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Autore: andromedashepard    25/11/2013    6 recensioni
“Speravo dormissi, almeno tu”, disse Thane quando lei ebbe aperto il portellone. Le sembrò esausto. Coprì con due brevi falcate la distanza che li separava, uno sguardo che lei non seppe interpretare. “Dammi un buon motivo per andarmene”, aggiunse, appoggiando la fronte contro la sua. Lei trattenne il respiro, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli. Se c’era davvero un buon motivo, lei non lo conosceva.
#Mass Effect 2 #Shrios
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
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"When you were naive you were so invincible
 and you laughed at anyone and anything that ever got in your way
 But now the mirror shows the change and you don't see that
 you're sinking back into the crowd, an echo fading
 I know things change, your world has slipped away
 I know things change, but you're living like a soldier who's caught in the fray
 Don't lose your faith, it's not so cold, it's not too late"
 
(Soldiers – Goo Goo Dolls)

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Era una calda notte d’estate quando i campi di grano si macchiarono di rosso e le civette iniziarono a intonare la loro canzone funebre, nascoste sui rami degli alberi di ulivo. Non ci fu scampo neanche per loro, quella notte, inghiottite inesorabilmente dalle lingue di fuoco che divorarono avide l’intera regione di Salamanca, su Mindoir.
Sulle strade sterrate, piene di polvere, una lunga fila di uomini e donne arrancava, lenta, spronata da continui incitamenti in una lingua che non era la loro. Un uomo protestò con l’ultima briciola di orgoglio, in lacrime per il figlio che aveva abbandonato, e si ritrovò il calcio di un fucile conficcato sulla nuca. La donna che urlò tutto il suo orrore alla vista di quel gesto, fu trivellata dai colpi di un mitra. Poi calò il silenzio, sotto a un cielo stellato offuscato orribilmente dal fumo grigio della morte.
Ad un chilometro di distanza, una ragazzina tremava nel buio di uno scantinato, gli occhi spalancati, il viso coperto di terra e graffi, le braccia nude, piene di lividi. Nelle sue orecchie, l’ultimo grido di sua madre rimbombava come un eco capace di perforarle i timpani dall’interno. Acuto, lancinante. Davanti ai suoi occhi, l’immagine fissa di un esplosione che lei stessa, aveva provocato, salvandosi la vita. Prima l’azzurro, poi una pioggia di rosso, infine il nero… e la sua fuga a perdifiato. Aveva corso così tanto che ad un certo punto le sue gambe avevano preso a muoversi per inerzia, prima di accasciarsi sul pavimento di una cantina polverosa, lasciandola vuota e ansimante.
Non aveva nulla con sé, se non la consapevolezza di essere rimasta sola, in un mondo che veniva lentamente consumato dalle fiamme.
 
 
 
“Con tutto il rispetto signore, io le dico che non c’è speranza di trovare ancora qualcuno. Stiamo cercando da tre giorni e abbiamo trovato solo pile di cadaveri”.
“Sei pagato per eseguire gli ordini, soldato. E se io dico di cercare in ogni fottuto buco di questo posto, tu cercherai in ogni fottuto buco”.
“Sissignore”.
Il sergente Weisel, un Umano che non dimostrava più di vent’anni, si asciugò il sudore dalla fronte e con una smorfia diresse lo sguardo verso l’orizzonte, deformato dal calore. Non avrebbe mai ammesso che la speranza l’aveva persa anche lui, ormai. Lasciava entrambi i genitori su quella colonia, certo che non li avessero presi, perché onestamente, un uomo senza una gamba e una donna con seri problemi di asma non sarebbero stati utili per nessuno.
Due giorni prima aveva rimesso piede in quella che una volta era la sua casa. A stento aveva riconosciuto il tavolo intorno al quale si consumavano le cene di famiglia; aveva preferito non farsi domande su cosa fossero in realtà i mucchi di cenere che coprivano tutto il pavimento.
Era intento a sollevare un container di medie dimensioni, più per abitudine che per reale speranza di trovarci sotto qualcuno, quando la voce di un altro soldato giunse alle sue orecchie.
“Sergente, ho trovato qualcosa”.
Weisel si diresse a passo svelto verso il suo sottoposto, calpestando con i pesanti stivali i residui di una robusta recinzione di legno.
“Di che si tratta?”
“Pare ci sia una botola qui, ma è sigillata dall’interno…”
Il sergente si passò una mano fra i cortissimi capelli biondi, richiamando un altro soldato.
“Davidson, occupatene tu”, ordinò, “e presta la massima attenzione”.
Seguì il rumore ovattato di una leggera esplosione biotica, poi la botola cedette con un suono metallico.
“Signore…”
“No, vado io”. Il sergente diede un’occhiata sommaria dall’alto, puntando il suo factotum all’interno. Gli altri due soldati si scambiarono una rapida occhiata, lamentandosi del fatto che se avessero avuto strumenti più all’avanguardia, sarebbe bastato inviare un semplice drone di ricognizione per evitare un inutile spreco di energie.
Nessuna scala collegava la botola con il rifugio, segno che probabilmente qualcuno l’aveva tolta dall’interno, assicurandosi prima di sigillare l’apertura. Weisel saltò giù con tonfo, atterrando su qualcosa di morbido, probabilmente un cumulo di fieno. Lo scantinato era pieno zeppo di casse, scaffali, forse contenenti provviste o di concime per il bestiame.
“C’è nessuno?”, chiamò.
“Qui sergente Tom Weisel dell’Alleanza. Adesso siete al sicuro”, tentò nuovamente.
Fece un paio di passi in avanti, facendo scricchiolare le tavole di legno sotto ai suoi piedi, poi si lasciò andare ad un sospiro di completa frustrazione. Per un momento… per un solo istante aveva sentito la speranza riaccendersi dentro di sé, ma era evidente che nessuno fosse scampato all’attacco, era evidente ormai da giorni.
“Niente da fare”, comunicò ai suoi soldati, mentre cercava con lo sguardo la scala che avrebbe utilizzato per la risalita. L’aveva appena appoggiata sul bordo della botola, quando sentì un rumore alle sue spalle, simile a un debole fruscio. Pensò immediatamente che si potesse trattare di topi… ma un secondo rumore, stavolta più chiaro, lo insospettì.
Si diresse verso il fondo dello scantinato, chiamando nuovamente a gran voce. Poi qualcosa lo afferrò per una caviglia.
 
 
 
“E’ incredibile…”, commentò la dottoressa Mason, continuando a tener d’occhio una ragazzina che giaceva sul lettino di quell’improvvisato ospedale da campo. Le avrebbero dato al massimo quattordici anni.
“Da quanto tempo era lì sotto?”, domandò il Sergente.
“Tre, forse quattro giorni. E’ evidente che non abbia mangiato, né bevuto nulla. Ci vorrà un po’ per rimetterla in piedi, ma ha tutta l’aria di essere un osso duro”.
Weisel si accarezzò il mento, l’aria preoccupata. “Temo che non avremo a disposizione tutto questo tempo. L’Alleanza ci ha ordinato di ritornare alla base. Qui non è rimasto più nulla…”
“Che ne sarà di lei?”
“La porteremo con noi sulla Kilimangiaro, in attesa di identificarla. Poi si vedrà… spero per lei che abbia dei familiari altrove, magari sulla Terra”.
“Già… povera creatura. Non riesco a capire come abbia fatto a salvarsi…”
“Fortuna, dottoressa… solo fortuna”.
 
 
 
Andromeda Shepard riaprì gli occhi una mattina di Maggio del 2170. Fece fatica all’inizio, sentendo le palpebre quasi incollate fra loro. Quando il primo spiraglio di luce penetrò all’interno, li chiuse nuovamente di scatto, come accecata. Lentamente, i sensi tornarono di nuovo vigili… il bip di un macchinario giunse alle sue orecchie, l’odore dei farmaci solleticò le sue narici, sotto le sue mani poté sentire la consistenza morbida del cotone, e infine, quando provò a riaprire nuovamente gli occhi, vide nient’altro che bianco.
“Dottoressa, la paziente si è svegliata”. Questa fu la prima frase che captò, mentre la testa le girava vorticosamente.
Sentì il calore di una mano stretta alla sua, vide un sorriso formarsi su un viso giovane, femminile, sfocato, poi parole… tante parole che non le sapevano di niente. Domande, esclamazioni, frasi di circostanza come “lo sapevo che si sarebbe svegliata”. Avrebbe voluto addormentarsi di nuovo e non svegliarsi mai più.
 
Tre ore dopo, era seduta su un letto d’ospedale, con una brodaglia nauseante sotto agli occhi che non avrebbe mangiato neppure sotto tortura.
“Andiamo… lo sai che ti farà bene, fai un piccolo sforzo”, la incitò la dottoressa, cercando di imboccarla con un cucchiaio. Lei, per tutta risposta, rifiutò con una smorfia, girandosi dall’altra parte.
“E va bene… ma almeno parlami, dimmi come ti chiami”.
Qualcosa, dentro di lei, le impedì anche solo di schiudere le labbra. Forse perché se l’avesse fatto, avrebbe vomitato tutto il dolore che teneva dentro da ormai troppo tempo, da quando si era riappropriata della consapevolezza di aver perso ogni cosa.
“Sei al sicuro adesso, non devi avere paura di nulla. Questo lo capisci?”
La dottoressa Mason continuò così finchè altri pazienti non reclamarono la sua attenzione, poi si decise a lasciare la stanza, con la speranza che la prossima volta avrebbe scoperto almeno il suo nome.
L’improvviso silenzio che seguì, lasciò i pensieri della giovane liberi di fluire e attorcigliarsi in un nodo all’altezza del petto, in grado di toglierle il respiro. L’urlo di sua madre si fece di nuovo prepotente… Corri, Ann! Salvati!, tanto da costringerla a portarsi le mani sul cranio e premere tanto forte quanto i suoi muscoli consentissero. Le sembrò per un istante di trovarsi ancora lì, davanti all’immagine di sua madre che viene brutalmente trascinata via da un gruppo di schiavisti, per poi trovare la morte lontano dai suoi occhi.
“Ehi”.
Una voce maschile si frappose a quell’urlo, facendolo cessare di botto. I suoi occhi verdi trovarono la figura di un uomo, forse un ragazzo, ritto in piedi davanti a lei. Aveva un bellissimo sorriso, sotto a quel velo di barba incolta.
“Mi hanno detto che hai perso la lingua, ma secondo me sei solo spaventata”, disse quello, senza smettere di sorridere, mentre si avvicinava al suo letto.
“Ti capisco, sai? Hai perso tutti quanti… avevi una famiglia? Anche io ne avevo una, su Mindoir. E i tuoi amici? Andati, anche loro… immagino. Sei sola, non hai più nessuno. Mi meraviglio di come tu stia ancora qui, ferma su questo lettino a farti imboccare dagli infermieri”, sbuffò.
Mentre lui continuava a parlare, con quell’assurda faccia tosta e il tono di chi sta raccontando una favola della buonanotte, lei strinse i pugni e serrò ulteriormente le labbra.
Ancora un’altra parola e…
“D’altronde, cosa ti è rimasto? Forse hai perso anche la tua casa… Ammesso che fra qualche mese si inizierà a ricostruire tutto, ma la vedo dura sai… i Batarian non ce lo lasceranno fare tanto presto, temo”.
Una violenta e incontrollabile esplosione biotica scaraventò il ragazzo sul muro di fronte, facendo risuonare gli allarmi in tutta la struttura. Andromeda, gli occhi e la bocca spalancati, si osservò le mani sconcertata e poi, con un rapido gesto, si liberò dall’ago della flebo e saltò giù dal lettino, con l’intenzione di fuggire… dove non aveva idea.
Fu placcata all’angolo del corridoio successivo, dalla stessa dottoressa che le era stata accanto fino a quel momento.
“Calmati, ti prego…”, le disse, stringendola fra le braccia. “Non avere paura. Sei al sicuro, sei al sicuro adesso”, ripetè, cullandola proprio come avrebbe fatto una madre. “Fidati di me”.
E a quel punto lei si lasciò andare al primo vero pianto da quella notte su Mindoir, finchè non ebbe più lacrime da versare, finchè non si sentì sfinita e si addormentò di nuovo sul suo letto.
 
 
 
“Ciao Ann, come andiamo oggi?”
La ragazza abbozzò un sorriso, mettendosi a sedere. “Sto bene”, rispose. “Ho fame”.
“Ah, questa è un ottima notizia”, esclamò la dottoressa Mason, facendole uno scan completo con il suo factotum. “Bene, bene… ti stai riprendendo alla grande. Se continui così, fra due giorni ti faremo uscire da quest’infermeria”.
“Dove mi porterete?”
“Dal momento che non hai parenti, lo Stato si prenderà cura di te. Vedrai, andrà tutto per il meglio”, sorrise la donna, cercando di mantenere un tono più rassicurante possibile.
“Dottoressa…”, la ragazza si morse un labbro, spaventata. “Io non voglio finire in una casa famiglia, o peggio… Fatemi restare qui”.
“Non possiamo tenerti su una nave militare ancora a lungo, Ann”. La dottoressa Mason le si avvicinò, posando una mano sul suo braccio. “Credimi, mi assicurerò personalmente di metterti in buone mani”.
“Io voglio restare”.
“Ne parleremo più tardi, va bene? Intanto c’è qualcuno che vuole farti visita”, sorrise la donna, dirigendosi verso la porta. “E stavolta niente esplosioni, intese?”, le fece l’occhiolino, prima di lasciare la stanza.
Andromeda restò sbigottita quando si ritrovò davanti l’Umano dell’altra volta, con quel suo solito sorrisetto beffardo dipinto sul volto.
“Cosa diavolo vuoi?”, mormorò fra i denti, incapace di trattenersi.
“Ehi, ehi… stavolta vengo in pace”, rispose lui, alzando le mani in segno di resa. Si sedette sul bordo del suo letto, costringendola a ritirare i piedi bruscamente da sotto le coperte. “Mi dispiace, dico davvero… mi dispiace di averti parlato in quel modo, ma almeno è servito a qualcosa no?”
Lei si rifiutò di rispondere, puntando gli occhi verso un’altra direzione.
“Ci sono passato anche io… so cosa vuol dire. A proposito, non mi sono ancora presentato. Sergente Tom Weisel”, disse, tendendole una mano, “ma tu puoi chiamarmi Tom”.
Notando che la ragazza non aveva la minima idea di ricambiare il gesto, s’infilò di nuovo le mani in tasca.
“E va bene… so che ce l’hai con me. Ti ho fatto arrabbiare, non dovevo. Ma al momento mi era sembrato l’unico modo per farti reagire, e in effetti non mi sbagliavo”, ammiccò.
“Che cosa vuoi?”, si costrinse finalmente a chiedere lei.
“Senti, so che per te è ancora presto per parlare di futuro, ma con le capacità che hai… voglio dire…”
“Capacità?”
“Beh, io che finisco contro a un muro, gli strumenti medici irreparabilmente danneggiati… ti ricorda qualcosa?”, domandò il ragazzo con nonchalance.
“Non lo dirò a nessuno, lo prometto”.
“No, ragazzina… non è questa la soluzione. Non devi vergognarti di ciò che sei… piuttosto, fai in modo di ricavarne qualcosa di buono”.
“E come?”, chiese lei, stringendo i pugni da sotto il lenzuolo. Non aveva mai affrontato quell’argomento con nessuno, convinta che forse parlarne avrebbe reso la cosa ufficiale oltre che spaventosa.
“Ho parlato con la dottoressa. Tra poco ti dimetteranno, mi basta una tua parola e verrai inserita in un programma di studio per biotici sotto il controllo dell’Alleanza. Poi, una volta finito il tuo addestramento, deciderai cosa fare del tuo futuro”, rispose lui, con un tono incredibilmente rilassato.
“Non se ne parla”, tagliò corto lei, tremando al solo pensiero di diventare una cavia da laboratorio.
“Preferisci finire in un orfanotrofio o in una casa famiglia su qualche colonia ai confini della Galassia? Ne ho visti fin troppi di ragazzini come te… e credimi, non è la fine che vorresti fare”.
“Cosa ne sai tu di cosa voglio io?!”
“Tu pensi che nessuno al mondo ti comprenda in questo momento, e va bene, lo capisco… anche io una volta ero un ragazzino disilluso e arrabbiato, anche io mi sono trovato davanti a un vicolo cieco, ignorando le porte che avevo di fronte. Ma pensa alla tua vita, pensa a cosa vorrai diventare. Pensa a tutti coloro che non hanno avuto nessuna possibilità di scelta. Pensa a quanti, come te, sono finiti uccisi solo perché possedevano qualcosa che non erano in grado di controllare, solo perché nessuno aveva dato loro la possibilità…”
Seguì una lunga pausa, dove Andromeda non fece altro che mordersi le guance, in attesa che quel supplizio finisse. Non era ancora riuscita ad accettare ciò che era successo, e volevano già spedirla altrove, a fare chissà cosa.
“Dimmi almeno che valuterai l’idea… Ti darò tutte le informazioni che ti servono, potrai farmi qualunque domanda, ma per favore… fidati di me”.
 
Quella sera la passò davanti allo schermo di un terminale lento, con un sistema operativo che risaliva all’età preistorica. Scandagliò passo passo tutte le informazioni, sfogliò le brochure digitali, cercò notizie su internet – queste ultime, stranamente irreperibili - finchè quell’idea, da “completamente folle”, divenne “quasi possibile”.
Seguirono mesi di terapia, si sommarono molte notte insonni, gli attacchi di panico da regolari divennero sempre meno frequenti… finchè non fu considerata idonea per essere inserita nel programma.
Un anno dopo, era riuscita ad ottenere il massimo del punteggio in tutte le abilità – tranne matematica, ma questo se lo aspettava - ed era finalmente pronta per lanciarsi nell’unica cosa che, col tempo, era diventata il suo principale obiettivo: entrare nella marina dell’Alleanza.
Il giorno del suo giuramento, il sergente Weisel la osservò da lontano, mentre si esibiva in una marcia perfetta, e realizzò, con grande orgoglio, che non era stata la fortuna a salvarla quella notte. No, era stato il suo spirito. Forte e coraggioso come quello di una combattente… e lei, probabilmente, era nata per questo.
 
 
 
Shepard si svegliò di soprassalto, sopra a un mucchio di datapad accatastati alla rinfusa sulla scrivania. Si era addormentata mentre era intenta a ricontrollare per l’ultima volta tutte le informazioni che Hackett le aveva fornito. Erano mesi, forse anni, che non sognava Mindoir. Durante tutto quel tempo aveva fatto del suo meglio per lasciarsi alle spalle gli orrori di quella notte… la terapia l’aveva aiutata, certo, ma ciò che aveva davvero fatto la differenza, era stato il potersi gettare con tutte le sue forze in altri obiettivi. L’Alleanza le aveva dato qualcosa per cui andare avanti, le aveva mostrato come poter diventare uno strumento in grado di riparare, proteggere, salvare dove altri mietevano morte e distruzione. Le aveva indicato l’unica via possibile, quella migliore. E lei si era fidata… si era fidata proprio nel momento in cui aveva sentito di non credere più a niente, incapace di comprendere le motivazioni che portano gli individui a compiere tali orrori. Probabilmente i suoi genitori, una modesta insegnante e un umile agricoltore di provincia, non avrebbero mai compreso o approvato le sue scelte, ma dentro di sé era sicura che adesso, se avessero potuto vederla, sarebbero stati orgogliosi di lei e tanto le bastava per ripensare a loro con un sorriso.
Si alzò, passando una mano attraverso la folta chioma di capelli, e raggiunse l’acquario, appoggiandosi al vetro con un braccio. Quel sogno aveva risvegliato ricordi, emozioni che aveva troppo spesso respinto con codardia. Cose di cui credeva di essersi liberata, ma che invece erano solo abilmente nascoste, in attesa di essere rispolverate, insieme al loro carico di dolore. Si accorse di essere rimasta a fissare il vuoto troppo a lungo quando i due piccoli pesci persero i loro contorni, diventando semplici macchie arancioni e bianche che si mescolavano all'azzurro.
Diede un sospiro, appannando leggermente il vetro, e con una mano si stropicciò le palpebre, nel tentativo di rimettere a fuoco la vista.
"Non vi ho ancora dato un nome", sussurrò, picchiettando sull'acquario con un dito. I pesci la ignorarono beatamente, impegnati nel loro giro di ricognizione.
Shepard non aveva potuto fare a meno di informarsi sulla natura di quelle carpe, scoprendo che erano considerati attualmente degli animali vertebrati più longevi della Terra. Un esemplare, di nome Hanako, aveva addirittura vissuto per oltre due secoli… almeno, questo era ciò che aveva trovato su Extranet.
"Piccoli bastardi", disse con un sorriso, "ricordatevi di me quando io non ci sarò più. E raccontate alla vostra prole di come abbiate vissuto nell'acquario del leggendario Comandante Shepard e, soprattutto, di come non vi abbia lasciati morire di fame", aggiunse, premendo il pulsante per l'alimentazione automatica.
Era buffo... due piccoli pesci inutili e ignari avrebbero avuto diritto a qualcosa che lei neppure poteva a sperare, e per farlo, avrebbero solo dovuto continuare a nutrirsi, senza muovere un muscolo.
Fortunatamente, a impedirle di andare avanti con quel monologo delirante, ci pensò la voce di EDI, facendola sobbalzare.
“Comandante, mancano venti minuti all’attraversamento del portale”.
Shepard annuì, mormorando stancamente un “ricevuto”. Si concesse una rapida doccia e poi iniziò a vestirsi, assemblando pezzo per pezzo la corazza.
Non aveva problemi con le missioni in solitaria, non la spaventavano. Era addestrata per affrontare molto di peggio ed era sicura delle sue capacità... ma l’idea di doversi infiltrare in una prigione Batarian era qualcosa che le faceva accapponare la pelle, perché sapeva bene ciò che vi avrebbe trovato. Si ripromise di mantenere il sangue freddo e di affrontare tutto con razionalità, accantonando i sentimenti e i ricordi che per tanti anni l’avevano portata a mettersi sulla difensiva solo a sentire nominare quella specie. Hackett aveva chiesto il suo aiuto perché si fidava di lei, e lei non lo avrebbe deluso, anche se l’Alleanza, col tempo, era ampiamente riuscita a deludere lei.
 
 
 
Erano passati più di due giorni da quando Shepard si era messa in comunicazione con la Normandy per l’ultima volta, riferendo a Joker l’imminente cambio di rotta. Apparentemente era diretta verso una base scientifica situata nel bel mezzo di un asteroide, ad una distanza relativamente breve dal portale di quel sistema. Poi le comunicazioni si erano interrotte del tutto, lasciando l’equipaggio totalmente in balia di se stesso, nel buio più totale.
A turno, almeno una volta, ogni membro della squadra si era recato in quelle ore fino al ponte dei comandi, chiedendo con insistenza notizie a Joker, visto che Miranda si rifiutava di comunicare con chiunque… e in ogni caso, la risposta era stata sempre la stessa “non ci sono novità”.
Allo scattare delle 49 ore, Thane si alzò finalmente dalla sua branda, deciso a farsi ricevere da chi, a tutti gli effetti, era in quel momento l’unico comandante in carica sulla Normandy.
Miranda aveva inizialmente provato ad accampare scuse, alzando il tono di voce per farsi sentire al di là del portellone, ma vista l’insistenza del suo interlocutore, alla fine si decise a riceverlo, mandando all’aria tutti i buoni propositi di mantenere un atteggiamento tranquillo e distaccato. Thane entrò spedito, fermandosi solo a due passi dalla scrivania.
“Se sei venuto fin qui per chiedere notizie di Shepard, Krios, mi dispiace ma hai sprecato solo tempo”, esordì lei, senza neanche staccare gli occhi dal terminale. “Quando saprò qualcosa, l’equipaggio verrà informato”.
“Non sono venuto qui per questo. La nave è tua adesso, Lawson… perché te ne stai con le mani in mano?”, domandò lui senza esitazione.
“E che cosa dovrei fare secondo te?”, ribatté lei.
“Organizzare una squadra di ricerca, per esempio. O hai intenzione di aspettare che passi ancora un altro giorno?”
“Credi che io non ci abbia pensato? Ma è fuori discussione… Se Shepard, in qualche modo, non ce l’ha fatta… chi ci dice che la situazione per noi possa cambiare? La responsabilità è sua. Ha lasciato l’equipaggio senza fornire alcuna giustificazione… per quanto ne so potrebbe anche essere fuggita”.
“Come puoi anche solo pensare una cosa del genere?”
“Solo perché vai a letto con qualcuno, Krios, non vuol dire che lo conosci tanto bene… “
Thane dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per restare calmo davanti a quell’affermazione, e Miranda sembrò accorgersene, perché prese a mordersi le labbra con un’insicurezza di cui lui non avrebbe mai sospettato.
“Per favore, dimentica quello che ho detto…”, disse l’attimo dopo, addolcendo lo sguardo. “Credimi, sono preoccupata quanto te, quanto tutti dentro questa nave. Ma non posso rischiare l’equipaggio, non alla vigilia della missione più importante”.
“La maggior parte delle persone si trovano qui solo perché si fidano di lei, Miranda. Senza di lei, tanto vale ritirarci”, rispose lui, appoggiando le mani sul tavolo e puntando i suoi occhi direttamente in quelli azzurri dell’Umana.
“Shepard non è indispensabile”.
“Allora perché il tuo Uomo Misterioso si è preso la briga di riportarla in vita? Con quel denaro avrebbe potuto mettere su un esercito venti volte più numeroso di questa squadra”.
“Ci serviva la sua fama, ci servivano i suoi ideali…”
“E adesso siete pronti a farne a meno? Ora che avete una squadra di burattini da manovrare?”
“Se perdo il mio equipaggio, chi si occuperà dei Collettori, Krios?”
Entrambi alzarono esponenzialmente il tono di voce e Miranda si mise in piedi, sentendo il sangue ribollirle nelle vene.
“Non puoi dare per scontato che Shepard non tornerà mai più. Potrebbero averla catturata”.
“Shepard è sopravvissuta a ben altro… L’ipotesi della cattura è probabile, certo, ma remota”.
“Per te è più plausibile che sia fuggita, dunque?”, domandò lui, con eccessiva rabbia.
“Razionalmente, non la credo capace di un gesto simile, ma bisogna vagliare tutte le ipotesi”.
“Allora considera anche l’ipotesi di riunire una squadra per cercarla…”
“Ci ho pensato… ci ho pensato a lungo, ma non è facile nella mia posizione. Cerberus inizia a insospettirsi, oramai è solo questione di tempo prima che venga a scoprire che qualcosa è andato storto”, rispose lei, camminando verso l’oblò alla sua destra per smaltire in parte la tensione.
“Qui c’è in ballo la vita di Shepard, quanto pensi che me ne importi di cosa racconterai al tuo Uomo Misterioso?”
“No, qui c’è in ballo la vita di tutti! Perché è questo che mi stai chiedendo… rischiare le nostre vite per gettarci completamente alla cieca in una ricerca disperata!”, esclamò lei, voltandosi con rabbia per incontrare due occhi neri come il petrolio.
“E Cerberus ci sta chiedendo di tentare l’attraversamento di un portale che non ha mai risparmiato nessuna nave… cosa c’è di diverso?”
“E’ quella la nostra missione, è per quella che ci siamo preparati. La sparizione di Shepard è… è un dannatissimo intoppo”.
Poche volte Thane aveva davvero perso la calma durante una discussione, ma quella fu una di quelle rare, rarissime volte in cui sentì davvero il suo proverbiale controllo venir meno. Possibile che per gli esseri Umani il valore della vita si misurasse in numeri? No, non poteva essere così per tutti, non lo era per Shepard, e di lei si fidava ciecamente.
Fino a quel momento non si era mai fatto scrupoli, era qualcosa che la natura del suo lavoro gli proibiva categoricamente… ma adesso iniziava a rendersi conto che gli importava davvero della motivazione che teneva in piedi quella missione, e non era più certo di condividerla, non se a un prezzo così alto. Socchiuse brevemente gli occhi, nel tentativo di mettere a tacere il bisogno istintivo di sollevare il primo oggetto disponibile per scagliarlo su una parete, poi si ricompose, intrecciando le mani dietro la schiena. Un gesto avventato avrebbe potuto placare momentaneamente la sua rabbia, certo, ma a ben poco sarebbe servito.
“Spero tu ti renda conto che questa missione, senza Shepard, può considerarsi fallita”, disse infine, quasi in un sussurro.
Miranda si portò una mano sulla fronte, massaggiandosi una tempia.
“Non…”, principiò, prima di voltarsi di scatto in risposta a un rumore familiare.
“Miranda”, Jacob si precipito in cabina, senza preoccuparsi di bussare. “Ci sono notizie. Seguimi… EDI ha intercettato un segnale SOS”, aggiunse.
Miranda non perse tempo, seguita a ruota da Thane. Ogni possibile tensione fra loro era scomparsa all’istante per fare spazio a una sensazione di totale angoscia e impazienza. Durante il brevissimo tragitto fra la cabina e l’ascensore si accodò anche Garrus, chiedendo immediatamente notizie. Nessuno seppe dargli le risposte che voleva… dovettero attendere di trovarsi direttamente dietro allo schienale di Joker per saperne di più.
“Dov’è Shepard?”, domandò Thane, scavalcando la voce di Miranda.
“Stiamo andando a prenderla…”, rispose il pilota, concentrato.
EDI spiegò dettagliatamente la natura della richiesta che aveva intercettato, mentre il pilota si affaccendava sulla plancia dei comandi, dirigendosi a tutta velocità verso l’asteroide.
“Quanto tempo abbiamo?”, domandò Garrus alla fine di quella spiegazione, senza staccare gli occhi dal terminale che illustrava l’attuale situazione del corpo celeste, scagliato prepotentemente verso il portale che loro stessi avrebbero dovuto attraversare prima dell’impatto.
“Cinque, sei minuti al massimo”, mormorò Joker, stringendo le labbra.
Un recupero pulito e veloce era l’unica cosa che avrebbe potuto salvare la vita non solo a Shepard, ma alla Normandy intera, e lui era dannatamente consapevole di avere ancora una volta quell’enorme responsabilità sulle spalle.





 

Ahèm, si. Devo dire che l'umore di questi giorni mi ha un pò condizionato nella stesura di questo capitolo. Ci tengo però a chiarire una cosa... ovvero, mi dispiace per la posizione che ho dato a Miranda. Mi piace il suo personaggio, col tempo l'ho davvero rivalutato molto, ma resto dell'opinione che fino ad un certo punto della trama lei resti fedele più a Cerberus che a Shepard. Detto questo... ho trovato che l'Avvento sia davvero carico di incongruenze, conti che non quadrano... forse è anche per questo che mi è venuto spontaneo inserire un momento di tensione... perchè per quanto ne sappiamo Shepard ha davvero lasciato la Normandy senza fornire spiegazioni e dopo due giorni immagino che si sia scatenato il panico più totale. Va bene, ora la smetto di giustificarmi e vi invito a esprimermi le vostre critiche in merito, se ce ne sono - perchè sono dannatamente insicura su come ho gestito la situazione (oh, ma che simpatica novità).
Vabè, vi auguro tanta neve (se vi piace), altrimenti tanto sole... io voto per la neve.

Un grazie ad Altariah e Johnee per le loro opinioni, come sempre fondamentali.
   
 
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