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Autore: Jewels5    27/11/2013    5 recensioni
Lei era drammatica.
Lui era dinamico.
Lei era precisa.
Lui era impulsivo.
Lui era James e lei era Lily, e un giorno condivisero un bacio, ma prima condivisero numerose discussioni, poiché lui era presuntuoso e lei dolce, e le questioni di cuore richiedono tempo.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: James/Lily
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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*Vedo una luce buiaaa*
Siamo tornate! So che molte persone che seguivano questa storia saranno laureate e/o sposate ora, ma se vi ricordate ancora di noi, siamo qui. Con il nuovo capitolo, e un macigno nel cuore, perchè Jules ha aggiornato a fine agosto e sono altre 100 pagine. Ma non ci lamentiamo, perchè poteva andarci peggio, poteva essere una fanfiction lungherrima piena di fesserie, e invece no. Qui la cosa si fa seria, preparatevi che con questo capitolo... Naaa non vi dico niente!
Un ringraziamento a chi ci legge, preferisce, segue e recensisce!
Buona lettura a tutti dalle traduttrici-molto-disperate!
Giuls :D


In precedenza: Allora, Piton attacca Marlene con la maledizione Cruciatus per diversi motivi contorti troppo complicati da spiegare qui, ma Marlene acconsente a non denunciare Piton (per diversi motivi contorti, troppo complicati da spiegare qui) a condizione che si assicuri che agli amici di Marlene non accada niente. Lily dà una mano a salvare il fratello Mangiamorte di Luke, Logan, e poi Logan scappa, ma non prima di offrire a Luke un certo lavoro (che Luke rifiuta). Frank e Alice continuano il loro tentativo di pseudo-relazione. Piton e Mulciber sono in cerca di studenti più giovani da reclutare per "la Causa," incluso Regulus Black. Una Donna consumata dallo stress e tormentata dai sensi di colpa ha un grosso litigio con Lily. Alphard Black muore.

 

Capitolo 20 - "Momenti"

o

"Helter Skelter"
 

Le relazioni interpersonali sono fondamentalmente composte da momenti e conversazioni.

I momenti sono le cose che ricordiamo: gli sguardi silenziosi da interpretare o fraintendere, i sorrisi da analizzare ripetutamente più tardi, le emozioni indescrivibili contenute in un tocco, o un gesto. I momenti sono le cose che ci perseguitano e persistono, perché anche se migliaia di parole vengono dedicate a spiegazioni discorsive, è dei momenti che ci fidiamo. Sono le cose che puoi rivedere nella tua mente tutti quegli anni dopo, quando le conversazioni sono ormai sbiadite in un oblio di milioni e milioni di parole.

(Blackbird)

Sirius aveva all’improvviso molto freddo.

Il sole splendeva e il cielo era di un’allegra sfumatura di azzurro, e gonfie nuvole bianche vi veleggiavano attraverso. L'ambiente intorno a lui dava tutta l’impressione di essere molto caldo, eppure Sirius aveva freddo.

Una brezza leggera mosse i fili d’ erba verde e lussureggiante sotto i suoi piedi, e si accorse di essere tutto solo sull’enorme prato. La brezza diventò più violenta, fino a diventare un venticello che picchiava contro il grande platano non molto lontano. I suoi rami fischiarono e scricchiolarono, piegandosi esageratamente avanti e indietro.

Con un’inspiegabile paura di quello che avrebbe potuto vedere, Sirius si voltò per guardare dietro di lui... nessuno. Niente. Era completamente solo.

L’erba si stendeva per breve distanza in quella direzione, e poi si fermava, bloccandosi alla sommità di un dirupo. Forse questo spiegava il freddo... era molto in alto. Senza avere più paura, Sirius si incamminò verso l’orlo del dirupo. Sbirciò giù dal pendio roccioso grigio e bianco, e riuscì a scorgerne la base molto più giù, in basso. Polvere: un mare sparso di polvere color sabbia… aveva sperato di trovarci l’ acqua, l’oceano, ma c’era solo la polvere.

Sirius si raddrizzò di nuovo, poi si guardò i piedi: indossava le sue semplici scarpe nere della divisa—infatti, indossava ancora l’uniforme scolastica, ma non aveva colori. Non c’era nessun simbolo delle Case sulla sua veste, e la sua cravatta era nera e basta.

Il fischiare del vento si fece più forte e violento, più minaccioso; comunque, Sirius notò che più fissava il fondo del precipizio, più si accorciava la distanza tra quest'ultimo e la cima dove lui si trovava, finchè alla fine, non sarebbero potuti essere più di quindici metri.

Era una cosa stranissima, ma fissando da lassù (e non gli girava per niente nemmeno la testa), sentiva uno strano impulso a... fare un semplice passo oltre l’orlo. Bastava così poco, realizzò: solo un passo. Un movimento insignificante—rapido, facile, fatto con soddisfazione, e sarebbe stato oltre il bordo. Come sarebbe stato semplice; come lo faceva sentire potente... quel controllo... era solo. Era l’unico che poteva farlo.

E così, senza pensarci, fece un passo avanti.

All’improvviso, il mondo si capovolse. Sirius si accorse di precipitare, precipitare, precipitare, il cuore che gli batteva nel petto. Si chiese cosa avrebbe provato a toccare il fondo, e mentre il vento gli riempiva le orecchie, realizzò che il pendio era molto più profondo di quanto avesse immaginato. Continuò a precipitare per quello che gli sembrò un tempo lunghissimo, l’ambiente circostante che scorreva in un vortice di suoni e colori davanti ai suoi occhi: nel vento, riusciva a sentire delle voci—sussurri e bisbigli che non riusciva a distinguere bene, finchè una voce—più secca e definita delle altre—urlò: "Sirius!" E colpì il suolo con un tonfo.

Era vivo, steso sulla schiena e col respiro affannato; la terra sotto di lui non era polvere ruvida, secca, come aveva pensato, ma erba fresca. La caduta doveva essere durata tanto tempo, perché ora era buio. Una grande luna bianca lo sovrastava minacciosa tra le vorticanti nuvole grigie ed un cielo nero senza stelle. Non avvertiva più dolore di quanto ne avesse potuto sentire se fosse semplicemente inciampato all’indietro al livello del terreno, tranne in un punto—l’occhio sinistro. Pulsava in una maniera terrificante, e Sirius non aveva idea del perché. Non gli faceva male nient’altro, sul ser­io: solo quel punto della faccia.

Rimase disteso per parecchi secondi, e—proprio quando decise che avrebbe dovuto muoversi—Sirius si accorse di qualcosa di bagnato alla base della nuca. Sangue, forse (era caduto, dopotutto). Ma lentamente il liquido iniziò a diffondersi, solleticandogli il collo, e si accorse che era acqua.

La pozzanghera, che si era formata dal punto in cui la sua testa toccava terra, continuava ad allargarsi. Aveva raggiunto i polpastrelli ancora prima che Sirius si rendesse conto che non si stava solo allargando—l’ acqua stava diventando anche più profonda. Se ne accorse, e l’avanzamento si fece più veloce; doveva muoversi, o il livello dell’acqua, che adesso era più alto del dorso delle mani, l’avrebbe sommerso del tutto. Cercò di tirarsi su a sedere, di spingersi fuori dall’erba, ma—e nel momento in cui se ne accorse, la paura lo attraversò come un fulmine—non ci riusciva. Era paralizzato, ed il livello dell’acqua aumentava.

In un momento, lo ingoiò. Il suolo sotto di lui era scomparso, e mentre galleggiava sotto la superficie, Sirius riusciva ancora a vedere la luna sfocata che lo gelava con la sua luce.

E poi, sentì una strana forza strattonargli la gamba, e poi il braccio, e poi risucchiarlo del tutto verso il basso. Non riusciva a respirare, e lo stava tirando giù, la luce in superficie che diminuiva sempre più. Tossì, ricacciò indietro le lacrime (Perché gli faceva così male l’occhio?), e si dimenò inutilmente nell’acqua sopra di lui.

Stava affondando. La pressione dell’acqua aumentava, comprimendolo dolorosamente. Aprì la bocca per urlare, e l’acqua gli inondò i polmoni. Le sue energie scemarono. Lo splendore della luna nel cielo quasi non si vedeva più, e si sentiva le braccia troppo pesanti per lottare contro la forza che lo trascinava giù.

Stava per morire. Sarebbe affogato in quell'immenso vuoto blu notte. L’acqua si fece più scura mentre lui veniva trascinato sempre più in profondità, sempre di più…, la pressione che incrementava su ogni centimetro del suo corpo. Nell’oscurità, affondò sempre di più...

Sirius Black si svegliò di soprassalto. Annaspò, e nonostante sapesse di essere al sicuro nei confini del dormitorio del sesto anno di Grifondoro, si tastò intorno per esserne sicuro. Le coperte tiepide lo avvolgevano ancora, la bacchetta rimaneva al sicuro sotto il cuscino, le tende erano tirate... era tutto normale.

Era la quarta notte di fila che aveva quell’incubo in cui affogava. Sirius si stropicciò gli occhi con i polpastrelli, gemendo di fastidio per essersi svegliato in maniera così brutta. Un’occhiata veloce alla sveglia sul comodino gli disse che erano appena passate le tre del mattino.

Sprofondò di nuovo nei cuscini.

Quattro notti di fila. Buon Dio. Tutto questo doveva finire.

(Yesterday)

Alphard Black era morto il primo di Maggio.

Se n'era andato durante la notte: una morte tranquilla, pacifica. L’aveva trovato il guaritore Holloway —si era preso il compito di controllare il Professore nei fine settimana. Black era steso a letto, immobile e tranquillo, come se stesse ancora dormendo. Le lezioni di Difesa quella settimana furono annullate.

"Vieni?" chiese James piano. Il Capitano della squadra di Quidditch esibiva vestiti completamente neri e un’espressione contrita, ma la schiena di Sirius era rivolta al suo migliore amico, e non vide niente di tutto ciò.

"No," rispose duramente.

Era il giovedì dopo (il sei), e i due ragazzi erano da soli nel dormitorio. "Padfoot," James tentò ancora una volta. "Avrebbe voluto che fossi lì."

Sirius roteò gli occhi. "E come diavolo faresti a saperlo, Prongs? Lo conoscevi a malapena. Per te era solo il Professor Black."

"E quindi quello che mi stai dicendo," rispose James, "è che tuo zio avrebbe preferito che non ci fossi alla sua veglia?"

Sirius si voltò. "Sì, James. È quello che ti sto dicendo."

James si sedette sul letto più vicino. "Rimango anch'io," annunciò. "Non ti lascio da solo nel castello."

"Non sono solo nel castello, e tu non rimarrai." Sirius sospirò. "Senti, James, vai. Voglio stare da solo... sono stanco della compassione e di tutte le persone che mi dicono quanto gli dispiaccia… come se potessero capire in qualche modo."

"Alcuni lo capiscono, Padfoot."

"No. Non è vero."

"Un sacco di gente ha perso la famiglia in questa guerra. Lo sai."

"Già, e quanti di loro hanno perso l’unica famiglia che avevano?"

"Sirius, tu hai una famiglia. Hai Andromeda, hai me, hai..."

"Non ho un cazzo, Potter," disse Sirius apatetico. "Ora fuori di qui. Vai a ‘portare i tuoi rispettosi saluti’ a Hogsmeade col resto della scuola, e lasciami in pace."

"Padfoot, potrebbe farti bene andare. Per dire addio."

"Dire addio a cosa? Ad un ammasso di carne fredda in una cassa di legno? Non ho bisogno di dire addio. E se hai proprio intenzione di fare il coglione, almeno chiudi la porta quando esci." Si accese una sigaretta.

James rimase a lungo in silenzio. "Ti lascio il mantello e la mappa, nel caso cambiassi idea," disse alla fine, alzandosi dal letto e dirigendosi verso l’uscita. "E più tardi, quando ti prenderai a pugni da solo per essere stato un tale idiota, datti un pugno anche da parte mia, eh?" E chiuse la porta dietro di sé.


Il memoriale a Hogsmeade non era, di per sè, il funerale di Black. Era solo una funzione, principalmente per gli studenti, anche se non furono solo loro a parteciparvi, affatto. Quando finì, gli studenti seguirono la bara nera e lucida del loro professore, mentre veniva levitata lungo la strada principale verso una scura carrozza funebre senza cavalli.

Lily camminò con Severus tenendo lo stesso passo strascicato, gli occhi verdi umidi, ma le guance secche. L’unico rumore, apparentemente in tutto il villaggio, era quello di tanti piedi che si spostavano sul suolo.

"Che fai quando torni al castello?" chiese Severus in un sussurro, mentre la bara di Black raggiungeva la sua destinazione. Lily guardò il Serpeverde, del tutto sorpresa dalle sue parole; le sembrava di non sentire una voce umana da una vita (anche se in realtà, erano stati venti minuti scarsi).

"Non lo so," rispose lei sincera. "Non ci ho pensato."

"Hai finito il tema di Incantesimi?" incalzò Severus. "L’ultima parte era un po’..." Notò l’espressione di Lily. "M-ma possiamo parlarne dopo."

"Sì," rispose lei secca. "Infatti."

Severus scivolò via quando raggiunsero la fine della processione, e Lily si diresse verso Marlene e Mary. Notò James, Remus e Peter che se ne stavano per conto loro a breve distanza, ma l’assenza di Sirius era vistosa .

"Stanno andando tutti ai Tre Manici di Scopa per una Burrobirra," disse Mary, quando Lily si avvicinò. "La McGranitt ha dato il permesso. Vieni?"

"Penso di si."

La folla iniziò a disperdersi, e la maggior parte degli studenti di Hogwarts si diresse ai Tre Manici di Scopa. Erano un gruppo silenzioso, una marea di mantelli neri che si sospingeva lungo la strada cupa. Il cielo grigio minacciava pioggia, e un vento mordente faceva stringere tutti un po’ di più nei loro mantelli. Anche il tempo sembrava piangere il defunto.

Lily fissò pigramente tra la folla le facce dei suoi compagni addolorati. Il Professor Black piaceva praticamente a tutti, e che se ne fosse dovuto andare così all’improvviso... non era proprio giusto. Non lo era. E povero Sirius...

I suoi occhi si soffermarono su Severus, che adesso si era unito ai suoi compagni. Borbottavano qualcosa tra loro—Sev, Mulciber, Avery, e Hester—e si chiese vagamente di cosa stessero parlando. Trovò Frank e Alice che camminavano con altri ragazzi del settimo anno e resisté all’urgenza di trovare Donna (l’avrebbe solo fatta arrabbiare, dopotutto). Osservò distratta la folla fuori dal pub (un paio del terzo anno col volto rigato di lacrime, parecchi funerei Corvonero) mentre lei, Mary, e Marlene seguivano il resto della scolaresca dentro il locale.

La campanella di bronzo sulla porta tintinnò quando Marlene aprì la porta che si stava chiudendo per lei e le amiche; il caldo e i colori del pub contrastavano molto col freddo della strada, e Lily si affrettò a chiudersela dietro. Si voltò, spingendola piano, e così proprio prima che si chiudesse, ebbe una breve visuale della la strada fuori.

I negozianti che erano usciti a guardare stavano tornando alle loro faccende; streghe e maghi che avevano partecipato al servizio funebre bighellonavano ai margini della strada, parlando composti o altrimenti stando in silenzio. La Professoressa McGranitt e Hagrid il Guardiacaccia si stavano consultando vicino alle carrozze che avrebbero riportato gli studenti a scuola, e un grosso gatto soriano passeggiava sul davanzale di una vetrina poco lontano.

E, per il più breve dei momenti, vicino ad una finestra aperta dall’altra parte della strada, Lily intravide un paio d’occhi scuri, giustapposti in una faccia familiare che Lily non riconobbe se non una frazione di secondo dopo, quando la porta si chiuse con uno scatto. Il battito cardiaco le accelerò—gli occhi si spalancati per la sorpresa—Lily all’improvviso la riaprì. "Dove vai?" chiese Marlene, ma Lily era già fuori in strada.


"Frank, mi precedi?" chiese Alice, lanciando un’occhiata ai tre Malandrini poco lontano. "Ci vediamo dentro..."

Il Caposcuola annuì, stringendola velocemente prima di entrare ai Tre Manici di Scopa senza di lei. Alice, nel frattempo, si strinse nel mantello, e allungò il passo per raggiungere James, Remus, e Peter, che si avviavano in direzione opposta. Fu quasi travolta da un’affrettata Lily Evans, ma raggiunse i tre maghi proprio mentre si separavano dalla parte più grossa della folla.

"James... Remus... Peter, aspettate un minuto..."

Lo fecero. Lei li guardò. "Come sta?" chiese piano la ragazza del settimo anno.

"Non benissimo," rispose Remus. "Stiamo tornando proprio ora al castello per vedere come sta. Si è rifiutato di scendere."

Alice annuì. "Sentite, lo so che siete i suoi migliori amici, ma se pensate che possa essere di qualche aiuto, venite da me, e proverò a parlargli anche io, ok?"

Remus sorrise debolmente. "Grazie, Alice. Lo faremo."

La ragazza del settimo anno si voltò e se ne andò via lentamente, scomparendo alla fine dentro i Tre Manici di Scopa. I Malandrini quindi continuarono ad andare verso le carrozze.

"Non so," Peter disse mentre camminavano. "Padfoot mi aveva chiesto di prendergli del Whiskey Incendiario... si irriterà da morire quando vedrà che non l’ho fatto."

"C’è una bottiglia nel mio baule che ancora non ha trovato," disse James. "E non dovresti farti comandare a bacchetta da Sirius, Wormtail." Remus roteò gli occhi. "Moony, tu che ne pensi? Quanto tempo gli dobbiamo dare prima di agire sul serio?"

Prima che Remus potesse rispondere, una nuova voce li interruppe. "James?"

I Malandrini si girarono e videro una bella strega bruna che si avvicinava. Aveva un viso lungo e sottile, familiari occhi grigi e una corporatura alta e flessuosa. Indossava un mantello nero con una fibbia d’argento, e un'espressione dolente sul volto color avorio. James espirò profondamente.

"Andromeda," rispose, in una sorta di saluto.

Sorrise triste. "Non è venuto?"

James scosse la testa. "Non la sta... prendendo bene."

La strega, Andromeda Tonks (nata Black), salutò gli altri due Malandrini per la prima volta. "Remus. Peter."

"Ehilà, Andromeda," disse Remus, e Peter annuì.

Di qualche anno più grande di loro, la conoscenza di Andromeda dei Malandrini si doveva soprattutto a suo cugino, il loro quarto compagno, piuttosto che a Hogwarts. Era al sesto anno quando i Malandrini avevano iniziato, e—in più—una Serpeverde, cosicché i loro contatti negli anni che avevano condiviso a Hogwarts erano stati minimi. Comunque, fin dal matrimonio di Andromeda con un mago nato babbano e il conseguente ripudio dalla famiglia Black, Sirius aveva fatto parecchie visite a casa della sua cugina preferita durante le vacanze estive, portando con sé James e ogni tanto Remus e Peter.

Adesso ventitreenne, Andromeda era ancora bella come lo era stata a Hogwarts, ma abbastanza diversa. La sua figura ancora slanciata era più rotonda, probabilmente il risultato di una gravidanza, e gli spigoli del suo viso sembravano meno accentuati, meno intimidatori. Gli occhi—quasi identici a quelli di Sirius—erano però ancora gli stessi. Qualunque potere avesse donato a Sirius e Regulus Black il loro bell’aspetto aveva fatto lo stesso regalo anche alla parte della famiglia da cui veniva Andromeda. Non solo era davvero carina, ma anche le sue due sorelle erano famose per la loro bellezza.

A proposito di loro...

"Sei sicura di essere al sicuro, qui?" chiese James, guardandosi intorno tra la folla in strada.

"La famiglia non c’è," Andromeda rispose triste. "Saranno al funerale ufficiale, quindi... cioè, non credo che a quello parteciperò."

"Ted è qui? E tua figlia?" Peter chiese, al chè Andromeda scosse la testa.

"Ted è rimasto a casa con Ninfadora. Ritenevo fosse troppo piccola per una cosa del genere, e a dire la verità, non ero certa che sarebbe stata del tutto al sicuro." L’espressione di Andromeda si fece ansiosa. "Ma... lui come sta?"

Non vi era alcun dubbio, si riferiva a Sirius. James si accigliò. "Arrabbiato, più che altro."

"Proprio da Sirius," sospirò la strega. "Potreste—potreste portarmi da lui?"

James guardò Remus, che sembrò ritenerla una buona idea. "Certo," disse il primo, facendo cenno ad una carrozza lì vicino. "Ti porteremo noi."

Andromeda salì nella carrozza, subito seguita dai tre Malandrini. Non appena la porta si chiuse per magia, e il loro mezzo tutto d’un tratto si incamminò verso il castello, Remus si sentì obbligato a rompere il silenzio. "Mi dispiace tanto per tuo zio, Andromeda. È stato il miglior insegnante di Difesa che abbiamo mai avuto."

"Tutti volevano bene a zio Alphard," concordò obiettivamente la strega. "Non potevano farne a meno, suppongo."

Il gruppetto raggiunse in breve il castello, e James la condusse attraverso la Sala d’Ingresso, diretto alla grande scalinata di marmo. Era strano portare un ex-studente —un’ ex Serpeverde per giunta—alla Sala Comune dei Grifondoro, eppure, quando Andromeda propose cortesemente di scostarsi un po’ mentre dava la parola d’ordine alla Signora Grassa, insisté che non era necessario, pensandolo sul serio.

"Ti lasceremo andare per prima da sola da lui," si offrì Peter quando raggiunsero le scale che portavano al dormitorio maschile.

"Ti accompagno alla porta," disse James. Fece strada su per la scalinata a spirale, fermandosi al penultimo piano in alto e bussando alla porta che si trovava lì una sola volta.

"Fuori dalle palle," fu la risposta aspra e soffocata di Sirus.

Andromeda si rivolse a James. "Grazie," bisbigliò, con più sentimento. Poi, aprendo la porta, entrò nel dormitorio.


Donna ricadde indietro tra le lenzuola blu, annaspando e godendosi la meravigliosa assenza di pensieri.

Ogni centimetro del suo corpo sembrava a fuoco, e si tirò attorno le lenzuola, in parte un gesto inconscio fatto per coprirsi, in parte perché il cotone ruvido era fresco rispetto a lei. Non riusciva a pensare—aveva il cervello in pappa, e il battito cardiaco ancora non era rallentato, e tutto quello che riusciva a sentire era un rassicurante, catartico niente. Se avesse potuto sempre sentirsi a quel modo. Se solo avesse potuto sempre sentirsi così...

"Cavolo," Charlie sospirò da un punto indistinto al suo fianco. All’improvviso tutto ritornò bruscamente al suo posto, e a Donna venne voglia di affatturare qualcosa.

Dandosi un secondo o due per ritornare a uno stato-più o meno-normale (in senso fisico), Donna si rizzò su a sedere—le lenzuola ancora strette appena sotto la clavicola—e si guardò attorno cercando i vestiti. Trovò gli slip ai piedi del letto, e poiché doveva per forza lasciar andare le lenzuola se voleva vestirsi, diede le spalle al suo partner prima di infilarsi velocemente la biancheria intima.

"Già te ne vai?" chiese Charlie. "Davvero, Shack, mi fai sentire uno facile." Donna roteò gli occhi, anche se il Corvonero, messi come stavano, non avrebbe potuto vederla. Stava ancora steso con le mani dietro la testa, accoccolato tra cuscini e coperte. "Sai, non devi per forza andartene," continuò . "Credo proprio che se ne staranno tutti al Villaggio per altre due ore, o giù di lì."

Donna ci pensò su, ma il fastidio che le dava Charlie superava il richiamo del sesso. "Non sono dell’umore adatto per un secondo giro," disse semplicemente, infilandosi la gonna.

"Non dobbiamo per forza," Charlie continuò, e Donna notò che il tono di voce mancava della solita nota divertita e presuntuosa. "Voglio dire—puoi anche dormire, se vuoi."

Donna trovò il reggiseno e lo sistemò al suo posto, ma litigò un po’ col gancetto. "Uhm... no."

"Okay," disse Charlie.

All’improvviso, Donna si sentì delle dita sulla schiena, e sobbalzò. "Smettila!" ordinò, sorpresa.

"Volevo solo aiutarti," brontolò il Corvonero, e adesso che il gancio era a posto, Donna si voltò verso il compagno, con un’occhiataccia.

"Non mi serve il tuo aiuto. Ma che hai oggi?"

"Non lo so!" Charlie scattò sulla difensiva. Donna afferrò la camicia e la indossò di malagrazia, allacciandosi in fretta i bottoni, aggressiva. "è che—Penso che tutta questa faccenda... il Professor Black morto e tutto..." il ragazzo evitò il suo sguardo. "...Mi ha fatto solo pensare, tutto qui..."

Donna aveva finito di abbottonare, ma non aveva proceduto oltre, perché era troppo impegnata a fissare il mago davanti a lei, incredula. "E questo cosa diavolo dovrebbe significare?"

"Non lo so," ripetè. "Avevo solamente dei pensieri."

Donna decise di non chiedere spiegazioni e ordinò: "Be', smettila."

Charlie la guardò male. "Bene."

Finì di vestirsi, fermandosi davanti allo specchio per controllare che il suo riflesso fosse impeccabile prima di lasciare il dormitorio. Charlie rimase a letto, mezzo coperto, e ora aveva le braccia incrociate al petto con aria irritata . Senza fare di più di un cenno con la testa, Donna uscì dal dormitorio e scese le scale due scalini alla volta. Quando si ritrovò ad attraversare la Sala Comune vuota di Corvonero, era già decisamente meno scossa.

Charlie Plex aveva la capacità emotiva e filosofica di un ditale. Per l’amor di Dio, non si sentiva proprio in colpa a tradire la sua fidanzata tre o quattro volte a settimana, anche durante la funzione del professore di Difesa morto. Il ragazzo (e i suoi "pensieri") era inoffensivo.

Donna si sentì un po’ meglio quando si lasciò del tutto la Sala comune alle spalle, giù per la scalinata che conduceva alla torre di Corvonero, che usciva al quinto piano. Si incamminò verso la propria Sala comune, ed era nel bel mezzo dell’inventarsi una storia sul perché avesse dato buca alla funzione del Professor Black, quando si ricordò della completa inutilità della cosa. Non le serviva una bugia da dire a Lily. Nessuno le avrebbe chiesto dov’era stata.

Ebbe un breve fremito di sollievo e libertà, seguita da una fitta deprimente di solitudine. Ma davvero, era una cosa positiva. Nessuno per cui inventarsi scuse, nessuno che pretendeva di sapere perché fosse di malumore, nessuno che l’avrebbe asfissiata con domande e discorsi quando tutto quello che voleva era essere lasciata in pace. In sostanza, niente Lily.

Il pensiero del Professor Black morto le attraversò il cervello. Il Professor Black, giù al Villaggio con poche centinaia di persone andate a dirgli addio. Il Professor Black, freddo e morto e andato via per sempre. Per quando Donna raggiunse la Sala Comune , qualunque eccitazione rimasta dal rendezvous con Charlie era svanita completamente.


Sirius sobbalzò alla vista della cugina. Si alzò dal letto a baldacchino immediatamente. "Andromeda! Ma che ci fai qui?"

Andromeda sollevò le sopracciglia. "È così che saluti la tua cugina preferita? E mi hai persino appena presa a parolacce..."

Sirius arrossì leggermente e attraversò la stanza in mezzo secondo, abbracciando in fretta la cugina. "Mi dispiace... non sapevo fossi..."

"Lo so."

Sirius tirò fuori la bacchetta e la puntò alla sedia della scrivania dall’altra parte del dormitorio. I vestiti, i libri, e le pergamene ammassati sopra caddero d’un tratto sul pavimento, prima che la sedia si trascinasse fino al suo letto. Fece cenno ad Adromeda di sedersi e si sedette di nuovo sul letto. "Perché non sei venuto alla funzione?" chiese la strega, una volta che si furono sistemati.

"È così che saluti il tuo cugino preferito?" controbatté Sirius secco. Andromeda roteò gli occhi.

"Sono seria, Sirius."

Il Malandrino esitò, e poi rispose piano: "Non ne vedevo l’utilità." Si aspettava che delle spiegazioni venissero pretese, ma Andromeda si limitò ad annuire. "Perché sei venuta? Non è sicuro... ci sarebbe potuto essere qualcuno della famiglia, e...."

"Saranno al funerale," rispose Andromeda. "Sabato. Ma sapevo che non si sarebbero mai degnati di mescolarsi ad una cosa così poco esclusiva a Hogsmeade." Le labbra si contrassero con sarcasmo. "Comunque," continuò lei, "Dovevo venire se c’era la possibilità. Almeno questo lo devo, a Zio Alphard."

Sirius sobbalzò sentendo il suo nome, come se fosse stato quello di Voldemort piuttosto che quello di un caro parente. "Non è giusto," borbottò. "Non se lo meritava."

"No," Andromeda concordò. "Ma è successo. E, se non altro, almeno sei riuscito a passare del tempo con lui quest’anno."

"Vorrei non averlo fatto."

"No, non è vero. Certo, se non vi foste avvicinati, farebbe meno male adesso, ma... sicuramente sai che ti saresti perso qualcosa che non avresti voluto perdere. Non è vero, Sirius?"

L'altro decise di non rispondere, e i due cugini stettero in silenzio per un po' di tempo. Pienamente consapevole del vero intento della visita di Andromeda, e scegliendo di ignorarlo, Sirius cambiò argomento. "E così Cissy si è fidanzata."

"Con Lucius Malfoy," confermò l'altra. "Piuttosto ironico."

Sirius sbuffò dal naso. "E pensare che, solo un paio di anni fa, pensavo che avrei dovuto prendere parte al tuo matrimonio purosangue da sogno."

"Ci pensi?" si schernì Andromeda. "Sai una cosa, non riesco a immaginare come sarebbe stata la mia vita se fossi andata fino in fondo in quel senso. Non credo che avrei mai potuto, anche se per un po' l'ho ritenuto possibile. Ma dopo aver incontrato Ted, che ne fossi consapevole o meno, era proprio impossibile. Eppure, è così strano far finta di aver avuto quella possibilità."

"E io sarei potuto essere a Serpeverde se non avessi incontrato James," disse Sirius cupo. "Hai ragione. Difficile da immaginare."

Ancora silenzio, e poi Andromeda continuò: "Mi ha dato dei soldi, sai. Quando sono fuggita con Ted, Zio Alphard mi ha dato dell'oro. Eravamo proprio al verde a quei tempi—Non lo so cosa avremmo fatto se non ci avesse aiutati."

Sirius all'improvviso si arrabbiò molto con sua cugina per aver riportato alla luce l'argomento che intendeva evitare. Voleva urlarle contro per questo, ma incrociò il suo sguardo e seppe che non avrebbe mai potuto. Erano gli occhi caratteristici della famiglia Black: grigi, nebulosi, contornati da folte ciglia nere, e caratterizzate da una certa durezza che non riusciva mai a sparire completamente. Eppure, quelli di Andromeda erano l'unica incarnazione dei tratti di famiglia (con poche eccezioni rilevanti e gravose) che gli avessero mai rivolto simpatia o compassione. Da sua madre, ogni tanto da suo padre, da Regulus, da Cissy e persino da Bella aveva ricevuto affetto, tanto tempo fa—anche se detestava ammetterlo—ma solo da Andromeda aveva ricevuto compassione, e non l'avrebbe mai tradita per questo, e così disse: "Già, ha dato dell'oro anche a me, quando sono scappato. Mamma non deve averlo mai scoperto, altrimenti di sicuro avrebbe cancellato il suo nome dall'arazzo di famiglia incenerendolo."

Andromeda concordò. "Non te lo dimenticherai, vero, Sirius?" chiese significativa. "Lui non si è mai dimenticato di noi. Era l'unico."

Sirius sapeva esattamente cosa volesse dire con "noi:" non solo loro due, ma tutti i nipoti di Alphard. Regulus, Narcissa, e Bellatrix erano tutti membri fedeli alla Casata dei Black, ma tutti e tre erano stati un po' trascurati—forse non maltrattati come Meda e Sirius, ma dimenticati lo stesso in qualche maniera.

"Non lo dimenticherò," Sirius promise.

Andromeda rimase con lui per un'altra mezz'ora, parlando di vari argomenti, che sembravano sempre riportarli ai Black o a loro zio. Poi, disse di dover proprio andare, perché aveva lasciato Ninfadora—la sua bambina di quattro anni— con Ted, e sicuramente lui era preoccupato per lei.

"Nemmeno lui voleva che venissi a Hogsmeade," notò lei. "Non me l'ha detto, certo, ma me ne sono accorta"

Sirius avvertì una fitta di gelosia. All'inizio, pensò fosse perché Ted e Dora avrebbero avuto Andromeda, ma dopo si rese conto che forse era geloso di Andromeda, perché lei avrebbe avuto Ted e Dora. C'era una parte di Andromeda e che sarebbe rimasta per sempre Black, ma la sua era più piccola. Aveva un marito; lei poteva prendere un altro nome e farsi una nuova famiglia. Sirius avrebbe dovuto portarsi addosso il proprio nome per sempre.

"Ti voglio bene, Sirius," disse Andromeda, fermandosi sulla porta. Sirius la abbracciò di nuovo, goffamente.

"'Ti voglio bene, Meda."

Si voltò, ma lei esitò con la mano sul pomello. "E non dimenticarti nemmeno dei tuoi amici," disse. "Io non ho mai avuto amici così. E non penso che li avrò mai. Non—non dimenticartelo."


Stava impazzendo. Era l'unica spiegazione plausibile. Era semplicemente impossibile. Non poteva essere.

Appoggiata al muro fuori da I Tre Manici Di Scopa, Lily si passò entrambe le mani nei capelli, chiudendo gli occhi e tentando di decidere se crederci davvero. Era stato solo un momento – meno di un secondo- in cui aveva pensato di aver visto quel volto... quel volto spaventosamente familiare, e forse si era semplicemente immaginata tutto. Un'allucinazione.

Forse stava pensando alla sua ultima visita ad Hogsmeade e, presa dal ricordo, aveva proiettato un'immagine che non era affatto presente.

Seriamente, cosa ci faceva li? Che cosa ci faceva nel villaggio nel mezzo di una strada dove chiunque avrebbe potuto riconoscerlo? Ed era sicura di averlo visto- o di aver avuto un'allucinazione- guardarla negli occhi. Cosa diavolo lo avrebbe portato a fare qualcosa di così stupido? Catturare l'attenzione di una persona che sapeva avrebbe potuto identificarlo senza ombra di dubbio?

Tuttavia, con gli occhi della mente, poteva vedere i suoi lineamenti , e una piccola parte di Lily era fermamente convinta di averlo visto.

Respirando profondamente, Lily aprì di nuovo gli occhi sulla strada trafficata. Una moltitudine di facce familiari e non le passava davanti, nessuna er quella che stava cercando.

Era una follia. Era tutto nella sua testa. Lo aveva immaginato. Era l'unica spiegazione plausibile. Cosa ci era venuto a fare Logan Harper a Hogsmeade?


Mary sedeva all'angolo di un tavolo ai Tre Manici di Scopa, con Marlene alla sua sinistra e Adam seduto direttamente di fronte a loro. Il loro era uno degli unici tavoli a non essere completamente pieni, e la maggior parte dei clienti erano studenti di Hogwarts. La radio era spenta, e il rumore del pub non era più alto di un sordo, cupo boato, fatto per lo più di tetre conversazioni riguardanti qualsiasi cosa- dall'argomento del giorno (il Professor Black) a insignificanti pettegolezzi riferiti svogliatamente.

Marlene e Adam stavano parlando di qualche questione filosofica che Mary stava ascoltando a malapena. La sua mente e i suoi occhi andarono alla deriva. Non voleva pensare al fatto che il Professor Black fosse morto, o a quanto fosse improvvisa la mortalità, o a qualsiasi altra cosa da cui gli altri sembravano ossessionati nell'ultima settimana. Non voleva pensare affatto.

I suoi amici lo sapevano, ma Mary sentiva che nessuno di loro capiva davvero il perchè. Supponevano che fosse perchè lei era Mary- Mary, quella divertente, quella felice, quella spensierata, occasionalmente capricciosa. E tutto ciò era vero, ovviamente. Non lo avrebbe negato. Ma quella non era la vera ragione che spingeva la sua mente su altri argomenti. Dopo tutto, tra le sue compagne di stanza, Mary era l'unica a vedere i Thestrals.

Al tavolo più vicino, un gruppo di studenti del settimo anno si chiedevano malinconicamente cosa aveva in mente di fare Silente riguardo al rimpiazzo. Qualche Corvonero al bar facevano osservazioni su come il Professor Black era stato il miglior insegnate di Difesa Contro le Arti Oscure che avessero mai avuto ad Hogwarts. Una del terzo anno vicino alla porta stava dicendo alle sue amiche che non aveva mai conosciuto qualcuno morto prima d'allora (raro, considerando lo stato corrente delle cose e Tu-Sai-Chi).

Gli occhi di Mary si spostarono su un tavolo vicino, occupato da alcuni Serpeverde del loro anno. Era una cosa stranissima: mentre li guardava, era sicura di aver visto alcuni di loro tramare improvvisamente, girando i visi dall'altra parte come se stessero guardando quel tavolo. Arrossì. Non era sicura di Avery e Piton, ma era abbastanza certa che Mulciber la stava guardando- o che stesse osservando il suo tavolo, in ogni caso.

Era strano.

Mary guardò Marlene e Adam, ma nessuno sembrò aver notato niente, e nessuno dei due sembrava fare nulla di talmente strano da necessitare il controllo di qualche Serpeverde. Neanche lei- la sua divisa non era particolarmente scollata, e non c'erano Malandrini in giro: i Malandrini (e Lily) erano gli unici Grifondoro del loro anno di cui i Serpeverde di solito si preoccupavano. Forse cercavano Lily. Ma perché si sarebbero voltati così velocemente?

Mary era abbastanza abituata a membri del sesso opposto che la guardavano: era la maledizione delle curve e di una buona struttura ossea. Non era neanche estranea al fatto che una serpe anti-Grifondoro come Mulciber dovesse guardarla. Ma c'era una differenza tra l'essere guardata e essere osservata, e percepì profondamente in quel momento, questo era il secondo caso. Questo la turbava.


Non fu fino all'ora di cena che Lily riuscì ad localizzare Luke, e anche allora fu costretta ad aspettare fino alla fine del pasto prima di poter parlare veramente con lui. Quando, finalmente, il Corvonero si alzò dal tavolo -fortunatamente solo- e si diresse all'ingresso, Lily lasciò immediatamente la sua forchetta e si alzò per seguirlo. Era a parecchi passi di distanza dal tavolo dei Grifondoro prima di realizzare che non aveva la più pallida idea di quello che doveva dire. “Ciao, Ex-Ragazzo. Penso di aver visto tuo fratello Mangiamorte in città oggi- hai qualche idea del perchè?”

Be', quello avrebbe comunicato i suoi pensieri, ma non avrebbe funzionato.

“Luke!” disse il nome del Corvonero, e lui si fermò sul primo gradino della scalinata di marmo nella Sala d'Ingresso. Sembrava nervoso e confuso mentre si avvicinava, ma Lily non ebbe il tempo di analizzarlo. Gettando occhiate intono al corridoio per assicurarsi di essere relativamente soli, Lily -in poche nervose parole- si spiegò. Alla fine del breve racconto, Luke sembrava abbastanza stupito, talmente tanto che Lily era abbastanza sicura di quale sarebbe stata la risposta alla sua prossima domanda.

“So che è ridicolo,” continuò, “ma-non l'hai... visto, vero?”

“Uhm...no.” Scosse la testa energicamente.”No. Logan non verrebbe da me ora, almeno... non di nuovo. Non è stupido.”

Lily esitò prima di fargli la prossima domanda. “Lui sa... sa che Lathe era qui per lui?” Ma quello che intendeva era: Glielo hai detto?

Luke aggrottò la fronte. “Probabilmente,” disse. “Non lo so. Sono sicuro che sta attento a questo genere di cose. In ogni caso, sto cercando di non pensarci il più possibile.”

“Giusto.” Lily annuì a disagio; non sapeva ancora cosa pensare. “Be', immagino... se non hai sentito nulla...”

“Giuro,” replicò Luke, “niente.”

Lei annuì di nuovo. “D'accordo. Stammi bene, Luke.”

“Anche tu.”


James, Remus, Peter e Adam avevano ceduto il dormitorio a Sirius per quella giornata e anche durante la sera. Erano tutti tornati da tempo dal Villaggio e avevano finito la cena prima che il quarto Malandrino facesse la sua comparsa nella Sala Comune, che era occupata in quel momento, in quanto gli studenti o si stavano godendo il tempo libero delle loro vacanze, o si stavano affrettando a finire i compiti che avevano rimandato alla luce di queste.

Avevano comunque lezione il giorno dopo, dopo tutto.

Sirius scese lentamente e svogliatamente le scale, buttandosi su una sedia vuota vicino ai suoi tre amici, che lo guardarono tutti sorpresi al suo arrivo.

“Mi dispiace di essere stato un cretino,” mormorò Sirius, le mani nelle tasche, evitando di incontrare i loro occhi.

“Mi dispiace di essere stato insistente,” rispose James al camino.

“Anche a me,” disse Remus.

“Mi dispiace di non averti portato il Whiskey Incendiario,” disse Peter.

Inaspettatamente, Sirius sorrise- sinceramente, se non completamente. C'era un po' di amarezza nei suoi occhi, ma era completamente assente nel suo tono. “Penso che starò bene,” disse, come se stesse confessando un peccato. “In ogni modo, ho chiuso con il broncio.”

Peter e Remus sembravano sollevati. James, comunque, esitò. “Nessuno ti sta chiedendo di essere allegro,” disse.

Sirius sbuffò. “Bene.”

Più tardi quella sera, mentre tornavano dalle Cucine- dove erano andati a recuperare la cena di Sirius- James rimase indietro con il suo migliore amico, mentre Remus e Peter, automaticamente e senza fare domande, andarono avanti. “So che pensi di aver perso la tua unica famiglia,” disse James, un po' imbarazzato. “Ma non è così. Non importa cosa succede, noi siamo i tuoi fratelli. In ogni caso.”

Sirius annuì lentamente. “Lo so,” disse. “Grazie.”

(Hey, Jude)

Sabato, il tempo era migliorato.

Dopo la richiesta alquanto riservata Frank Paciok, la gita ad Hogsmeade era stata spostata a quel giorno, e gli studenti più anziani di Hogwarts erano di nuovo in fila nella Sala d'Ingresso, che aspettavano le carrozze che li avrebbero trasportati giù al Villaggio. Lily era con Mary, che era molto silenziosa, forse per l'ora mattiniera forse per l'umore tetro.

“Lily,” le disse l'amica, rompendo il silenzio mentre la fila si avvicinava a Gazza.

“Mmm?”

“Hai notato niente di strano con i Serpeverde?”

Lily guardò un gruppo di membri della suddetta Casata, qualche metro di distanza nella fila. “Niente più strano del solito,” replicò il prefetto. “Perchè? Tu sì?”

Mary aggrottò la fronte. “Continuo ad avvertire la stranissima sensazione che mi osservino.”

“Probabilmente lo fanno,” disse Lily accigliata. “Immagina, Silente che lascia entrare feccia come te in questa scuola. Hogwarts sta andando a rotoli in questi giorni.”

“Forse è come al solito,” mormorò la brunetta, scuotendo la testa. “Forse mi sto immaginando tutto.”

“Deve essere contagioso,” borbottò Lily, ma Mary non lo sentì. La linea continuava a muoversi lentamente in avanti.

Mamma mia, questa fila è eterna,” si lamentò Mary dopo un paio di minuti. “Devo andare in bagno. Mi tieni il posto, per piacere?” Lily annuì, e Mary corse via. La rossa rimase sola un secondo prima che un'altra compagna di stanza si unisse a lei.

“Lily?” E con grande stupore del prefetto, era Donna. Lily non rispose, ma semplicemente sollevò le sopracciglia in attesa, aspettando il motivo della visita. “Ho bisogno di parlare con te,” continuò Donna. “Uhm... lontano da tutti.”

“Sono stata in fila per dieci minuti,” replicò Lily. “Non ho intenzione di perdere il posto. Se hai qualcosa da dire, dilla qui.”

Ma quella non sembrò essere un'opzione fattibile per Donna. “Ehi, tu,” abbaiò all'alto Tassorosso dietro di loro in fila.

“Sono Liam,” disse il ragazzo. “Liam Lyle.

“Sì, piacere...” cominciò Donna impaziente.

“Ci siamo già conosciuti,” continuò il Tassorosso. “Tipo duecento volte... abbiamo circa cinque classi insieme... siamo stati compagni per un progetto nel semestre del quarto anno... abbiamo giocato l'uno contro l'altra a Quidditch... una di queste cose ti fa accendere la lampadina?”

“Sì, sì.” Disse lei con un gesto disinteressato della mano. “Puoi tenere il posto a Lily per un minuto?”

“Liam, non sei costr...” Lily provò a dire, ma Liam scrollò le spalle e la interruppe.

“No, va bene.”

Così, sospirando, Lily seguì Donna fino ad un angolo della Sala d'Ingresso, a qualche metro dagli altri. “Allora, ascolta,” Donna riprese, una volta raggiunto un grado di privacy accettabile. “Sono stata di pessimo umore ultimamente, come hai senza dubbio notato, e... l'altro giorno quando abbiamo litigato, non ero davvero arrabbiata con te. Ero arrabbiata con me stessa, e con... qualcuna delle mie recenti decisioni... e me la sono presa con te. E ho sbagliato.” Sembrava quasi orgogliosa di se stessa e aspettava esitante la risposta di Lily.

Quando Lily capì che Donna aveva terminato il suo discorso, incrociò le braccia e sposto il peso. “Tutto qui?”

“Vuoi farmelo dire?” pregò l'altra. “D'accordo. Mi dispiace.”

Quello era tanto, ed entrambe lo sapevano. Chiedere scusa per Donna Shacklebolt era a dir poco raro. In circostanze diverse, Lily ne sarebbe stata colpita. Comunque,...

“Tutto qui?” ripetè Lily. Sbuffò incredula. “Davvero Donna?, questo... questo è... notevole. Davvero. Pensi di poter venire qui, dirmi cose che già so, e aspettarti che io dimentichi tutto quello che mi hai detto?”

“Ma...”

“Sì, eri di umore terribile. Sì, stavi passando un periodo difficile. Ma anche io, okay?” Più parlava, più pensava a quella sera, e più si arrabbiava. “Mi hai chiamata presuntuosa e fredda mentre affrontavo alcune delle esperienze più difficili della mia vita. Sei stata implacabile, crudele, e...”

“Ma...”

Lasciami finire.” Gli occhi di Lily lampeggiarono. “Mi hai preso in giro sulla morte di mio padre. E quello, Donna, non sparisce solo perchè chiedi 'scusa'. Forse ti interesserà sapere che il resto del mondo ha sviluppato l'abilità di chiedere scusa molto prima dei diciasette anni, quindi non comportarti come se ti fossi realizzata. Non sono uno zerbino che puoi calpestare. Non farò un semplice sorrisetto e non ti sopporterò ogni volta che sei di cattivo umore. Ho chiuso con questo. Ho finito di tollerare i tuoi sbalzi d'umore e la tua incapacità di anche simulare compassione o empatia o un qualsiasi tipo di emozione umana. Ho finito di provarci, ho chiuso con te. Ti ho detto 'non parlarmi', e dicevo sul serio, perchè francamente, sono ancora furiosa con te. E poi quando finirò di essere furiosa, varrà ancora, perchè avevi ragione. L'hai detto tu stessa: non siamo mai state amiche; nessuno che è mai stato mio amico avrebbe potuto trattarmi in quel modo, non importa che razza di 'pessimo umore' avevano. Quindi mentre apprezzo lo sforzo, puoi anche risparmiare il fiato. Non mi devi nessun'altra scusa. Ho chiuso. Sono andata avanti.”

Donna rimase in silenzio. Lily aspettò un momento in più e poi, visto che non c'era nient'altro da dire, ritornò al suo posto nella fila. Ancora in silenzio, Donna guardò anche Mary tornare; vide la piccola brunetta osservare la rabbia sulla faccia della sua amica e chiedere al riguardo, e Lily mormorò qualcosa in risposta. Mary sembrò comprensiva e si appoggiò alla spalla di Lily, battendo l'altra mano in modo consolatorio.

Per la prima volta da tanto tempo, Donna sentì gli occhi pizzicarle curiosamente. Sentì che il petto le faceva male e la pelle bruciare, e senza avere una chiara nozione di averlo fatto, si girò e si affretto su per la scalinata di marmo.


Pop.

“Molto bene, Signor Black,” disse il piccolo mago paffuto, il cui nome se lo erano già dimenticati tutti, e gli altri tre Malandrini applaudirono rumorosamente. Il mago ispezionò Sirius abbastanza attentamente, come ad assicurarsi che non ci fossero pezzi mancanti, e dopo scribacchiò qualcosa sugli appunti. “E come si sente?”

Sirius finse di pensarci su. “Non lo so. Penso di aver perso la milza.”

James e Peter ridacchiarono, e Remus provò a guardarlo con disapprovazione, mentre Sirius soffocava un sorriso. “Oh mamma! Chiamo subito il Guaritore!”

“No, sta scherzando,” disse Remus velocemente, facendo un passo. “Non credo neanche che sappia cosa sia una 'milza'.”

Il mago paffuto guardò interrogativamente Sirius, che annuì. “Sì, era solo una battuta, amico. Allora sono passato? L'Inghilterra Magica dice che ho il diritto di Materializzarmi?”

Ancora sospettoso, il mago guardò la sua cartella. “Sembrerebbe di sì...”

“Fantastico,” disse Sirius illuminandosi. “Quindi, vado al banco a riempire il modulo?”

“Be'...”

“Fantastico.”

Sirius praticamente saltellò fino alla scrivania dell'impiegato per ricevere la documentazione ufficiale del suo test di Materializzazione riuscito. “Ehm... molto bene...” ansimò l'istruttore, arrossendo. “Chi è il prossimo allora?” Guardo gli altri Malandrini con aspettativa, ma James scosse la testa.

“Sirius era l'ultimo,” disse. “Il piccolo Peter qui avrà sedici anni ancora per due settimane.”

“Devi chiamarmi proprio così?” sospirò Peter, e James rise semplicemente.

“Molto bene,” l'istruttore continuò. “Dirò alla signorina Peetre di far entrare il prossimo candidato.” La signorina Peetre – una delle due streghe sedute al tavolo dell'impiegato- andò nella sala d'attesa per far entrare il prossimo che faceva l'esame per la loro licenza di Materializzazione, mentre i Malandrini aspettavano che Sirius finisse con il suo modulo.

“Almeno si è rallegrato,” osservò silenziosamente Peter del loro amico. “È stato un bene portarlo da Andromeda.”

“Non so,” disse Remus incerto. “Credi che durerà?”

James si strinse nelle spalle. “Ha detto qualcosa questa mattina a proposito di 'vivere la vita al pieno'.” Sospirò. “Ma anche se Padfoot stesse fingendo, speriamo di riuscire a tenerlo distratto finché non si rallegrerà davvero.

“Non è un'idea orribile,” concesse Remus,

“E almeno ha passato l'esame,” mormorò Peter. “Non penso che avrebbe preso bene un fallimento.”

In quel momento, Sirius si voltò e, tenendo tra le mani un quadrato di pergamena identico a quelli che James e Remus avevano appena ricevuto, li raggiunse sorridendo. “Fantastico. Ora posso fare legalmente quello che facevo già da due anni.” Piegò la licenza e la mise in tasca come avevano fatto gli altri.

“Suona familiare,” osservò Peter, mentre i ragazzi andavano verso l'uscita dell'ufficio di Materializzazione. “Forse perché hai detto la stessa cosa il giorno del tuo compleanno, riguardo al bere...”

Mentre uscivano, Miss Peetre rientrò seguita da Marlene Price. “Buona fortuna, Price,” disse Sirius. “Non sbagliare!”

Marlene, che sembrava stesse per sentirsi male dall'ansia, fece una smorfia. “Dacci un taglio, Black.”

“Ignoralo,” disse Remus, “Andrai bene.”

Marlene sorrise debolmente, e la porta dell'ufficio si chiuse, separandoli. I Malandrini si diressero fuori sulla strada. Il villaggio non avrebbe potuto essere più diverso di com'era stato soltanto due giorni prima, quando i ragazzi (o, almeno, tre di loro) avevano percorso la stessa strada per la veglia del Professor Black. Adesso, il cielo era blu e il sole brillava. Maghi e streghe si muovevano rumorosamente per le strade, e gli studenti di Hogwarts avevano riacquistato interesse per le molte meraviglie di Hogsmeade.

“Dove si va?” chiese Peter. “Mielandia? I Tre Manici?”

“Io voto per Zonko,” disse James. “Dovrebbero avere questa nuova cosa chiamata 'tazza mordi-naso'.”

“Solo tu troveresti divertente una cosa del genere,” disse Remus, ruotando gli occhi. “Be', anche Padfoot.”

Cosa diavolo sta facendo?” abbaiò improvvisamente Sirius. Aveva smesso di camminare.

“Chi?” chiese Peter.

Mocciosus,” sputò Sirius. Gli altri seguirono la direzione del suo sguardo dall'altra parte della strada dove c'era Piton intento a mormorare qualcosa a bassa voce ad un Serpeverde più piccolo. Ma non era un qualsiasi Serpeverde più piccolo, come realizzò James un secondo dopo. Era Regulus Black.

“Come se quel cretino di mio fratello non fosse già abbastanza inutile,” Sirius sbuffò furiosamente (aveva tirato fuori la bacchetta), “adesso c'è Piton gli fa il lavaggio del cervello. Lo uccido.” E sembrava anche pronto a farlo.

Remus lo prese per il braccio. “Padfoot, no. Non qui, non ora. Ti toglieranno il permesso per Hogsmeade.”

“Moony ha ragione,” disse James. Piton e Regulus continuavano a mormorarsi cose a vicenda, lanciandosi continuamente attorno sguardi furtivi, come se temessero di essere ascoltati. “Non ne vale la pena, faremo i conti con Mocciosus dopo.”

Sirius sembrò pensarci su, e dopo rimise la bacchetta in tasca. “Hai ragione,” concordò, espirando profondamente. “Faremo i conti dopo.”

Remus guardò James con circospezione, ma quest'ultimo lo guardò appena scuotendo la testa impotente. “Andiamo,” disse, determinato a distrarre subito il loro amico. “Zonko.”

“Zonko,” acconsentì Sirius, ma ora il suo sorriso sembrava distintamente forzato.


“L'ho superato!” canticchiò Marlene, correndo verso il tavolo ai Tre Manici occupato da Adam McKinnon. Il mago sorrise.

Ti avevo detto che ce l'avresti fatta,” le fece notare. “Non era così difficile dopotutto, non è vero?” E guarda...” sollevò una delle bottiglie al tavolo, “ti avevo già comprato una Burrobirra per festeggiare.”

“Questo,” disse Marlene, prendendo posto, “è perchè tu sei il migliore.” Bevve una lunga sorsata della Burrobirra. “Allora, che fai oggi?”

“Sono quasi le due,” osservò Adam.

“Be', sì. Ma sono stata troppo distratta dall'esame stamattina per sentirmi eccitata per Hogsmeade. Ora che il Ministero Della Magia ha ufficialmente riconosciuto il mio talento sotto forma di licenza per la Materializzazione, il mondo sembra migliore.”

“Hai fame?”

“Da morire.”

“Be', perchè non mangiamo? E dopo possiamo andare a prendere in giro le persone in quell'orrendo negozio vicino a Stratchy & Sons.”

Marlene sospirò. “Mi conosci troppo bene, Adam McKinnon.”

Adam sorrise. “Andiamo. Nutriti. Non puoi prendere in giro a stomaco vuoto.”

“Questo, amico mio, è la pura verità.”

Quando finirono con il loro pranzo pomeridiano, Adam e Marlene rimasero ai Tre Manici per un po', sorseggiando burrobirre e discutendo i pro e i contro degli sport Babbani.

“Non mi sembra che abbia molto senso se nessuno vola,” sostenne Adam.

“Questo è ridicolo,” protestò Marlene. “Potrei benissimo dire anche io che non mi sembra che il Quidditch abbia molto senso perchè nessuno corre.”

“Ma correre è così banale! Non c'è sostanza in uno sport che non include il volo.”

“Certo che c'è! Pensa a tutte le abilità atletiche richieste! Lo sforzo fisico da parte degli atleti Babbani è piuttosto notevole.”

“Non so. Ma sono sicuro che sia uno sport con andatura terribilmente lenta, il 'calcio'.”

Marlene provò a spiegargli che era tutto tranne che lento, ma Adam non sembrava convinto. Alla fine cedette, “Be', immagino di doverti credere sulla parola, perchè non ho mai visto una partita. Comunque, le uniformi sono abbastanza ridicole.”

Marlene sbuffò. “Oh, ti prego. I maghi indossano vesti, per l'amor di Dio.”

Adam roteò gli occhi. “Non capirò mai la tua avversione per le vesti da mago, Price.”

“È una cosa Babbana,” ammise lei, alzando le spalle. “Ad ogni modo, sono d'accordo sul non essere d'accordo sul calcio, purchè tu sappia che io so di avere ragione.”

“Be', accidenti, non posso discutere su questo,” replicò sarcasticamente lui.

Marlene ghignò , rigirandosi una ciocca di capelli biondi attorno all'indice. Rimasero così, in silenzio per un momento, prima che lei osservasse: ”È tanto patetico il fatto che io adori questa canzone?” riferendosi alla canzone di Afrodite Belltone (“La Ballata dell'Incantesimo della Memoria”) che mandava la WWN in sottofondo.

“Un po'.”

“Oh, piantala,” replicò ridendo. “Le parole sono molto dolci, se le ascolti.”

“Fa fare rima ad 'incontrare' e 'cancellare'.”

“Si, ma è americana. Per cominciare, non sanno come parlare correttamente.” Marlene prese un lungo sorso della Burrobirra, e quando rimise la bottiglia sul tavolo, si accorse che Adam la stava fissando attentamente. “Oh, so che è la mia terza bottiglia; non prendermi in giro McKinnon- sono abbastanza sicura che quella è la quarta per te.”

“No, non è quello.” Il suo tono era cambiato; improvvisamente suonava più serio- anche un po' a disagio. “C'è- Marlene, c'è una cosa di cui voglio parlarti...”

“Mmh?”

“È solo...” (con gli occhi puntati sulla Burrobirra) “... voglio dire, è da un po' di tempo che...”

“Salve a tutti!” cinguettò Mary Macdonald, saltando fuori dal nulla (o da qualche parte) con il suo ragazzo di Tassorosso, Stebbins, al braccio.

“Ehi, Mare,” rispose Marlene.

“Vi dispiace se ci uniamo a voi?” chiese la brunetta, e prima che uno dei due potesse rispondere, scivolò sulla sedia accanto ad Adam, mentre Stebbins prendeva posto accanto a Marlene. “Io e Stebbins siamo appena tornati dalla Stramberga Strillante,” continuò, non notando l'espressione di disagio sul volto di Adam; “silenziosa come un cimitero. Penso che Madama Rosmerta si inventi il fatto che quel posto sia infestato.”

“Ho sentito dire che è infestato solo di notte,” disse Marlene. “E neanche tutte le notti.”

“I morti devono essere terribilmente lunatici,” sospirò Mary. “Comunque, Stebbins, saresti un tesoro e vai a prendere qualche Burrobirra?” Il Tassorosso saltò in piedi, ed era a metà strada, quando lo richiamò: “Anche per Adam e Marlene, per favore!” Sorridendo, si rivolse di nuovo ai suoi compagni di casa: “Quindi, che stavate facendo voi due?”

Marlene guardò Adam, come se si fosse appena ricordata che lui stava per dirle qualcosa. “Oh, Adam, stavi...”

“Non è importante,” insistette lui. “Possiamo parlarne dopo.”

“Non sto interrompendo niente, vero?” chiese Mary.

“No,” disse Adam. “Stavamo solo... parlando di calcio.”

“Mi sorprendo che non ti sia addormentato,” disse l'altra. “Così lenti, questi sport Babbani. Il Quidditch è molto meglio.”

Adam scoccò uno sguardo di vittoria in direzione di Marlene, e lei ruotò gli occhi. Comunque, quando Stebbins tornò con le burrobirre, e la conversazione tornò a calcio contro quidditch, Marlene non riuscì a non chiedersi vagamente cosa voleva dirle Adam.


“Buon compleanno,” disse Frank, tirando fuori da dietro la schiena una scatola quadrata, incartata con carta da pacchi dorata e consegnandola ad Alice. La strega sollevò le sopracciglia, ma sorrise comunque.

“Mi hai già fatto un regalo,” gli fece notare, ma cominciò a strappare comunque la carta dorata. La coppia stava nel negozio di Mielandia molto affollato alle tre appena passate del pomeriggio.

“Si,” concesse Frank. “Ma quello era il regalo parte uno. Questa è la parte due.”

“Quante parti ci sono?”

“Diciassette.”

“Attento, Paciock. Ci conto.” Alice finì di scartare e sollevò il coperchio. Subito, si aprì in un largo sorriso alla fila dei dolcetti rosa e bianchi nella scatola.

“Dolcetti alla fragola,” disse, raggiante. “Sono le mie preferite...” Ma ovviamente, capì, che era una cosa intenzionale. “Ehi, ricordi quando provammo a cercarle a Londra?”

Frank rise. “Intendi dire quando abbiamo percorso ogni centimetro della Londra Magica cercando di trovare un negozio di dolciumi che le vendesse, e alla fine ne trovammo uno...”

“In quel posto da brividi a Chelsea!” finì Alice entusiasta. “Erano buoni quei Dolcetti, comunque...”

“Ally,” disse Frank. “Ti sei sentita male. Hai vomitato per quasiun'ora.”

Alice rise. “Si, ma il sapore era buono. Oh, quello è stato il pomeriggio peggiore comunque. Stavo così male, e dovevo incontrare tua madre per la prima volta...”

“E hai vomitato sul portico d'ingresso.”

“E pensava che avessi bevuto! Che, a pensarci bene, sarebbe stata una buona idea.”

“Avrebbe di sicuro calmato i nervi,” concordò Frank. Alice sorrise, e, scegliendo un dolce alla fragola, se la mise in bocca.

“Ne vuoi una?”

“Nah, penso ce ne sia ancora un po' sul portico di casa...”

“Oh, zitto!” Rise e provò a spingerlo, ma lui deviò il colpo e le mise un braccio attorno alle spalle. Lei mise il suo nuovo regalo in borsa, e si incamminarono per un nuovo corridoio, ispezionando i vari prodotti sugli scaffali. “Frank?”

“Mmh?”

“Non usano sangue umano per i lecca-lecca, vero?”

“Non lo so.”

“Sarebbe disgustoso.”

“Decisamente.”

Avevano raggiunto la fine del corridoi, e Alice notò una piccola porta tra due scaffali. Una piccola placca d'oro su di essa diceva Riservato al personale. “Frank?”

“Mmh?” Stava osservando un gruppo di Topighiacci.

“Ti sei mai intrufolato nel magazzino di un negozio?”

“No. E neanche tu.

Alice fece un sorrisetto. “Vuoi farlo?”

“Seriamente?”

Lei annuì, indicando la porta. Prima che Frank potesse rispondere, Alice lo prese per mano e- con una veloce occhiata agli impiegati completamente occupati- lo spinse dentro dopo di lei. La porta- che fortunatamente non era chiusa a chiave- portava ad un piccolo, stretto corridoio, nel quale c'erano altre due porte (probabilmente uffici) entrambi chiusi.

Sorridendo maliziosamente, Alice si girò verso Frank e annullò la distanza tra loro, baciandolo lentamente mentre si avvicinavano al muro dietro di lui. Lei fece scivolare la borsa giù dalla spalla e poi per terra, prima di gettargli le braccia al collo. Lui strinse con la mano destra la maglietta sulla parte bassa delle sua schiena, quella sinistra sui suoi fianchi, e le loro labbra si muovevano ad un ritmo imparato così tanto tempo fa che nessuno dei due si ricordava quando esattamente.

Alla fine, si separarono in cerca d'aria, e Alice sorrise sulle sue labbra. “Sai di Burrobirra,” osservò senza motivo.

“Sai di dolci alla fragola,” rispose lui, provocandole una risata. Si guardarono negli occhi per diversi secondi, sordi al rumore del negozio al di fuori. Poi, senza pensarci, come se gli fosse appena venuta in mente un'idea, Frank ruppe il silenzio dicendo: “Ti amo.”

Alice, che si era sollevata sulle punte, ricadde sulle piante dei piedi. Frank sembrò capire il suo errore.

“Oh, Al, mi dispiace,” disse velocemente. “So che avevi detto che noi...”

“No, Frank, tranquillo,” disse lei, cercando di raccogliere i pensieri mentre il suo stomaco si rivoltava nervosamente. Si staccò, portandosi le mani tra i capelli lisci. “Va... va bene. Solo...”

“No, non dovrei metterti pressione. Mi è... sfuggito. Mi dispiace. Sul serio. Mi dispiace.”

“Smettila di chiedere scusa. Ti prego. Non è niente,”

Entrambi rimasero in silenzio per un minuto, e poi Frank disse: “Possiamo solo... dimenticare che sia successo? Potremmo- uhm- andare a prendere un'altra Burrobirra, o andare a vedere la Stramberga Strillante...”

Alice sospirò. “Si. Certo. Si, è una buona idea. Andiamo a... farlo.”

“Okay.”

Frank si diresse verso la porta che li avrebbe riportati nel negozio, e Alice chiuse gli occhi, sperando di riuscire a rallentare le palpitazioni frenetiche del suo cuore.


Quando si trattava di Quidditch, James Potter era un Capitano molto dedicato. A volte, a detta dei suoi compagni di squadra, era addirittura un po' troppo dedicato. In fin dei conti, alla fine di una lunga giornata passata a Hogsmeade, l'ultima cosa che la squadra di Grifondoro avrebbe voluto fare era indossare l'uniforme da Quidditch e affrontare un lungo allenamento potenzialmente straziante. Tuttavia, con la finale a poche settimane di distanza, James aveva fissato gli allenamenti per tutte le sere della settimana, insieme ad alcune mattine, in cui fosse riuscito a ottenere il campo.

Fu così che immediatamente dopo cena – intorno alle sei e venti - Adam McKinnon si ritrovò ad arrancare verso gli spogliatoi dei Grifondoro, con la sua scopa e borsa sportiva, sperando contro ogni aspettativa che Potter sarebbe stato di umore generoso e li avrebbe lasciati andare prima delle nove.

Raggiunti gli spogliatoi, Adam pensò - in un primo momento - di essere il primo ad arrivare. Tuttavia, un secondo sguardo gli disse di essersi sbagliato. In un angolo stava avvenendo, probabilmente, la scena più sconvolgente che avesse mai visto.

Ora, avendo giocato nella squadra di Quidditch con lei per i passati due anni, Adam aveva visto Donna Shacklebolt arrabbiata. L'aveva vista addirittura furiosa. L'aveva vista in azione, impetuosa, mentre lanciava la Pluffa, e minacciosa, mentre affatturava qualcuno. L'aveva vista di malumore dopo un lungo allenamento, depressa dopo una sconfitta, e l'aveva anche vista vomitare dopo una festa per una vittoria. Ma nei sei anni da che Adam McKinnon conosceva Donna, non l'aveva mai vista piangere.

Fino ad ora.

E la parte più strana era che a lei non sembrava importare. Non sembrava importarle che Adam la stesse fissando, congelato sul posto con le sopracciglia invisibili da sotto l'attaccatura dei capelli e la bocca spalancata, obiettivo molto ambito per le mosche. Le spalle di lei continuarono a scuotersi, le lacrime a scorrere giù lungo il suo volto bagnato, mentre i polpastrelli le massaggiavano inutilmente le tempie. Ma peggio delle lacrime era la sua espressione; sembrava così completamente persa. Fuori controllo e debole – il contrario di tutto ciò che Donna rappresentava.

Venne in mente ad Adam – mentre restava lì in piedi in un silenzio attonito – che Donna Shacklebolt era davvero molto bella.

Oh, non in quel modo. Lei non era il suo tipo (naturalmente, il tipo di Adam era piuttosto esclusivo, consistendo in realtà di un'unica persona). Ma aveva dei gran bei lineamenti – un viso che si sarebbe potuto scolpire nel marmo, con grandi e lucidi occhi ambrati. E i capelli le scendevano in un terribile scompiglio di riccioli nero carbone, già al di là del suo controllo in tempi migliori, tanto meno ora. Era alta, con spalle larghe e braccia magre e forti che la rendevano una Cacciatrice eccezionale. Ma poiché ogni parte di Donna sembrava fosse stata scolpita in pietra scura, Adam non aveva mai notato che la strega fosse piuttosto affascinante, se non fino a quel momento in cui era uno sgradevole disastro.

“Shack, cosa c'è che non va?” riuscì a tirar fuori alla fine.

“Fanculo,” gemette Donna, asciugandosi gli occhi con una mano. “Fanculo tutto.”

“Cosa c'è che non va?” chiese ancora Adam, avvicinandosi di un passo.

“Ho rovinato tutto,” sospirò lei amaramente. “Ho mandato tutto a puttane.” Tirò su con il naso e scosse la testa. “Avevo una sola amica – una sola persona al mondo che passasse del tempo con me perché lo voleva, non perché fosse imparentata con me o ne fosse costretta, e io, io l'ho allontanata...” (Incredula) “...mi sono liberata dell'unica amica che avevo. E il Professor Black è morto. È morto, e non sono nemmeno andata alla funzione. Non ho potuto fare neanche questo. Ha ragione. Sono senza cuore. Non sono nessuno. Tutti mi odiano o hanno paura di me e io...sono stufa. Sono così fottutamente stufa di me stessa.” Con i gomiti sulle ginocchia, le sue mani si andarono a intrecciare nei capelli arruffati, mentre lei chiudeva gli occhi, permettendo ad altre lacrime di cadervi.

Trattare con una ragazza sconvolta e singhiozzante non è il passatempo ideale per un ragazzo adolescente, e una Donna Shacklebolt sconvolta e singhiozzante poteva probabilmente diventare pericolosa per qualsivoglia testimone, quindi è una prova del carattere di Adam il fatto che non si voltò e corse via a gambe levate. Quando lo shock del momento diminuì leggermente, si avvicinò alla strega, sedendosi su una panchina vicina. Non era del tutto sicuro di cosa avrebbe dovuto dire – non ne aveva nessuna dannata idea, in realtà – quindi, per un po', non disse nulla. Lei continuò a piangere, singhiozzando irregolarmente ma non dicendo altro.

Alla fine, Donna si calmò. Il suo respiro si regolarizzò leggermente, e le lacrime cessarono di cadere. Si mise svogliatamente a fissare lo spazio di fronte a sé, come se non si rendesse per niente conto che Adam fosse lì. Lui si inclinò in avanti e incrociò le mani; non era ancora sicuro che quella fosse la cosa migliore da fare, ma si sentiva in dovere di dire qualcosa.

“Andrà tutto bene, vedrai,” disse con convinzione. Donna scosse testarda la testa, ma lui la interruppe fermamente: “Vedrai.”

A questo, lei non rispose. Invece, cercò di rimettersi in ordine, asciugandosi la faccia e lottando per domare i suoi capelli. Quando ebbe finito – i suoi occhi erano ancora rossi e gonfi, ma non poteva farci niente – incontrò lo sguardo di Adam e dichiarò: “Tu sei innamorato di Marlene.”

Questo lo prese completamente alla sprovvista: “Ehm...no, io...”

“Ma lo sei,” ripeté Donna, rispettando la sua precedente convinzione. Si tirò su, sospirando profondamente. “Devo darmi una sistemata prima che arrivino gli altri. Tu...dovresti dire a Marlene quello che provi.”

E con questo, si voltò e si diresse verso il bagno. Adam, senza parole e confuso, non si mosse finché James Potter e Sirius Black non arrivarono, e non fu ora di iniziare gli allenamenti.

(Let It Be)

Alice detestava Pozioni. Era una di quelle cose in cui, non importa quanto si impegnasse duramente, non avrebbe mai veramente eccelso. Non le sarebbe mai venuta naturale. Certamente, riusciva a rimediare dei buoni voti (e va bene, voti molto più alti della media), ma non riusciva mai a “prenderci la mano” come invece succedeva con Incantesimi e Trasfigurazione. Ogni pozione era una nuova battaglia.

La lezione di Pozioni del martedì fu particolarmente frustrante, visto che il Professor Lumacorno aveva deciso di mettere gli studenti del settimo anno di livello M.A.G.O in coppia, ognuna delle quali avrebbe lavorato ad un progetto diverso. Alice stava condividendo un banco con Frank e pensò che – visto che entrambi andavano a genio a Lumacorno – l'insegnante di pozioni li avrebbe messi in coppia. Tuttavia, quando lui chiamò il suo cognome, “Griffiths,” esso fu affiancato a “Skively,” ed Alice non avrebbe potuto dire di non esserne stata almeno un po' sollevata.

Avevano entrambi concordato di dimenticare la dichiarazione fatta da Frank da Mielandia, e Frank era più o meno tornato normale, ma Alice ci rimuginava ancora sopra. Non poteva cancellare il ricordo, né reprimere il disagio che provava ogni qual volta le tornava alla mente. Arrivati a quel punto, il ricordo riaffiorava ogni volta che vedeva il Caposcuola e, di conseguenza, si ritrovava a bramare un po' di spazio.

Jeffrey Skively, il partner di Alice, era un Tassorosso del settimo anno con nessun particolare talento in nessun campo, tranne per il fatto che era di bell'aspetto e aveva giocato come Battitore– con moderato successo – per due anni. Non era più nella squadra di Quidditch, ora, a causa di una caduta dalla sua scopa avvenuta la scorsa stagione che aveva spinto sua madre a proibirgli qualsiasi coinvolgimento futuro. O ad ogni modo, questo è quello che si diceva.

“Ci vediamo tra un'ora,” disse Alice a Frank, raccogliendo la sua borsa e facendosi strada a fatica attraverso l'aula. Malgrado il suo sollievo, Alice era un po' gelosa di Frank: amava Pozioni, tanto per cominciare, ed era stato messo in coppia con la sua amica Hestia (una delle migliori della classe).

“Ciao,” disse Jeffrey allegramente. Alice prese posto accanto a lui.

“Ciao,” replicò lei, più educatamente possibile. Era stato loro assegnato di preparare l'essenza di Purvincolo. Fortunatamente, l'essenza di Purvincolo non era di per sé una vera e propria pozione. Per la maggior parte, il loro lavoro di oggi consisteva nell'affrettare magicamente il processo di marinatura dei tentacoli di Purvincolo, ed Alice pensava che avrebbe potuto portarlo a termine abbastanza velocemente. Posizionò sul tavolo i suoi ingredienti di Pozioni. Jeffrey fece lo stesso.

“Detesto Pozioni, tu?” le chiese, scorrendo con gli occhi lungo la lista degli ingredienti.

“Oh, Merlino, sì,” replicò Alice, grata che anche lui provasse la stessa cosa. “Vado a prendere i tentacoli di Purvincolo al tavolo degli ingredienti...”

“Oh, no, lo faccio io,” disse Jeffrey, alzandosi velocemente in piedi. “Ci metto un attimo.” Tornò qualche minuto dopo con un piatto di qualcosa di cilindrico, giallo e viscido che fece storcere il naso ad Alice per il disgusto. “Ha un odore orribile, non è vero?”

“Schifoso,” concordò lei, annuendo.

Jeffrey sorrise benevolo, mettendo giù il piatto con i tentacoli di Purvincolo. “Allora...” Batté le mani insieme. “Che si fa adesso?”

Un quarto d'ora dopo, mentre il resto della classe si dava da fare con il loro lavoro, Alice non aveva niente da fare. La fermentazione richiedeva mezz'ora, quindi si sedette al suo banco, fissando il barattolo sigillato di fronte a lei pieno di tentacoli putridi di Purvincolo e aceto. Jeffrey finì di mettere via le sue cose e si sedette accanto a lei.

“Allora, Alice,” cominciò con disinvoltura, “odi Pozioni, questo è chiaro. Che cosa ti piace, invece?”

“Erbologia, Incantesimi, Trasfigurazione e Difesa,” replicò Alice pigramente, e in risposta allo sguardo divertito di lui, elaborò: “Mi piacciono le materie che richiedono un sacco di applicazione pratica. Diventerò un Auror.”

Diventerò un Auror. Le piaceva – come suonava. Non, vorrei diventare un Auror o mi piacerebbe diventare un Auror, ma lo diventerò. Con Frank, Lily o Hestia, Alice era obbligata ad essere più onesta e usare una di quelle frasi; ma non conosceva Jeffrey Skively, ed era molto più semplice (e piacevole) dire “diventerò.”

“Oh, davvero? Magnifico. Ci vuole un sacco di duro lavoro, però. Non so se potrei farcela.”

“Mm. Già, è difficile.”

“Io penso di dedicarmi al Quidditch – probabilmente non come giocatore. Devi essere eccezionale per giocare da professionista, ma ci sono tante cose da fare nel settore del Quidditch.”

“Sembra interessante,” disse Alice educatamente.

“Allora – perché vuoi diventare un Auror?” volle sapere Skively.

“Perchè è la professione più importante del nostro tempo,” replicò prontamente Alice. Skively sorrise. “Sul serio. Chi altro dovrebbe sbarazzarsi dei Mangiamorte?”

“Oh, no, non ero in disaccordo.” Le stava ancora sorridendo. Alice si sentì un po' a disagio e fece ritornare la sua attenzione sul barattolo in salamoia.

“Alice,” cominciò Skively dopo un breve silenzio, “tu e Frank Paciock state...?”

“Sì,” disse lei velocemente. “Voglio dire: no, non esattamente. Quel che intendo dire è...” (Che cosa intendeva dire? Merlino, nemmeno lei ne era così sicura...riguardo alle definizioni), “Più o meno,” concluse in modo poco convincente.

“Più o meno?” ripeté Skively. “È un 'sì' o un 'no'?”

“Nessuno dei due. È un 'più o meno'.”

“Quindi stai più o meno con Frank Paciock?”

“Esatto.”

“Okay.”

Tacquero entrambi, poi Skively continuò: “Quindi... se qualcun altro ti chiedesse di uscire, tu risponderesti...?” Lasciò la frase a metà.

Alice arrossì e sorrise educatamente. “Mi dispiace, Jeffrey. Sembri davvero simpatico, ma io – ehm – non credo sia una buona idea.”

Skively annuì. “Okay. Mi pare giusto.” Incrociò le braccia. “Quindi stai con Frank Paciock.”

Più o meno. Merlino, fai schifo a questo gioco.”

A questo lui rise. Venti minuti e un processo di filtraggio estremamente difficile dopo, l'essenza di Purvincolo era stata correttamente estratta, imbottigliata e consegnata al Professor Lumacorno, insieme alle altre pozioni degli studenti del settimo anno. “Bel lavoro oggi, ragazzi,” disse l'insegnante di pozioni, compiaciuto della collezione di barattoli sulla scrivania di fronte a lui. “Ora, il vostro lavoro non è finito. Vorrei che scriveste un tema di sessanta centimetri sulla pozione che avete appena consegnato. Per l'ennesima volta, questo non vuol dire che voglio che copiate il riassunto da Pozioni Avanzate. Voglio una descrizione della pozione, una breve storia, il riassunto del processo, e un'analisi individuale.”

Diversi studenti grugnirono.

“Aspettate a lamentarvi” continuò Lumacorno. “Così che non debba leggere due temi su ogni pozione, dovrete lavorare con il vostro partner e dividervi il lavoro di conseguenza. La consegna è per martedì. Molto bene, potete andare.”

Alice trattenne un verso di frustrazione, ma Skively le stava sorridendo imbarazzato. “Sarà imbarazzante perché ci ho provato con te, non è vero?” disse, mentre raccoglievano le loro cose. Alice sospirò.

“No,” disse. “Andrà bene. Hai del tempo libero domani così che possiamo lavorarci?”

Il Tassorosso ci pensò. “Non ho nessuna ora di buco, ma forse verso le cinque?”

“Alle cinque in biblioteca?” propose Alice, e lui annuì.

“Sembra perfetto.”

“Okay. Ci vediamo allora.”

“Ciao, Alice.”

Lei annuì, poi tornò da Frank e Hestia, che la stavano aspettando accanto alla porta. “Allora com'è stato lavorare con Skively?” chiese il primo.

“Non ha combinato un disastro come fanno di solito i Tassorosso, vero?” chiese Hestia.

“No... è andata bene” alzò le spalle Alice. “Nessun evento degno di nota”


Remus gemette e rotolò su un fianco. Le sue lenzuola erano una matassa aggrovigliata per via del suo girarsi e rigirarsi, e sebbene fossero le due del mattino passate, non riusciva ad addormentarsi. Non era neanche per mancanza di stanchezza; la luna crescente nel cielo presagiva che molto presto avrebbe dovuto affrontare quello che James chiamava il suo 'piccolo problema peloso', e spesso si sentiva in quel modo (nauseante, dolorante, febbricitante) quando la luna piena era vicina.

Capovolse il cuscino dal lato fresco e cercò di mettersi comodo – cercò di ignorare il fatto che ogni centimetro del corpo gli doleva.

“Moony,” sussurrò una voce, e Remus si guardò intorno per vedere Sirius scostare le tende del suo letto. “Forza, amico,” continuò Padfoot nel tono gracchiante di chi si è appena svegliato. “Devi andare in infermeria.”

“No,” mormorò Remus in risposta. “Va tutto bene. Sto solo...”

“Moony,” interruppe James, comparendo al fianco di Sirius. Si stava infilando una maglietta e sbadigliando. “Andiamo. Devi riuscire a riposare stanotte. Il Guaritore Holloway avrà qualche pozione.”

Comparve anche Peter e, vedendo che era in inferiorità numerica, Remus annuì debolmente. Si alzò con difficoltà in piedi e prese la vestaglia che Peter gli stava porgendo.

“Sta andando male questo mese,” disse loro Remus, mentre i quattro Malandrini scendevano assonnati fino alla Sala Comune. “Mi sento come se stessi per vomitare.”

“Presto sarà tutto finito,” disse James, dandogli una pacca sulla spalla. Remus si rimangiò la smentita che aveva sulla punta della lingua. Non sarebbe finito tutto presto. Certo, tra tre giorni si sarebbe sentito di nuovo se stesso, ma poi, tra un mese, sarebbe ricominciato tutto daccapo. E poi il mese dopo e il mese dopo ancora, e il mese dopo di quello, si sarebbe sempre ripetuto, per tutto il resto della sua vita. Non sarebbe mai 'finito tutto'.

Non si imbatterono in nessuno per i corridoi, ma James fece notare che non avrebbe importato se fosse successo. I Malandrini avevano una scusa legittima per vagare nei corridoi quella notte. Le porte dell'Infermeria erano chiuse a chiave quando arrivarono, e Sirius si fece arditamente avanti e vi bussò sopra.

“Il Guaritore Holloway avrà qualcosa che fa al caso tuo,” ripeté Peter assonnato, e Remus si limitò ad annuire, troppo esausto per rispondere verbalmente.

Tuttavia, quando finalmente le porte si aprirono, non c'era il Guaritore Holloway dall'altro lato. Invece, c'era una strega. Sembrava sulla trentina, e indossava la vestaglia da notte come se anche lei stesse dormendo.

“E lei chi è?” chiese Sirius.

“Poppy Chips,” replicò la strega severamente. “Chi siete voi?”

“Dov'è il Guaritore Holloway?” volle sapere Peter.

“È andato in pensione.”

“Nel bel mezzo della notte?”

Poppy Chips non sembrava divertita. “No. Se n'è andato questa mattina. Mi aspetto che il Professor Silente faccia l'annuncio domani mattina. Ora, signori, vi ho detto quello che io ci faccio qui, magari potreste spiegarmi cosa vi ha portati in Infermeria.”

I Malandrini si scambiarono degli sguardi incerti, poi James parlò: “Questo...questo è Remus Lupin...” cominciò, saggiando il terreno. La strega sembrò capire al volo.

“Sì, naturalmente,” disse con vivacità. “Portatelo dentro.”

Sollevato che questa signora Chips fosse a conoscenza della situazione, Remus – mezzo appoggiato a Sirius e James – barcollò verso l'interno. Collassò su un letto lontano dalla porta, mentre Chips si muoveva velocemente verso l'ufficio sul retro, presumibilmente per andare a prendere una pozione, anche se Remus non era sicuro di come facesse a sapere quale gli potesse servire.

Quando ritornò con due fiale, la strega sentì la fronte e prese il polso del giovane lupo mannaro. “Meno di ventiquattr'ore alla trasformazione,” mormorò. “Avverti nausea?” Remus annuì. “Potresti anche avere la febbre. Tieni...” Gli porse una delle due boccette. “Questa ti aiuterà a dormire.” Mentre Remus prendeva la pozione, Chips scomparve di nuovo nel suo ufficio, per poi ritornare con un foglietto di pergamena alcuni istanti dopo. Porse questo a James.

“Voi ragazzi dovreste ritornare al vostro dormitorio,” disse loro. “Se doveste incontrare qualcuno lungo la strada, potrete dargli questo biglietto.”

“Oh.” James sembrava un po' sorpreso dalla cortesia di quel gesto. “La ringrazio.”

Lei annuì.

James, Sirius e Peter guardarono Remus un'ultima volta. “Ci vediamo presto, amico,” disse Sirius, sorridendo incoraggiante. Remus si limitò ad annuire. “Buona notte, Poppy,” aggiunse Padfoot rivolto alla strega. Lei inarcò un sopracciglio.

Madama Chips potrebbe andare,” replicò.

“Sicuro, Poppy.”

E con questo, i tre Malandrini privati di sonno si fecero strada fuori dall'infermeria, con un'indignata Madame Pomfrey che li guardava accigliata.

(Strawberry Fields Forever)

“Oh, non saprei,” disse Mary, stingendosi nelle spalle, mentre il mercoledì percorreva la sezione di Incantesimi con il suo ragazzo, Umbert Stebbins. “Dearborn non sembra troppo male...Silente non ha avuto molto preavviso per cercare un nuovo insegnante di Difesa, dopo tutto.”

“Penso che favoreggi Potter, Dearborn, dico,” replicò Stebbins indignato. “Ho sentito che sono imparentati.”

“Tutti favoreggiano Potter,” fece notare Mary. “È assolutamente brillante. Ad ogni modo, abbiamo avuto solo due lezioni con Dearborn. È troppo presto per dirlo.”

“È così, però.” Raggiunsero le scale, e Stebbins si chinò per darle un bacio sulla guancia. “Faccio un salto nella mia Sala Comune prima di pranzo. Ci vediamo nella Sala Grande?”

Mary annuì allegramente. “A tra poco.”

Procedettero in direzioni separate, con Mary che scendeva e Stebbins che saliva le scale. Per essere un Tassorosso, pensò Mary mentre procedeva giù per le scale, Stebbins non era male. Non era un sempliciotto come alcuni suoi compagni di Casa, ed era terribilmente adorabile. Sorrise allegramente tra sé e sé e raggiunse il pianerottolo del piano inferiore. Una dozzina o più di studenti bighellonava lì intorno, compreso un gruppo di Serpeverde di cui Mary consapevolmente evitava il contatto visivo. Tuttavia, mentre camminava, sentì istintivamente che qualcuno la stava guardando, e una veloce occhiata nella direzione dei Serpeverde le disse che Mulciber era uno del numero. Affrettò il passo.

Quando era a qualche passo di distanza dalla successiva rampa di scale, Mary respirò più liberamente (incerta del perché si fosse poi sentita così nervosa) e si rimproverò per immaginare le cose. A quel punto, una strana sensazione la travolse.

All'inizio, si sentì stordita e poi le cominciò a girare la testa. Aveva bisogno di sedersi.

Eppure, quando Mary tentò di avvicinarsi al muro per supportarsi, scoprì che le gambe non le funzionavano correttamente. Non si muovevano. Era vagamente consapevole che questo avrebbe dovuto farla preoccupare, ma non lo fece. In realtà, non provava nulla. I suoi pensieri erano improvvisamente diventati confusi, e lei si sentiva come se fosse senza peso.

“Voltati,” disse una voce (l'unico suono distinto che riusciva a sentire), e senza metterla in discussione, Mary obbedì. Si voltò, e il corridoio che si estendeva di fronte a lei era una solo macchia informe. “Avvicinati,” disse la voce, e lei lo fece. Seguì la voce fino alla sua fonte, e si ritrovò di fronte a qualcuno – un mago, pensò – la cui bacchetta era puntata su di lei. “Dammi la tua bacchetta.”

Mary estrasse la bacchetta dalla tasca della borsa dove sempre la teneva e la mise su una mano protesa verso di lei.

“Cosa devo farle fare adesso?” chiese la voce ridendo. Apparteneva a Mulciber, pensò lei. Per un momento, la sua mente si schiarì abbastanza da rendersi conto che avrebbe dovuto avere paura.

Sono sotto la Maledizione Imperius, si rese conto, prima che la sua concentrazione fosse spezzata da un'altra voce distante.

“Ho in mente un paio di cosette...”

Ci furono risate, ma la volontà di lei era debole rispetto alla forza che così facilmente obbligò le sue gambe ad obbedire ai comandi, portandola piuttosto vicina al gruppo di Serpeverde. Altre risate. La sua vista divenne ancora più sfocata, e la sua mente sempre meno la sua. Mulciber diede un altro ordine, e lei non ebbe pensiero di rifiutare. L'avrebbe assecondato, quando una nuova voce (molto lontana e fievole, come le altre) intervenne.

“Che cosa succede qui?”

A quel punto, come una gettata d'acqua gelata, tornò in sé.


“Scusa per il ritardo,” disse Skively bonariamente, sedendosi dal lato opposto ad Alice al suo tavolo in biblioteca. Lei si limitò ad annuire, concentrata su diversi fogli di appunti di Pozioni che sembrava stesse mettendo in ordine.

“Bene, allora,” disse la strega un momento dopo. “Stavo pensando che potremmo dividere il lavoro in due parti: riassunto e storia della pozione e descrizione del processo con analisi personale. Questi sono i quattro punti che Lumacorno vuole che trattiamo. Preferisci fare il riassunto e la storia o la descrizione e l'analisi?”

Skively sembrò preso alla sprovvista. ”Sono in ritardo di soli tre minuti e hai già fatto tutto questo?”

“Ci ho lavorato su ieri sera,” gli disse Alice, pragmatica. “Va bene per te, o hai un'altra idea?”

“No, per me va bene,” disse il Tassorosso, stringendosi nelle spalle. “Quale metà preferisci?”

Alice avrebbe preferito fare il riassunto e la storia, visto che detestava scrivere pezzi sul suo punto di vista, ma sarebbe stata maleducata a chiederlo, quindi si limitò a scuotere la testa indifferente. “Scegli prima tu. A me vanno bene entrambe.”

“Certo che ti vanno bene.”

“E questo che significa?”

“Niente, niente.” Le sorrise. “È stato terribilmente carino da parte tua organizzare tutto in questo modo prima che iniziassimo, Alice. Anche se, se non ti conoscessi bene, direi che cercavi di evitare di lavorare effettivamente con me.”

Alice inarcò le sopracciglia. “E perché dovrei volerlo fare?”

“Non saprei...dimmelo tu.”

Lei alzò gli occhi al cielo. “Senti, Skively...”

“Jeffrey,” la corresse lui.

“Giusto. Jeffrey. Sono quasi tra i primi del nostro anno, e questo è perché lavoro duramente, non procrastino e faccio le cose in modo ordinato. Non c'è niente di personale...è solo il modo in cui opero.”

“Okay,” disse Skively, ancora sorridendo. “Allora prendo la parte sul riassunto e la storia.”

“Magnifico.” Alice cominciò a raccogliere le sue cose.

“Che stai facendo?”

“Sto andando a cena,” replicò lei, come se fosse ovvio. “Abbiamo i nostri compiti. Possiamo lavorarci separatamente e assemblarli domani prima della lezione.”

Skively incrociò le braccia sul tavolo. “Pensavo che ci avremmo lavorato ora.”

“L'abbiamo fatto. Ora siamo apposto.”

“Perchè sei così di fretta? Hai un appuntamento?”

No.”

Be', non proprio. Aveva detto a Frank che si sarebbero visti a cena se si fosse liberata dal suo incontro alla svelta, ma quello di per sé non era un appuntamento. Tuttavia, lui aveva degli impegni da Caposcuola, quindi non avrebbero avuto molto tempo dopo cena.

“Bene, allora perché non finiamo ora?” continuò Skively. “Dopo tutto, penso che sia meglio evitare di procrastinare.” Sogghignò.

Alice sospirò. “E va bene. Mezz'ora e poi vado a cena.”

“D'accordo,” canticchiò Skively, prelevando il suo materiale scolastico dalla borsa dei libri. Alice estrasse ancora una volta i suoi appunti e li posò sul tavolo, insieme a un foglio bianco di pergamena, una piuma e dell'inchiostro. Stava per mettersi a lavoro quando Skively aggiunse: “Presumo tu non abbia preso appunti la settimana scorsa, vero?”

“Certo che l'ho fatto,” replicò lei, scrivendo il suo nome e la data in cima al foglio. “Lumacorno aveva detto che ci sarebbero servite quelle informazioni per il compito di questa settimana.” Skively rimase in silenzio, ed Alice alzò lo sguardo. “Tu non hai preso appunti, è così?” chiese, conoscendo già la risposta. Skively si limitò a sorridere. Alice sospirò.

“E va bene. Tieni.” Gli porse i suoi appunti e tirò fuori Pozioni Avanzate. “Mi dedicherò prima alla parte sul processo...mi serve solo il libro per questo.”

“Ehm – grazie.”

“Mm.”

I due lavorarono in silenzio per alcuni minuti, prima che Skively parlasse di nuovo. “Allora, come vanno le cose tra te e il Caposcuola?”

Alice non alzò lo sguardo dal suo foglio. “Ventidue minuti e poi andrò a cena, portando i miei appunti con me,” gli ricordò in un tono cantilenante.

Per favore, sono già quasi a metà,” replicò Skively. Alice inarcò le sopracciglia. “Non ti preoccupare; non è terribile. Allora cosa c'è tra te e Paciock?”

“Perché t'importa?”

“Perché ti trovo carina.”

Alice sospirò e mise giù la piuma. “Ti ringrazio. Sei molto dolce. Ma – no. Quindi no...e basta. Grazie.”

“È a causa di Paciock?”

“No, perché no.”

“Bene.”

Alice incrociò le braccia. “Che cosa vuoi dire con 'bene'?” chiese.

“Non saprei. È solo che...lui è Frank Paciock.

“Astuta osservazione.”

“Oh, andiamo, Alice. Pensi davvero che non potresti fare di meglio di Frank Paciock?”

Alice a questo rise apertamente, causando un'altezzosa alzata di sopracciglia nella loro direzione da parte della signorina Savoy. Sembrava pronta a venire al loro tavolo a sgridarli, ma Skively le lanciò un'occhiata di scuse, e lei ritornò al suo lavoro. “Onestamente, Skively,” sussurrò Alice, sporgendosi in avanti sul tavolo. “Frank è Caposcuola. È quasi tra i primi del nostro anno. Difficilmente mi considererei di star puntando al ribasso.”

“Forse,” disse Skively con un'alzata di spalle. “Ma non è alla tua altezza.”

Alice alzò gli occhi al cielo. “E cose renderebbe te migliore di Frank?”

“Be',” cominciò il Tassorosso pensosamente. “Se tu fossi la mia ragazza, non vorrei che passassi delle ore in biblioteca con un bel Tassorosso che ci ha provato con te durante Pozioni.” Alice si accigliò. “A meno che...tu non abbia detto a Paciock che ci ho provato con te durante Pozioni...” Lasciò la frase sospesa, come se quello avesse dovuto significare qualcosa.

“No, non l'ho fatto,” replicò lei tranquillamente. “È stato di così poca importanza per me da dimenticarlo completamente. E poi, l'unico modo in cui quello che dici ha senso è se sostituisci 'delle ore' con 'esattamente mezz'ora'. Inoltre, non sono una proprietà a cui si deve dire con chi le è permesso passare il tempo – che sia tanto o no – in biblioteca o da qualunque altra parte. Quindi, suppongo sia una buona cosa che io non sia la tua ragazza.” Sorrise.

“Forse,” concordò lui. “Ma, sai, se lo fossi, io non me ne andrei in giro a pomiciare con Carlotta Meloni.”

Alice si congelò sul posto, il suo sorriso scomparso. Poi, molto tranquillamente, cominciò a raccogliere le sue cose.

“Dove stai andando?”

“Scherzi, vero?”

“Alice, non l'intendevo in quel modo,” disse Skively velocemente. “Mi dispiace. Ti prometto che farò il bravo.”

“Puoi tenerti gli appunti,” ribatté Alice freddamente. “Me ne vado.”

“No, Alice.” Le afferrò il braccio gentilmente. “Andiamo, non intendevo dire questo.”

Alice liberò il braccio. “Che cosa intendevi allora?”

“Be',” esitò Skively. “Quello che intendevo è – che cosa ci fa una ragazza carina come te, che potrebbe stare con qualunque ragazzo della scuola, con un ragazzo che è andato a letto con Carlotta Meloni dietro le sue spalle?”

“Frank non è andato a letto con Carlotta,” lo corresse Alice. “Non sto difendendo quello che ha fatto, ma non hai nessuna idea di quello di cui stai parlando.”

“E non voleva portarsela a letto?”

Lei alzò gli occhi al cielo. “Stiamo palando di Carlotta Meloni! Tutti vogliono portarsela a letto! Dio, se la stronza non avesse cercato di rubarmi il ragazzo, si potrebbe persuadere perfino me ad andare a letto con lei! E smettila di immaginartelo, Skively!”

E va bene.”

“Hai esattamente diciassette minuti prima che vada a cena,” continuò lei. “Quindi ti suggerisco di far buon uso di quegli appunti finché puoi.”

“Okay, okay.”

Skively obbedì per dieci minuti circa, prima di interrompere il silenzio ancora una volta. “Alice?”

“Per Merlino, che c'è?”

“Oh...scusa. Ho una domanda sui tuoi appunti.”

“Oh.” Alice si raddrizzò. “Cosa s'è, allora?”

Skively spostò la sedia lungo il tavolo, così che fosse dallo stesso lato di Alice. Le mostrò un pezzo di pergamena e chiese: “Questa parte qui...sulle normative per la caccia alle creature magiche...hai detto che iniziarono intono al 1850, ma penso intendevi il 1950...”

Alice aggrottò la fronte. “Il 1950? No, sono piuttosto sicura che fosse prima. Tieni...” Afferrò la sua borsa e ne tirò fuori un libro. “Controlla qui.”

“Ti porti dietro una copia di Animali Fantastici: Dove trovarli?”

“Lo faccio quando mi serve per fare i compiti,” replicò lei, passandogliela. Skively si mise a sfogliare le pagine alla ricerca della risposta, mentre Alice ritornava alla sua parte del tema. Lui trovò quello che stava cercando un momento dopo e ridiede il libro a Alice.

“1890,” le disse. “Avevamo entrambi torto.”

“Bene,” disse Alice. “Anche se tu avevi più torto.”

“Cosa te lo fa dire?”

“Hai sbagliato di sessant'anni, io di quaranta. In più, io ero nel secolo giusto.”

“Non penso che ci sia un 'più' torto, qui,” decise Skively. Alice alzò lo sguardo dal suo tema per lanciargli un'occhiataccia, e fu solo allora che si rese conto di quanto le fosse seduto vicino. Il suo naso era forse a dieci centimetri di distanza da lei, e i suoi occhi – che, notò, erano marroni – erano fissi intensamente nei suoi.

“Dovresti...ehm...” Si schiarì la gola. “Tornare... dal tuo lato del tavolo.”

Skively non si mosse. “Andiamo, Alice,” mormorò, e lei poté sentire il suo respiro sul viso quando parlò. “Non ti piaccio neanche un po'?”

“Ehm...” Ma i suoi ormoni avevano preso il sopravvento e avevano reso la sua lingua incapace di articolare le parole che voleva dire. “Be', io – ehm...”

Lui si stava chinando in avanti, lo spazio tra le loro labbra che si faceva sempre più insignificante. Alice non era sicura se fosse ferma o se si stesse chinando in una direzione o nell'altra. Non era sicura quasi più di nulla.

Sta per baciarmi.

Skively era a un soffio di distanza, quando – come per una secchiata di acqua fredda – Alice ritornò ai suoi sensi.

I suoi occhi – che non si era resa conto fossero chiusi – si aprirono di scatto, e lei si tirò immediatamente indietro. “Fermati.”

“Mi dispiace,” si scusò Skively imbarazzato, raddrizzandosi. “Non intendevo...”

“Devo andare,” disse Alice velocemente, afferrando i suoi libri e spingendoli con noncuranza nella sua borsa. “Puoi tenere gli appunti... ehm... ci vediamo in classe.”

“Aspetta, Alice...”

Ma lei si stava già gettando la borsa sulle spalle, affrettandosi fuori dalla biblioteca.


Desiderando sapere dove erano andate Mary e Marlene, Lily si sedette a cena al tavolo di Grifondoro da sola. Ovviamente, non era davvero sola; c'erano circa altri venti Grifondoro al tavolo. James, Sirius e Peter sedevano non troppo lontano e Frank Paciock era lontano solo poche sedie, con un libro appoggiato contro la brocca di succo di zucca mentre studiava attentamente. Eppure, a Lily sarebbe piaciuta della compagnia.

Quando ebbe servito il suo piatto, il prefetto tirò fuori la sua copia non letta de La Gazzetta del Profeta e diede un'occhiata ai titoli. Un attacco di Mangiamorte a Bristol–nessun morto, grazie a Merlino–e la scomparsa ufficiale di un Ministro nato babbano: in altre parole, più delle stesse cose.

C'era anche un'altra storia che catturò la sua attenzione. Un Auror era stato ucciso nel tentativo di impedire quello che era stata vagamente soprannominata "attività dei Mangiamorte" a Londra. Lily sospirò e si chiese mestamente se Logan Harper era coinvolto. Logan Harper: il mago che lei aveva incontrato tre mesi prima, sanguinante a morte sul divano.

Lily lanciò un'occhiata al tavolo di Corvonero e anche se vide alcuni amici di Luke, il mago stesso era assente. Lei piegò il foglio per leggere la pagina successiva, ma fu interrotta dall'arrivo di Shelley Mumps e Carlotta Meloni. Stavano battibeccando benevolmente.

"Onestamente, Shell," stava dicendo Carlotta, mentre scivolava nella sedia dall'altra parte del tavolo, "Non puoi negare che sia bello."

"Va bene," cedette Shelley, sedendosi accanto a Lily. "Ti concederò che ha dei bei occhi–molto blu. In cui ti ci potresti perdere dentro."

"Non mi dispiacerebbe perdermici," concordò Carlotta sospirando, facendo ridacchiare Shelley.

"Ma," continuò l'altra, "lui non è il mio tipo. Preferisco i ragazzi dai capelli scuri."

"Vuoi dire che preferisci i ragazzi che sono James Potter," la corresse Carlotta e Shelley arrossì.

"Silenzio! Ci sentirà!"

"È laggiù," disse la bruna, ondeggiando noncurante con la mano. "Davvero, Shell, non capirò mai questa ossessione che hai per James. Voglio dire, è dannatamente bello, ovviamente, ed è anche un ottimo baciatore. Ma, cara, non ci parli mai… e ci sono numerosi altri boccini da inseguire."

Shelley sembrò indignata. "Lily, aiutami," la implorò e Lily posò il giornale.

"Spero che tu non mi stia chiedendo di parlare per James Potter," scherzò Lily.

"Ma tu capisci perché sia così fantastico, non è vero?" Shelley quasi pregò.

Carlotta la derise prima che Lily potesse rispondere. "Ti piace solo perché è attraente, Shell."

"No. Non è per nulla così." Guardò Lily in cerca di supporto. "Non lo è. Tutti possono dire che James…" disse il suo nome quasi con reverenza, "sia di bell'aspetto. Ma mi piacciono le cose che nessun altro nota di lui–le piccole cose, sai?"

Lily inarcò le sopracciglia. "Tipo?"

"Be'… il modo in cui si scompiglia i capelli," disse Shelley, raggiante. "Il suo sorriso e la sua risata e il modo in cui si comporta con i suoi amici."

"Merlino hai bisogno di una scopata," mormorò Carlotta.

"Silenzio, tu," ribatté Shelley, arrotolando una ciocca di capelli biondo sporco attorno ad un dito. "Tu vedi quello che intendo, Lily?"

Lily scosse la testa. "Shelley, quelle non sono le piccole cose. Quelle sono le grandi cose. Quelle sono… la quintessenza delle cose di James Potter. Le piccole cose sono tipo–come si agita di continuo perché non può stare fermo per più di un secondo, o come si siede sopra i banchi come se fossero poltrone, o come tenga la stranamente bacchetta–con l'indice sopra, anche se sembra che non dia abbastanza supporto per un incantesimo potente. O come–come chiunque abbia visto i suoi appunti possa dirti che spenda il novanta percento delle lezioni a scarabocchiare ai bordi. O, sai, che canticchia di continuo, ma non ha probabilmente completamente alcun orecchio musicale perché suona terribile. Voglio dire, sì, si scompiglia i capelli–ma lo fa così che sembra che sia appena sceso da un manico di scopa. E sì, tutti sanno del suo sorriso e della sua risata e tutte quelle stronzate, ma la cosa veramente divertente è come ride alle battute più ridicole e non divertenti. E con i suoi amici… sai, come entra in una stanza e la passa in rassegna per vedere chi c'è, come se stesse soppesando le sue opzioni… O…" Lily si fermò, notando che sia Carlotta che Shelley la stavano fissando. "Sono un'osservatrice della condizione umana," disse loro con dignità.

Carlotta scosse la testa. "Avete entrambe bisogno di una scopata." Lei tornò alla sua cena e Shelley guardò lungo il tavolo verso James, come se lo vedesse in una nuova luce. "Ma davvero, Shell," la bruna riprese ora la conversazione, "non puoi dire che solo perché Lathe ha i capelli chiari, non sia dannatamente delizioso."

"Lathe?" interruppe Lily curiosa.

"Mhm, l'Auror," disse Carlotta. "Shelley pensa che sia solo carino, mentre io dico che lui è dannatamente scopabile."

"Come mai ne state parlando?" chiese la rossa.

"Oh, è tornato," disse vagamente Shelley. "Non lo sapevi? Ci sono circa una dozzina di Auror a scuola… apparentemente sono qui per sicurezza, con tutte quelle cose orribili con i Mangiamorte." Scosse via bruscamente la macabra notizia. "Avrei pensato che tu lo sapessi, Lily," continuò la bionda, "dato che è stato Lathe a salvare Mary."

Lily quasi si strozzò con una patata. "Salvare Mary? Mary MacDonald? Salvarla da cosa? Cos'è successo?"

"Mi chiedevo perché non eri nel dormitorio con lei e Marlene," disse Carlotta vagamente. "Non hai sentito?"

"Cos'è successo?" pressò Lily.

Carlotta si sporse in avanti con fare cospiratorio. "Apparentemente Mulciber l'ha affatturata. Ho sentito che ha usato l'Imperius."

"Lathe stave passando di lì e l'ha fermato–ha anche sgridato Mulciber, quello stronzo," aggiunse Shelley. "Mary è su nel dormitorio ora,"

Lily le ringraziò e, abbandonando la cena ed il giornale, si affrettò fuori dalla Sala Grande. Stava quasi correndo attraverso la Sala d'Ingresso quando una voce chiamò il suo nome. Si fermò abbastanza a lungo per vedere uno degli amici di Luke–uno massiccio, Corvonero del settimo anno–che avanzava verso di lei.

"Mi dispiace," chiese scusa velocemente, "non ho un minuto. La mia amica è appena stata…"

Ma il Corvonero non sembrava stesse ascoltando. "Lily, non hai visto Luke, vero?" chiese. "Ha saltato le lezioni, e non lo fa quasi mai, quindi pensavo…"

"Luke?" chiese Lily, confusa. "No. Abbiamo rotto, Gerry; non l'ho visto. Uhm… senti, devo andare…"

"Ma…"

Ma Lily stava già salendo la scalinata di marmo a due alla volta e non aveva l'energia interiore per preoccuparsi del perché Luke avesse saltato le lezioni. Raggiunse il dormitorio delle ragazze di Grifondoro in tempo record e trovò Mary seduta sul suo letto accanto a Marlene.

"Dio, l'ho appena saputo," ansimò Lily molto velocemente. "Stai bene? Come ti senti? Hai bisogno di andare in Infermeria? Hai bisogno…?"

"Lily, sto bene," la interruppe Mary. "Calmati, sto perfettamente bene. Sono stata maledetta solo per un paio di minuti…"

"L'Imperius?" chiese Lily, giusto per essere sicura, e Mary annuì.

"Lo stronzo mi ha attaccato mentre scendevo a cena."

"Non ti ha fatto fare niente di terribile, vero?" pressò la rossa ansiosamente.

"Non penso, no," replicò Mary. "Come ho detto–è stato solo per un paio di minuti e poi è arrivato Lathe. Davvero, Lily, non è una cosa grave…"

"Non è una cosa grave!" urlò Marlene indignata. "Mulciber merita molto peggio di una sgridata da Lathe. Dovrebbe essere buttato fuori."

"Ha ragione," concordò Lily. "È magia oscura."

Mary non incontrò gli occhi di nessuno e giocherellò con il bordo della gonna. "Va bene. Sto bene. Nessuno si è fatto male. Preferirei dimenticarmene."

"Ma sei sicura di stare meglio?" chiese Lily di nuovo. "Non hai alcun dolore? Forse dovresti andare in Infermeria nel caso…"

"Sto bene," insisté Mary, ma Lily rimase non convinta. Per circa dieci minuti, continuò ad elencare ogni possibile effetto collaterale dell'Imperius che avesse mai letto, finché Mary alla fine sospirò e si arrese.

"Be', in effetti ho un leggero mal di testa… anche se potrebbe non avere nulla a che fare con l'attacco…" aggiunse piano. Lily saltò in piedi immediatamente.

"Ti prendo una pozione in Infermeria," si offrì e Mary sorrise grata.

"Grazie, tesoro."

Lily le lanciò uno sguardo sincero e rassicurante prima di affrettarsi fuori dal dormitorio. Mary scosse la testa, poi la appoggiò sulla spalla di Marlene.

"Sono esausta," affermò.

"Sono solo le sette," le fece notare Marlene. "E non hai cenato."

"Non sono affamata."

"Mare, dovresti mangiare qualcosa…"

Mary si accigliò. "Be', quel Lathe mi ha raccomandato di mangiare un pezzo di cioccolato…"

"Ne ho un po' nel mio baule."

La bionda procurò una sottile barretta del miglior cioccolato di Mielandia e le due ragazze lo mangiarono silenziosamente. "Come va il tuo mal di testa?" chiese Marlene dopo un po'.

"Non ho mal di testa. Lily mi stava stressando."

Marlene sorrise e mise un braccio sulla spalla dell'amica. "Non stai bene però, vero?" mormorò consapevole. Mary sospirò.

"L'ho odiato," disse piano. "Ho odiato essere controllata in quel modo. Ho odiato sentirmi debole in quel modo. Ho odiato essere nelle mani di Mulciber–è stato…terribile. Non posso descriverlo."

Marlene rimase in silenzio a lungo. "Non succederà più," le promise alla fine. "Mai più, va bene?"

"Va bene." Ma non sembrava che ci credesse. "Credo che andrò a letto," dichiarò la bruna adesso, alzandosi dal letto e andando alla scrivania, dove aprì il cassetto in alto ed estrasse una piccola bottiglia. "Pozione soporifera," spiegò ad una curiosa Marlene. Prese i suoi abiti da notte e si spostò in bagno.

"Se non hai bisogno di altro," le disse Marlene attraverso la porta, "dovrei incontrare Adam per lavorare su Trasfigurazione."

"Vai," replicò Mary. "Buonanotte."

"Buonanotte, Mary."

Marlene uscì dal dormitorio e scese la scala fino alla Sala Comune. Non cercò Adam, però. Invece, si mosse velocemente fuori dalla torre di Grifondoro, mezzo correndo per corridoi e scalinate finché non giunse in biblioteca.

Non poteva essere sicura che lui sarebbe stato qui, ovviamente, ma sapeva che passava spesso le sere lì e anche se non c'era, avrebbe trovato qualcuno della sua casa disposto ad andare in Sala Comune a cercarlo per lei. Ad ogni modo, Marlene sembrò essere fortunata quella sera, dato che ad un tavolo vicino agli scaffali sedeva il mago che aveva bisogno di vedere.

"Piton," disse la bionda bruscamente, autoinvitandosi a sedere nella sedia vuota di fronte alla sua.

Il Serpeverde alzò lo sguardo dal suo libro. "Cosa vuoi tu?" sbottò.

Marlene si sporse lungo il tavolo e parlò piano. "Sai perfettamente perché sono qui," replicò lei furiosamente. "Mulciber ha attaccato Mary."

L'espressione di Piton era inscrutabile, ma qualcosa nel modo in cui i suoi occhi neri si illuminarono suggerì che forse lui non sapeva. "Non ero lì," fu tutto quello che disse.

"Avevamo un accordo," sbottò Marlene. "Tu avresti dovuto tenere i tuoi amici lontano dai miei…"

"Non ero lì," ripeté Piton. "Non posso controllare tutti quelli della mia casa tutto il tempo."

Ma a Marlene non importava. "Se succede un'altra cosa ad uno dei miei amici per mano di uno dei tuoi, vado da Silente."

Lei si alzò dal tavolo, ma Piton parlò in una voce bassa e pericolosa: "Non minacciarmi," avvertì.

Marlene lo fissò. "Non darmi una ragione per farlo," ribatté.


"Ehm–mi scusi…" iniziò Lily, entrando con cautela in Infermeria come se fosse un territorio sconosciuto. La strega che Silente aveva presentata quella mattina come la nuova guaritrice della scuola alzò lo sguardo dal lettino che stava facendo puntando la bacchetta.

"Sì, cara?"

"Mi chiedevo se potevo avere una pozione per il mal di testa."

"Sì, certo," disse la strega, che Lily credeva si chiamasse Madama Chips. "Ma dovrai prenderla in mia presenza. Regole della scuola, sai…"

"Oh." Lily si accigliò. "Ma il Guaritore Holloway non ce l'aveva mai imposto."

"Apparentemente no," concordò Madama Chips, "dal momento che sei la quarta persona che mette in dubbio questa norma oggi. Ma temo che sia una regola approvata dal consiglio, signorina…?"

"Evans. Lily Evans."

"Signorina Evans. Vedi, cara, è per impedire ad uno studente di mettere da parte pozioni che potrebbero essere pericolose in grosse quantità–o di portarle ad altri studenti, sai." Improvvisamente sembrò piuttosto severa. "Questa pozione per il mal di testa è per te, vero, signorina Evans?"

Lily si schiarì la gola nervosa. "C-certo."

"Molto bene." Madama Chips si rilassò. "Torno subito." Camminò bruscamente verso il suo ufficio, Lily sospirò.

"Tutta questa fatica per niente…" Incrociò le braccia e diede pigramente un'occhiata all'Infermeria. C'era una giovane strega in un lettino alla quale sembrava fosse capitato un brutto incidente a Incantesimi, e un mago più grande sedeva in un lettino in un angolo, che non palesava alcun segno di malattia. Passò un momento prima che Lily capisse chi fosse.

"Luke?" Si avvicinò velocemente dove sedeva il Corvonero. "Stai bene? Che è successo?"

"Lily," la salutò Luke, evidentemente un po' imbarazzato. "Uhm–sto bene. Mi sono fatto male al braccio."

"Cosa ti sei fatto?"

"Oh, niente di serio. L'ho solo–rotto un po'."

"Ti sei rotto un po' il braccio?" chiese Lily scettica. "La strega l'ha sistemato?"

"Sì, è guarito ora," disse Luke. "Madama Chips mi ha appena detto di sedere qui per qualche minuto per assicurarsi che non abbia alcun dolore… apparentemente, talvolta sistemare un osso rotto può provocarne o qualcosa del genere. Non lo so."

"Come l'hai rotto?" pressò la strega, sedendosi accanto a lui sul lettino.

"Io uh–sono solo caduto," replicò Luke, forzatamente disinvolto. "Niente di che."

Ma Lily non gli credette. "Il tuo amico Gerry ti stava cercando," gli disse. "Mi ha trovata dopo cena–dice che hai saltato le lezioni. Ha qualcosa a che fare con quello?"

Prima che Luke potesse rispondere, Madama Chips tornò con la pozione per Lily e una cartella. "Nessun dolore, signor Harper?" chiese, porgendo la bottiglia a Lily. Luke scosse la testa. "Molto bene, puoi andare…" Luke non se lo sentì dire una seconda volta. Scese dal lettino e si avviò velocemente alla porta. Lily ingoiò la pozione in un sorso e provò a seguirlo. "Signorina Evans, se puoi firmare questo…" disse Madama Chips. Le porse la cartella; "per confermare la pozione che hai appena consumato."

"Cosa? Oh… sicuro."

Lily afferrò la piuma e scribacchiò il suo nome sulla linea. Luke era già scomparso attraverso le porte dell'Infermeria, così–ringraziando frettolosamente Madama Chips–Lily lo seguì.


I tre Malandrini non-mannari sedevano sulle loro poltrone preferite davanti al fuoco nella Sala Comune di Grifondoro. Peter e James stavano giocando a carte, e Sirius stava sfogliando svogliatamente una delle riviste di Quidditch di James.

"Ho fame," si lamentò Padfoot in quel momento, e Peter grugnì.

"Abbiamo mangiato mezz'ora fa," gli fece notare sarcasticamente.

"Sì, ma voglio altra torta alla melassa," insisté Sirius. "Andiamo giù nelle cucine."

"Non voglio," si lamentò James. "Non puoi aspettare?"

"No," disse Sirius. Aggiunse in un tono più basso: "Usciamo stasera."

"Vai tu, allora," gli suggerì James. "Sto per uccidere Wormtail qui."

"No."

"Sì."

"Bene," disse Sirius, alzandosi. "Siete dei pessimi amici, però."

"Mmm," replicò vagamente James. "Non metterci troppo però," aggiunse con uno sguardo significativo. "Il sole tramonta tra un'ora."

"Sì, lo so." Sirius scrollò via l'avvertimento di James e scivolò fuori dal buco del ritratto.


Camminando avanti e indietro nella stanza del Caposcuola, Alice premette ansiosamente le mani l'una contro l'altra. Frank non si vedeva da nessuna parte, ma lei aveva deciso di aspettarlo lì. Sarebbe tornato prima o poi, dopotutto.

Oh, Dio, cosa avrebbe fatto? Tremava all'idea di dirglielo, a sapeva senza dubbio che l'avrebbe fatto.

Skively l'aveva quasi baciata.

Ma lei non aveva voluto che lui lo facesse.

Vero?

No, non l'aveva voluto. Di quello, Alice era piuttosto certa. Non voleva essere baciata. Quella era la parte più strana di tutte–non l'aveva voluto, ma aveva quasi lasciato che accadesse. Aveva quasi lasciato che un Tassorosso a caso la baciasse. E perché? Perché l'aveva lusingata. Perché lui era semplicemente .

Perché lui non era innamorato di lei.

Alice si sedette sul letto, chiudendo gli occhi e gemendo. Perché, oh perché, Frank l'aveva detto? Perché aveva verbalizzato quelle due temute parole? Non erano abbastanza felici senza tutto ciò? Non erano felici di essere solo Frank e Alice, senza essere tanto ufficiali? Tanto etichettati? Perché aveva rovinato tutto con ti amo?

Di nuovo nervosa, Alice si alzò dal letto e ricominciò a camminare. Lo fece per diversi minuti, prima di irritarsi con se stessa ancora una volta e sedersi alla scrivania. L'intero tavolo era coperto di carte, perlopiù in pile ordinate, ma alcuni pezzi erano disseminati in giro. Vide il suo compito di Incantesimi della settimana scorsa–aveva avuto una "O"–e i suoi appunti di Pozioni. In cima a quelli stava un più piccolo, più spesso e più costoso quadrato di pergamena; era piegato, ed Alice lo prese pigramente, aprendolo e leggendo le prime linee.

Era dalla Professoressa McGrannitt, con la data di qualche settimana prima. Alice lesse il resto.

Signor Paciock,

Ho ricevuto la tua lettera, e, avendo conferito con il resto del personale e con il Preside Silente, abbiamo deciso che è accettabile cambiare la data del fine settimana degli studenti ad Hogsmeade da Sabato 15 a Sabato 8. Grazie per la sua attenzione sulla questione.

Distinti saluti,

M. McGrannitt

Alice si accigliò. Frank non le aveva detto niente su questo… lei aveva particolarmente sottolineato il vantaggio del cambio di data (essendo il suo compleanno), e lui non aveva detto una parola. Era strano, perché…

E poi Alice capì quello che lei, magari, avrebbe dovuto capire immediatamente.


Lily raggiunse Luke alla fine del corridoio, e lui non ne sembrò molto contento. "Ascolta, Lily," cominciò, prendendo la scala discendente, "Sono molto stanco… sto andando a letto. Dormirci sopra…"

"Davvero?" replicò Lily, seguendolo da vicino. "È divertente, perché l'ultima volta che ho controllato, la tua Sala Comune era di sopra." Luke non rispose, e lei domandò. "Luke, che ti sta succedendo?"

"Non ti riguarda più," sbottò il Corvonero, inusualmente duro.

"Luke…" Lui scese dalla scala sul corridoio del secondo piano e Lily continuò a seguirlo. "Come ti sei rotto il braccio? Dove sei stato tutto il giorno? I tuoi compagni di stanza non ti hanno visto, e ora sei…" Lei si fermò, ricordando l'articolo della Gazzetta del Profeta. "Ha a che fare con Logan?"

"No," disse il Corvonero con voce ferma.

Lily rimase in silenzio per qualche secondo, cercando di mettere in ordine i pezzi della sua testa. Qualcosa non andava, e lei sentiva di dover sapere cosa, se solo si fosse concentrata abbastanza a lungo per ricordare.

"Hai pensato alla mia offerta?"

Gli occhi di Lily si spalancarono e il suo cuore batté più velocemente al ricordo di quelle parole. Erano state dette da Logan Harper, quasi tre mesi esatti prima ad Hogsmeade, quando Lily era rimasta ed aveva ascoltato alla porta.

Hai pensato alla mia offerta?”

No, non ci ho pensato.”

Hai avuto mesi… una buona opportunità… avremo bisogno di un'altra bacchetta...”

"Luke," cominciò lei, afferrando il suo braccio per fermarlo. Come si rivelò poi, questo non era necessario, dato che Luke si fermò all'angolo e si appoggiò alla parete, apparentemente per dare un'occhiata di quello che c'era nel corridoio successivo senza essere visto. Lily era troppo distratta per farsi delle domande su questo. "Ha a che fare con Logan, non è vero?" chiese, ma Luke la zittì. "Logan voleva il tuo aiuto per qualcosa," continuò in un sospiro; "con un lavoro."

Luke espirò profondamente. "Non ho fatto niente di male," disse semplicemente, ma con fermezza e poi tornò a spiare dietro l'angolo.

"Luke…"

"Per favore, Lily," la pregò. "Fai silenzio per un secondo."

"Cosa stai guardando?" voleva sapere Lily e si sporse oltre la spalla di Luke per vedere quello che stava guardando. Tre maghi–adulti, non studenti–stavano poco più in là, apparentemente oziando e non facendo nulla di particolarmente interessante. Dalle loro vesti nere e dai distintivi di bronzo, Lily riconobbe immediatamente chi dovevano essere: Auror, quelli di cui Shelley e Carlotta avevano parlato a cena… quelli che erano assegnati alla sicurezza del castello. Lathe non era con loro, ma stavano fuori alla stanza che era stata il suo ufficio quando era rimasto al castello per l'indagine all'inizio dell'anno. I maghi non stavano dicendo niente e Lily non vide alcuna ragione per il suo silenzio. "Luke," mormorò veemente, "ti sei rotto il braccio aiutando Logan con un lavoro?"

Luke sospirò di nuovo. "Se l'avessi fatto, credi davvero che sarei andato in Infermeria a farmelo sistemare, Lily?"

Be', aveva una sua logica.

"Allora come te lo sei rotto?"

"Sono caduto."

"Smetti di mentire."

"Non sto mentendo."

Lily afferrò il braccio di Luke e lo fece voltare così che la guardasse. "So di non essere più la tua ragazza, ma mi devi una spiegazione. Dimmi la verità–Logan era ad Hogsmeade durante la veglia di Black? Ha parlato con te?"

Per un momento, l'espressione prudente che Luke aveva mantenuto in maniera sconvolgente per tutta la conversazione parve scomparire. Allontanò gli occhi distrattamente, e Lily sapeva la risposta prima che lui rispose. Luke annuì piano.

"Ho anche ragione su tutto il resto, non è vero?" chiese a bassa voce.

"No," disse Luke piano. "Logan mi ha chiesto di essere una bacchetta in più sul lavoro, ma non l'ho fatto."

"Allora come ti sei rotto il braccio?"

"Casey… Saroyan…" interruppe una voce dal corridoio successivo e Lily e Logan guardarono dietro l'angolo per vedere nessun altro se non Lathe emergere dall'ufficio. Stava parlando con due dei quattro Auror lì. "Cosa hai sentito?"

"Il cancello è sicuro," disse uno dei maghi. "Benton e Towler hanno lasciato la sicurezza della stazione e stanno tornando al villaggio. Ma Shacklebolt è già lì." Lily sussultò al nome familiare–doveva essere il fratello Auror di Donna.

"Da solo?"

"Sta solo controllando il perimetro."

"Gli incantesimi anti-materializzazione sono in posizione e gli edifici vicini sono stati evacuati," aggiunse un altro dei maghi.

"Abbiamo la conferma che Harper sia dentro?" chiese Lathe. Lily sentì Luke inalare bruscamente.

"Con altri due, sì."

Lathe annuì. "Vieni. Andiamo ora."

I quattro maghi scomparvero ancora una volta nell'ufficio e Luke non perse tempo a voltarsi e a dirigersi nella direzione da cui lui e Lily erano appena venuti. Lily lo seguì, ma il Corvonero corse avanti.

"Luke, fermati…" Luke si fermò quando giunse alla scalinata, e Lily era ancora di poco dietro. "Sei stai andando dietro a tuo fratello…"

"Non posso parlare, Lily. Devo… devo andare." Poi, Luke si affrettò sopra e nel tempo che Lily impiegò a raggiungere le scale, lui aveva già raggiunto il pianerottolo di sopra e stava scomparendo nel corridoio. Lei lo seguì, facendo due scalini alla volta e arrivando al quarto piano un minuto dopo. Ad ogni modo, Luke non si vedeva da nessuna parte. Lei lo chiamò e non ottenne risposta.

"Luke?" chiese di nuovo all'aria sottile. Ma non c'era molto in quell'ala del quarto piano e Luke era scomparso.

Lily si fermò per un momento cercando di mettere insieme i suoi pensieri. Dove stava andando Luke? Di certo non sarebbe stato in grado di uscire dal castello quella sera. Specialmente con gli Auror di pattuglia… come aveva fatto a sapere dove erano prima? Come si era rotto il braccio? Logan era coinvolto nell'attacco menzionato nel giornale? E Luke?

E a scapito di queste domande irrisolte, Lily aveva la strana sensazione di sapere la risposta di una domanda pressante… pensava di sapere esattamente dove Luke era diretto ora. Ma come? Come poteva fermarlo?

A quella domanda, Lily aveva una risposta.

James.


Sigaretta accesa, Sirius proseguì fino al corridoio del secondo piano nell'ala est del castello. Camminava lentamente per ammazzare il tempo—mancavano ancora circa quarantacinque minuti fino al tramonto (quando il coprifuoco rendeva sicuro il trasferimento di Remus al Platano Picchiatore) e nel frattempo, Sirius desiderava qualcosa per occupare la mente. Era grato per la distrazione della luna piena, ma avrebbe voluto che fosse già arrivata.

La maggior parte degli studenti erano già su alle Sale Comuni a quell'ora, e i corridoi erano tranquilli. Gli piaceva camminare per i corridoi in questo modo. Era sempre stato molto più comodo andare in giro per gli androni senza nascondersi sotto il Mantello dell'Invisibilità (che era piegato nella tasca della sua veste per dopo).

Gli altri non capivano—pensò il ragazzo, fermandosi e appoggiandosi contro una delle pareti del corridoio. Fece un lungo tiro dalla sigaretta ed esalò. James, Remus, Pete— nessuno di loro capiva che non poteva semplicemente starsene buono e giocare a carte. Non voleva essere lasciato solo. Anche adesso, quando aveva deciso di starsene per conto suo, Sirius odiava quel silenzio assordante. Detestava la rara opportunità che esso presentava: la possibilità di sentirsi pensare.

Dei passi risuonarono dal corridoio successivo, e Sirius spense la sigaretta su un'armatura. Tirò fuori il Mantello dell'Invisibilità e se lo gettò addosso, dato che l'unica cosa peggiore della solitudine era la compagnia indesiderata.

Il nuovo arrivato apparve un attimo dopo, probabilmente di ritorno dalla biblioteca, a giudicare dalla traiettoria della sua direzione e dal grande tomo che portava sotto il braccio. Sirius sentì il sangue cominciare a ribollire. La sua mano volò subito alla tasca della sua veste e ne tirò fuori la sua bacchetta. Passò un momento prima che Sirius si ricordasse che l'altro mago non poteva vederlo e lo aveva perciò sorpassato, come se fosse stato da solo nel corridoio.

Sirius non aveva alcun piano o progetto a parte una punizione, e così, quando il mago si trovò ad una certa distanza da lui, il Malandrino si tolse il mantello. Agitò una volta la bacchetta, e la stoffa si ripiegò ordinatamente nella tasca della sua veste. E poi, con Regulus nella sua mente, Sirius chiamò il mago.

"Piton."


Lily irruppe nella Sala Comune trovandola affollata e rumorosa, occupata con le consuete attività che impegnavano i Grifondoro il mercoledì sera. Scrutò la stanza, individuando quasi subito il suo obiettivo in un posto vicino al fuoco.

"James," iniziò, correndo verso di lui. Il Malandrino era nel mezzo di una partita a carte con Peter Minus e alzò sorpreso lo sguardo su di lei. "Uhm... potrei prenderti in prestito per un attimo?"

"Ehm— va bene ..." Il Malandrino si alzò in piedi, dicendo: "Torno subito, Pete," prima di seguire Lily, che stava già correndo su per la scala del dormitorio. Prese quella che andava alle camere dei ragazzi, fermandosi quando raggiunse il dormitorio del sesto anno, facendosi strada al suo interno. "Che succede, Snaps?" chiese curiosamente James, sedendosi sulla scrivania, mentre Lily controllava che non ci fosse nessuno in giro. "Sono tutti via", aggiunse. "Cosa posso fare per te?"

Lily sospirò pesantemente. "Odio chiedere," disse. "Perché non ne ho davvero nessun diritto. Ma ho bisogno di prendere in prestito la tua mappa."

"La mia mappa?" James inarcò le sopracciglia. "Perché?"

"Io-non te lo posso dire esattamente." Si morse il labbro con ansia.

James sbuffò. "Hai davvero pensato che avrebbe funzionato?"

"Ci ho sperato un po'," Lily sospirò. "Senti, ho bisogno di trovare Luke. È-è scomparso al quarto piano. Non so dove sia andato, ma credo che sia in qualche guaio."

James scrutò Lily con attenzione, le braccia incrociate sul petto, poi, il Malandrino si alzò e si diresse verso il suo baule. Lo aprì e tirò fuori una pergamena ripiegata che Lily riconobbe come la Mappa del Malandrino. Eppure, James non gliela consegnò subito.

"Il quarto piano, dici?" chiese, e Lily annuì. James estrasse la bacchetta, batté la pergamena, e mormorò le parole d'ordine. Poi, dispiegò la mappa in un certo modo, presumibilmente per rivelare la parte corretta del castello, esaminandola con attenzione. "Sì, lo vedo."

"Davvero?" chiese Lily, sorpresa. "Dove?" James le porse la mappa per farle vedere. Il punto etichettato Luke Harper si muoveva rapidamente lungo una stretta scala che Lily non riconobbe. "Dov'è?" volle sapere.

"Corridoio segreto," rispose distrattamente James, e a causa dello sguardo scioccato di Lily, aggiunse:"È quello che mi aspettavo, quando hai detto che era scomparso al quarto piano. Quel passaggio va a Hogsmeade. Non è molto efficiente, aggiungerei. Ci sono percorsi migliori, ma credo che Harper non li conosca. Quello lì inizia al quarto piano, dietro la statua del troll di pietra, ma ci vuole un'eternità per arrivare fino al villaggio, e la Gazza lo conosce, quindi lui e Mrs. Norris ci danno sempre un'occhiata. È piuttosto semplice da trovare, però. Non mi sorprende che Harper lo conosca".

Ma Lily lo stava a malapena ascoltando. "Grazie mille, James. Devo andare..." Si avviò verso la porta.

"Aspetta. Aspetta un secondo." James si spostò di fronte a lei per bloccarle il passaggio. "Dove stai andando?"

"Devo raggiungere Luke", disse Lily. "Spostati per favore."

"No. No, non puoi andare stasera."

"Di che cosa stai parlando? Devo andare— Luke è... sta per commettere un grosso errore, e non posso lasciarglielo fare. James, spostati!"

"Non puoi andare," ripeté James, e sembrava veramente in preda al panico. "Sul serio, Snaps, non è sicuro."

"Esattamente," concordò Lily, anche se non aveva idea di cosa intendesse James per pericolo. "Devo arrivare da lui prima che arrivi a Hogsmeade"

"Non farai in tempo... non farai in tempo ad arrivare lì prima di lui."

"Be', devo almeno provarci." Lily cercò di eludere il Malandrino, ma si spostò ostacolandole ulteriormente il passaggio.

"Che cosa ci sta andando a fare Luke a Hogsmeade poi?" chiese, e quando lei non rispose, James aggiunse: "Ti ho permesso di utilizzare la mappa un momento fa, ricordi..."

Lily sospirò. "È... cioè ..." Naturalmente, non sapeva nulla di certo, ma aveva un'ipotesi plausibile. Era quasi certa che Luke stesse andando al villaggio per aiutare il fratello contro gli Auror, e se aveva indovinato, Lily non poteva dirlo a James. Aveva già sostenuto che era troppo pericoloso, e non sapeva nemmeno di Logan Harper. Quindi, non aveva scelta: doveva mentire. "Abbiamo litigato", disse vagamente. "Si è arrabbiato, e lui sta... sta scendendo a Hogsmeade per... passare la notte nella vecchia bottega di famiglia."

"Lasciaglielo fare allora," insistette James. "Domani si sarà calmato e tornerà indietro. E pensavo che vi foste lasciati."

"Ma— è più complicato di così," sostenne Lily, pensando rapidamente. "Gli... gli Auror sono tornati al castello e al villaggio per i pattugliamenti. Se prendono Luke, potrebbe essere espulso. James, per favore, devo andare adesso."

James la guardò con molta attenzione per un attimo. Poi, sospirando, cominciò a spostarsi dal passaggio. Lily fece per afferrare la maniglia della porta, ma James le prese la mano.

"Aspetta. Se vai— assicurati di tornare prima che il sole cali del tutto."

Lily guardò l'orologio. "Il tramonto sarà entro... quanto? Quarantacinque minuti? Dovrei scendere fino al villaggio, trovare Luke, convincerlo a tornare con me, e poi fare tutta la strada verso il castello in quarantacinque minuti? "

Il Malandrino aggrottò la fronte pensieroso e poi tirò di nuovo fuori la mappa. Sollevò una piega nella carta per rivelare un'altra porzione del castello. "Va bene, guarda qui", disse bruscamente. "È il quinto piano. Vedi questo, qui? È la statua di Gregorio il Viscido. C'è un passaggio per Hogsmeade che ti permetterà di arrivare in metà tempo rispetto a quello di Harper."

"Come?"

"Be'... una parte è scivolosa— è un po' buio, ma ti porterà a destinazione. Il passaggio conduce sotto una panchina nel giardino sul retro della farmacia, il che significa che dovrai saltare una recinzione, va bene? Ora, il percorso di Harper conduce sulla zona rocciosa in fondo alla strada principale... c'è una piccola grotta, alcuni alberi— sai di che punto sto parlando?" Lily annuì. "Se vai ora e ti sbrighi, dovresti essere in grado di arrivare lì prima di Harper. Per spostare la statua di Ser Gregory al quinto piano, bisogna toccare una volta la testa e dire 'Patefacio.' Stessa cosa dall'altra parte, per uscire dal passaggio a Hogsmeade. Capito? La ragazza annuì di nuovo. James si passò una mano tra i capelli e la guardò come si se stesse già pentendo della sua decisione.

"Grazie mille", premette Lily. Fece ancora una volta per raggiungere la porta, ma James la fermò di nuovo.

"Prendi Harper e torna nel corridoio il più rapidamente possibile", l'ammonì severamente. "Sono serio, Evans. Assicurati di essere tornata nel passaggio prima del tramonto. Va bene?"

"Va bene."

"Promesso?"

“Sì, promesso. Ma di che cosa hai paura?"

James non rispose. Invece, le porse Mappa del Malandrino. "Prendi questa. Ne avrai bisogno."

"Sei sicuro?"

"Affermativo".

Lily nascose la mappa in tasca. "Grazie, James."

Lui si limitò ad annuire e si allontanò dalla porta. "Dovresti affrettarsi. Ricorda: prima che il sole tramonti."


"Adam?" chiamò Marlene dall'altra metà del campo di Quidditch. Lui era seduto circa a metà campo, con le gambe incrociate mentre intrecciava un filo d'erba tra le dita. Alzò gli occhi al suono del suo nome.

"Marlene?" Adam si raddrizzò un po', e lei si diresse verso di lui.

"Reg Cattermole ha detto che ti avrei trovato qui", spiegò la bionda, sedendosi accanto al suo compagno. "Che ci fai qui fuori? Dovevamo lavorare su..."

"Trasfigurazione! Diavolo, mi dispiace, Mar, mi sono completamente dimenticato. Oh— come sta Mary?"

"Sta bene," rispose sbrigativa Marlene. "Ha preso un sonnifero; probabilmente perderà la colazione di domani." Il suo sorriso ironico fu rapidamente sostituito dalla preoccupazione: "Va tutto bene? Non è esattamente normale, stare seduti da soli in mezzo al campo di Quidditch, non trovi? E, tra parentesi, credo che stia per iniziare il coprifuoco".

Adam esitò. "Stavo solo... pensando ad una cosa."


Per un secondo, Piton sembrò semplicemente sorpreso. Che Sirius avesse innanzitutto pronunciato il suo nome—piuttosto che usare l'ignoranza del Serpeverde della sua posizione a suo vantaggio—aveva poco senso tattico. Sirius, tuttavia, non stava badando a tatticismi. Stava pensando a tutte le cose che voleva dire all'idiota che aveva visto a Hogsmeade con suo fratello...

Quasi immediatamente, l'espressione di Piton diventò di nuovo neutrale, e sogghignò al Grifondoro. "Tutto solo, Black? Hai litigato con i tuoi amici idioti?"

E più avanti, Sirius non avrebbe mai saputo quale forza ispirò il pensiero dentro di lui. Non seppe subito quale vantaggio gli avrebbe dato; non seppe nemmeno perché lo disse in primo luogo, ma lo fece. "E anche se fosse?" ribatté Padfoot. "Non sono affari tuoi."

Piton sorrise, la mano sulla tasca (sulla bacchetta). Si avvicinò a Sirius. "Saranno in grado di fare a meno di te, mentre sgattaiolano in giro come fate sempre? Riuscirà..." (e qui, il suo sorriso si fece maniacale) "Lupin a fare a meno di te?"

Sirius bruciava di rabbia, ma mantenne la sua espressione neutrale. Piton pensava solo di avere il coltello dalla parte del manico. Non aveva idea... nessuna idea...

"Non mi interessa", disse il Malandrino con calma.

"No?"

"No."

"O forse," continuò Piton, "non andranno fuori, dal momento che gli Auror si aggirano per il castello."

Era geniale. Giusto. Perfetto. Il piano si formò tra le nuvole nella mente di Sirius, e sentì di cominciare a ghignare.

"Usciranno," disse. Avrebbe dato a Piton esattamente quello che aveva sempre voluto. “E potrai farlo anche tu, se vuoi."

"Di che cosa stai parlando?"

"Oh, andiamo, Mocciosus. Non sei curioso?"

Piton lo guardò dubbioso. "Perché dovrei crederti?"

Sirius scrollò le spalle. "Nessuno ti costringe. Ma voglio farla pagare a Potter..." Geniale, giusto, perfetto. "...E sappiamo tutti che cosa hai voluto fin dal primo giorno."

"Che è cosa?" chiese Piton, ma l'anticipazione della sua voce era poco mascherata.

Sirius fece un passo avanti. "Sapere dove andiamo e come arrivarci."


Esausto da una lunga serata di lavoro, Frank Paciock arrancò su per le scale verso il dormitorio del Caposcuola. Aprì la porta e fu sorpreso di vedere la luce già accesa, fino a quando notò Alice seduta sulla sedia alla scrivania.

"Ehi," disse lui. "Come è stato il tuo incontro di Pozioni?" Poi, notò la sua espressione e cominciò a chiedere: "C'è qualcosa che non...?" Ma Alice lo interruppe.

"Aspetta, Frank, aspetta un attimo. Ti prego." Si alzò in piedi.

"Va bene..." Frank posò la borsa dei libri e le si avvicinò.

"Ho tre cose da dire," continuò Alice incerta, senza incontrare il suo sguardo. "Prima di tutto: mi dispiace."


Il sole era basso nel cielo—colorando il campo con una luce arancione e rosa. Marlene, con i suoi capelli biondi e la pelle pallida, sembrava fatta di una dozzina di sfumature di oro. Anche i suoi occhi riflettevano il sole ardente della sera.

"Be', che cosa stavi pensando?" chiese lei.

"Dovresti dire a Marlene cosa provi," il consiglio di Donna echeggiò nella testa di Adam. Non riusciva a pensare lucidamente—non riusciva mai a pensare lucidamente con Marlene. Lei lo guardava con i suoi occhi azzurri o rideva con quella facile e fanciullesca risata o l'abbagliava con il suo largo sorriso da maschiaccio, e la sua mente andava in confusione con un milione di sensazioni inespresse.

Rimase in silenzio, e Marlene alzò le sopracciglia. "Ehm... Adam?"


"...Prima di tutto," disse Alice, "Mi dispiace."

"Mi dispiace per co...?"

"Per favore, Frank, lasciami finire," lo interruppe di nuovo. Frank annuì, ma sembrava nervoso adesso. "Mi dispiace per come mi sono comportata in Hogsmeade l'altro giorno... quando hai detto che mi amavi. Sono andata nel panico. Non sapevo perché in quel momento—ho pensato che fosse perché le cose stavano improvvisamente tornando di nuovo serie, e non riuscivo a sopportarlo. Ma la verità è che le cose erano già serie... le cose diventeranno sempre serie tra di noi. È come siamo e basta. È il modo in cui siamo fatti, e non importa quanto abbia voluto negarlo, il nostro... rapporto non sarà mai casuale o insignificante o... facile. Mi dispiace di essermi comportata come se fosse stato possibile. Mi dispiace di averti mandato questi segnali contrastanti, e mi dispiace per come mi sono comportata a Hogsmeade. È stato... imperdonabile. "

"Alice, non hai niente di cui scusarti."

"No, Frank, ce l'ho. Ce l'ho davvero." Non le stava rendendo le cose facili. "Questa è la prima cosa. La seconda cosa è... è su Jeffrey Skively e... me. Ha provato a baciarmi oggi".


"Uhm... Adam?"

"Che cosa? Oh. Niente. Stavo solo, ehm... pensando a qualcosa che ho sentito prima."

Marlene lo guardò sospettoso. "Che cosa?"

"Oh... non è importante." Non poteva dirglielo.

"Adam..." blandì la strega seccamente. "Per l'amor di Agrippa, sono io. Andiamo. Puoi dirmi tutto. Lo sai."


"Alice ..."

"Per favore, lasciami tirare tutto fuori", lo pregò lei. "È già abbastanza difficile così com'è. Skively mi ha quasi baciato questo pomeriggio mentre stavamo lavorando a Pozioni, e ho quasi lasciato che accadesse. Lui non mi piace. Non volevo nemmeno che mi baciasse, ma avevo... paura, immagino, perché avevi detto che mi amavi. Ho pensato—ho pensato che se Skively mi avesse baciata, avrei avuto una via di fuga. Ma non è tutto. Ho pensato a Carlotta, e a come mi ha distrutto quando l'hai baciata. Non è che stessi cercando di pareggiare i conti o altro, ma sto solo realizzando per la prima volta quello che tu stavi attraversando la scorsa estate. Siamo stati insieme dal terzo anno, e siamo—siamo solo ragazzi, ed è... è naturale avere dei dubbi. "

"Non avevo dubbi, Alice. Sono solo stato uno stupido."

"No, hai avuto dei dubbi. A volte, è impossibile non avere dubbi. Merlino, sono stata piena zeppa di dubbi nell'ultimo mese. Ciò non significa che tu non mi amassi... Eri solo spaventato, come sono stata spaventata io oggi. E va bene essere spaventati; è così che si evita di fare grossi errori—di fare qualcosa di cui ci si pentirà più tardi. E questo mi porta all'ultima cosa che ho da dire... ".


"Andiamo", disse Marlene. "Puoi dirmi qualsiasi cosa. Lo sai."

Adam si chiese vagamente se faceva sul serio, o se lo avesse detto ugualmente se avesse avuto idea di cosa voleva dirle lui. O forse lei lo sapeva... forse si stava prendendo in giro pensando che Marlene non avesse colto ciò che era apparentemente così evidente che persino Donna Shacklebolt lo aveva capito senza insicurezze.

"Adam?", chiese di nuovo lei.


Geniale. Giusto. Perfetto.

"Tu me lo diresti?" Disse Piton diffidente. "Così su due piedi? Dopo tutto questo tempo, cederesti semplicemente il segreto? Qualsiasi cosa abbiano fatto, quei tuoi amici, devono averti fatto arrabbiare."

"È vero," mentì facilmente Sirius.

Geniale. Giusto. Perfetto.


"Ally, no..."

"Frank, per favore, ho quasi finito," sussurrò Alice. Estrasse dalla tasca il pezzo di pergamena che aveva letto sulla sua scrivania prima. "Ho trovato questo. La nota della McGranitt—di come hai spostato la data di Hogsmeade. Lo—lo hai fatto per me, non è vero?" Prese il suo silenzio come una conferma. "È così dolce, Frank. È così terribilmente carino da parte tua. Non cerchi di impressionarmi; provi solo a rendermi felice, e io davvero non lo merito... Sono stata pessima. Andando nel panico a Hogsmeade, quasi baciando Skively—sono stata... terrorizzata, mentre tu non hai fatto altro che dimostrare che posso fidarmi di te. E... questo è ciò che rende tutto così difficile ora... "


Marlene attese, guardandolo intensamente.

Il sangue gli martellava nelle orecchie. Non poteva. Avrebbe rovinato tutto.

Ma Adam sapeva che erano tutte cavolate, perché tutto era già rovinato. Era sempre stato rovinato, e, per l'amor di Merlino, non poteva non farlo. Si era morso la lingua per troppo tempo, e si stava finalmente ribellando al suo cervello, facendo esattamente come voleva.

Così, senza pensarci, lo disse.


"E... questo è ciò che rende tutto così difficile ora."

"Non dirlo," scoppiò Frank. "Non farlo, Alice, ti prego. Avrei dovuto dirti del cambiamento a Hogsmeade, lo so, ma ho pensato che avresti potuto pensare che stavo... be', non so quello che stavo pensato. È stato stupido, lo so. E a Mielandia—quello è stato... puoi dimenticartene completamente se vuoi, ma per favore, non ... "

Si chiese perché, tutto ad un tratto, stava sorridendo. Con le lacrime agli occhi, ma con calore. "Non hai capito, Frank," lo interruppe lei. "L'ultima cosa che devo dire è che... ti amo."


Così, senza pensarci, lo disse. "Marlene, io ti amo."


"Ti amo, Frank. Non posso farci niente. È una parte di me e basta. Ti ho sempre amato, e sono assolutamente sicura che lo farò sempre..."


"Adam, aspetta ..."

"No, non posso", disse lui molto in fretta. "Tu non capisci—Ho aspettato da sempre. Non posso più aspettare. Ti amo. E intendo che sono innamorato di te. Sono stato innamorato di te dal quarto anno, e... ed io so che siamo amici, ma, Marlene, è... impossibile per me continuare a comportarmi come se fosse solo quello che voglio. Non ci riesco più... io voglio stare con te.


"... Quindi, se riuscissi a perdonarmi per essere stata così dannatamente dura di comprendonio, mi piacerebbe davvero stare di nuovo con te, Frank. Nessun 'più o meno.' Nessun 'forse'. Solo... insieme... "


Era un po' come sedersi a una cena familiare. Era come essere terribilmente affamato e sedersi a tavola, dove il cibo era preparato lì, davanti a lui: un pasto che aveva mangiato cinquecento volte. E mentre si serviva il cibo nel piatto, riusciva già ad assaporarlo. Il primo boccone era nella sua bocca prima ancora di aver preso la forchetta.

Sapeva—in qualche livello subconscio—cosa sarebbe successo, eppure non riusciva a respirare per l'anticipazione.

Marlene era silenziosa. Lo stava solo fissando, e Adam non riusciva a leggere la sua espressione, ma era chiaramente stordita. Aveva immaginato quella scena nella sua testa mille volte, ma ora che stava accadendo, la realtà era terrificante. Era molto più imbarazzante nella vita reale. Il petto di Adamo si strinse, e chiese a bassa voce: "Marlene, ti prego di' qualcosa."


Frank non disse nulla per alcuni secondi. Alice alzò le sopracciglia. "Frank?" suggerì incerta.


Incapace di respirare per l'anticipazione, Lily estrasse la sua bacchetta. Guardò la mappa ancora una volta, solo per essere sicura di essere effettivamente da sola sul corridoio. Lo era.

Fissò lo sguardo sulla statua di Ser Gregory e batté una volta sulla sua testa con la bacchetta. "Patefacio”, mormorò, proprio come aveva spiegato James. Passò un momento e non successe niente. Poi, la statua cominciò a tremare, prima di scivolare lentamente verso destra. Quando smise di muoversi, da dietro la sua precedente posizione si stendeva una galleria scura come la pece.

Espirando pesantemente, Lily strinse la bacchetta e la mappa un po' più strette, ed entrò nel passaggio.


"Mi dispiace," iniziò lentamente Frank. "Io..." Poi sembrò cambiare idea, come se ora non fosse davvero il momento per le spiegazioni. Invece, camminò spedito verso di lei, la tirò a sé e la baciò.


"C'è un nodo," disse Sirius. La sua voce era vuota e fredda ora. Geniale. Giusto. Perfetto. "Alla base dell'albero, c'è un'apertura tra le radici, e c'è un grande nodo nel tronco... impossibile da non vedere."

Gli occhi neri di Piton bruciarono di meraviglia.

"Tocca il nodo sulla radice, e l'albero si bloccherà. Ecco come si riesce a passare. Ecco come si vede cosa c'è dentro."


Il petto di Adam si strinse, e chiese a bassa voce: "Marlene, ti prego di' qualcosa."

Lei esitò. “Mi—Mi dispiace, Io...”



 


 

  
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