Fanfic su artisti musicali > The Quireboys
Segui la storia  |       
Autore: EllieMarsRose    24/11/2013    1 recensioni
[The Quireboys]
[The Quireboys][The Quireboys]Blu; il colore profondo di quegli occhi che osservano il mondo. Che vedono la vita dispiegarsi in un modo odioso, a tratti inaccettabile.
Spike si separa dal suo grande amore e sembra non volersi più appassionare a nulla.
Ma i suoi amici gli insegneranno a rimanere a galla, nonostante la vita voglia a tutti i costi voltargli le spalle.
...
Spike guardò l'amico ravvivarsi i capelli rossi: «Leah mi diceva sempre che l'essenziale è invisibile agli occhi»
«Aveva torto» Tyla si rigirò fra le mani la bottiglia di Chardonnay «io l'essenziale l'ho sempre trovato qui dentro»
(cit. capitolo #5 "Pianto")
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
03 Smacco

A Lione la luce era a dir poco abbagliante. Spike si pentì amaramente di non essersi portato gli occhiali da sole e fu costretto a coprirsi gli occhi blu con la mano destra, mentre con la sinistra si caricava in spalla lo zaino con quella poca roba che gli sarebbe servita per sopravvivere in quella città trentasei misere ore. Si guardò intorno, cercando di interpretare i vari cartelli scritti in francese: «Dobbiamo trovare un mezzo che ci porti in centro città».

Tyla si passò una mano in mezzo ai capelli rossicci e si accese una Marlboro: «Più che trovare un mezzo, bisogna scovare qualcuno, dato che siamo d'accordo che dobbiamo spendere il meno possibile». Inforcò gli occhiali da sole ed indicò due ragazze che stavano caricando delle valigie in macchina: «Loro, per esempio».

Spike arricciò il naso: «Credo che non sia una grande idea». Tyla lo fissò stranito da dietro le lenti scure dei Ray Ban, aspirando deciso dal filtro, in cerca di spiegazioni. «Insomma, metti che Leah mi vede arrivare sotto il suo appartamento e scendo dalla macchina su cui ci sono due ragazze, che figura ci faccio?».

Tyla sputò il fumo ridacchiando e fece cadere a terra il mozzicone della sigaretta: «La figura di quello che se la sa sbrigare e che sa fare economia». Fece due passi, poi si voltò a guardare l'amico: «Vuoi seguirmi oppure preferisci fartela a piedi fino in centro?».

Spike abbassò lo sguardo e seguì lo sventolare ritmico della giacca indaco dell'amico. Ripensò alla fatica che aveva fatto per chiedergli di seguirlo in Francia; provava una vergogna infinita, si sentiva debole e vulnerabile. Eppure, Tyla non aveva esitato ad accettare.


♫♫♫


Quella sera lui, Guy e gli altri Quireboys erano entrati al Dark Crimson Velvet curiosi di vedere se sette mesi in Finlandia fatti di registrazioni, pubblicazione di un album, un singolo in classifica e concerti avevano cambiato l'atteggiamento dei loro amici Dogs. “Secondo te si saranno montati la testa? Saranno cambiati tanto?”. Spike osservava gli amici discutere fra loro senza spiccicare parola: penso che se Tyla e gli altri fossero cambiati, potrei veramente andarmene via sbattendo la porta. È l'ultima cosa di cui ho bisogno ora. Nel giro di pochissimo tempo erano già mutate troppe cose, ci mancava solo che, oltre a Leah, anche Tyla si fosse allontanato da lui. Possibile che, quando tutto sembra andare perfettamente, sempre ed immancabilmente, qualcosa debba incrinarsi o rompersi in modo irrimediabile? Non sarebbe tutto più facile se ciò che ci fa star bene fosse “immobile”? Sospirò senza farsi sentire, percependo i propri occhi farsi più umidi; alzò lo sguardo e si trovò di fronte all'ingresso del pub. Vide uno dopo l'altro Guy, Chris, Nigel e Cozy entrare nel velluto cremisi e bearsi dell'atmosfera che quel posto trasmetteva; lui, invece, rimase per un attimo titubante attaccato al maniglione della porta in noce indeciso sul da farsi. Si sentiva come il primo giorno di scuola di prima elementare, quando il cuore gli batteva così forte che stava per sputarlo in faccia alla maestra ed aveva pregato sua madre di riportarlo a casa. Poi vide Julie andargli incontro con uno dei suoi migliori sorrisi: «Ehi Jon, c'è Tyla che ha già chiesto di te. Dice che vorrebbe fare una bella partita di biliardo come ai vecchi tempi».

Spike, un po' più sollevato, decise di dirigersi verso la “Pool room” del Dark Crimson Velvet, dove poco prima erano entrati gli altri; come aprì la porta, fu investito dal suono di risate e voci amiche. Il primo che gli andò incontro fu Bam, che gli mollò una sonora pacca sulla spalla: «Sempre smilzo come al solito, eh Spike?».

Tipica frase di Bam; il ragazzo sorrise e gli restituì il colpo: «Allora Cavernicolo? Tutto bene?».

In men che non si dica, Spike fu raggiunto anche da Jo Dog e Steve; ci furono altri scambi di battute ed il ragazzo, lentamente, iniziò a sentire la propria tensione sciogliersi. Ma i muscoli gli si distesero totalmente quando vide una nuvoletta di fumo innalzarsi verso la lampada centrale; Tyla era seduto sul bordo del tavolo da biliardo con le gambe a penzoloni ed una bottiglia di whisky stretta nella mano sinistra. Smise di respirare per un momento quando lo vide alzarsi ed andare verso di lui. Quando gli arrivò a pochi centimetri, Tyla alzò la mano destra in cui stringeva la sigaretta; di riflesso Spike alzò la sua ed i due si scambiarono un cinque che fece tremare i muri del locale seguito da un potente abbraccio. «Sei sempre il solito bastardo!» si urlarono a vicenda, scrutandosi come se fossero millenni che non si vedevano. Passarono tutta la serata insieme a raccontarsi cosa avevano fatto in quei sette mesi che non si erano visti, in modo particolare Tyla raccontò delle varie avventure vissute in mezzo a renne, gelo e ragazze che parlavano una lingua incomprensibile. Quando suonò la campanella dell'ultimo giro, i ragazzi si salutarono ed iniziarono ad uscire dal pub; solo Spike fu trattenuto da Tyla: «Oh, dobbiamo ancora farci la nostra partita. Tua sorella mi ha detto che se ci tratteniamo qui anche dopo la chiusura, finchè c'è lei, non ci sono problemi».

Così i due scelsero le stecche, passarono il gesso sulle punte e cominciarono la loro partita a Palla 8.

«Allora» Tyla si accese l'ennesima sigaretta della serata mentre posizionava le biglie al centro del tavolo «mi sembri un po' teso, Spike».

Il ragazzo si chinò sulla sponda e spaccò il triangolo: «Si nota tanto?»

«Abbastanza, guarda che colpo da femminuccia che hai fatto» Tyla si scostò una ciocca rossiccia studiando il tappetino verde «vediamo se riesco a buttare la 2 in buca».

Spike sospirò ed anche lui si accese una sigaretta: «Sai, non volevo accennarti il discorso mentre c'erano qui anche tutti gli altri, avrei rovinato la festa. Però... ho dei problemi con la mia ragazza. Se n'è andata a Lione».

Tyla grugnì per il tiro non andato a segno, poi guardò l'amico negli occhi: «Se non me ne hai mai parlato, significa che con questa ci esci da poco» fece una pausa per aspirare dal filtro «e se mi dici che ci sono problemi, anche se non è molto che la vedi, vuol dire che tu a lei tieni molto e lei non tiene per un cazzo a te».

Spike sentì il proprio sangue ghiacciarsi; incredibile... anche a Tyla non piace, pur non avendola mai vista. Possibile che io sia il solo che vede del bello in lei? Iniziò a tremare per il freddo che sentiva in sé, ma cercò in tutti i modi di non darlo a vedere. Si chinò sul tavolo stringendo fra i canini la Lucky Strike e cercò di deviare i suoi pensieri da Leah verso la biglia numero 10.

«Scommetto che non vi sentite al telefono da giorni ormai. E tu non puoi chiamarla perchè sei quasi a bolletta».

Spike cominciò a sentire sempre più i nervi a fior di pelle mentre gocce di sudore freddo prendevano ad inumidirgli la bandana legata in fronte. Tranquillo Spike, tranquillo. Caricò il colpo.

Tyla continuò il suo discorso con la violenza di un uragano: «Hai paura che lei abbia un altro?».

Quelle parole lo colpirono come lame affilate; Spike perse completamente la concentrazione e strisciò per dieci centimetri la punta della stecca sul tappetino verde, colpendo di sbieco la biglia.

«Oh, cazzo! Hai rovinato il tavolo!» aveva starnazzato Tyla come una gallina, ma Spike sembrò non preoccuparsene minimamente.

Lasciò la stecca appoggiata alla sponda e con il capo chino si sedette sulla panca appoggiata alla parete in legno. Fissava l'amico attraverso il fumo della sigaretta che teneva fra le labbra; aveva un che di mistico. Tyla riusciva sempre a capirlo facendogli una domanda sola, secca e diretta. Lo studiò mentre spegneva il mozzicone nel posacenere con quei capelli un po' castani ed un po' rossicci che si muovevano rischiarati dalla luce giallastra della lampada centrale. Spike sospirò, sentendo l'agitazione impadronirsi dei suoi muscoli: «Tyla...»

«Non possiamo non dirlo a tua sorella» l'amico scuoteva il capo guardando il biliardo.

Il ragazzo alzò gli occhi blu al soffitto: «Lascia perdere il tappetino, cazzo! Non è fondamentale»; cercò di prendere fiato per fargli la domanda. Aveva terrore di ottenere un rifiuto.

Ma proprio mentre avvicinava il filtro alle labbra per infliggere il colpo di grazia alla paglia al fine di darsi ancora un po' di coraggio, Tyla gli disse lapidario: «Comunque ci sto, non importa se dovrò rifare di nuovo le valigie. Fammi sapere quando puoi prenderti dei giorni di ferie».


♫♫♫


E così, circa una settimana dopo, erano finiti su quella Citroen, dove le due ragazze avevano tentato di raccontar loro in un inglese sgangherato che erano state in vacanza a Dresda per “studiare i comportamenti dei tedeschi dell'est”. Spike seguiva la conversazione con il massimo disinteresse, seduto sul sedile posteriore e guardando fuori dal finestrino il paesaggio scorrere veloce davanti agli occhi; ogni tanto annuiva o mugolava in segno di assenso, ma più si avvicinavano al centro, più gli tremavano le gambe e gli sudavano le mani. Aveva una voglia matta di vedere Leah, di sentire la sua voce ed assaporare il suo profumo. Alla fine, le ragazze li lasciarono in una piccola piazza adiacente all'indirizzo che avevano loro dato e se ne andarono salutandoli con un fazzoletto arancione.

«Molto, molto carine» Tyla ammiccò da dietro le lenti scure, agitando lievemente la mano in aria in direzione dell'auto.

Spike non gli diede per nulla ascolto; fece scorrere il proprio sguardo sulle pareti degli edifici che circondavano la piazza, finchè non intravide il cartello che indicava la via dove si trovava l'appartamento di Leah. Il numero 54 era situato piuttosto all'inizio, fra un piccolo bar frequentato da universitari ed un fiorista. Il ragazzo ripiegò il foglietto e se lo mise nella tasca dei jeans, studiando le rose che facevano capolino dai vasi enormi del negozietto.

«Se vuoi fare una cosa dolce, comprale una rosa rossa» Tyla gli parlava mentre si accendeva una sigaretta, studiando la facciata del palazzo «una sola, non tre e nemmeno cinque. È un gesto molto significativo, fidati».

Spike abbozzò un sorriso: «Grazie» e setacciò le proprie tasche alla ricerca di qualche franco da snocciolare al commesso per avere uno di quei fiori.

Il ragazzo lo vide rigirarsi fra le mani la rosa e poi aprire il portone con fare titubante; gli alzò il pollice per rassicurarlo e tirò l'ultima boccata alla sigaretta, guardandolo sparire su per le scale.

Spike imboccò la rampa, annusando l'aria stantia e maleodorante di quel posto rischiarato a malapena da una finestra grande quanto una feritoia; era così teso che faceva fatica ad alzare le ginocchia per salire gli scalini. A metà si fermò, cercando di rilassarsi e di ricordarsi come si faceva a respirare, senza però ottenere risultati apprezzabili. A che piano sarà l'appartamento? È l'unica informazione che non c'è scritta sul foglietto. Riprese a salire in punta di piedi, raggiungendo il primo pianerottolo: Potrei suonare tutti i campanelli, ma che figura ci pianto? Non so una parola di francese e...

Proprio mentre la rosa stava per scivolargli via dai polpastrelli, talmente erano sudati, una ragazza dai capelli neri, che stava per uscire dall'appartamento di fronte a lui, lo bloccò: «Mais... tu es Jean Charles!».

Spike strabuzzò gli occhi e fissò la rosa rossa: non vorrà mica rubarmi il fiore questa qui!

«Que belle fleur!» La ragazza gli sorrideva sinceramente «Tu l'as acheté pour Leah, c'est ça?».

Il ragazzo rimase a fissarla con gli occhi fuori dalle orbite; aveva detto Leah? Sì, con accento smaccatamente francese, ecco perchè non ci sono arrivato subito. Doveva comunicare con la ragazza, forse era la sua coinquilina; cercò di cavarsela con il linguaggio dei gesti e l'unica parola che sapeva di quella lingua straniera: «Leah... oui, oui»

«Oh, merveilleux!» la bruna prese Spike per il polso e lo scaraventò letteralmente dentro l'appartamento, rischiando di farlo cadere con la faccia a terra «Elle va arriver en vingt minutes! Tu peux l'attendre ici!».

Non capiva una sola parola di ciò che la ragazza gli stava dicendo, però era certo che lei fosse la coinquilina della sua ragazza, quindi si limitò ad annuire e a sorridere.

«Alors, je m'en vais» la bruna infilò le chiavi nella toppa «bonne chance, Jean Charles! À bientôt». Chiuse la porta con decisione e diede due giri di chiave.

Spike, piuttosto frastornato, si ritrovò solo in una casa che non aveva mai visto. Fissò per un secondo la rosa rossa che stringeva fra le dita e poi, in punta di piedi, cominciò a girovagare per l'appartamento; senza nemmeno farlo apposta, la prima porta che aprì fu proprio la camera da letto. Nella luce morbida che penetrava dalle tende rosa appena scostate, due letti sfatti erano posizionati l'uno di fianco all'altro, separati da un piccolo comodino di legno chiaro. Sulla moquette regnava il caos più completo: scarpe spaiate erano accantonate l'una sull'altra, circondate da magliette spiegazzate, braccialetti ed altra chincaglieria femminile. Spike aggrottò le sopracciglia: sapeva che Leah non era esattamente ordinata, ma non si aspettava che fosse così incasinata. Studiò i letti e cercò di capire quale fosse quello della sua ragazza; si guardò le spalle per controllare che non ci fosse nessuno a spiarlo, poi si chinò sul guanciale del letto di sinistra. Immerse il naso nella federa e respirò a pieni polmoni; poteva sentire nitidamente il profumo fruttato dei suoi capelli incastrato nelle fibre di cotone. Di riflesso il suo cuore cominciò a palpitare; desiderava incontrarla più di ogni altra cosa ed il fatto di doverla aspettare, per non si sa quanto tempo, chiuso in quell'appartamento, lo faceva uscire pazzo. Alzando gli occhi dalla federa, la sua attenzione fu attirata da una chitarra classica appoggiata malamente al muro: dev'essere dell'altra ragazza... disordinata pure lei. Afferrò lo strumento per il manico e lo studiò: tutto sommato, ha solo bisogno di un'accordata. Gli venne voglia di suonare per ammazzare il tempo. Si sedette a gambe incrociate sul letto di Leah e, posata la rosa accanto a sé, cominciò a girare le chiavi per tirare le corde. Era così preso a intonare il sol, che non si accorse nemmeno che qualcuno era rientrato ed era andato in cucina. Fu un lontano tintinnio di stoviglie che copriva l'ondeggiare del nylon ad attirare la sua attenzione; con il fiato sospeso e gli occhi blu spalancati bloccò con la mano aperta la vibrazione dello strumento e si mise ad ascoltare. Due voci provenivano dall'altro lato della casa; due voci allegre. Una è quella di Leah, ne sono certo. L'avrebbe riconosciuta fra mille, era impressa a fuoco nella sua mente. Spike rimise a posto la chitarra e prese la rosa; chiuse gli occhi ed assaporò quella dolce melodia che ormai da giorni non gli giungeva più all'orecchio. Era tenera e sensuale, perfino quando parlava in francese; un accento quasi perfetto, se non fosse che, ogni tanto, conserva ancora quella sua tipica inflessione londinese. Appena giunto in corridoio, però, si bloccò. La seconda voce che arrivava dalla cucina era più scura e più rotonda; il sangue gli si ghiacciò in un nanosecondo: un maschio. Strinse la rosa più forte, sentendo le spine recise dargli fastidio alla mano, ed in punta di piedi fece capolino dallo stipite. Ciò che vide lo pietrificò: le pupille gli si dilatarono a dismisura ed i muscoli gli diventarono di legno. Leah, più bella che mai, era poggiata al lavello mentre stringeva fra le mani una tazza fumante; i capelli mogano erano legati in uno chignon disordinato ed i suoi occhi erano calamitati a quelli della persona che le stava davanti e che le stava stringendo i fianchi. Un ragazzo. Un ragazzo completamente diverso da lui: biondo, con le guance rosee e piene come quelle di un bambino e gli occhi castani. Le stava parlando pericolosamente vicino al viso. Il primo impulso di Spike fu quello di prenderlo per le spalle, sbatterlo a terra e gonfiarlo di botte; ma il suo cervello lo bloccò e gli impose di stare a guardare. Dopotutto, se quello si stava permettendo di comportarsi in quel modo con Leah era perchè lei glielo stava concedendo; questo era il particolare più agghiacciante. Lei non sembrava affatto che lo stesse respingendo o che fosse infastidita dal fatto che lui la stesse toccando. Continua a sorridere e scherza... se solo capissi cosa si stanno dicendo! Spike si maledisse infinite volte per non essere mai stato in grado di prendere una sufficienza in quella merdosa lingua straniera. Più passavano i secondi e più il suo stomaco si faceva piccolo per il nervosismo: adesso mi sente. Non era nel suo stile fare scenate di gelosia, Julie diceva che lui era “un esserino gentile e pacato”; però Leah stava concedendo troppa libertà a quello sconosciuto.

Ma proprio mentre stava per irrompere in cucina ed iniziare ad urlare, ebbe un capogiro folle nel vedere il biondo appoggiare le proprie labbra su quelle della ragazza.

Spike si irrigidì di colpo: ti prego Leah, spingilo via.

Invece lei sorrise, gli accarezzò il viso e lo baciò a sua volta, cingendogli il torace con le sue braccia.

Il ragazzo osservò la scena con gli occhi vacui, poi fece un passo in avanti, uscendo dalla penombra del corridoio, continuando a stringere la rosa. Dentro di sé sentiva sempre più prepotente il vuoto avanzare; il cuore gli pompava lento nel petto, producendo un frastuono che gli rimbombava violento nella testa. Avanzò ancora di una falcata, con i muscoli che iniziavano a tremargli vistosamente, e la chiamò a voce bassa con il suo nomignolo. Mi dicevi sempre che io ero il tuo “piccolo Principe” e tu la mia...

«Volpe».

I primi occhi che incrociò furono quelli del ragazzo; marroni, inquisitori e paragonabili a due buchi neri. Lo stavano squadrando da capo a piedi, stavano guardando con ribrezzo la sua bandana viola che gli scendeva sulla spalla, la camicia nera con le maniche rivoltate all'insù, gli stivali texani e la rosa rossa ormai rovinata per essere stata strapazzata per troppi minuti.

«Qui es-tu?» gli vomitò addosso, visibilmente irritato per l'interruzione del bacio.

Il ragazzo corrugò le sopracciglia, rendendo i propri occhi blu di ghiaccio; nonostante non sapesse il francese, aveva capito benissimo cosa gli aveva chiesto. Gli rispose mantenendo la voce bassa e graffiante; voleva ferirlo con le parole: «No, dude: who the fuck are YOU?»

«Spike».

Leah pronunciò il suo nome sottovoce, lasciando che la tazza le scivolasse di mano, sul tappeto, andando in piccoli frantumi.

Il biondo si voltò verso di lei, con un'espressione di disappunto tatuata in viso: «Mais, tu le connais?».

La ragazza non rispose alla domanda, si limitò a portare una mano alla bocca e a fissare gli occhi blu di Spike.

«Alors? Leah?» il biondo si stava scaldando, la pelle gli era diventata di un bel color peperone.

Leah cercò di tranquillizzarlo: «Jean Charles, s'il te plaît...»

«Diglielo pure che io sono il tuo ragazzo» Spike gettò con forza la rosa rossa a terra, ormai spappolata «o forse ero, dato il tuo atteggiamento».

Jean Charles perse completamente le staffe: «Toi, con, qu'est-ce que tu veux? Qui es-tu?»

«Silence!» Leah gridò con tutto il fiato che aveva in corpo mentre allontanava delicatamente il francese da sé.

Spike fissò i suoi occhi blu in quelli castani di lei, percependo un freddo glaciale fra di loro; la guardava come se la stesse vedendo attraverso un iceberg. Non gli sembrava possibile che tutto il calore che quella ragazza aveva saputo donargli in pochi mesi si era tramutato improvvisamente in una pioggia di cristalli di ghiaccio affilati come coltelli che gli si stavano conficcando nell'animo. Per un attimo si guardò la mano che aveva gettato la rosa a terra e si accorse che stava tremando sempre più forte; chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, stringendo le dita segnate dalle spine tagliate: «Perchè?»

«Chi ti ha fatto entrare?» la ragazza cercò di tastare il terreno.

«Una tizia coi capelli neri» rispose Spike evasivo.

«Oh... la mia coinquilina, Colette».

Spike strinse i denti: «Non tergiversare. Perchè?»

Leah non disse una parola, si prese solo la testa fra le mani.

«Non ti ha fatto piacere questa sorpresa. Anzi... sembra proprio che io abbia interrotto qualcosa che ti piaceva».

Di nuovo, Leah non battè ciglio.

Risposta fin troppo eloquente. Spike sentì uno di quei cristalli attraversargli il torace con violenza: «Allora tu... non mi ami, Leah?».

Sperava di sbagliarsi; desiderava ardentemente che la sua ragazza gli si buttasse fra le braccia e gli urlasse che lo amava, più di qualunque altra cosa, perfino di più di quel francese che fisicamente assomigliava tanto a quel bambino maledetto che conservava rose sotto vetro, belle ed eterne. Non come quella che lui aveva appena gettato sul pavimento.

Ti prego, chiamami ancora Jonathan e dimmi che mi sto sbagliando.

Ma la risposta che udì lo uccise: «Credo di non averlo mai fatto, Spike».

Il ragazzo trasalì; in quell'istante potè percepire un tonfo secco all'altezza dello sterno. It's over.

Leah continuò imperterrita, con tono di voce basso e deciso: «Tu non mi hai mai capita fino in fondo, semplicemente perchè non sei in grado di apprezzare quel libro. Tu hai sempre detestato il Piccolo Principe. Io ci ho provato ad addomesticarti, ad insegnarti che l'essenziale è invisibile agli occhi... ma non ha funzionato».

Spike si sentì soffocare: «Quindi non mi hai mai amato...»

«Pensavo di poterlo fare, ma mi sbagliavo»

«... solo perchè non mi piace quel libro di merda?». Gli occhi di Spike presero fuoco; non poteva credere al mare di stronzate che lei gli stava raccontando. Si prese il viso fra le mani cercando di mostrare calma ostentata; credo di aver sentito abbastanza: «Bene. Allora me ne vado»

«Sì, è meglio» Leah gli inflisse un'altra pugnalata al cuore «in fondo è tutta colpa tua se non ha funzionato fra di noi. Sei tu quello che si deve rimproverare, sei tu la causa del tuo dolore».

Spike rimase immobile per un paio di secondi a guardare il suo amore, poi una strana forza lo attirò verso la porta d'ingresso. La vide allontanarsi da sé, dalla sua spalla su cui si era addormentata tutte le volte che avevano fatto l'amore, dalle sue mani che l'avevano accarezzata dolcemente, dal suo corpo, che lei aveva detto più volte di trovare fantastico. Più lui retrocedeva, più il francese alzava il suo braccio per cingerle le spalle. Ma non voleva guardare, non avrebbe sopportato la vista di quella mano sconosciuta che accarezzava centimetri di pelle che, fino a qualche secondo prima, lui riteneva suoi. Come chiuse la porta alle sue spalle, il mondo intorno a lui diventò sfocato e confuso: i colori si mischiavano senza criterio ed i suoni arrivavano ovattati alle sue orecchie; inoltre, la testa gli girava e sentiva di non poter governare le sue membra. Tremavano così forte che nemmeno dei lacci in acciaio avrebbero potuto tenerlo fermo. Senza che se ne rendesse conto, si trovò di nuovo al piano terra, ad aprire la portineria e ad uscire in strada. Si sentiva distaccato dalla realtà, come se tutto quello che era appena successo fosse stato solo un incubo orrendo. Eppure, qualcosa nella sua mente devastata sapeva che avrebbe dovuto abituarsi a quella sensazione di merda che si stava facendo largo dentro di lui. Ogni secondo che passava si sentiva sempre più vuoto, come se si stesse vaporizzando progressivamente. Chiuse gli occhi e rivide Leah, con quello chignon, che gli diceva che era tutta colpa sua. Non poteva crederci. Non voleva crederci. Se una situazione del genere va a puttane, la colpa non è mai di uno solo. È di entrambi. Dalla palpebra chiusa, una lacrima scese ad accarezzargli la guancia, come se volesse dargli conforto e dirgli che, in fondo, lui non era l'unico responsabile.

«Ehi» una voce gli aprì gli occhi, facendolo riemergere dal pozzo nero in cui stava precipitando; era Tyla. Lo stava aspettando con la schiena appoggiata al palo della luce e teneva in mano due bottiglie di birra. Sputò il mozzicone di sigaretta che stringeva fra le labbra, poi gli si avvicinò, seguito dallo sventolare della sua giacca indaco, e gliene porse una rivolgendogli un sorriso amaro: «Torniamo a casa».

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > The Quireboys / Vai alla pagina dell'autore: EllieMarsRose