Era un pensiero insopportabile, per me. Ero consapevole del fatto che il nostro rapporto non fosse dei migliori, che i nostri continui tira e molla fossero esasperanti e – almeno per me – dolorosi, ma non avevo mai pensato che lei potesse trovare un’altra persona: conoscevo a menadito le sue paure e il suo carattere chiuso e riflessivo, ma mai mi era passato per la testa che avesse potuto tradirmi.
Rimuginazioni dopo rimuginazioni, mi ritrovai sotto casa sua: lasciai l’auto in doppia fila, incurante delle altre macchine che avrebbero dovuto adattarsi a quell’intralcio. Mi passai una mano tra i capelli e suonai il citofono con un po’ troppa enfasi, con l’impazienza che mi scorreva nelle vene al posto del sangue.
Stephanie, contro ogni mia previsione e speranza, rispose quasi subito. La voce scocciata da quell’intrusione al limite dell’educazione. «Ma chi è?» sbottò, mentre quel suono leggermente metallico mi feriva per il semplice fatto che provenisse da lei.
«Sono Brian – dissi duramente, chiudendo gli occhi per un attimo. – Fammi salire».
«Brian? Cosa ci fai qui?» chiese subito. Il suo tono stupito non mi sorprendeva più di tanto, dal momento che non sapeva della mia presenza a Londra, ma il solo pensiero che potesse essere con quel ragazzo anche in quell’istante mi faceva innervosire ancora di più.
«Dobbiamo parlare, apri» ribattei, incurante delle sue domande.
Lei non rispose, limitandosi ad accogliere quella mia richiesta imperativa: chissà se immaginava il motivo della mia foga e di quella mia visita inaspettata. Chissà se il senso di colpa la divorava come la sofferenza stava facendo con me, o se in realtà di me non le importava nulla.
Salito fino al terzo piano, trovai Stephanie sull’uscio della porta, in tuta e con i capelli castani sciolti sulle spalle. Era più bella di quanto ricordassi.
Senza dire una parola, si fece da parte per permettermi di entrare, ed io aspettai un paio di secondi prima di votarmi verso di lei e guardarla negli occhi. Dopo tanto tempo e così dolorosamente.
«Che succede? Quando sei tornato?» chiese, tirandosi sulle mani le maniche del maglione blu. Aveva le labbra leggermente secche e l’espressione confusa.
«Ho bisogno di sapere la verità, Stephanie» le risposi. Non avevo tempo per i convenevoli, perché non sapevo per quanto tempo avrei sopportato tutta quella voglia di sapere e tutta quella gelosia.
«La verità? – sussurrò, con la fronte corrugata. – Quale… Quale verità?»
«Non prendermi per il culo! – sbottai, facendola indietreggiare di un passo. – Chi è lui?»
La osservai impallidire, a quella mia domanda, e sperai con tutto il cuore che avesse una buona giustificazione, che avesse delle parole da riservarmi che avrebbero potuto rincuorarmi, alleggerirmi il petto.
«Come sai di…»
«Stephanie, per favore – la interruppi, con più calma, sospirando esasperato. – Per favore, ho solo bisogno della verità».
Aspettò qualche secondo, prima di rispondere. Lo sguardo colpevole e – forse era solo una mia illusione – sofferente. «Non ha importanza chi sia».
«Hai ragione. È più importante che tu mi abbia mentito per tutto questo tempo, come se fossi uno stupido!» Stavo lasciando andare la mia rabbia, iniziando ad alzare la voce sempre di più.
«Non urlare con me!»
«E tu sii sincera, una buona volta!»
Il mio petto si alzava e si abbassava velocemente, e lei mi era davanti in tutta la sua bellezza, che continuava a distrarmi e a farmi più male. Non potevo guardarla e non pensare a quale parte del suo corpo quel ragazzo – chiunque egli fosse – non avesse toccato, quale parte fosse ancora mia: la gelosia mi impediva di pensare lucidamente, di avere pazienza.
«Cosa vuoi sapere?» chiese flebilmente, abbassando lo sguardo. Rilassai le spalle, a disagio: cosa volevo sapere? Cosa mi aspettavo?
A me non interessavano i dettagli. «Perché» dissi soltanto, stringendo i pugni e senza distogliere nemmeno per un secondo lo sguardo dal suo viso. Non era una domanda, ma una pretesa.
Quando incontrò di nuovo i miei occhi, non rispose immediatamente. «Lo sai perché.»
«No, Stephanie. Non lo so.»
«Ma cosa vuoi che ti dica, Brian? – Questa volta fu lei ad alzare la voce, insieme alle braccia, probabilmente per il nervosismo. Il muro di compostezza di Stephanie veniva meno nei modi più imprevedibili, soprattutto quando lei non avrebbe voluto. – Che spiegazioni vorresti? Io non te ne devo! Non ho il dovere di dirti quanto mi faccia male sapere che quando torni è solo per pochi giorni, quanto mi faccia male non avere il controllo di quello che provo! E no, non ti ho tradito, se è questo quello che vuoi sapere! Sono stata con Liam mentre tu non c’eri e mentre tra di noi non c’era niente, perché non sopporto la tua mancanza! Sei contento? Sei soddisfatto, adesso?!»
Spalancai gli occhi e boccheggiai qualcosa, stordito da tutte quelle verità arrivate in una sola volta. Non mi stupivano, se dovevo essere sincero, ma era inconcepibile per me pensare che lei fosse stata tra le braccia di un altro – di questo Liam – solo per non sentire la mia mancanza, solo per non sentirsi sopraffare dai suoi sentimenti. E, come sempre, lei non era capace di verbalizzare le sue emozioni a dovere.
«Tu mi hai mentito! – ribattei, irato. Avevo sperato in una smentita delle mie accuse, per quanto fosse una speranza puramente illusoria, ma niente. – Io sono sempre tornato da te, sempre, e Cristo Santo, quante volte tu eri appena stata con lui?!»
«Quante volte invece tu non ci sei stato?!»
«Non provarci. Non provare a dare la colpa a me o alla Marina! Dal primo momento sapevi quello a cui stavamo andando incontro, sapevi che il mio lavoro mi avrebbe portato via per mesi, quindi non venirmelo a rinfacciare!»
«Ma non sapevo cosa avrei provato per te! Non sapevo quanto avrebbe fatto male, quanto lo avrei odiato!»
«E cosa provi per me? Cosa provi di tanto forte da spingerti nel letto di un altro?!»
Il suo piccolo appartamento cadde nel silenzio. Le nostre urla continuavano a rimbombarmi nella testa, e lei aveva gli occhi lucidi e stanchi, ma mai quanto i miei.
Aspettai che dicesse qualcosa, aspettai che mi desse una risposta che mi avrebbe potuto aiutare a perdonarla e a risolvere la situazione. Ma non parlò.
«Non riesci nemmeno a dirlo – esclamai flebilmente, inumidendomi le labbra. – O forse non puoi farlo, perché non provi nulla».
«Tu non sai niente» ribatté a denti stretti, come se si sentisse oltraggiata.
«No, tu non sai niente! Mi rinfacci tutto il tuo ipotetico dolore, ma cosa ne sai del mio? Ti sei mai fermata a pensare cosa significasse per me tutto questo? Cosa credi che abbia provato, io, ogni volta che ti ho dovuta lasciare qui, partire e tornare dopo chissà quanto tempo? Ogni volta che tu mi ha dai detto di non potercela fare? Ogni volta che mi accettavi di nuovo, solo per poi tirarti indietro per l’ennesima volta? Hai mai smesso di essere così egoista, anche solo per un secondo?! Come pensi che stia io, ora che ho scoperto quanto la ragazza che amo mi abbia preso per il culo?!»
Avevo detto troppo. Non volevo che lei sapesse dei miei reali sentimenti, nonostante il motivo del mio ritorno fosse proprio quello, non dopo quello che avevo appena scoperto e non in quel modo.
La vidi muoversi impercettibilmente verso di me, con una lacrima sulla guancia destra e le labbra socchiuse. La vidi vacillare sotto il peso della mia verità e – probabilmente – sotto la consapevolezza di aver sbagliato.
E la vidi abbassare il capo e rilassare i muscoli, percorsa da un singhiozzo sommesso.
Non potevo guardarla piangere, né avrei avuto le forze per farlo.
Chiusi gli occhi per qualche secondo e serrai la mascella, di nuovo.
Conoscevo abbastanza bene Stephanie da sapere che non mi avrebbe risposto, che avrebbe tenuto tutto dentro, pur di non mostrare un po’ della sua debolezza: così, con le mani che tremavano per la rabbia e per la voglia di accarezzarla per rassicurarla, la superai e uscii dall’appartamento. Il più in fretta possibile e tornando a respirare l’aria che la sua presenza mi sottraeva.
Come previsto, lei non mi fermò.
 
 
Harry.
 
Lux era sulle mie ginocchia, giocherellando con il cibo che in realtà avrebbe dovuto mangiare. Lou e Tom, alla mia destra, la guardavano con l’arrendevolezza che i genitori devono sapere accettare, e sorridevano quando la bambina si portava sul viso le manine sporche di sugo, parlottando in una lingua ancora poco definita.
Liam, a capotavola, scriveva qualcosa al telefono dopo aver fatto una foto alla piccola: probabilmente aveva intenzione di pubblicarla su uno dei social network ai quali era iscritto, dato il sorriso divertito che gli irradiava il volto.
Niall, che occupava l’altro posto a capotavola, continuava a passarsi le mani tra i capelli per l’agitazione: a stomaco decisamente pieno – dopo la cena regale che aveva appena consumato -, ormai non poteva non pensare alla serata che lo aspettava con la sua Rosie. A quanto pareva era riuscito a strapparle un appuntamento, e – nonostante le nostre raccomandazioni riguardo la sua onestà – parlava di lei come se avesse trovato qualcuno per cui sorridere di nuovo, qualcuno che “ve lo giuro, è quasi più divertente di Louis”. Ed io ero felice per lui, perché mi sentivo in colpa per la sua sofferenza riguardo ad Abbie e a tutta quella situazione che andava avanti ormai da anni, e perché era uno dei miei migliori amici: vederlo impaziente e incapace di stare fermo sulla sedia del ristorante per un appuntamento con una ragazza, rallegrava anche me.
Louis non c’era. Mentre si preparava per uscire, poco prima che io mi incontrassi con gli altri per andare a cena, avevo pensato che dovesse vedersi con Vicki: invece mi aveva stupito, confessando in un borbottio nervoso che aveva intenzione di parlare con Eleanor. Io avevo sorriso e l’avevo preso per il culo, fondamentalmente, perché era tanto testardo da dover sempre prolungare i tempi e rendere tutto più difficile di quanto non fosse, mentre io gli avevo ripetuto miliardi di volte che avrebbe dovuto mettere fine alla sua pseudo-relazione con El già da molto tempo. Non sapevo come si fosse evoluta la sua serata nei dettagli, ma avevo ricevuto un suo messaggio, con scritto un riduttivo “Tutto ok.” che però era più eloquente di mille altre parole.
Di fronte a me, Paul e Josh, gli unici che avevano potuto unirsi a noi per quel piccolo ritrovo a metà tra una rimpatriata e un quotidiano ritrovo tra amici, e, alla loro destra, Zayn ed Abbie.
Abbie era meravigliosa, quella sera: i capelli neri come la notte ormai le superavano le clavicole candide e sporgenti, mentre gli occhi vitrei e sempre attenti non potevano evitare di soffermarsi su di me anche solo distrattamente. Per tutta la cena l’avevo osservata anche sfacciatamente in ogni suo più piccolo movimento, facendola a volte sbuffare: le sue labbra sottili e rosee erano un impellente richiamo per me, così come la sua pelle. Addirittura, ero arrivato ad ingelosirmi della vicinanza di Zayn, della sua possibilità di sfiorarla e di prenderla in giro, di metterle una mano sulla schiena magra e di farla ridere. Per quanto fossi a conoscenza del loro rapporto, per quanto fossi felice che Zayn stesse finalmente riacquistando il suo vero sorriso, non potevo fare a meno di serrare la mascella ad ogni parola che si scambiavano: ormai non potevo più nascondere il mio bisogno di Abbie. Ero arrivato al limite.
Per questo, quando lei si alzò dal tavolo, nei suoi skinny jeans chiari e nel suo maglione largo di un marroncino indefinito, la seguii con lo sguardo e poi anche fisicamente: mentre lei si allontanava per andare in bagno, infatti, io cercavo di racimolare il coraggio per parlarle o per baciarla. Aspettai qualche minuto, respirando profondamente, poi sorrisi a Lux, che stava cercando di impiastrarmi i capelli con le sue mani unte, e la misi in braccio a Tom, scusandomi.
Zayn mi lanciò un’occhiata comprensiva, sorridendomi subito dopo come se avesse voluto incoraggiarmi a fare ciò che sapeva Abbie stesse aspettando da tempo. O forse era solo quello che speravo.
Mi schiarii la voce e salutai distrattamente un cameriere che passava da lì, mentre mi dirigevo verso i bagni: una signora mi guardò con un sopracciglio alzato e scettico, mentre sbagliavo di proposito bagno, entrando in quello contrassegnato da una donna poco stilizzata.
Trovai Abbie nel piccolo anti-bagno che precedeva la cabina vera e propria: si stava asciugando le mani, con forse fin troppa forza. Io approfittai della sua distrazione per chiudere la porta a chiave dietro di me, ma allo scattare della serratura lei si voltò verso di me e mi fulminò con lo sguardo.
«Che stai facendo?» chiese, con il solito tono duro che usava per proteggersi. Eppure la sua voce aveva tremato e i suoi occhi erano su di me come se non avessero potuto farne a meno.
Avevo la gola secca e le mani fredde per l’agitazione, ma il mio cuore mi impediva alcun tipo di ripensamento: ero pronto. Lo era anche lei.
Feci un passo in avanti ed inspirai profondamente, osservando ogni particolare del viso di Abbie.
«Harry» mi richiamò, cercando di indietreggiare, ma finendo con il bacino contro il ripiano del lavandino.
«Quando ci siamo conosciuti, avrei dovuto fare qualcosa, dopo quel nostro bacio – cominciai, mentre le sue iridi vacillavano impercettibilmente a quel ricordo. – E forse tu avresti dovuti dirmi la verità, dirmi che lo volevi quanto me. Quando Niall ha iniziato a provare interesse per te, avrei dovuto combattere di più per averti accanto, al posto di darmi dello stupido e di vederti andare via. Avrei dovuto ammettere che tu non eri solo un capriccio e che sì, ero disposto a farmi da parte per darti quello che meritavi, per darti Niall, ma che faceva male da far schifo. – Strinsi i pugni e guardai le sue labbra schiuse, stupite e forse un po’ confuse. – E tu avresti dovuto essere meno orgogliosa, a-»
«Harry, dove vuoi arrivare?» chiese in un sussurro, a metà tra il nervoso e l’impaziente. Potevo vedere come stesse stringendo il bordo del ripiano in marmo tra le mani. Sembrava attenta a mantenere quella minima e fastidiosa distanza che ci separava.
Mi inumidii le labbra e sospirai. «Dalla prima volta che ci siamo visti, abbiamo sbagliato entrambi: l’abbiamo sempre fatto. Per un motivo o per un altro, non abbiamo mai affrontato le cose nel modo giusto, siamo sempre fuggiti e ce ne siamo sempre pentiti. E hai ragione, con Alice io mi sono comportato da egoista, da stupido e da illuso, senza pensare alle conseguenze e soprattutto senza fermarmi a riflettere su quali fossero davvero i miei sentimenti, ma potremmo rimanere qui ad elencare tutti i miei sbagli e subito dopo tutti quelli che hai commesso tu: sono sicuro che la lista sarebbe infinita. Non sto cercando di giustificarmi, anzi, ti chiedo scusa per ogni stronzata che ho fatto e anche per tutte quelle che farò, però dimmi soltanto che senso avrebbe: che senso avrebbe continuare ad aggrapparci agli errori che abbiamo fatto? Dimmelo, Abbie, perché io davvero non ne trovo uno. – Un’altra pausa. - Ogni giorno che passa non riesco a non pensare a quanto tempo noi due abbiamo sprecato, comportandoci sempre così: arrabbiandoci, urlando e mettendo di mezzo il nostro orgoglio, pronti a rinfacciarci ad ogni occasione il nostro passato, una parola di troppo o un gesto di meno. Ed io sono stanco di sprecare tutto questo tempo, di non averne per te.»
Inspirai profondamente e mi avvicinai ancora di più a lei. I suoi occhi erano spaventati, ma non mi stavano rifiutando: erano semplicemente in attesa. I nostri visi si sfioravano e sentivo le mie mani tremare, mentre le appoggiavo ai lati del suo corpo, vicino alle sue, su quel ripiano in marmo.
«Voglio ricominciare ed essere sincero. Voglio commettere altri mille sbagli, ma con te al mio fianco e per te. E voglio poterti dire che ti amo, perché, cazzo Abbie, io ti amo da far male.»
Il silenzio nei pochi metri quadri in cui ci trovavamo era assordante, soprattutto perché aspettavo con ansia una sua parola, persino un suo sospiro: ma lei si limitava a guardarmi negli occhi come se mi stesse ancora ascoltando parlare, e, proprio mentre credevo di doverla spronare a dire qualcosa – il cuore che si ribellava nel mio petto per quei sentimenti che covavo dentro da troppo tempo e che finalmente ero riuscito ad ammettere ad alta voce -, Abbie appoggiò la fronte sul mio petto e spostò le mani per afferrare la mia camicia a quadri con forza.
Spalancai gli occhi e per un attimo guardai la mia immagine riflessa nello specchio di fronte a me: sentivo il suo respiro su di me e mi chiedevo se stesse pensando di uccidermi o se provasse qualcosa di simile a quello che stava mi sconvolgendo in quel momento.
Ero così stanco del nostro continuo prenderci e lasciarci, ma mai per davvero: ero stanco di lasciare che tutti i nostri sentimenti rimanessero sottintesi e che il nostro rapporto fosse sempre così in bilico. Volevo avere Abbie, stringerla e poterla baciare: dopo tutto quel tempo, volevo finalmente e semplicemente stare con lei. Con il suo orgoglio e la sua presunzione, con i suoi sorrisi maliziosi e le carezze esitanti, con i suoi occhi che mi intimidivano e la sua pelle delicata.
«Sei uno stupido» mormorò soltanto, stringendo un po’ di più la stoffa nei suoi piccoli palmi.
Vederla così fragile e a corto di parole mi distruggeva e allo stesso tempo mi rincuorava, perché la conoscevo e sapevo che si sarebbe fatta vedere da me in quello stato solo se ne fosse valsa la pena.
Le accarezzai un braccio con le dita, lentamente, e maledissi il maglioncino che mi divideva dalla sua pelle nuda. Respiravo tra i suoi capelli. Respiravo il suo profumo.
«Abbie.»
Il mio fu un richiamo quasi inudibile, spontaneo: non sapevo esattamente cosa le stessi chiedendo, ma lei alzò il capo e tornò a guardarmi negli occhi.
Ebbi appena il tempo di accorgermi di quanto i suoi fossero arrossati, ma tutto fu scalzato via dalla sue labbra sulle mie, delicate. Abbassai le palpebre e con una mano sulla sua schiena la spinsi ancora di più contro il mio petto, come se avessi potuto tenerla più vicina di quanto già non fosse. E con un sospiro di sollievo trattenuto a stento, la baciai, finalmente.
Dopo quasi due anni, potevo di nuovo sentire le sue dita magre percorrere il mio collo e stringere i miei capelli. Sentire il suo respiro sul mio viso e il suo corpo rabbrividire. Godere del suo calore e morderle un labbro solo per il gusto di farla indispettire e poi sorridere.
Come avevo fatto a sopravvivere per tutto quel tempo senza di lei? Ad averla tanto vicina e allo stesso tempo così irraggiungibile?
Mi resi conto, in quel preciso istante, che non avrei permesso a niente e nessuno di dividerci di nuovo, perché non sarei stato in grado di sopportarlo, non un’altra volta.
Abbie baciò di nuovo le mie labbra, spostandosi poi verso la mia mascella per arrivare al mio orecchio: mi mancava il respiro e mi sentivo sprofondare ad ogni contatto che mi regalava, come se avessi potuto morirne se non avessi fatto attenzione.
Avevo le braccia intorno alla sua schiena sottile e gli occhi chiusi per paura di doverli riaprire e accorgermi che fosse tutto frutto della mia immaginazione. «Io, invece, avrei dovuto dirtelo subito – cominciò flebilmente, facendomi rabbrividire mentre le sue labbra mi sfioravano l’orecchio. – Dal momento in cui me ne sono resa conto, avrei dovuto dirti che ti amo, Harry. Più di quanto riesca a dire».
 
 



ANGOLO AUTRICE aka I’M SORRY
 
Lo so che sono in ritardo, lo so! Però, alcune di voi sanno anche perché!
Ho scritto uno stato di spiegazioni su Facebook, quindi vi consiglierei di dare un’occhiata!
Nel caso non aveste Facebook, posso dirvi che in poche parole mi manca il tempo
per scrivere! Tra l’università, lo studio e gli altri impegni, è un enorme casino!
In compenso, ho superato quel piccolo blocco di idee al quale avevo accennato su Fb (:
Detto questo, spero che capirete se i capitoli non saranno puntuali o in anticipo come sempre!
Poi, passiamo a questo, di capitolo: Brian scopre di Liam e BAM! Esplode!
Poveretto, mi è dispiaciuto scrivere di lui in questi termini, e so già che alcune di voi
odieranno Stephanie hahaha Non sta simpatica a tutte e credo che dopo questo capitolo
continuerete a pensare che sia un po’ frigida ed egoista: in realtà è solo spaventata
e incapace di vivere ciò che sente! Ma lascio a voi i commenti (:
Poi, ABBIE ED HARRY!!!!!!!!!! Finalmente ahhahaah Santo cielo, ci hanno messo due storie,
56 capitoli e praticamente un anno e mezzo per mettersi insieme hahahaha
Ammetto che loro due mi piacciono moltissimo, ora posso dirlo liberamente! Forse io
ci faccio eccessivamente caso, ma credo che tra tutti, il loro sentimento sia il più vero e il più forte.
Semplicemente perché è dato da esperienze di tutti i tipi che hanno vissuto insieme,
sono stati amici e nemici, hanno litigato e sono diventati indispensabili l’uno per l’altro,
senza fisicità e senza la passione che spesso contribuisce in queste situazioni, senza essere una coppia!
Non so se mi sono spiegata, ma vabbè ahhaha In ogni caso, spero non vi sia dispiaciuto il modo
in cui si sono riappacificati: Harry è stanco di tutto quel tira e molla e, nonostante
abbia commesso i suoi errori, ha ragione nel dire che continuare ad elencarli non avrebbe portato a niente!
Abbie questo lo sa, ma è molto orgogliosa e permalosa, quindi…
Insomma, fatemi sapere cosa ne pensate! Spero qualcosa di buono ahhaha
E infine, Vicki e Louis: Louis ha finalmente parlato con Eleanor!!!!! Stappate lo champagne!!!!
Ah, non ho rappresentato il mattino in hotel per ragioni di tempistiche con i capitoli
e bla bla bla, ma spero che non vi sia dispiaciuto! Ci saranno altre occasioni :))
Ok, credo di aver detto tutto: vi avverto, il prossimo capitolo è il tanto atteso POV ZAYN!
Posso dirvi che per me sarà difficile scriverlo, quindi abbiate pietà, ma cercherò
in tutti i modi di non deludervi, anche perché ci tengo molto anche io (:

Grazie mille per tutto! Come sempre sapete come incoraggiarmi e come essere oggettive!
Vi ammiro molto per questo e ve ne sono riconoscente!
Buona serata e grazie ancora <3333


 
 
  
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