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Autore: 31luglio    26/11/2013    4 recensioni
Cosa succede quando una ragazza viene scoperta dentro la lussuosa villa del suo cantante preferito proprio da lui stesso?
Tratto da un capitolo:
Mi sdraiai sul divanetto e guardai il cielo. «Secondo te, le stelle quante sono?» chiesi, cercando di contarle tenendo il segno con le dita. Una, due, tre, quattro, cinque... Mi persi a cercare di individuare le costellazioni, quindi ricominciai. Dopo aver fallito una mezza dozzina di volte rinunciai, e tornai a guardare con aria sognante.
Mi rivolse uno sguardo divertito. «Sei proprio fuori.»
«Rispondi.»
«Non so che cosa dirti, Audrey.»
«Spara un numero.»
«L'infinito...»
«Come io e te in questo momento?»
Mi guardò nuovamente, sorpreso. «Sì» sorrise, «come noi due in questo momento.»

another Justin & Miley fanfiction
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(cap 4) you and me right now

 

Aprii la mia cabina armadio e la esaminai attentamente. Una goccia d'acqua percorse la mia schiena, procurandomi un leggero brivido, senza tuttavia riuscire a distrarmi dal mio obiettivo: dovevo trovare un vestito da mettermi quella sera, e anche in fretta. Di solito sceglievo quello che avrei indossato ad una festa con largo anticipo, ma quella volta avevo rimandato la cosa giorno dopo giorno, trovandomi alla sera in cui sarei dovuta uscire senza avere idea di cosa mettere.

Erano passate un paio di settimane da quando avevo conosciuto Justin ed eravamo diventati amici. Ci vedevamo regolarmente ogni settimana per qualche ora, passavamo insieme interi pomeriggi a ridere, parlare, giocare e, spesso e volentieri, anche a litigare. La nostra era quel tipo di amicizia che non sopporti, ma di cui non puoi fare a meno. Lui si comportava da stronzo ed io mi arrabbiavo, poi provava a calmarmi ed io non facevo che adirarmi maggiormente, quindi anche lui si innervosiva e cominciavamo a litigare. Più di una volta, nel corso di quelle due settimane, avevo fatto per andarmene, ma poi lui mi tirava a sé e mi abbracciava e io... Beh, io non sapevo resistere a quelle braccia muscolose, forti, calde e piene di tatuaggi.

Quasi una settimana prima mi aveva invitata ad una festa a casa di Usher e, quando l'aveva fatto, mi ci era voluto più di uno sforzo per non urlare di gioia. Ovviamente avevo accettato e, quello stesso pomeriggio, ci eravamo organizzati. Mi sarebbe venuto a prendere alle otto e mezza a casa, avrei dormito da lui – avevo detto a mia madre che sarei rimasta da Heather – e mi avrebbe riportata la mattina successiva.

Avrei voluto urlare al mondo intero che sarei andata a casa del cantante afroamericano, eppure, in un qualche modo, riuscii a trattenermi. Passai la settimana cercando di apparire il più tranquilla possibile con i miei amici ed Aaron e mi sembrò che nessuno di loro sospettasse che fosse successo qualcosa. Ricevetti inviti a varie feste per quel venerdì, ma declinai cordialmente ognuno di essi, dicendo loro che sarei stata a casa a giocare con Evie, la mia sorellina, perché ero stanca.

Decisi di tornare in bagno per asciugarmi i capelli, invece di stare a perdere tempo dentro alla cabina armadio senza scegliere nulla. Accesi il phon alla massima potenza e lo agitai finché non mi sentii asciutta, quindi tornai ad esaminare i miei abiti. Questa volta, l'ispirazione arrivò quasi subito: un vestito nero di pizzo con lo scollo a V che avevo messo forse una volta da quando lo avevo comprato stava in bella vista, quasi a volermi pregare di indossarlo. Mi affrettai a prenderlo e lo infilai, compiacendomi mentalmente per il modo in cui mi stava. Mi sentivo estremamente sexy.

Subito dopo mi diressi verso lo specchio di fronte al mio letto e mi truccai con l'ombretto, bianco all'angolo interno dell'occhio sfumato fino ad arrivare a nero a quello esterno, un po' di matita sulla rima inferiore, del mascara e un po' di blush. Per finire, ripassai le labbra con un rossetto dal colore abbastanza naturale.

Tornai in camera e mi infilai un paio di décolleté nere, poi afferrai una pochette del medesimo colore e vi infilai dentro le chiavi di casa. Poco dopo il mio iPhone iniziò a squillare, segno che Justin era arrivato e mi stava aspettando. Scesi velocemente le scale, salutai la mia famiglia ed uscii, dirigendomi verso la Range Rover nera.

«Buonasera!» mi salutò sorridendo, per poi darmi un bacio sulla guancia. «Sei uno schianto, oggi più del solito.»

Sorrisi. «Grazie, anche tu non sei niente male» ammisi. Era vero: nonostante fosse vestito come al solito – jeans, maglietta bianca e giacca di pelle – era meraviglioso. Ogni giorno che passava sembrava più bello e non capivo come fosse possibile.

«Finalmente mi fai un complimento» osservò divertito. Dopo aver riso a causa dell'occhiataccia che gli rivolsi mi aprì la portiera ed io salii; si posizionò dietro al volante ed accese l'auto, partendo verso la casa dell'amico.

Arrivammo dopo un quarto d'ora di canzoni cantate a squarciagola, totalmente indifferenti del fatto che qualcuno ci potesse sentire e etichettare come malati mentali. Scendemmo dall'auto davanti a un'enorme villa gremita di gente già all'esterno e Justin mi condusse per mano dentro all'abitazione. Prima, però, si fermò una ventina di volte a salutare prima questo personaggio famoso, poi quell'attore, poi quell'altro cantante. Riconobbi almeno una dozzina di celebrità di cui avevo visto i film o ascoltato le canzoni, tra cui Selena Gomez, la sua ex, che salutò di sfuggita, e Justin Timberlake, con cui scambiò quattro chiacchiere. Infine, mentre stavamo entrando in casa, il biondo urlo un «Ciao, amico!» in direzione di Usher, che stava parlando con una bionda.

Non appena sentì Justin lasciò perdere la conversazione e ci venne incontro con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto. «Come va, uomo?» gli domandò in tono amichevole. Poi spostò lo sguardo su di me, facendomi sentire leggermente a disagio. «E chi è questa bella ragazza? Presentamela, se non vuoi essere sbattuto fuori all'istante!»

Il biondo rise, sinceramente divertito. «Tutto bene, grazie» rispose. «Lei è una mia amica. Si chiama Audrey.» Mi guardò. «Audrey, lui è Usher, ma credo tu lo sappia.»

Sorrisi, porgendo la mano all'uomo. «È un enorme piacere conoscerla.»

Lui mi abbracciò, lasciandomi sorpresa. «Per carità, tesoro, dammi del tu, o mi farai sentire vecchio!» disse in tono scherzoso.

Ridacchiai; aveva un modo di fare simpatico, che metteva allegria. Non me l'aspettavo, da uno che era famoso da anni. «Non vorrei mai mancarti di rispetto!» replicai, infine.

«Senti Audrey, ti tratta bene questo ragazzo?» chiese, rivolgendo a Justin un'occhiata severa. «Perché so come si comporta con le fanciulle, sai, è solito darsi un sacco di arie e fare un po' il maleducato...»

Annuii ma, prima che potessi rispondere, il biondo lo interruppe: «la tratto benissimo.»

Lo guardai con un'espressione a metà tra il divertito e l'incredulo, poi scossi la testa. «Che bugiardo» commentai. Poi risposi ad Usher: «ogni tanto, anzi, spesso rompe le palle, ma per adesso riesco ancora a sopportarlo senza avere voglia di buttarlo giù dal balcone.»

L'uomo rise. «Non esitare a chiamarmi, se dovessi avere bisogno!» ammiccò. Subito dopo si guardò attorno e, dando una pacca amichevole sulla spalla a Justin, disse: «ora vi lascio soli. Laggiù c'è il bar, lì il vario cibo, il bagno è la terza porta sulla destra e... niente, divertitevi!» Dopodiché scomparve dietro un gruppo di persone.

«Allora, che te ne pare?» mi domandò il biondo.

«È simpatico.»

«Simpatico?!» esclamò, contrariato. «Ma se mi ha infamato davanti a te!»

Lo guardai divertita. «Scherzava.»

«Oh, no. Non scherzava affatto. Io lo conosco» affermò.

«Non mi ha detto nulla che non sapessi già.»

«Grandioso.» Incrociò le braccia al petto, imbronciato. Lo presi per mano e lo trascinai verso il bar, ordinando due Long Island che ci vennero serviti subito. Afferrai il mio ed iniziai a berlo tranquillamente, senza accorgermi che mi stava guardando. «Tu bevi?» domandò, sorpreso.

«È proibito farlo, per caso?»

La sua bocca si aprì in un sorriso. «Sei la ragazza dei sogni» disse, per poi prendere in mano il suo drink e cominciare a sorseggiarlo. La sua affermazione continuò a volteggiare per la mia mente finché l'effetto dell'alcool non iniziò a fare il suo corso, donandomi un po' meno di lucidità e un po' più di libertà mentale.

Lo trascinai sulla pista da ballo mentre il DJ stava suonando un remix di Die Young di Ke$ha, ed iniziai a saltellare a ritmo di musica cercando di stare in piedi sulle décollété che, per quanto belle, erano anche terribilmente scomode per ballare. Lui iniziò a muoversi davanti a me, apparentemente senza alcuno sforzo. Dopo aver ballato un paio di canzoni a cinque centimetri di distanza l'uno dall'altra mi attirò a sé e fece combaciare i nostri corpi. Nonostante l'alcool – o forse proprio grazie ad esso – non potei fare a meno di notare quanto sembrassero incastrarsi alla perfezione, come fossero la parte complementare l'uno dell'altro. Sentivo il suo petto contro il mio, le sue braccia che cingevano la mia vita... e non potei evitare di pensare come sarebbe stato a letto.

In uno sprazzo di lucidità scacciai via quella fantasia, vergognandomi di averla fatta e ricordandomi di Aaron, il ragazzo che amavo. Non avevo alcuna intenzione di rovinare la nostra storia durante una semplice serata che avrei trascorso con un ragazzo che non era niente più di un amico.

Se è solo un amico, come mai non hai rivelato a nessuno che saresti andata ad una festa con lui?, mi chiese una vocina nella mia testa. La risposta era ovvia: non l'avevo fatto perché non era una semplice festa, ma una con centinaia di celebrità e, se qualcuno fosse venuto a saperlo, si sarebbe presentato e l'avrebbe rovinata.

Bugiarda, affermò la vocina, Heather non l'avrebbe fatto. Heather sarebbe voluta venire con me ed io non avevo voglia di condividere questa piccola esperienza con lei, per ora. Gliene avrei parlato l'indomani, quando tutto sarebbe già stato finito.

Non l'hai rivelato perché avevi paura. Paura? Paura di cosa? Ma per favore, era ridicolo. Io non avevo paura.

Paura che Aaron si arrabbiasse. Aaron non si sarebbe arrabbiato, perché sapeva che io avevo occhi solo per lui, da quasi due anni ormai.

Aaron è geloso e tu lo sai, per questo non gliel'hai detto.

Decisi di non dare peso ai miei pensieri. «Justin» gli sussurrai ad un orecchio, apparendo forse troppo provocante. «Voglio un altro drink.»

Lui si fermò, guardandomi serio. «Non se ne parla» disse infine, scuotendo la testa deciso. «Ne hai bevuti solo due e sei già fuori di testa. Non ne avrai un terzo.»

Lo fulminai con lo sguardo. «Vaffanculo.»

Mi prese per mano e mi portò a sedere su uno dei divanetti di pelle color panna sistemati attorno all'ampia piscina piena di ospiti non del tutto sobri. La testa cominciava a farmi male e a girare, perciò aggrottai la fronte massaggiandomi le tempie. «Non ho nessuna voglia di pulire il tuo vomito dalla mia bellissima macchina, chiaro?» disse.

Sbuffai. «Okay!» mi arresi, scocciata. «Bene. Non avrò un drink. Una canna, però, posso farmela?» domandai, guardandolo con aria supplicante. Avevo un terribile bisogno di estraniarmi dalla realtà per evitare che i pensieri a cui non volevo dare voce prendessero il sopravvento, e sperai che lui lo capisse in qualche modo.

Chiuse gli occhi per un secondo, sospirando. «Metà io e metà tu, va bene?»

Capii che, se volevo fumare, le condizioni erano quelle, perciò accettai. Estrasse il drum riempito di erba dalla tasca destra dei jeans, poi la accese con un accendino verde e me lo porse. Appoggiai il filtro tra le labbra, inspirai e ben presto sentii i miei nervi rilassarsi, quindi espirai giocherellando con il fumo e gliela passai. Lui ripeté le mie azioni quasi in modo identico. Continuammo così finché non rimase solamente il filtro.

Mi sdraiai sul divanetto e guardai il cielo. «Secondo te, le stelle quante sono?» chiesi, cercando di contarle tenendo il segno con le dita. Una, due, tre, quattro, cinque... Mi persi a cercare di individuare le costellazioni, quindi ricominciai. Dopo aver fallito una mezza dozzina di volte rinunciai, e tornai a guardare il cielo con aria sognante.

Mi rivolse uno sguardo divertito. «Sei proprio fuori.»

«Rispondi.»

«Non so che cosa dirti, Audrey.»

«Spara un numero.»

«L'infinito...»

«Come io e te in questo momento?»

Mi guardò nuovamente, sorpreso. «Sì» sorrise, «come noi due in questo momento.»














"rollercoaster"
Ciao splendori!
Come potete ben notare, sto aggiornando solo due giorni dopo aver pubblicato il capitolo 3.
E perché? Un po' perché sono soddisfatta dai risultati che ha avuto, un po' perché non ce la faccio a resistere.
Il fatto è che sono troppo soddisfatta di questo capitolo per tenervi ancora sulle spine, eheheh.
Spero che vi piaccia e, come al solito, ringrazio infinitamente chiunque abbia recensito e/o messo tra le preferite, le seguite o le ricordate la mia fan fiction.
Per favore, fatemi sapere cosa pensate del capitolo!
Un bacio grande grande a tutti,

Andrea :)

   
 
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