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Autore: Peter The Sloth    25/11/2013    1 recensioni
"Mi fermo a fissare il vuoto tra lei e il grassone che dorme poco sensualmente a bocca aperta. Vedo alberi passare velocemente, fermo lo sguardo qualche decimo di secondo sulle foglie di un salice che sono convinto di non rivedere mai più, quando in realtà la scorsa volta e quella prima ancora, mentre andavo a trovare mio nonno che, mannaggia a Giuda, abita più lontano del Sole, le avevo già viste e sono sempre le stesse."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nel treno


 
Questi stanno pomiciando da mezz’ora, si avvicinano sempre di più a me e per non sembrare scortese non mi sto allontanando dalle loro lingue avvinghiate. Voglio dire, va bene, potete pomiciare quanto volete, ma per favore, vi chiedo solo di non distrarmi, io starei anche cercando di leggere.
 
Sei solo invidioso
 
Non si può più provare il minimo fastidio: se qualcosa o qualcuno non ti usa è solo invidiosi. Come un cantante che non si sopporta e che scrive canzoni di merda che ti arrivano alle orecchie con la frequenza con cui cambi idea sul giornalismo come fatto sociale: grazie che sono invidioso, quello ci ha i soldi che gli escono dalle orecchie, ha una bella voce e ha la possibilità di girare il mondo, magari non ricordatemelo, che io non ho una lira in tasca.
Così i pomicianti, per l’amor d’Iddio, io sono single da non so quanto tempo, pomicio una volta ogni sei mesi e devo pure essere contento che questo infili la lingua nel seno della sua ragazza a meno di un metro di distanza da me quando ci sono sei metri di ringhiera libera.
 
Zitto, che arriva il treno
 
Ah, già, il treno. Per fortuna, arriva il treno.
Mi alzo e mi sposto nel punto in cui l’altra volta si trovavano le entrate: me lo sono ricordato bene, questo dannato punto, il punto esatto, così da far vedere che toh, che fortuna, io ho l’entrata davanti ed entrerò per primo.
 
Ovviamente l’entrata si trova due metri più in là rispetto a dove sono io e il mio appostamento sfuma. Non corro, accelero il passo; per non sembrare nervoso, perché insomma, un piccolo errore capita, ma non c’è da prendersela. Rimango quasi incastrato dalle porte dell’entrata che si chiudono, cercando di mantenere l’aria più naturale possibile, cercando di far vedere che, insomma, è solo una portiera. Mi siedo, osservato dagli altri passeggeri come quello che stava per rimanere incastrato. Del treno mi piace la parte in cui i posti sono uno accanto all’altro, disposti in due file, una di fronte all’altra. So benissimo che è una folle scelta.
 
Ti lamenti ogni volta che la gente ti fissa e tu ti metti nella posizione perfetta per essere fissato, mossa astuta
 
Tiro il libro fuori dalla borsa. Come ogni volta che prendo questo maledetto treno, l’ho appena iniziato a leggere e probabilmente lo lascerò a marcire sulla mensola tra una settimana. Entro questi sette giorni ne avrò lette forse cento pagine. Scelgo proprio per questo libri che non m’incuriosiscono particolarmente: per leggere in treno.
 
Ma stai zitto che ci vai sì e no una volta ogni mese, in treno
 
Non c’entra nulla.
 
Piuttosto, dedicati a quella che ti sta fissando, là davanti
 
Percepisco lo sguardo della donna di mezza età, alta e magra che siede sull’altra fila di sedili e che forse sta guardando me, forse no. Tengo la guardia bassa; alzo lo sguardo, ma non mi sta guardando.
 
Bravo cretino
 
Si accorge che la sto fissando e alza lo sguardo su di me. Tengo lo sguardo alto sulla donna due secondi aspettando che sia lei a staccare quegli occhi azzurri di schifo da me, ma desisto facilmente e incasso il primo gancio sul naso.
 
Ritorno al mio libro. La trama è interessante, e proprio per questo motivo necessito attenzione affinché ne legga le parole senza collegarle tra di loro. La concentrazione mi è negata da questa stronza che mi guarda a tratti, da quando io, timoroso di essere osservato, mi sono andato a gettare da solo nello stesso pantano in cui credevo erroneamente d’essere: uno che ti sta fissando.
 
Rialzo gli occhi, senza guardare lei ma guardando il corpulento e dormiente signore che le sta seduto accanto. Stavolta mi sta fissando, lo sento, non mi sto sbagliando. Mi fermo a fissare il vuoto tra lei e il grassone che dorme poco sensualmente a bocca aperta. Vedo alberi passare velocemente, fermo lo sguardo qualche decimo di secondo sulle foglie di un salice che sono convinto di non rivedere mai più, quando in realtà la scorsa volta e quella prima ancora, mentre andavo a trovare mio nonno che, mannaggia a Giuda, abita più lontano del Sole, le avevo già viste e sono sempre le stesse.
L’alibi poetico delle foglie di salice, però, non mi basta: la signora magra dagli occhi azzurri ha la faccia di una che scende a Ipogeo degli Ottavi, e ci mancano ancora due fermate.
Cerco di distrarmi. Le cuffiette non mi danno aiuto: quelle stesse cuffiette che ho tanto faticosamente fregato a mia madre mi stanno tradendo, perché riportano la scomoda verità trasmessa dal mio riproduttore, cioè almeno la metà dei brani che ci ho fatto entrare dentro a fatica mi sono completamente indifferenti.
Metto il libro dentro la borsa, mi alzo e, cambiando canzone, mi avvicino all’uscita.
 
Sia lodato il Signore
 
Scendo dal treno mentre si sta ancora fermando e con le porte ancora chiuse per metà. Una volta uscito dal vagone, mi guardo intorno, osservo lo spettacolo delle innumerevoli e, chi più chi meno, indaffarate persone che scendono dal treno. Chi è al telefono parla energicamente, chi cammina lentamente ha la faccia stanca, chi non cammina si è reso conto che non sa come sprecare il proprio tempo.
Io sono ancora fermo. Mentre il treno riparte e la folla di lavoratori, ragazzi, anziani e di persi si dirada, cerco con gli occhi un posto dove sedermi. L’orologio mi ricorda che sono in ritardo di venti minuti, qualcosa di più, forse. Poco importa.
 
Tanto, ho sbagliato fermata.
  
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