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Autore: callistas    29/11/2013    13 recensioni
Ciao!
Eccomi tornata come promesso a postare il primo capitolo di una nuova storia con gli immancabili Draco e Hermione.
Draco è il titolare di Hermione, la quale lavora presso di lui come centralinista. Grazie a una piccola diatriba con la fidanzata di Draco - leggete e saprete fin dal primo capitolo chi è - per Hermione inizia un calvario senza fine, fatto di dispetti e punizioni immeritate.
Spero vogliate darmi ancora l'occasione di sapere cosa ne pensate.
Vi aspetto numerosi!
Un bacio,
callistas
P.S.: La magia non c'è.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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13 - San Valentino, la festa di ogni cretino Ciao a tutti e ben ritrovati a Malfoy Home!

Non so voi, ma è tutta la settimana che non ho voglia di fare niente. Vorrei solo infilarmi sotto le coperte, staccare il campanello e dormire fino al Giorno del Giudizio.
Bah… chi mi capisce è bravo…

Ma nonostante la mia stanchezza, trovo sempre la forza di postare il nuovo capitolo. E poi ditemi che per voi non mi sacrifico! ç_ç

Allora, qui troveremo il contesto dello spoiler precedente.
Chissà che sarà successo.

Naturalmente, smetto di scrivere queste cavolate, perché tanto ci rivedremo di sotto e vi lascio alla lettura.

callistas.









Draco era in ufficio.
Parte del suo cervello cercava di concentrarsi sui moduli da compilare per il trasporto di generi alimentari – un camion doveva partire di lì a poco, quindi quale migliore prova sul campo per vedere se aveva imparato? – l’altra parte pensava a Hermione e al fatto che quel mattino non fosse partita insieme a loro.
Aveva tentato di fare qualche domanda ma non aveva mai ricevuto una vera risposta.
Mollò la penna sul tavolo e incrociò le braccia. Era davvero perplesso per il comportamento della famiglia di Hermione.
Scosse la testa e si rimise al lavoro. Il camion doveva partire e non poteva di certo aspettare lui.
Stranamente, sorrise.
Un tempo nessuno si sarebbe azzardato a muovere un solo muscolo senza la sua autorizzazione, adesso invece erano i camionisti a tenere Draco Malfoy per le palle…




“Sto andando, ciao…”
“Hermione?”
“Sì?”
“Puoi stare a casa oggi, se vuoi.”
Madre e figlia si guardarono negli occhi.
“Ci vediamo dopo.” – disse Hermione.

Minerva Granger osservò la macchina di Hermione percorrere la stradina per uscire da casa.
Rientrò con il capo chino e con un forte peso sulle spalle e sul cuore e iniziò a preparare il pranzo. Voleva fare l’arrosto alle cipolle che a Neville piaceva tanto.
Prese sei cipolle belle grandi e iniziò a sbucciarle. Peccato che avessero il brutto difetto di farla piangere ogni volta.
Minerva invece pensava che fossero davvero utili, così poteva piangere senza far preoccupare nessuno.









A Londra, invece, Pansy Parkinson entrava alla Nott Home con un sorriso a trentadue denti sulle labbra.
Arrivò verso le nove e trenta con in mano tre sacchetti di carta recanti lo stemma di Coco Chanel.
“Attenta che non si rovinino o me li ripaghi.” – disse Pansy, scorbutica, mettendo sulla tastiera del computer le borse con i vestiti.
Amanda, una delle tante ragazze dell’amministrazione che, a turno, scendevano al centralino per coprire quella postazione, si morse la lingua per non mandare Pansy a quel paese. Le borse, malamente sbattute sulla tastiera, avevano schiacciato dei tasti che stavano rischiando di rovinare il suo lavoro.
“Sì, va bene.” – disse, sbrigativa.

Lei, come molti altri, aveva notato quanto Pansy avesse alzato la cresta da quando Draco Malfoy non era più il titolare dell’azienda. Arrivava all’ora che voleva, se ne stava lì mezz’ora e poi se ne andava. Intanto, le E-mail sul suo computer si accumulavano, tra le quali quelle relative alla Sicurezza sul Lavoro.


Nell’ufficio di Draco, invece, Theodore Nott sedeva sulla poltrona che aveva da sempre voluto occupare con lo schienale reclinato e le braccia incrociate dietro la testa. Era sicuro di essere in possesso dei requisiti necessari per dirigere quella società, forse meglio di Draco. Gli insuccessi che aveva avuto in passato non erano degni di essere presi in considerazione: aveva semplicemente sbagliato a indirizzare la propria attenzione ma ora che aveva sotto il sedere un’impresa ben avviata come quella, non avrebbe avuto da fare nient’altro che supervisionarla e apportare quei pochi cambiamenti che riteneva necessari.
Ma se c’era un motivo che aveva portato Nott ad accumulare un fallimento dietro l’altro, era la sua scarsa attenzione ai dettagli, alle piccole cose.


Prima di fare un acquisto importante come poteva essere un software gestionale o rifare l’arredamento, Draco si faceva sempre mandare vari preventivi, mai uno solo, in modo da poter avere sott’occhio i vari prezzi, la qualità del materiale e la provenienza. Non lasciava mai niente al caso e riusciva sempre a farsi fare un ulteriore sconto sull’acquisto.


Ancor prima della sua primissima spesa come titolare dell’azienda, Theo decise che uno dei famosi “pochi” cambiamenti che intendeva apportare, fu il cambio del nome dell’azienda.

La Malfoy Home era diventata la Nott Home.

E la prima spesa, la prima uscita che fece da titolare, fu il cambio del programma di gestione della contabilità.
Aveva personalmente telefonato all’azienda produttrice e l’aveva comprato a scatola chiusa, senza nemmeno informarsi sul prezzo, se poteva dilazionare il pagamento o sapere se era possibile avere un ulteriore sconto sul prezzo di listino.
Ma il problema di quel software era che era stato testato su piccole aziende. Sostenere il lavoro della Nott Home sarebbe stato veramente impossibile.
Per non parlare del fatto che fosse difficile da usare e che gli impiegati, ormai abituati al vecchio programma di cui conoscevano vita, morte e miracoli, avrebbero impiegato una vita per poterlo imparare.
La società fornitrice avrebbe messo a disposizione – a pagamento – dei tecnici per insegnare ad alcuni impiegati l’uso del programma e che a loro volta avrebbero dovuto insegnarlo agli altri.
Draco, invece, quando la compravendita era stata messa a punto, aveva preteso dei professionisti che insegnassero ai dipendenti come funzionasse il programma in orari non lavorativi, come una sorta di corso aziendale.

Era appena la metà di Gennaio e tra Theo e Pansy, mezzi introiti della Malfoy Home erano spariti tra spese inutili e vestiti griffati.
Di quel passo dell’azienda di Draco sarebbe rimasto solo il ricordo.









Il tempo passava e Febbraio aveva fatto la sua apparizione.
Era lunedì 10 e nell’aria si respirava odore di San Valentino, anche se mancava ancora qualche giorno. Per la festa degli innamorati, il paese aveva organizzato una festa a tema, chiamando per l’occasione quelle giostre che prevedevano un romantico tet-a-tet: ruota panoramica, tunnel dell’amore, un percorso studiato apposta per delle passeggiate al chiaro di luna…

La famiglia Granger era particolarmente elettrizzata.
Tranne Hermione.

La ragazza stava sviluppando una sorta di diabete da San Valentino per quella festa che non era ancora iniziata ma che aleggiava sulle loro teste come una nuvoletta della sfiga.


Costernato dal modo che aveva Scott di dirigere l’azienda, Draco notò che in quei giorni la ditta aveva subito un vero e proprio esodo di massa.
Gli uffici erano pressoché deserti e tutto perché il paese, essendo di provincia con tradizioni ancora vive e mantenute negli anni, chiamava a raccolta i suoi abitanti affinché partecipassero attivamente alla buona riuscita della festa che aveva il potere di attirare parecchi turisti.
Scott era uno di quelli che partecipava attivamente come aiuto cuoco nel tendone adibito a cucina.
In azienda rimanevano solo i trasportatori che, purtroppo, non potevano godersi degnamente la festa ed erano costretti ad andare in giro anche sotto le feste.

Solo che quell’anno qualcosa cambiò.
Con ancora in mente le parole di Daphne sul fatto che lei si stesse innamorando di Draco, la mente malata di Hermione partorì una malsana idea.
Le consegne da fare sotto San Valentino erano quattro e se si fosse impegnata avrebbe potuto farle lei stessa, permettendo agli uomini di festeggiare il santo con la propria moglie o la propria fidanzata. Per questo aveva letteralmente dato fuoco alle polveri, sollecitando gli arrivi delle merci.
Draco la guardava dare ordini al telefono e una leggera soggezione si impadronì di lui. Quella ragazza aveva lo strano potere di far fare agli altri ciò che più le aggradava.

“… bene, allora ti aspetto il tredici per le otto. Grazie davvero! E anche questa è andata.” – si disse, soddisfatta di se stessa.
Draco entrò nel suo ufficio in quel momento. Gli sembrava quasi scortese entrare senza bussare – se qualcuno lo avesse fatto a lui alla Malfoy Home lo avrebbe licenziato in tronco – ma quella sembrava, più che una legge scritta, un comportamento più che normale tra persone che condividevano lo stesso scopo.
“Hermione?”
“Sì?”
“Ti ho portato i moduli che mi avevi chiesto.”
“Oh perfetto!” – esclamò, strappandoglieli letteralmente dalle mani.
Li pinzò uno per uno alle bolle di consegna precedentemente fatte.
“Perché li fai adesso i documenti di trasporto?” – chiese.
Lui invece aveva sempre voluto che venissero fatti al momento del carico.
“Perché si perde meno tempo Draco.” – spiegò lei, come se non vedesse l’ora di dirgli quella cosa.
Alla Malfoy Home aveva dovuto starsene zitta perché se quella era la decisione del capo lei non l’avrebbe mai contestata, ma la trovava veramente pesante e una perdita di tempo.
“I documenti li ho fatti adesso ma non ho messo né la data né l’ora. Quelle gliele scriverò, quando la merce partirà e poi ho questo registro, dove vengono segnati i dati di partenza di un carico.”
Draco guardò il tutto con interesse. Doveva ammettere che come idea funzionava.
“Così quando venerdì partirò per fare le consegne avrò tutto già pronto.” – chiarì con un bel sorriso.
“Come parti per le consegne!??” – chiese, allibito.
“Sì. Ho deciso di dare la possibilità anche agli altri di partecipare alla festa di San Valentino.”
Draco la guardò sempre più sbalestrato: per l’idea e perché Hermione che guidava un camion, per quanto gli avesse dimostrato che lei sapeva fare tutto, non ce la vedeva proprio.
“Sì ma… tu?”
Stavolta fu lei a guardarlo allibito.
“Io che? Io non ci vado alla festa!” – disse, quasi offesa che avesse solo potuto pensarlo.
“Perché no?”
L’uomo non ci capiva più nulla. Ogni ragazza normale e sana di mente amava San Valentino! Tutte tranne… un sorriso divertito gli stirò le labbra.
“Non è che odi San Valentino perché non hai nessuno con cui festeggiarlo?”
Hermione smise di scrivere e alzò lo sguardo su quello di Draco. Ghignò anche lei.
“E chi ti dice che non abbia nessuno?”
“Non ti ho mai vista insieme a qualcuno.”
“Dai per scontato che lei si di qui.”
Tutta la sicurezza di Draco finì nel cesso con tanto di sciacquone a seguito.
“L-lei?”
Lei? Una donna? Un’essere umano femminile? Lei?!?
“Hai qualcosa contro le lesbiche, per caso?”
“No!” – squittì.
“Perché credi che voglia fare le consegne io, quest’anno?” – chiese, mordicchiandosi le labbra in un gesto volutamente sensuale che gli fece correre un brivido lungo la schiena.
“Se-sembravi etero…” – disse lui, accaldato.
Hermione accavallò elegantemente le gambe in un gesto che Draco non le aveva mai visto fare. Non con quella carica erotica, almeno…
“Ti dispiace sapermi lesbica, Draco?” – chiese Hermione, facendo oscillare il piede.
Draco non sapeva più cosa dire. Entrambe le risposte sarebbero state compromettenti.
“I-io…”
Hermione si alzò e gli andò davanti, sorridendo.
“Draco?”
“E-eh?” – chiese lui, attonito.
Hermione Granger nelle vesti di seduttrice.
Ora poteva dire di averle viste tutte!
“Stavo scherzando.” – disse lei, lasciandolo in piedi con gli occhi sbarrati e fissi nel vuoto.
Draco registrò quelle parole con estenuante lentezza.
Stava scherzando, aveva detto.
Quando comprese a cosa si stava riferendo, si girò di scatto per dirgliene un treno e la ritrovò nei panni della solita Hermione, quella un po’ imbranata e pasticciona, quella che sapeva cosa fare, quella che rimetteva gli altri al loro posto con una semplice occhiata.
Hermione, insomma!

Ma Draco sapeva che quel piccolo teatrino che la donna aveva inscenato solo per prenderlo in giro, aveva spostato leggermente l’ago della bilancia.

“Non sei stata divertente!” – esclamò, stizzito per esserci cascato come un idiota.
Hermione si girò e gli sorrise.
“Ma tu sì, però.” – disse. – “Senti, se vuoi puoi andare a fare un giro in paese per vedere come butta.”
“Ho del lavoro da fare.”
Si bloccò quando Hermione si girò e gli sorrise. Non era però un sorriso divertito o da presa in giro. Era un semplice sorriso.
Ma proprio per la sua semplicità, bellissimo.
“Non ti preoccupare, vai. Tanto qui ho finito.”
“Io no però. Ho solo qualche carta da firmare e poi torno a casa.”
“Ok. Se vuoi allora torniamo a casa insieme.” – propose lei.
“Ok.”
Draco uscì per tornare nel proprio ufficio.

In realtà non aveva niente da sbrigare. Aveva già finito quando aveva consegnato i moduli a Hermione.
Dirle che aveva dell’altro da fare era stato istintivo. Hermione aveva una personalità unica nel suo genere e sempre pronta a fare scherzi – e lui era il suo bersaglio preferito perché ci cascava sempre.
Dal giorno in cui erano arrivati a casa dei suoi, Draco aveva imparato a conoscere un po’ meglio la ragazza, a provare sempre più stima per lei e sì, anche del sano affetto.
Per la prima volta in vita sua, Draco voleva bene a una persona e non perché questa poteva portargli un vantaggio economico o perché poteva fargli un favore: voleva bene a Hermione perché era lei.


I due si trovarono all’ingresso.
Hermione aveva chiuso a chiave la porta e inserito l’allarme. Quei giorni pre-festivi erano anche una benedizione da un certo punto di vista, perche le consegne slittavano automaticamente alla settimana successiva e lei poteva rallentare un po’ il ritmo.

La radio dava un vecchio successo dei Pink Floyd che entrambi canticchiavano sulle labbra.
“Allora? Me lo dici perché?”
“Perché cosa?” – chiese Hermione, attenta alla strada.
“Perché non vai alla festa.”
“Te l’ho detto. I nostri trasportatori sono costretti a viaggiare anche sotto le feste. Per una volta che se le godano pure loro.”
“E, parlando sul serio…” – chiarì. – “… davvero non hai nessuno con cui festeggiarlo?”
“E chi dovrei avere?” – chiese, perplessa.
“Un ragazzo, un amico particolarmente affezionato… che ne so?”
“Ringraziando Dio, nessuno.” – disse Hermione.
Draco la guardò, perplesso.
Hermione si fermò a un semaforo rosso e guardò Draco.
“Non guardarmi così!” – esclamò. – “Non tutti siamo nati per stare con qualcuno!”
“Una storia andata male?” – chiese Draco, che aveva visto in quella risposta una sorta di autodifesa per, appunto, una storia finita male.
“No. Sto bene da sola.”
“Nessuno ama stare solo.” – disse Draco con voce lontana.
“Forse.” – concesse lei, mentre ingranò la marcia per ripartire. – “Ma almeno sei sicuro che nessuno può farti del male.”
Draco percepì un chiaro riferimento a Pansy.
“I rischi del mestiere, suppongo.” – disse Draco.
“Gran bel rischio.” – disse, fintamente d’accordo. – “Tu ora stai così, mentre quell’altra se la gode.”
“Era quella sbagliata.” – constatò Draco. – “Non è detto che non trovi quella giusta, magari.” – disse, guardandola.
Hermione ricambiò distrattamente lo sguardo.
“Auguri a lei, allora.” – ridacchiò Hermione.
Draco alzò gli occhi al cielo, ma si concesse un sorrisetto divertito pure lui.


I due scesero dalla macchina e la prima “cosa” che andò loro incontro fu la piccola Lilly.
Hermione la prese in braccio al volo quando la vide fare un salto a “volo d’angelo” verso di lei. Le stropicciò le orecchie e si fece dare tante leccate sulla faccia.
Se la caricò sottobraccio come un sacco di patate, cosa che il cane sembrava gradire.
Draco guardò perplesso quello strano attaccamento che Hermione aveva a quel cane ma lasciò correre.
“Bentornati.” – li salutò Minerva con il suo solito sorriso.
“Gli altri sono alla sagra?” – chiese Hermione.
“Sì. Stanno finendo di allestire gli ultimi tendoni. Avete fame ragazzi?”
“Abbastanza.” – rispose Draco.
“Dai, manca ancora mezz’ora alla cena. Fate in tempo a farvi una doccia.”
Hermione e Draco non se lo fecero ripetere due volte: corsero nei rispettivi bagni per lavarsi.

Draco si spogliò in fretta.
Aveva visto la padella della pasta e non vedeva l’ora di sapere con cosa Minerva l’avesse condita.


Hermione, invece, era ferma davanti allo specchio, come ogni volta che si spogliava per lavarsi.
Eccolo lì, il suo marchio nero.
Eccola lì, la sua condanna.
Non passava giorno che non ne avvertisse addosso l’amara presenza.
Non osava nemmeno toccarla.

Girò il capo per non guardare oltre ed entrò in doccia.
Lei, a differenza di Draco, non si sentì meglio.




A tavola, Hermione si sforzò di fare della conversazione.
Draco e Minerva, invece, chiacchieravano che era un piacere. L’uomo elogiava le sue doti culinarie, incredulo che non avesse deciso di aprire una trattoria: avrebbe avuto da lavorare ad oltranza!

“Sei fin troppo gentile con questa vecchia signora, Draco.” – le disse Minerva, mentre toglieva i piatti.
“Vecchia? Dove?” – chiese il biondo, fingendo di guardarsi intorno.
Minerva rise, deliziata.
“Ah Draco!, se ti avessi incontrato prima!…” – scherzò Minerva, lasciando in sospeso la frase.
Hermione, che stava finendo il dolce, sbatté la coppetta sul tavolo e si alzò dalla sedia.
Le risa di Draco e Minerva vennero smorzate subito.
Draco rimase allibito di fronte a quel comportamento e Minerva tornò a sparecchiare senza dire più una parola.
“Scusala.” – disse Minerva, dandogli le spalle. – “E’ un periodo un po’ così…”
E Draco, che aveva intravisto in Minerva una possibile fonte per sapere cosa passasse per la mente di Hermione, cercò di farle qualche domanda. Niente di asfissiante, per evitare che la donna si chiudesse a riccio.
“Perché? Che periodo è?”
“E’ stressata per San Valentino.”
“Dovrebbe esserne felice…” – disse Draco, sperando che la donna mangiasse la foglia.
Minerva invece fece le spallucce mentre lavava i piatti.
“Non tutte le feste sono felici, Draco.”
Un enorme punto interrogativo gli si dipinse sulla testa. Che voleva dire?
Anche se la voglia di sapere era immensa, l’uomo non se la sentì di insistere. Minerva sembrava particolarmente abbattuta da quell’uscita di Hermione e lui non voleva rischiare di fare la domanda sbagliata.
“Beh, speriamo possa cambiare idea, allora.” – disse il biondo, troncando lì la conversazione.
Minerva, non vista, sorrise e sospirò di sollievo, riconoscente.
Draco guardò prima Minerva e poi la direzione presa da Hermione.
Senza pensarci su due volte, andò da Hermione.

La trovò sul dondolo, con una gamba piegata sotto il sedere e l’altra a terra, che l’aiutava a dondolarsi. Aveva lo sguardo chino verso terra e Draco capì che forse era pentita di quell’uscita.
Si sedette accanto a lei senza dire una parola. In braccio, Hermione teneva l’immancabile Lilly.

“Stavamo solo scherzando Hermione.” – disse Draco.
Aveva cercato nella sua mente mille modi per intavolare un discorso ma tutti le sembravano così stupidi e insignificanti, così aveva ripiegato sull’onestà.
Non era forse questo che Hermione gli aveva chiesto?
La riccia sospirò.
“Lo so…” – sussurrò lei.
La cagnolina guardò la sua padrona, si alzò sulle zampe posteriori e iniziò a leccarle la faccia.
Draco collegò subito quel gesto a quel giorno, quando era scoppiato a piangere e il cane gli aveva leccato la faccia.
Allora non ci aveva dato bado più di tanto, ma poi si era reso conto che l’animale gli aveva asciugato tutte le lacrime e che da quel giorno lui non ne aveva più versata una.

Iniziò a pensare che anche Lilly fosse veramente speciale…

“Allora perché sei stata così scorbutica?”
“Non capiresti.” – disse, tirandosi via il cane dalla faccia.
“Prova a spiegarmi.” – disse lui, pazientemente.
Hermione lo guardò.
Doveva ammettere che in quel primo mese di “lavoro forzato” si era comportato piuttosto bene, non si era mai lamentato una volta, accettava suggerimenti e consigli con la stessa facilità con cui li elargiva.
Ma poteva essere sufficiente tutto questo?
Gli aveva chiesto di far seguire alle sue parole i fatti. Era sufficiente o aveva bisogno di altre prove per perdonarlo per ciò che le aveva fatto?
“Io…”
Come poteva spiegargli quello che si portava dentro da infiniti anni? E lui? Sarebbe stato in grado di capire?
Sapeva però che se non provava, non lo avrebbe mai scoperto.

Draco non si era accorto di star trattenendo il fiato.
Non era tanto ansioso di sapere cosa turbava Hermione, piuttosto avvertiva una sorta di groppo in gola perché sentiva che lei stava per tornare ad avere fiducia in lui.

“… è una cosa che…”
“Siamo tornati!” – urlò la voce di Astoria, mentre un preoccupato Kevin, che stava disseminando ciocche di capelli per la preoccupazione per il bambino, le stava dietro.
Hermione si zittì immediatamente.
Cosa stava per fare? Era forse impazzita?
Si alzò di scatto dal dondolo e Draco si alzò con lei.
“Hermione…”
“Fa come se non ti avessi detto niente!” – strillò la ragazza, angosciata per ciò che stava per fare.
Hermione scappò in casa; Draco voleva seguirla ma aveva capito che l’atmosfera era stata interrotta.
“Ciao Draco!” – trillò Astoria, tutta felice.
Il biondo guardò per l’ultima volta la direzione presa da Hermione, scosse la testa e si girò. Sorrise, per quanto non ne avesse voglia.
“Ehi ciao. Com’è andata in paese?”
Marika si aprì in un’accurata descrizione di ciò che avevano fatto quel giorno ma Draco l’ascoltava distrattamente.

Hermione si rifugiò in camera sua, dove chiuse la porta a doppia mandata.
Il cane riuscì ad entrare a pelo, altrimenti Hermione l’avrebbe lasciata fuori, guaendo leggermente perché un pelo della coda gli era rimasto incastrato nella porta.
Saltò sul letto assieme al cane e chiuse gli occhi.
“Dio quanto sei cretina!” – sbottò Hermione, riferendosi a se stessa. – “Un imbecille! Una demente! Una stordita!”
Continuò per cinque minuti buoni, inventandosi degli aggettivi che nemmeno esistevano in natura o nella lingua corrente.
“E tu non potevi mordermi una mano?” – sbottò verso il cane che, beata, si stava srotolando sul fondo del letto.









La sagra iniziò mercoledì dodici Febbraio.
Il parroco del paese aveva indetto un piccolo rito celebrativo come ogni anno per benedire quella sagra e le persone che avevano collaborato per la sua riuscita.
Poi, finalmente, i chioschi aprirono.

Come previsto, anche quell’anno vi fu una bella affluenza di persone.
C’erano i soliti tendoni gastronomici, dei dolci, le giostre per i bambini e quelle per gli adulti.
Draco si guardava attorno, meravigliato. Non che non avesse mai visto una giostra dal vivo, ma lì si sentiva proprio il calore umano che aveva dato vita a quella festa.
Hermione era intervenuta unicamente per la celebrazione di Padre Peter e ora che aveva finito, poteva tornarsene a casa.
“Andiamo Lilly?”
La cagnetta però non era d’accordo. Voleva almeno qualcosa da mangiare da uno di quei chioschetti e Hermione, conscia che se non le avesse preso niente il cane le avrebbe dichiarato guerra, le comprò una crepe alla nutella.
“Va a finire che mi muori di diabete…” – borbottò Hermione, mentre spezzava la crepe.
Si incamminarono verso casa, allontanandosi senza aver salutato nessuno.




“E così sei di Londra città.” – disse una.
“Già…”
“Io sono stata sulla London Eye. Da lì hai davvero un’altra prospettiva del mondo…” – disse un’altra.
“Io sono riuscita ad entrare al Tower Bridge. Bellissimo!” – esclamò una terza.

Altra attrazione della sagra di paese fu Draco.
L’uomo aveva riscosso parecchio successo tra la fauna femminile e ora si ritrovava accerchiato da tre ragazze della sua età molto carine, ma che non erano il suo genere. Tuttavia, l’educazione impostagli da sua madre e le convenzioni sociali imponevano che lui le ascoltasse, pregando Dio che trovassero qualcosa di più interessante di lui.
Al momento, però, sembrava una speranza vana.
Con la coda dell’occhio scorse un vestito familiare.
“Signore, vogliate scusarmi ma ho visto un’amica che non vedo da molto tempo. Vado a salutarla.”
Le ragazze annuirono in coro e quando Draco si allontanò, parlottarono tra loro di quanto quel ragazzo fosse così a modo e soprattutto molto carino.
“Hermione!”
La ragazza si fermò e si girò. Quando vide Draco abbassò lo sguardo.
“Ciao.” – salutò lei.
“Ciao. Dove vai?”
“A casa.” – rispose lei, come se fosse normale.
“Non vuoi goderti un po’ la festa?” – chiese.
“Veramente no.” – disse.
Fece per andarsene, ma Draco la fermò per un polso.
“Un boccone!” – esclamò, per trattenerla. – “Mangia qualcosa almeno, prima di andare via.”
Onestamente non capiva perché insisteva tanto a trattenerla lì. Non gli aveva forse già spiegato che a lei, San Valentino, faceva venire l’orticaria?
Eppure un certo languorino l’aveva. Fortuna che la musica copriva il temporale che si stava svolgendo nel suo stomaco o si sarebbe sotterrata.
Notando la sua esitazione, Draco rincarò la dose.
“Dai, non pensi che tuo padre ci tenga che tu assaggi qualcosa che ha cucinato lui?”
“Non so se sia il caso…” – disse Hermione, rendendosi conto di star arrampicandosi sugli specchi.
“Guarda! Anche Lilly ha fame! Non vuoi darle le sue pappe?”

Poche cose aveva capito Draco di quel cane: una era che era molto affettuosa – predatrice sessuale canina rendeva meglio l’idea – due che amava stare tra le persone perché, o da uno o dall’altra riusciva a farsi fare qualche coccola extra e tre era tale e quale a Hermione: un pozzo senza fondo. Quindi nominare la parola “pappe” fu sufficiente per scatenare nel cane un moto di profonda ribellione sul fatto di dover tornare a casa.

“Lilly! Lilly!” – esclamò Hermione, tirando il cane per farla star calma. – “Io… e va bene!” – acconsentì. – “Un piatto di pasta e poi me ne vado.”

Le ultime parole famose.
Dalla pasta Draco riuscì a farle prendere il secondo, la verdura – patate fritte e arrosto – il dolce e il caffè, corretto con mezzo litro di latte.




“Se rotolo arrivo a casa prima…” – esalò Hermione, piena come un uovo.
Dopo aver mangiato tutto quello che Draco le aveva piazzato davanti – sapeva come prendere Hermione: per la gola – Hermione stava tornando a casa.
Il cane, poi, aveva mangiato e bevuto come due porci e ora doveva fare i suoi bisogni. La sagra distava circa venti minuti a piedi da casa sua e la ragazza decise di fare una passeggiata.
E Draco con lei.

I rumori della festa iniziarono ad attutirsi e Hermione tornò in possesso delle sue orecchie.
Ogni filo d’erba era annaffiato dal fiotto del cane che, poveretto, non ce la faceva più.
“E’ davvero una bella festa.” – disse Draco. – “Mi stupisce che non ti piaccia.”
“Io non ho detto che la sagra non mi piace. E’ San Valentino che mi sta sulle scatole.”
“Perché? Che hai contro questa festa?”
Quella volta non avrebbe lasciato correre.
Hermione si fermò e piantò i suoi occhi in quelli di Draco: adesso era venuto il momento di stabilire dei limiti.
“Senti, chiariamo un paio di punti…” – disse Hermione.
Draco comprese subito che non stava parlando tanto per dare aria alla bocca. Si fece serio pure lui.
“… sono contenta che tu ti sia ambientato bene, ma ciò non ti autorizza a ficcare il naso nella mia vita privata. Ci sono delle cose che non mi piacciono come a migliaia di altre persone nel mondo. Non vedo perché tu ne debba farne una questione di stato!” – poi s’incamminò a passo spedito.
Draco la guardò allontanarsi di qualche passo ma lui, in poche falcate la riprese e le si parò davanti.
“E io non capisco perché tu debba essere sempre così sulle spine!”
Hermione sbarrò gli occhi.
“Ma guardati!” – esclamò. – “Non ti si può dire niente che subito scatti come una molla! Costringi la tua famiglia a camminare in punta dei piedi per non disturbarti e quando qualcuno dice qualcosa che non ti va, lo zittisci come se fosse una merda! Io sarò insistente, ma tu sei una gran bella ipocrita!”
La mano si mosse da sola e andò a cozzare contro la sua guancia.

Cadde un pesante silenzio tra loro.
Draco guardò Hermione duramente per quel gesto che forse, sì, si era meritato, ma che palesava quanto avesse centrato il punto con quelle parole.
Hermione guardò Draco sofferente per quel gesto che, senza forse, era sorto spontaneo perché non era riuscita ad accettare quella scomoda verità.
Draco aveva ragione: lei costringeva la sua famiglia a camminare sulle uova, a dosare i sospiri per non irritarla, a misurare le parole per evitare la scenata del giorno prima.

E Hermione, più di prima, si rese conto di essere solo un peso per la sua famiglia.

Non disse niente.
S’incamminò per tornare a casa, facendo bene attenzione che la mano destra, quella che aveva dato lo schiaffo a Draco, non toccasse nessun’altra parte del suo corpo.

“Massì scappa!” – sbottò Draco. – “Tu sei solo brava a parlare ma batti in ritirata quando è ora che ascolti i tuoi stessi consigli!” – urlò Draco.
Hermione proseguì per la propria strada, con lo sguardo sbarrato di fronte a sé e colmo di lacrime.
“E non azzardarti mai più a venire a fare la predica a me sul far seguire i fatti alle parole!” – concluse.
Forse non l’aveva sentito perché la ragazza era stata inghiottita dall’oscurità ma ogni parola di Draco era stata scolpita a fuoco nella sua mente.
Aveva ragione.









Per quei cinque giorni di festa, il paese cadeva nel black-out totale.
Funzionavano solo i bar e i panifici che lavoravano per fornire il pane alla sagra, ma per il resto, tutto era chiuso.

Hermione era in ufficio dalle otto e mezza e lavorava ininterrottamente a tutto ciò che le capitava sotto mano.
Si era perfino messa a ripulire l’ufficio di suo padre quando si era resa conto che in previsione di San Valentino i suoi colleghi avevano sbrigato tutte le faccende, per evitare di trovarsi alla settimana successiva con un carico di lavoro doppio.
Aveva sempre in mente le parole di Draco ed era in quei momenti che s’impegnava due volte in più in ciò che stava facendo.

Lui aveva ragione.
Gli aveva sempre fatto la predica ignara che le sue stesse parole avrebbero potuto rivoltarsi contro di lei.
Spazzava il pavimento, punteggiandolo delle lacrime che non riusciva a fermare.
Si sentiva ridotta a uno straccio, peggio del moccio che se ne stava nel secchio pronto all’uso.

Lui aveva ragione.
Era un’ipocrita, perché condannava la sua famiglia a stare attenta a come parlava, a come si muoveva in sua presenza, ma non aveva il coraggio di staccarsi da loro e vivere la sua vita pienamente.

Lui aveva ragione.
Lei scappava. Anziché risolvere un problema, prendeva e scappava lontano.
Era brava a risolvere i problemi sul lavoro, ma non quelli della sua vita privata.




Draco, invece, era rimasto a casa.
Era nella dependance e pensava a quello che aveva detto a Hermione la sera prima. Forse avrebbe dovuto starsene zitto e incassare, perché Hermione aveva fatto tanto per lui ma non c’era riuscito.
Aveva notato come la ragazza fosse brava a fare la predica agli altri ma quanto poi non riuscisse ad applicare i medesimi concetti che lei stessa elargiva su di sé. Da lui aveva preteso i fatti, oltre alle parole.
Allora perché lui non poteva pretendere lo stesso per sé?
Decise di parlarne con Minerva.
Magari lei avrebbe potuto chiarirgli un po’ più la confusione che aveva in testa, solo che quando mise piede in casa, trovò la donna intenta a parlare al telefono.

“… lo sai com’è fatta…” – la sentì dire. – “… per lei non può esistere festa peggiore di questa, lo sai. Sì, sì… c’era da aspettarselo. È stato un miracolo che Draco sia riuscita a trattenerla per tutte le portate.”
Sentendosi chiamare in causa ed essere riuscito a fare qualcosa che nessun altro era riuscito a fare, Draco si sentì orgoglioso. Ancora non sapeva il perché, però.
“Non posso forzarla a fare qualcosa che non vuole. Non ti devi preoccupare per me. No. Sì.”
Avrebbe dato un braccio per sapere di cosa stava parlando Minerva!
“Ha bisogno di tempo. Certo che non gli ho detto niente, per chi mi hai presa? Se Hermione vorrà parlargli, lo farà lei stessa. Io non intendo violare la sua privacy in questo modo. Sì, d’accordo. A stasera.”
Minerva riagganciò la cornetta e Draco uscì senza farsi sentire.
“Minerva?” – chiamò Draco, fingendo di essere arrivato in quel momento e di non aver sentito niente.
“Sono qui!” – rispose la donna, cercando di dissimulare il dispiacere della chiamata.
“Ah eccoti. Perché non sei alla festa?”
“La casa non si pulisce da sola, Draco.” – scherzò la donna.
L’uomo però riuscì a cogliere la nota forzata nella sua voce.
“Ma se brilla di luce propria!” – disse l’uomo, cercando di rasserenarla.
Ci riuscì.
“Grazie davvero. Comunque andrò stasera. Tu vieni con me?”
“Volentieri.”
“Oggi a pranzo saremo noi tre.”
Draco s’irrigidì impercettibilmente. Sperò che andasse tutto bene.


Hermione tornò a casa a mezzogiorno e un quarto, entrò in casa, salutò sia Draco sia sua madre e poi si lavò le mani.
“Ci sono arretrati sul lavoro, Hermione?” – s’informò Minerva.
Draco continuò a mangiare, prestando però attenzione all’atteggiamento di una e dell’altra. Era proprio vero: Minerva camminava sulle uova e permetteva a Hermione di fare il bello e il brutto tempo.
“No. Tutti si sono dati da fare la settimana scorsa per non lasciarne. ” – spiegò la riccia. – “Ah, oggi pomeriggio vado a fare la consegna al posto di Oliver.”
Il pezzo di pane si fermò a metà strada. Minerva era perplessa.
“Perché?”
“Ieri l’ho sentito mentre parlava al telefono con Angelina. Era triste perché non poteva portarla alla festa, così l’ho sostituito.”
“Gentile da parte tua.”
Hermione sorrise tiratamente.
“Ti dispiace se Draco viene con te?”
Il biondo alzò lo sguardo su Minerva, sbigottito. Ma… avevano detto che sarebbero andati alla festa insieme!
“Perché dovrebbe venire?” – chiese, preoccupata.
“Le consegne di Oliver sono tutte in mezzo ai boschi e con strade che non mi piacciono. Almeno saprò che c’è qualcuno con te.”
“Ma tanto la strada la conosco.” – rispose, cercando di trovare ogni scappatoia possibile per non avere Draco tra i piedi.
“Hermione davvero. Mi sentirei più sicura.” – disse la donna.
“Non c’è bisogno di rischiare in due.” – disse, pentendosene subito dopo.
Sia Draco sia Minerva la guardarono sbalestrati.
“Che vorresti dire con questo?” – chiese il biondo, sbalestrato dalle implicazioni che quella frase aveva portato con sé.
“Beh, tu sei un ospite qui. Cerco di fare in modo che non ti capiti niente di male.” – rispose.
Quella era una vera e propria scalata sugli specchi!, pensò Draco.
“Non ti preoccupare per me.” – disse Draco. – “Vengo volentieri con te. Minerva, l’accompagnerò più che volentieri domani sera alla festa.” – si scusò Draco.
La donna invece sorrise.
“Non ti preoccupare. Preferisco sapere Hermione con te che da sola.”
Uno sbuffo ironico fece comprendere ai presenti quanto Hermione avesse preferito il contrario. Ma sia sua madre sia Draco sembravano essersi coalizzati per renderle la permanenza una sofferenza.
“D’accordo.” – acconsentì lei. – “Si parte dalla ditta alle una e mezza.” – disse Hermione, alzandosi.
Non appena volse le spalle a Draco e a sua madre, un’improvvisa e amara consapevolezza l’assalì.

Lo stava facendo di nuovo.

Stava di nuovo bistrattando sua madre mentre lei deteneva le redini del buono o del cattivo tempo. Avrebbe tanto voluto girarsi e scusarsi per quel suo atteggiamento, ma qualcosa di ancora più forte la spinse a non farlo, a continuare per la propria strada.
Draco scosse la testa, amareggiato. Era sempre più convinto che Hermione nascondesse qualcosa e proprio non riusciva a capire cosa.
“Mi dispiace.” – disse Minerva, con un sorriso tirato.
Draco si pulì la bocca e scosse la testa.
“Non è lei che dovrebbe dispiacerti o scusarsi.” – disse Draco. – “Forse sarà una mia impressione, ma è da quando siamo arrivati qui che Hermione è cambiata.”
Minerva chinò lo sguardo e Draco comprese di aver almeno centrato un punto.
“E’ così? Avevo visto giusto, allora. Minerva?”
La donna rialzò lo sguardo, velato di lacrime.
“E’ ora che tu inizi a prepararti Draco. Hermione non ama i ritardatari.”
Draco si morse la lingua e, col capo chino, annuì.
“D’accordo. Ci vediamo questa sera.”
“Va bene. Fate attenzione.”




Fate attenzione a cosa, di preciso?, si chiese Draco.
Erano partiti da circa un’ora e dopo aver passato il paese e altri due centri abitati, i due si ritrovarono immersi nel verde assoluto.

A Draco piaceva il verde, era sempre piaciuto. Infatti, lo stemma della Malfoy Home era una “M” e subito attaccata, la lettera “H”. Le lettere erano argento e sullo sfondo c’era una spennellata di verde.

La strada era tutta curve fiancheggiata da alberi su entrambi i lati.
Hermione guidava in assoluto silenzio, concentrata sulla strada. Draco di tanto in tanto le lanciava qualche occhiata per vedere se c’era qualche sorta di reazione in lei, ma niente. Il biondo intuì che quello sarebbe stato un viaggio molto lungo e molto silenzioso così si sollevò dal sedile e accese la radio.
Due secondi dopo, Hermione la spense.
“Adesso non si può ascoltare neanche la radio?”
“Mi da fastidio.” – fu la sua risposta.
“Oh, ho notato quante cose ti diano fastidio, Hermione.”
La donna serrò le mani attorno al volante, solo per non serrarle attorno al collo di Draco.
“Hai per caso voglia di litigare?” – chiese, infastidita.
“Beh, perché no?” – chiese Draco, fortemente sarcastico. – “Almeno spezziamo questo silenzio, in un modo o nell’altro.”
“Ti ho chiesto io di accompagnarmi?” – chiese Hermione, guardandolo per un attimo.
Poi tornò a guardare la strada.
“Non mi pare. Ho voglia di un po’ di silenzio, è forse un crimine?”
“L’unico crimine qui è il trattamento che stai riservando alla tua famiglia.”
“Ha!” – sbottò Hermione. – “Disse quello che la famiglia se la stava scegliendo proprio bene!” – commentò.
Draco non si fece scalfire, anche se quella frecciatina gli aveva fatto molto male.
“Complimenti! Pensavo avessi più stile!” – rispose lui di rimando.
I toni si stavano lentamente scaldando.
“Non venirmi a parlare di stile, Draco. Sei proprio l’ultimo che si può permettere di fare commenti sullo “stile”!” – sbottò, mimando velocemente le virgolette con le dita.
“E tu di dirmi di far seguire i fatti alle parole!” – rispose lui di rimando.
“Almeno io non pianto coltelli nella schiena!”
Draco si girò, pronto a dar fondo ai suoi pensieri.
“Ma quale schiena? Tu i coltelli li pianti direttamente nel cuore!”
Hermione sbarrò gli occhi e si girò.
“Ma che credi che sia cieco?! Vedo come tratti i tuoi! Soprattutto tua madre!”
Fu lì che qualcosa cambiò.
“LEI NON E’ MIA MADRE!”
Lo urlò con così tanto fiato e con così tanta convinzione che Draco, per una frazione di secondo, le credette.
Rimase ammutolito.

Hermione aveva il fiatone e gli occhi sbarrati.
Finalmente aveva detto ciò che sentiva nel cuore da anni ma che prima di quel momento non aveva mai avuto il coraggio di confessare.

Il furgoncino sbandò leggermente, perché la presa sul volante si era allentata.
In un attimo di lucidità, Hermione serrò la presa e il mezzo tornò a seguire i suoi comandi.

Draco era più che turbato, era sconvolto dentro.
Come poteva dire una cosa del genere? Come poteva trattare Minerva in quel modo, dopo aver visto con quanto amore la guardava?
“Come… che vuol dire che non è tua madre?…”
Hermione aveva iniziato una manovra per entrare in uno spiazzo erboso, fermarsi e tentare di riprendere il controllo su di sé. Slacciò con ferocia la cintura, imprecando per quelle funi che sembravano volerla trattenere lì e affrontare un discorso che non voleva neanche avviare nella sua mente, figurarsi con un estraneo e scese dal furgoncino.
Draco la osservò mentre le passava davanti al cofano e andare verso il bosco. Scese anche lui.

Hermione camminava in tondo, parlando a bassa voce.
Sembrava stesse recitando un mantra, una sorta di litania per calmarsi ma sembrava che quella volta non funzionasse.

“Hermione?”
Onestamente Draco aveva un po’ paura di affrontarla. Non la riconosceva nemmeno più. Quella non era la ragazzina sarcastica pronta a zittirlo con quel suo solito sorrisetto da “avevo ragione io e tu torto” che aveva sempre conosciuto: quella era una perfetta estranea, era una nel corpo di Hermione.
La donna continuava a girare intorno e Draco riuscì a sentire ciò che stava dicendo.
Era una preghiera.
“Angeli del cielo, dal paradiso splendente, di ali d’orate e fili cangianti. Vi affido il mio bambino, proteggetelo e verso l’Amore guidatelo. Angeli del cielo, dal paradiso splendente…”
“Hermione?”
No. Non era paura la sua.
Era folle preoccupazione.
“… verso l’Amore…”
“Hermione rispondimi…”
“… dal paradiso splendente…”
“Hermione smettila!” – sbottò Draco, spaventato.
Hermione si bloccò all’istante, sia di camminare in tondo, sia di recitare quella preghiera. Alzò gli occhi su Draco, ma senza vederlo realmente. Prese un enorme respiro.
“Andiamo.” – disse, tornando verso il furgone.
Lo sorpassò, lasciandolo sempre più basito.
“Cosa… Hermione!”
“Andiamo o faremo tardi e non ho voglia di guidare con il buio.” – spiegò, attenta a non permettergli di avvicinarsi troppo e incrinare ancora di più quel muro che si era costruita attorno.
“Ma fermati un attimo!” – sbottò, prendendola al volo per un polso.

La sua reazione non si fece attendere: non le piaceva essere toccata, solo Daphne riusciva ad eludere quelle barriere. La mano libera tentò di dargli uno schiaffo ma il biondo – scemo una volta, non due – intuì il movimento del braccio e le imprigionò le mani nelle sue.
Sembrava una bambina che non voleva essere tirata via dalle giostre.

“Lasciami!” – sbottò, spaventata da quel contatto, mentre cercava di dimenarsi come un’anguilla.
“Non ci penso proprio! Adesso mi dici che ti sta succedendo! E se hai paura a guidare di notte non preoccuparti: guiderò io!”
“Lasciami andare!” – urlò, sempre più terrorizzata da quel contatto.

Mentre la teneva tra le braccia, cercando di razionalizzare e capire in quei pochi secondi cosa le stesse succedendo, Draco avvertì la piacevolezza di stringere quella ragazza tra le braccia. Pensò che avrebbe voluto provare la sensazione di stringersela addosso senza tutti quegli scatti improvvisi.
Hermione profumava di buono, di pulito: scioccamente pensò che fosse appena uscita dalla lavatrice.
Quei pensieri ebbero una loro fine, quando Draco tornò con i piedi per terra.

“Draco per favore…” – lo supplicò.
Doveva essere parecchio disperata per implorarlo.
“… lasciami andare. Staccati…”
“No.”
E lei si sentiva sempre più imprigionata.
“Draco…”
“Calmati, calmati…” – sussurrò.
Hermione sembrava essere sull’orlo di una crisi di panico nel vero senso della parola.
“Guardami…” – ordinò.

La riccia iniziò a respirare male, con gli occhi sempre più sbarrati fino all’inverosimile. Prendeva respiri molto profondi, che in casi normali sarebbero stati sufficienti per affrontare un’apnea di trenta secondi ma, nonostante questo, l’oppressione che le schiacciava il petto era tale che sembrava di non prendere aria a sufficienza.

Draco le prese il volto tra le mani, spaventato a sua volta perché temeva per la vita di Hermione, e la costrinse a incatenare i loro occhi. Non sapeva se stava facendo bene, perché non aveva mai partecipato a corsi di Primo Soccorso. Aveva sentito dire – e sperò davvero che non fosse una stronzata da soap opera – che per calmare una persona nel panico, bisognava fare in modo che respiri di entrambi si sincronizzassero.

“… va tutto bene… respira…”
Draco diede il ritmo del proprio respiro a Hermione e lei, sempre più terrorizzata ma con il bisogno di tornare con i piedi per terra, si adeguò.
Inspirò ed espirò.
“Così, brava…”
E poi Draco – quando voleva – sapeva attrezzarsi di una bella voce. Calda, avvolgente…
“Inspira, espira, inspira, espira… stai andando benissimo…” – la incoraggiò.
Hermione si aggrappò con le mani a quelle dell’uomo, che si trovavano sul suo volto, per impedirle che lei guardasse altrove. Pian piano tornò lucida, ma con grande fatica. Non ricordava più da quanto tempo non aveva quelle crisi.
Il tempo minacciava di piovere ma a nessuno sembrava importare.

In Draco, invece, scattò qualcosa. Qualcosa di strano, di indefinito.
Era riuscito a fare qualcosa di buono per una persona senza l’aiuto di nessuno, aveva aiutato Hermione a riprendere contatto con la realtà.
Le aveva salvato la vita.
Ed era stato lui.

Istintivamente l’abbracciò, un po’ per tranquillizzarsi e un po’ per darsi la definitiva conferma che lei era ancora lì, in piedi.
Viva.
Le massaggiò la schiena, come con i bambini piccoli.
Inizialmente, Hermione si era quasi spaventata quando Draco l’aveva tratta verso di sé. Aveva avuto l’irrazionale paura che lui, dopo averla salvata, volesse farle del male, come quando si è abituati a ricevere solo schiaffoni e una mano alzata può far riemergere quel ricordo. Poi però, nessuno schiaffo era arrivato.
Erano arrivate tante carezze sulla schiena, tanto… affetto (?), tanta comprensione espressa a gesti e non a parole.
Si sentiva terribilmente stupida in quel momento: Draco sicuramente stava pensando che era una pazza scappata dal manicomio.

“Va meglio?” – le chiese, cercandola con lo sguardo.
Lei invece faceva di tutto per evitarlo.
“S-sì…”
Draco le prese il mento e lo sollevò. Non gli bastava quella risposta insicura: voleva averne la certezza.
“Sì, sto bene.” – lo rassicurò.
“D’accordo. Allora andiamo. Guido io.”


Ripresero la marcia in totale silenzio.
Draco aveva riesumato dal furgone una vecchia coperta, una di quelle che probabilmente Oliver usava quando doveva affrontare viaggi lunghi e voleva sonnecchiare un paio d’ore. La drappeggiò su Hermione, che si rannicchiò sul sedile del passeggero con lo sguardo basso.
Aveva iniziato a piovere e l’uomo pensò che quel tempo si adattasse bene allo stato d’animo di Hermione. Da quando erano arrivati lì, la ragazza aveva subito un radicale cambiamento. Che odiasse il paesaggio?, gli abitanti o il paese di per sé?
Draco escluse a priori ogni possibile legame con questi tre luoghi, perché Hermione era felice di tornare lì, dalla sua famiglia.

“LEI NON E’ MIA MADRE!”

O forse era proprio la famiglia che non le piaceva.
No non era nemmeno di questo, perché amava la sua famiglia anche se di tanto in tanto aveva atteggiamenti incomprensibili anche per un indovino.
“Cosa dobbiamo consegnare a Norwich?” – chiese per fare della conversazione.
Non voleva farla sentire una bestia rara.
“Dei liquori.” – rispose lei, sempre con il volto basso.
“Per un bar?”
“No, un piccolo albergo.”
Altro silenzio.
“Mi-mi dispiace… per prima…” – chiarì, imbarazzata e sull’orlo del pianto.
“Non ti preoccupare.” – disse.
E poggiò una mano sulla sua.

Grazie alle capacità dialettiche di Draco, l’uomo riuscì a instaurare una conversazione con Hermione, per evitare che il silenzio tra loro divenisse ancora più pesante di quanto non fosse già.
Arrivarono a Norwich in ritardo sulla tabella di marcia di solo un’ora. Draco non conosceva bene le strade e più volte aveva dovuto fermarsi, chiedere indicazioni e poi tornare indietro. Sapeva che Hermione conosceva la strada, ma non aveva voluto disturbarla, perché si era appisolata.
Anche in quel paese, giusto per non farsi mancare nulla, era in atto una festa di San Valentino. Gli ci erano volute ben tre ore per arrivare e ora era stanco. Hermione, poi, non era nelle condizioni fisiche e mentali per guidare, così la donna riuscì a farsi dare una stanza per riposare un paio d’ore – erano veramente stanchi – per poi ripartire.
Entrarono nella camera e Draco si buttò subito sul letto.
“Possiamo stare qui solo per un paio d’ore, poi dovremmo andarcene.”
“Due ore saranno più che sufficienti.” – disse Draco, che sentiva gli occhi chiudersi.
Hermione lo guardò, dispiaciuta.
“Sei tanto stanco?”
Draco la guardò. Era veramente mortificata.
“Non sono abituato a guidare così tanto.” – disse.
“Tranquillo. Dopo guido io e…”
“No, no no.” – disse, alzandosi con il busto sul letto.

Oddio… messo così faceva la sua porca figura…

“Anzi, sdraiati anche tu e dormi decentemente.”
Hermione arrossì.
“Io ho dormito sul furgone.” – disse.
Draco la guardò di traverso.
“E me lo chiami dormire? Dai…” – si spostò di lato per far spazio alla donna.
Hermione era molto tentata, ma di solito lei di notte si rigirava fino ad arrotolarsi nelle lenzuola.
“No, non ti preoccupare…”
“Hermione o vieni qui con le tue gambe o vengo lì io e ti prendo di peso. Libera di scegliere.” – disse.
Oh, era certa che l’avrebbe fatto così, riluttante e piena di vergogna, si avvicinò al letto. O lei era stanca morta o in quell’hotel avevano i materassi migliori di tutta Londra.
“Cosa fai?” – squittì lei, diventando di granito quando sentì il braccio di Draco avvilupparsi alla sua vita.
“Ti da fastidio?”

Erano schiena contro petto.
Hermione aveva il cuore a tremila e non sapeva cosa fare.
Cosa dire.
Se avesse risposto di “no”, non sapeva come Draco avrebbe potuto prenderla; se avesse risposto di sì, avrebbe buttato all’aria quello che lui aveva fatto per lei in quel piccolo spiazzo erboso.

“N-no…” – rispose lei, sperando di non aver dato una cattiva impressione di sé.
In risposta, il braccio di Draco serrò maggiormente la presa sulla vita di Hermione e lei, anziché sentirsi a disagio o imbarazzata per quell’eccessiva vicinanza, si sentì protetta.




Prima di addormentarsi, Hermione aveva messo la sveglia sul cellulare programmata alle sette di sera.

La prima a svegliarsi fu la ragazza che spense l’allarme.
“Draco?”
Nessuna risposta.
“Draco svegliati.”
Niente. Doveva essere veramente stanco…
Cercando di non dare al materasso troppi scossoni, Hermione si girò nel suo abbraccio.
“Draco?”
“Mhm?”
“Sono le sette. Dobbiamo alzarci.”
“Arrivo…” – ma invece di aprire gli occhi, tirò Hermione maggiormente verso di sé e la imprigionò in una morsa di cui Hermione non capiva né l’inizio né la fine.
Sentiva solo il respiro placido di Draco sul collo.

E che le piaceva.

Riuscirono ad alzarsi dal letto alle sette e un quarto. Fortuna che il padrone dell’albergo non aveva fatto loro storie per quel ritardo.
“Grazie mille.” – disse il gestore a Hermione, per quella fornitura di fortuna.
Hermione gli sorrise. Il sonno le aveva fatto bene.
“Grazie a lei. Arrivederci.”
“Ehi!” – li richiamò l’uomo.
“Sì?”
“Perché non andate in piazza alla sagra?”
“La ringrazio, ma dobbiamo…” – tentò Hermione, ma il gestore la interruppe.
“Dai, andate! Tenete.” – disse, andando da loro e mettendogli in mano dei biglietti. – “Sono i buoni pasto. Ve li offro io per la gentilezza di questa consegna.”
“Ma veramente…”
“Davvero molto gentile da parte sua.” – s’intromise Draco, ringraziando e trascinando Hermione con sé. – “Faremo sicuramente un giro. Grazie ancora!”
L’uomo li salutò con un cenno della mano prima di tornare ad asciugare i bicchieri.

“Draco! Draco aspetta!”
“Cosa?”
Hermione rimase decisamente perplessa nel vedere quel sorriso sul volto di Draco. Sembrava non vedesse l’ora di andare a quella festa.
“Faremo tardi!”
“Ma dai! Mangiamo qualcosa e poi ripartiamo.”
Effettivamente aveva fame…
“Una cosa veloce, però.”
“Va bene.” – le promise Draco.
Ma con le dita saldamente incrociate dietro la schiena…









Calli-corner:

Lascio decidere a voi com’è stato questo capitolo.
Ma partiamo dall’inizio.

Troviamo subito Pansy e Theo alla “Nott Home”, in atteggiamenti molto poco professionali. Alla fine, Pansy voleva solo spendere i soldi della ditta a suo piacimento e Theo poteva permetterglielo, se lo avesse aiutato a far fuori Draco.
Come poi si è avverato.
Di Theo, invece, si scopre che in passato ha dovuto subire vari fallimenti ma è certo che con l’azienda di Draco ben avviata, non ne subirà più.


San Valentino.
Draco pensa che Hermione odi quella festa perché non ha nessuno con cui festeggiarla ma non è così. C’è qualcosa di più nel disprezzo che Hermione prova per questo giorno e quel “di più” verrà spiegato più avanti.

Alzi la mano chi è d’accordo con Draco sul fatto che Hermione sia un’ipocrita, quando chiede al biondo di far seguire i fatti alle parole mentre lei fa il contrario.

“LEI NON E’ MIA MADRE!”

Era proprio incazzata quando lo ha urlato.
Ma cosa vorrà dire?


Tutto questo e molto altro qui, su EFP, alla pagina della Malfoy Home con callistas!

E prima di lasciarvi, prendete il nuovo spoiler!

“Ma io ti ammazzo!” – urlò Hermione, salendo sul tavolo in uno scatto che spaventò i due.
Draco riuscì a prenderla per le caviglie e a tirarla indietro, trattenendola per la vita mentre lei si dimenava come un’ossessa per sfuggire a quella morsa d’acciaio e uccidere quello stronzo!

Sempre meglio, non trovate?
^_____________________^

Un bacio e a venerdì prossimo,
callistas
  
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