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Autore: Mary P_Stark    27/11/2013    3 recensioni
Quattro sono gli elementi. Terra, Aria, Fuoco, Acqua. Quattro sono i gemelli Hamilton, depositari di questi antichi poteri. Loro sono le storie che qui narrerò, intrise di amore e magia. Winter, primo tra i gemelli, è rinchiuso in un gelido dolore da cui non vuole uscire, dopo la morte della moglie. Neppure il figlio Malcolm riesce completamente a liberarlo da questa prigione volontaria. Potrà la sua antica fiamma, Kimmy, riportarlo a nuova vita? SERIE "THE POWER OF THE FOUR" - 1° RACCONTO
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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Capitolo 5
 
 
 
 
 

 
«Non osare dirmi come devo sentirmi o meno, Win… sono felice della vita che ho avuto, punto. Non togliermi questa sensazione, te ne prego.»

«Erin, a stórin1, non voglio toglierti nulla… ma dubito tu possa realmente pensarlo.»

La voce di Winter era pesante, strascicata, stanca, scoraggiata.

Il viso emaciato di Erin stava dinanzi a lui come il simbolo primo della sua sconfitta come uomo e marito, pur se lei era convinta del contrario.

Un lento, debole sorriso screziò il viso teso della donna mentre, dalle sue labbra secche, la voce flebile sgorgò con sorprendente forza. «Mi hai amata di amore sincero e puro.»

«Sai che…» iniziò col dire lui, subito bloccato da un’occhiata glaciale della moglie.

«Win, mi hai dato tutto l’amore che potevi darmi. Pensi che non mi sia bastato? Beh, ti sbagli. Siamo stati messi nel bel mezzo di un’arena e abbiamo combattuto bene, direi. Nostro figlio è perfetto, è esattamente ciò che avrebbe dovuto essere, e io ne sono orgogliosa come ne sei orgoglioso tu. Il resto non conta. Dopotutto, chi potrebbe essere infelice con il proprio migliore amico?»

Nel dirlo, tossì un paio di volte e subito Winter, con mano delicata, le passò un pannetto umido sul viso per rinfrescarla mentre, assiso sulla poltrona della camera d’ospedale, Malcolm continuava a dormire pacificamente.

Il padre lo fissò per un attimo; il suo ometto, il suo primato, il suo campione. Non avrebbe potuto essere più orgoglioso di lui. Ma di se stesso? Davvero non lo sapeva.

«Áthas ar mo chroí go deo2» sussurrò Erin, richiamando la sua attenzione.

Winter allora le sorrise amorevole e, piegatosi su di lei, le sfiorò le labbra con un bacio delicato, mormorandole: «Móraim thú, ó lá go lá, móraim thú, ó oíche go hoíche3»

«Winter…»

«Erin…»

«Come?» esalò una voce, spezzando l’incanto del momento.

Risvegliandosi di colpo dal sonno che l’aveva preso di fronte al microscopio elettronico, Win si riscosse al suono flebile della voce di donna che aveva sussurrato il suo nome.

Aprendo gli occhi su un volto a lui noto, esalò confuso: «Kimberly?»

La donna si aprì in un sorriso comprensivo e, nello spegnere la abat-jour della scrivania, ove il collega aveva lavorato fino a tarda notte, Kim sussurrò: «Sono le due di notte. Hai intenzione di morirci, su quel vetrino?»

Muovendo lentamente il collo e le spalle per sgranchirsi le ossa, Winter tornò col pensiero agli ultimi stralci di sogno che aveva appena abbandonato e, come sempre, un dolore sordo e pungente si incuneò tra le costole, tramortendogli il cuore.

Era sempre così, quando ricordava gli ultimi giorni di Erin. Mai una volta che il suo sonno gli desse pace, la notte, quando rammentava sua moglie.

Ogni volta, il biasimo verso se stesso era così forte da porgli innanzi agli occhi solo i suoi fallimenti.

E forse, era giusto così.

Dopotutto, Erin non c’era più. Era giusto che lui pagasse.

Passandosi una mano sulla nuca indolenzita per massaggiarla, Win le domandò pensoso: «Io non dovrei essermi addormentato qui, ma tu perché sei sveglia?»

«Avevo sete, così mi sono alzata e ho visto la luce accesa nel laboratorio» gli spiegò sommariamente lei, scrollando le spalle.

Solo in quel momento Winter si accorse che, in effetti, Kimberly era in pigiama. Un bel pigiama di flanella color vinaccia a fantasie di fiori esotici.

Abbozzando un sorriso, lui commentò: «Vedo che ti piacciono sempre gli ibischi.»

Vagamente sorpresa da quell’accenno – chissà perché, ma dall’uomo che era diventato Winter, non se lo sarebbe mai aspettato – Kim annuì nel guardarsi e ammise: «Mai persa, questa passione. Ma non oso tenerne uno vero in appartamento, visto che ho il pollice nero.»

L’uomo allargò il proprio sorriso e, quasi senza accorgersene, avvolse con un braccio le spalle di Kim come soleva fare da piccolo. Stancamente, la sospinse verso la porta per uscire dallo studiolo e le disse: «Sarà meglio se entrambi torniamo a dormire.»

«Eh? Oh… sì» riuscì a biascicare lei, troppo sconvolta per riuscire a dire qualcosa di più intelligente o concreto.

Lui allora la fissò confuso per alcuni attimi, prima di comprendere cosa l’avesse mandata in tilt a quel modo.

Già sul punto di ritirare il braccio, sul viso un’espressione di totale sconcerto e, sì, imbarazzo, Winter venne bloccato dalla mano di Kim che, con un sorrisino, lo trattenne con decisione. «No, lascia. Sei stanco al punto tale che potresti rotolare in terra entro i prossimi due metri.»

«Non è…» iniziò a protestare l’uomo, subito tacitato dalla mano dell’amica che, poggiandosi sulla sua bocca calda, lo azzittì di colpo.

Accentuando il suo sorriso, la climatologa replicò: «Sei stanco, Win, e puoi appoggiarti a me. Siamo amici, dopotutto.»

«Kimberly…» esalò lui, reclinando il capo per non dover affondare nei suoi occhi color dell’erba fresca di primavera.

«Immagino che il sogno che stavi facendo ti abbia turbato, visto il modo in cui chiamavi Erin, ma voglio che tu capisca una cosa; se hai bisogno di parlare, io sono qui. E ci sarò sempre. Ricordi, no, la nostra promessa?» asserì con sicurezza Kimmy, levando un mignolo dinanzi a lui.

Winter allora levò il proprio e, seppur a disagio, lo intrecciò a quello della donna, sussurrando: «Sempre amici, dall’alba alla sera, dalla notte al crepuscolo.»

«Appunto» annuì Kim, sorridente. «E ora, a nanna. O chissà cosa potresti leggere, in quel reperto di ghiaccio!»

Lui allora ridacchiò e, stretta con forza la mano sulla spalla di Kim, se la attirò un po’ più vicina, chiosando: «Di certo, non cose utili.»

«Temo di no» assentì lei, assaporando silenziosamente quel momentaneo cedimento da parte di Winter. Era bello, nonostante tutto, averlo vicino. Percepirlo di nuovo come amico.

«Kimberly…»

«Sì?» mormorò lei, fermandosi dinanzi alla porta della stanzetta che Win divideva con Tymothy e Malick.

«Grazie» sussurrò l’uomo, chinandosi su di lei per sfiorarle i capelli con un bacio leggero.

In un fruscio fresco e profumato di ghiaccio Winter si allontanò subito dopo e Kim, bloccata nel bel mezzo del corridoio della piccola postazione fissa dell’isola Piccola Diomede, si chiese scioccata cosa fosse successo, di preciso, in quel momento.

O un asteroide l’aveva colpita in testa, spedendola direttamente in Paradiso, oppure Win le aveva realmente dato il bacio della buonanotte come soleva fare da bambino.

E in quel caso, lei come doveva reagire?

Sbuffando, si guardò le mani tremanti e, dandosi dell’idiota, commentò piano tra sé: «Letto, sonnifero, dormire.»

Anche se non era del tutto sicura che il Lorazepam4 avrebbe sortito l’effetto voluto, quella notte.

 

≈≈≈

Caffè.

Dio, se ne era dipendente!

E quello che sentiva… sì, era caffè appena fatto, di un bell’aroma corposo, che sapeva di Mari del Sud, di una sdraio su una spiaggia assolata, di…

L’occhio le cadde sulla finestrina dal vetro spesso e semi-congelato e, di colpo, tutto l’entusiasmo per il caffè scemò in un più credibile, noioso, tuffo nella realtà.

Al mare c’era, ma in uno congelato, dove c’erano cinquantadue gradi Farhenheit sottozero e dove, per il momento, stava soffiando un vento gelido che, sicuramente, le avrebbe fatto venire le piaghe al naso.

Fu con questo spirito che Kim entrò nello stretto cucinotto della base dove Winter, Malick  e Timothy stavano studiando alcune spettrografie degli ultimi campioni di ghiaccio, recuperati a due miglia a sud dell’isola.

«’giorno» bofonchiò lei, levando fiacca una mano prima di venire spintonata alle spalle da Rowena che, quanto a brillantezza, non era inferiore a lei.

Fissando i tre uomini con aria arcigna, che parevano appena usciti da una beauty farm, la paleoclimatologa dichiarò irritata: «Come facciate a non avere le occhiaie, solo voi lo sapete. E’ ingiusto!»

Malick si passò svogliatamente una mano sui corti riccioli neri e, ammiccando alla collega di origini  scozzesi, replicò: «Per essere figlia di un highlander, ti lagni parecchio, cara.»

«Aspetta che mi sia scolata mezza brocca di caffè poi ne riparliamo, cioccolatino.» Detto ciò, Rowena grugnì similmente a un cane rabbioso e si versò una dose generosa di liquido scuro all’interno di una tazza mentre Malick, ghignante, tornava al suo lavoro.

Winter si limitò a scuotere il capo, accennando appena un sorriso e Kim, non sapendo bene che dire, si attenne ad un più sicuro silenzio e fece colazione senza fiatare, ingollando biscotti secchi e caffè in egual quantità.

Rowena si sfamò con tre croissant scaldati nel microonde e, dopo essersi servita quattro tazze di caffè, dichiarò più tranquillamente: «Oggi chi mi segue alla trivella?»

«Timothy e Malick» asserì Win, impegnato a studiare alcune carte barometriche.

Malick si indicò ghignante – la faccenda del nome proprio era diventata una sorta di guerra personale tra lui e Rowena – mentre Tim fece finta di nulla.

La studiosa scozzese, invece, gli fece la linguaccia e bofonchiò qualcosa tipo “l’ha usato solo perché sei un uomo. Non conta”, dopodiché tornò alla sua colazione con ostentata insofferenza.

Tim continuò a fare finta di niente, la sua attenzione rivolta interamente a Winter, che stava parlando con lui ignorando bellamente i due contendenti.

«Timothy, dovresti testare il radar doppler dal campo di trivellazione. Ho notato che ci sono dei picchi nella ricezione dei dati dal sito di carotaggio, perciò vorrei controllassi l’apparecchiatura. Malick, tu ti occuperai di insegnare a Rowena a utilizzare la trivella senza che faccia a brandelli la carota di ghiaccio. Non ci servono i cubetti per i drink.»

Malick fissò apertamente divertito il capo chino di Winter, ma non disse nulla. Rowena, invece, neopromossa al rango di “persona da chiamare per nome”, ridacchiò divertita e commentò: «Ha fatto una battuta su di me! Entro un anno, guiderò la baracca!»

Kim cercò di non ridere ma fallì miseramente e Malick, non potendo fare altro, si lasciò andare ad uno scoppio di risa così genuino che persino Tim si permise di sorridere gaiamente.

A quel punto, notando l’ilarità generale, Win mormorò: «Devo smetterla di tentare di fare il simpatico. Non lavorate seriamente.»

«No, no, ti prego. C’è già abbastanza freddo fuori. Non sopporterei di avere qui dentro …» iniziò col dire Kim prima di tapparsi la bocca, ammiccare a Winter e sghignazzare impunemente.

Win levò allora un sopracciglio con aria vagamente minacciosa e replicò serafico: «Stavi per dire Iceman,… Kermit

I tre colleghi fissarono alternativamente i due contendenti, non sapendo bene come reagire a quello scambio di battute ma Kim, nell’udire quel nome, prevenne qualsiasi loro reazione ed esclamò contrariata: «Avevi promesso!»

Scrollando una spalla come se nulla fosse, Winter si rimise a leggere i grafici e, pacato, asserì: «Sei tu che hai scherzato col fuoco, … Clark. »

«Uh… è retrocessa al cognome. Fico.» Rowena sghignazzò prima di strizzare l’occhio a Kim, che pareva parecchio alterata, e darle una pacca consolatoria sulla spalla.

Malick, levando le mani in aria, chiosò: «Mai mettersi contro il capo, anche quando sembra di buon umore.»

«Sante parole» annuì con vigore Tim, seguendo Malick e Rowena fuori dal cucinotto, diretti alle rispettive stanzette per abbigliarsi degnamente e combattere il freddo che li avrebbe aspettati all’esterno del campo base.

Rimasti soli, Kimmy cambiò radicalmente espressione e, storcendo la bocca in un risolino ironico, dichiarò sconcertata: «Se non fossi del tutto certa di essere sveglia, direi che sono ancora nel mondo dei sogni.»

Winter la scrutò di straforo e replicò tranquillamente: «Sogni di discutere con me?»

«Per la verità, stanotte ho sognato una spiaggia assolata e drink con gli ombrellini» sottolineò lei, allungandosi per afferrare un croissant caldo e sbocconcellarlo vogliosa. «Uhm, buono…»

Poggiato il documento che teneva in mano sul tavolo di vinile, il climatologo si volse a mezzo per averla innanzi e, scrutandola pensoso, le domandò: «Cosa intendevi, allora?»

«Eri il vecchio Win… e non t’incazzare se ti chiamo così» sottolineò lei, sollevando subito una mano per chetarne eventuali reazioni. «Solo il vecchio Win avrebbe risposto alla mia presa in giro voluta

«Mi stavi mettendo alla prova?» si informò allora Winter, ammiccando.

Arrossendo suo malgrado, Kim si sedette al tavolino con lui e, intrecciando nervosamente le mani, mormorò: «Stanotte… è stato bello rivedere il vecchio… te. Mi mancava, in qualche modo.»

L’uomo si passò una mano tra gli scuri capelli, scompigliandoli leggermente e, con un pesante sospiro, si levò per servirsi un po’ di caffè nella sua tazza di porcellana nera.

Dopo averlo sorseggiato per qualche breve secondo, tornò al tavolo e ammise: «Mi manca il vecchio me, per usare le tue parole… ma è difficile tirarlo fuori.»

«Perché lo hai nascosto?» si arrischiò a chiedere Kim, mordendosi un labbro.

Winter si volse un istante quando udì la porta del campo base aprirsi e chiudersi e, nell’ascoltare pensieroso il rumore delle motoslitte prendere vita, mormorò: «Allontanare il piccolo Win, tutto gentilezze e cuore aperto, è stata una necessità.»

Vagamente confusa, Kimberly replicò: «E perché, di grazia?»

«Diciamo che…» iniziò col dire Winter prima di bloccarsi, ridacchiare tristemente e aggiungere: «… ho avuto i miei motivi.»

Kim sbuffò platealmente, ma si limitò a dichiarare: «Non ti obbligherò a parlare, se non vuoi. Ma mi fa piacere che, ogni tanto, il vecchio Win salti fuori.»

«Grazie» assentì lui, levandosi in piedi. «Vado in laboratorio a terminare il lavoro di stanotte. Tu prepara dei nuovi campioni per il microscopio elettronico. Voglio avere il resoconto delle ultime cinque carote per oggi a mezzogiorno.»

«Signorsì, comandante!» esclamò Kim, afferrando la sua tazza di caffè e un muffin.

«Dopo colazione» precisò Winter, con un mezzo sorriso.

«Non sei il solo a saper fare lo stacanovista, sai?» ghignò lei, tirandosi dietro cibo e bevande e lasciandolo solo nel cucinotto.

Winter ammiccò e disse tra sé: «No davvero, a quanto pare.»

 

≈≈≈
 

«D’accordo, a noi due. Tu sei l’ultimo e poi ho finito» brontolò Kim, azzannando il restante muffin prima di avvicinare l’occhio destro al microscopio elettronico.

Erano le undici e venti del mattino.

O per lo meno, questo diceva l’orologio di Minnie che aveva al polso, indossato sotto il pesante maglione di lana merinos che la teneva al caldo.

Sapeva che era ridicolo, come orologio, e che era anche sciocco portarlo – specialmente con Winter nei paraggi – ma non aveva mai voluto comprarne un altro. Al suo orologiaio di fiducia aveva fatto cambiare un’infinità di volte il cinturino, perché lei potesse portarlo a qualsiasi età.

Ventidue anni.

Era ben vecchio, quel minuscolo orologio della Walt Disney, con la faccia sorridente di Minnie stampigliata sul quadrante di metallo.

Ormai era scheggiato in più punti sulla corona, il vetro era stato cambiato un’infinità di volte e il cinturino doveva essere il quindicesimo, se non ricordava male, ma quell’orologio non l’avrebbe cambiato per niente al mondo.

Perché era Winter che lo aveva scelto per lei, come regalo per il suo decimo compleanno.

Ricordava ancora quel giorno di Yule quando lui gliel’aveva consegnato, avvolto in una bella carta rossa e oro e, vagamente imbarazzato, le aveva confidato di averlo scelto di persona.

Un lento, sornione sorriso le si dipinse sul volto, mentre osservava con attenzione i composti inorganici all’interno del ghiaccio e i metalli pesanti presenti nella minuscola goccia d’acqua che stava analizzando.

Dopo qualche minuto, lo spettrometro digitale iniziò a gracchiare solitario nel piccolo ufficio dove stava analizzando i campioni.

Mentre i dati dei composti ritrovati nel campione venivano stampati, Kim si lasciò andare ad uno sguardo pensieroso rivolto all’esterno del campo base.

Il cielo era scuro, purulento, con nubi gonfie e nere tali da far presagire l’arrivo di una tempesta orribile e, per un istante, temette per le vite dei suoi colleghi.

Non era importante il fatto che fossero a poche miglia dal campo, e che loro possedessero dei cingolati in grado di oltrepassare anche la peggior tempesta del mondo. L’idea di saperli fuori la angustiava.

Il vento era immoto, ad ogni modo per cui, per il momento, non si sarebbe scatenato nessun inferno dantesco fuori da quel piccolo globo di metallo e vetro.

Lanciato uno sguardo allo spettrometro quando terminò di sputacchiare l’ennesimo foglio pieno di grafici, Kim prese in mano i risultati e li sistemò nella carpetta che avrebbe consegnato a Winter.

Fatto ciò, spense tutto e controllò che la piccola cella frigorifera dove tenevano i campioni fosse ben chiusa, dopodiché si lasciò alle spalle l’ufficetto e si diresse verso il laboratorio dove stava lavorando Win.

Non ricevendo risposta quando bussò un paio di volte alla porta chiusa, Kim si arrischiò ad aprirla e, vagamente contrita, mormorò: «Ehi, Winter, ci sei?»

Nessuna traccia dell’uomo.

Era svanito nel nulla?

«Mah,… forse sarà andato in bagno» borbottò tra sé la donna, già sul punto di uscire.

Un’icona sul portatile acceso di Winter, però, la incuriosì non poco e, sorpresa, si rese conto che era un avviso di chiamata su Skype.

Mordendosi dubbiosa il labbro inferiore, Kim si chiese se fosse il caso di accettare o meno la chiamata – e se dall’altra parte ci fosse stata l’amante di Winter? (ce l’aveva?) – ma, temendo potesse trattarsi di un’urgenza, si fece coraggio, aprì la pagina di Skype e prese un bel respiro per farsi coraggio.

Suo malgrado, fu ben felice di veder comparire la faccia vagamente confusa ma sorridente di Malcolm che, dopo alcuni secondi di iniziale sorpresa, si esibì in un sorrisone felice ed esclamò: «Ehi, Kimmy, ciao! Papà è lì?»

«Ciao, Malcolm. Mi viene il sospetto che sia andato in bagno» gli confidò Kim, accomodandosi sulla sedia di Winter.

Il suo profumo fresco la avvolse come una nuvola e, pur non volendo, sospirò. Perché doveva farle quell’effetto, maledizione a lei?!

«Oh, speriamo non abbia preso qualcosa» mormorò spiacente Malcolm. «Tu stai bene? Non stai male, vero?»

«No, sto benissimo. Ma penso anche tuo padre. Forse, doveva solo fare pipì» sogghignò lei, notando un ghigno divertito balenare sul volto ora più tranquillo di Malcolm.

«Sì, hai ragione. Magari è così. Lì è brutto? Qui, nevica tanto. Ho fatto un pupazzo di neve con zia Spry, ieri» la informò Malcolm, scostando leggermente il PC perché la webcam potesse inquadrare la finestra alle sue spalle.

In effetti, oltre il vetro, Kim poté scorgere una massiccia nevicata e, annuendo, replicò: «Qui è ancora calmo, per il momento. Ma il cielo è tutto scuro e gonfio. Sembra di guardare una mora gigantesca.»

Malcolm scoppiò a ridere di gusto e Kim lo imitò con maggiore contegno, pur deliziata dal suono candido della risata del bambino.

Era adorabile, e assomigliava così tanto al Winter che ricordava lei!

Asciugandosi una lacrima di ilarità, Mal esalò: «Mi fai una foto e me la mandi? Voglio vedere il cielo che… ehi, ciao, papà!»

Volgendosi a mezzo, e sobbalzando sulla poltroncina di Winter, non appena udì il bambino esclamare quelle ultime parole, Kim divenne paonazza in viso e fissò spiacente il collega e amico.

Con occhi colpevoli scrutò la figura alta e imponente dell’uomo che, appoggiato contro lo stipite della porta, riempiva quasi per intero l’uscita, e incombeva su di lei con la sua possanza maschile.

Un mezzo sorriso solcava il suo viso niveo quanto salubre e la sua voce, roca e pensosa, sgorgò dalle sue labbra mormorandole: «Una mora?»

Ghignando imbarazzata, Kim si levò in fretta dalla poltroncina – quasi inciampandoci, per la verità – e replicò: «Beh, ammettilo. E’ somigliante.»

«Mai detto il contrario» assentì lui, facendole cenno di tornare ad accomodarsi.

Avvicinatosi a lei, sinuoso nei movimenti come il frusciare dell’acqua attorno a un masso, Winter le poggiò una mano sulla spalla per spingerla a sedersi nuovamente.  Chinandosi poi per essere inquadrato meglio dalla webcam, asserì: «Vedo che Kimberly ti piace molto, Malcolm. Devo preoccuparmi?»

Il bambino divenne rosso come un peperone, strillando nel contempo un ‘papà!’ imbarazzato quanto sgomento e Kim, sorridendo generosamente a Malcolm, gli confidò: «E’ tutta gelosia, la sua, Malcolm, perché io sono più amica tua che sua.»

Sollevando un sopracciglio con evidente sorpresa, Malcolm fissò la donna e replicò affascinato un attimo dopo: «Dici davvero?»

«Ovvio che sì! Scherzerai, spero! Non metterlo neppure in dubbio» ridacchiò Kim, scostandosi un po’ perché Win avesse più spazio di fronte alla webcam.

Quel che l’uomo fece subito dopo, però, la sgomentò al punto da ammutolirla. Cosa molto difficile, tra l'altro.

Con un movimento fluido quanto improvviso, lui la sollevò dalla sedia per prenderne il posto e, senza lasciarla andare, la depositò sulla sua coscia sinistra mentre un braccio le avvolse la vita per tenerla in equilibrio.

Senza fiato per la vicinanza col suo corpo – che sapeva di uomo e di ghiaccio – e strabiliata da quel gesto apparentemente spontaneo quanto inaspettato, Kim si ritrovò a fissarlo con occhi spalancati, mentre la bocca tentava di far scaturire qualche parola sensata.

Tutto inutile, ovviamente.

Lui ammiccò con tranquillità, limitandosi a dire: «E’ più pratico, stando in due davanti a una webcam e, se avessimo fatto il contrario, ti avrei spappolato una gamba.»

«V-vero» gracchiò lei, ancora parecchio confusa.

Tornando a scrutare lo schermo del PC mentre, del tutto pacifico, Winter se ne stava seduto sulla poltroncina con Kim appollaiata su una sua gamba, l’uomo chiese al figlio: «Come procedono le cose, a casa? Spry ha disintegrato qualcosa?»

Malcolm ridacchiò, scuotendo il capo e, dopo aver curiosato con lo sguardo il volto ancora parecchio sconvolto di Kim, asserì: «L’ho tenuta lontana dall’aspirapolvere. E’ venuta Summer a pulire. E’ tornata ieri sera, e stamattina è passata da casa per dare una pulitina veloce. Mi ha portato una roccia scura dall’Etna, sai?»

«E’ lava solidificata» gli spiegò Winter, annuendo. «Come sta Summ?»

«Bene, direi. Era tutta contenta perché il vulcano ha eruttato mentre era lì, così ha potuto prendere dei… campioni?… direttamente dal… come si chiama, papà?» borbottò Malcolm, facendosi pensieroso.

La fronte si aggrottò, mentre il bambino cercava di rammentare la parola che voleva esporre al padre e Winter, con un sorriso, lo aiutò dicendo: «Cosa ti ricorda la parola che vuoi dirmi?»

«Uhm… zia Summer dice che, in italiano, quel posto ricorda il nome di un animale.»

«E’ una valle?» intervenne a quel punto Kim, che nel frattempo era riuscita a regolarizzare il suo ritmo cardiaco.

«Sì, Kimmy» annuì con vigore Malcolm, sorridendole. «Tu sai cos’è?»

«Il posto? Sì, lo so.»

«Me lo dici?» la pregò Malcolm, intrecciando le mani dinanzi al viso.

Kimberly allora fissò Win in cerca di aiuto e lui, annuendo, le concesse di dargli la risposta. «E’ la Valle del Bove» mormorò a quel punto la donna, sorridendogli.

«Sì, è quella! E’ stata lì!» esclamò tutto contento Malcolm, fissandola adorante.

«Le è piaciuta, l’isola?» gli domandò a quel punto Winter.

Con rinnovato entusiasmo, Malcolm elencò al padre e a Kim tutto ciò che Summer gli aveva raccontato e, quando il monologo ebbe infine termine, lui mugugnò: «Non è giusto, però, che voi viaggiate tanto ed io no. Voglio andare da qualche parte.»

«Sbaglierò, ma giusto quest’estate siamo stati alle cascate del Niagara» gli rammentò bonariamente Win, ridacchiando affabile.

«Già, ma perché dobbiamo sempre andare dove…» iniziò col dire Malcolm prima di tapparsi la bocca, fissare spiacente Kim per un istante prima di borbottare: «… scusa, papà. Mi ero dimenticato.»

«Può capitare, non è successo nulla» si limitò a dire Winter, perfettamente tranquillo. O almeno, così voleva apparire agli occhi di Kim.

Cosa voleva nascondere? Cosa non doveva dire, Malcolm?

«Facciamo così, Mal. L’anno prossimo ti porto a New Orleans, va bene? E, se ci rimane il tempo, facciamo anche una capatina a Orlando, a Disney World,... ti può andare come programma?» mormorò comprensivo il padre, sorridendo generosamente al figlio.

«New… New Orleans? Davvero?!» esclamò eccitatissimo Malcolm, balzando dalla sedia con entusiasmo.

Annuendo, Winter si fece serio e asserì con una certa dose di solennità: «Sì, è tempo che tu la veda.»

«Grande! Wow! Evviva! Ti voglio bene, papà! Sei un mito!» strillò eccitato il bambino, saltellando per la stanza come un matto.

Vagamente sorpresa, Kim esalò: «Non pensavo che un bambino potesse impazzire così per New Orleans.»

«Adora il carnevale creolo» scrollò le spalle l’uomo, accentuando leggermente la stretta sulla vita di Kim.

Lei si vide costretta ad appoggiarsi completamente al suo torace e, nuovamente, il suo self-control subì un'ennesima battuta d’arresto. Lo faceva apposta, forse?

Riuscito in qualche modo a contenersi, Malcolm tornò a sedersi dinanzi al PC e, scrutando Kim con aria vagamente curiosa, le domandò con il tipico candore dei bambini: «Vieni anche tu, Kimmy? Ci divertiremmo tanto, insieme, sai?»

Sia Winter che Kimberly sgranarono gli occhi, sorpresi non poco da quell’uscita e, vagamente sconcertato, il padre gli disse: «Mal, forse Kimberly ha tutt’altro genere di programmi, per l’estate.»

Fissando ora vagamente accigliato il padre, Malcolm replicò scocciato: «Sei tu che dovresti essere più carino con lei, così non si imbarazzerebbe a venire con me.»

«Come?» esalò sorpreso Winter, facendo tanto d’occhi. «Che intendi dire, Malcolm?»

«L’ha detto Kimmy, prima. E’ più amica mia, che tua. Se tu fossi più gentile, diventerebbe amicona anche con te, e così potrebbe venire in vacanza con noi senza problemi. Così, almeno, zia Spry avrebbe un’altra donna con cui chiacchierare.»

La logica tutta infantile di Malcolm lasciò basiti i due adulti che, fissandosi vicendevolmente senza sapere bene cosa dire, non poterono far altro che scoppiare a ridere.

Sbuffando, Mal intrecciò le braccia sul torace e mugugnò: «Non è divertente, sapete?»

Pur trovando difficoltoso parlare a causa dei continui risolini che la interrompevano, Kim riuscì a dire: «Prometto… che… ci penserò. Grazie, Malcolm.»

«Tu impegnati a convincerla, papà» ordinò a quel punto il bambino, fissando burbero il genitore.

«D’accordo. Mi impegnerò. Ma tu pensa a fare i compiti e studiare, mentre io cerco di convincere Kimberly a seguirci a New Orleans» asserì divertito Win, avvolgendo anche il secondo braccio attorno alla vita di Kim.

Il bambino li osservò soddisfatto, annuendo più volte, poi alla fine dichiarò: «Promesso. Io penserò ai compiti, tu a Kimmy. Ora vado, però. Credo sia arrivata la mamma di Jason. Andiamo in biblioteca. Ciao!»

«A presto, mo chroi5» mormorò Winter, sorridendo amorevole.

«Ciao, Mal!» esclamò Kim, prima di veder scomparire l’immagine del bambino dallo schermo.

Un lento sospiro scivolò fuori dalla bocca di dell’uomo mentre, apparentemente esausto, si afflosciava addosso a Kim, poggiando la fronte contro la sua spalla.

Sorpresa e, sì, preoccupata, Kim mormorò turbata: «Ehi, Winter, che succede?»

Le braccia dell’uomo la strinsero con forza, ma Kim comprese subito che l’amico non aveva secondi fini.

Sembrava … terrorizzato.

Come se lei fosse la sua unica àncora di salvezza di fronte ad un baratro senza fine, che pareva attenderlo con bramosia.

Pur sapendo quanto il suo gesto avrebbe potuto essere mal interpretato, Kimberly si scostò da lui per averlo innanzi.

Senza pensare a null’altro se non al terrore che i suoi occhi stavano registrando in quelli di Winter, gli montò a cavalcioni sulle gambe e lo strinse a sé con forza.

Win allora si aggrappò a lei con un singhiozzo sconvolto e, scosso da brividi violenti, tenne gli occhi serrati per tutto il tempo mentre, a spizzichi e bocconi, parole convulse sgusciarono fuori dalla sua bocca, riempiendo di mestizia Kim.

Carezzando quel capo bruno e dai folti capelli neri che, poggiato contro la sua spalla, pareva non voler smettere di tremare, Kim mormorò dolci parole per calmarlo. Dentro di sé, però, il cuore sembrò andarle in pezzi per il dolore che avvertì provenire dal corpo massiccio di Winter.

Cosa lo aveva sconvolto tanto, in quella video chiamata? Cosa?!

«Parlami, Win… parlami… mi stai spaventando» sussurrò contro il suo orecchio Kim, stringendoselo maggiormente al petto.

Le mani dell’uomo risalirono lungo la sua schiena lasciando scie di fuoco che lei fece fatica a sopportare – e controllare – e, come gabbie, si strinsero all’altezza delle sue spalle per spingerla verso di lui in un abbraccio ancor più convulso.

Qualcosa dentro di lui sembrava essere andato in pezzi, ma Kim stentava a comprendere cosa fosse.

Era evidente, però, che l’amico necessitasse del suo aiuto, o non si sarebbe addossato così fortemente a lei. L’avrebbe cacciata, se avesse sentito il bisogno di rimanere solo con la sua angoscia.

Passarono un tempo indefinito in quella posizione, stretti l’uno all’altra come solo da bambini avevano avuto il coraggio di fare.

Quando finalmente l’equilibrio mentale di Winter sembrò essere venuto a patti con la realtà, l’uomo si scostò lentamente da Kim per fissarla spiacente negli occhi.

«Ehi…» sussurrò lei, le mani che ancora gli stavano carezzando il viso e i capelli.

Un mezzo sorriso si dipinse sul viso di Kim che, pur imbarazzata da quella situazione decisamente compromettente, riuscì a dire: «Va meglio?»

«Non… non gli è mai… piaciuta nessuna» balbettò confusamente lui, stupendo non poco Kimmy.

«Come? Che vuoi dire?» esalò la donna, del tutto disorientata dalla sua uscita.

Le mani ora poggiate sulla vita di Kim, Winter asserì a capo chino, la voce ridotta ad un sussurro: «Dopo… dopo un anno dalla morte di Erin, una… una mia collega cercò di … beh…»

«Tentò un approccio con te?» gli venne incontro Kim, sorridendogli comprensiva.

Lui annuì, tornando a scrutarla in viso e, roco, aggiunse: «Pensavo che dare una mamma a Mal fosse una buona idea e, visto che con Patricia andavo abbastanza d’accordo… beh, la feci avvicinare. Ma Malcolm non gradì affatto. Non gli piacque per nulla. Così decisi di non permettere più a nessuna donna di metterlo in ansia, o rattristarlo.»

«Hai fatto bene. Mal deve avere sofferto molto per la morte di Erin, ... come te, del resto» assentì l’amica, arrischiandosi a carezzargli di nuovo i capelli.

«E’ per questo che… che Rowena ha sprizzato gioia da tutti i pori, quando l’ho chiamata per nome. Io non chiamo mai per nome nessuna mia collaboratrice. Non voglio si creino… legami speciali. O che loro si facciano strane idee» le spiegò a fatica Winter, sorridendo mestamente.

«Hanno provato in tante, eh?» ironizzò bonariamente lei, ammiccando.

«Già» assentì lui, con un risolino contrito. «Come hai detto, tu? Bello e impossibile?»

«Esatto» annuì Kim, scostandosi un po’ per alzarsi in piedi.

Winter la trattenne, domandandole: «Puoi… puoi rimanere un altro po’?»

«Certo» sussurrò lei, annuendo.

Tenendola stretta e parlando a bassa voce, Winter proseguì nel suo racconto. «Tutte le volte che lo portavo al NOAA e qualche donna tentava di avvicinarlo per fargli dei complimenti, o anche solo chiacchierare un po’ con lui, Malcolm si ritraeva sempre.»

«Si vede che aveva il radar contro le pollastre accalappia-vedovi» ridacchiò Kim, il capo poggiato contro la spalla di Winter.

Chiusi gli occhi, la donna ascoltò assorta il battito regolare del cuore dell’amico e, lentamente, anche il suo imbarazzo andò scemando.

Non c’era sensualità alcuna, in quell’abbraccio, solo una richiesta d’aiuto. E lei gliel’avrebbe dato, fino in fondo all’anima.

Winter, a quella battuta, ridacchiò seccamente e assentì dicendo: «Sì, hai perfettamente ragione. Per questo, quando Malcolm ti ha parlato a quel modo, sono rimasto sconcertato. E sono crollato. Scusa.»

«E di che vuoi scusarti? Io non voglio accalappiarti all’amo, e Malcolm lo ha capito» sogghignò Kim. Vorrei ben altro da te, Winter!, pensò poi tra sé.

«E’ stato… un sollievo, tutto qui. Anche per questo non sapevo come comportarmi, con te. Non farei mai nulla per ferire mio figlio, ma visto che tu gli piaci…»

«Puoi rilassarti come hai fatto prima, quando stavamo parlando con lui?» ipotizzò Kim, tornando a riaprire gli occhi per scrutarlo in viso.

«Esatto. E posso anche fare un’altra cosa, ora» ammise lui, sorridendole speranzoso.

Facendosi subito tutt’orecchi, Kim esalò vagamente sconvolta: «Che cosa?!»

Winter scoppiò a ridere di gusto di fronte alla sua palese ansia e, dandole un pizzicotto sul naso con fare amichevole, lui si limitò a dire: «Posso dirti che mi sei mancata, Kimmy.»

«Oh, ecco…» esalò lei, sollevata.

Kimmy. L’aveva chiamata Kimmy. Beh, ora le calotte dell’artico potevano anche divorarla, tanto era felice. Sarebbe morta con il sorriso sulle labbra.

«Kimmy…» mormorò lui, quasi saggiando sulla lingua quel suono per Winter così nuovo e antico al tempo stesso.

«Sì?»

«Eri qui per un motivo?» gli domandò a quel punto lui, sollevandosi e trattenendola facilmente per la vita, così che la donna potesse poggiare i piedi a terra senza rischiare di cadere e, al tempo stesso, restasse accanto a lui per qualche altro attimo.

Scoppiando a ridere di gusto per quel cambio improvviso di argomento, Kim riuscì anche a scostarsi dal corpo massiccio di Winter senza rischiare svenimenti e, afferrata la carpetta che lei aveva poggiato sulla scrivania, dichiarò: «Ero venuta a portarti i risultati delle analisi.»

«Perfetto» sorrise lui, scrutandola in viso senza badare minimamente alla carpetta che lei gli stava porgendo.

«Win…» lo richiamò lei, ghignando vagamente confusa.

Lui ridacchiò con aria birichina, le strappò di mano la carpetta per lanciarla sulla sedia dopodiché, sorprendendo non poco Kim – che strillò spaventata – la afferrò alla vita e se la caricò su una spalla, esclamando: «Dobbiamo fare la foto alle nuvole che assomigliano a more gigantesche! L’hai promesso a Mal, ricordi?»

Non sapendo bene se scoppiare a ridere o prenderlo a pugni sulla schiena, Kim si lasciò trascinare in giro per la base come un sacco di patate e, brontolando, replicò piccata: «Guarda che ho ancora le gambe, Win! So camminare!»

«Eppure, ricordo che ti piaceva essere portata a cavalluccio in giro per il giardino!» rise l’uomo, afferrando la sua fotocamera digitale per poi avviarsi verso la porta d’uscita della base.

«Non ho più otto anni e…» iniziò col dire lei prima di bloccarsi terrorizzata non appena lo vide mettere mano alla porta. «Ehi, là fuori si gela! Io non ho intenzione di congelarmi solo per fare una foto! Fammi almeno prendere una giacca!»

«Ci vorrà un momento, fifona» sogghignò lui, aprendo il battente di metallo.

Una sferzata di vento polare li investì in pieno e Winter, bloccandosi a metà di un passo, mugugnò: «Uhm, c’è il vento. Non va bene.»

«Ovvio che non va bene! Si congela, qui fuori! Riportami dentro!» strillò contrariata Kim, afferrando il maglione di Winter per strattonarlo con forza.

Incurante dei suoi miseri tentativi di ricondurlo a più miti consigli, lui sollevò la fotocamera, fece un paio di foto alle nubi purulente e rientrò subito dopo, rimettendo a terra una furiosa quanto infreddolita Kim.

«Ma che ti è saltato in mente?!» ringhiò lei, dandogli dei pugni sul torace senza peraltro dar segno di averlo minimamente tramortito Pareva inamovibile come una statua di ghiaccio.

Winter levò un sopracciglio con ironia nell’osservarla dall’alto al basso e, scrollando appena le spalle, chiosò: «Promessa tua, non mia.»

«Ribadisco, potevo fare le foto dopo essermi messa la giacca a vento» sbuffò Kim, rabbrividendo visibilmente. «Quasi quasi, rimpiango Iceman Hamilton. Non ricordavo fossi così pestifero, da piccolo.»

«Lo ero eccome» mormorò lui, aggiungendo subito dopo: «Vieni, ti preparo del caffè bollente, così ti riscalderai.»

«Ti ci vorrà ben più di un caffè per farti perdonare per questo scherzo di pessimo gusto» borbottò lei, pur seguendolo verso il cucinotto.

Senza voltarsi, lui le disse: «Ho tutto il tempo del mondo per farmi perdonare da te, Kimmy. Almeno stavolta, mi è andata bene.»

Confusa, Kim si chiese chi non avesse avuto il tempo di perdonarlo, o da chi Winter si fosse aspettato un perdono mai giunto.

Cosa aveva voluto dire, con quelle parole?

 
 
 
 
 
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1 A stórin (gaelico irlandese): mia cara.
2 Áthas ar mo chroí go deo (gaelico irlandese): Felicità sul mio cuore per sempre.
Citazione dal brano “Deora Ar Mo Choí” , tratta dall’album di Enya.
3 Móraim thú, ó lá go lá, móraim thú, ó oíche go hoíche (gaelico irlandese): Io ti glorifico giorno per giorno, Io ti glorifico notte dopo notte. Citazione dal brano “Athair Ar Neamh” , tratta dall’album “Memory of Trees” di Enya.
4 Lorazepam: forte ansiolitico, usato in particolare per curare ansia e insonnia.
5 Mo chroi (gaelico irlandese): mio cuore.  Sinonimo di mo chuisle.

  
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