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Autore: Made Again    29/11/2013    3 recensioni
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Tratto dalla recensione lasciata al capitolo 21 "Untitled Track" da Lady Igraine.
"Non riesco a capire esattamente che considerazione abbia di lei ecco. La schernisce, la pretende, la ama, l'abbandona, la odia... è una commistione di sentimenti indistricabili che si rafforzano l'uno con l'altro e distruggono. Li distruggono entrambi. E questo apre molti interrogativi, perchè con una simile tempesta dentro non potranno mai davvero comunicare, potranno sempre e solo prendersi, scacciarsi, odiarsi e amarsi in una lotta senza tregua... "
***
Storia dalla trama complessa, particolare, azzardata.
Storia-tributo alla band inglese "Marillion".
Storia di malsana dipendenza ed ostentata indipendenza.
Storia di una vita irreale eppure specchio di una vita reale.
Storia di due gemelli.
Storia di un fratello ed una sorella.
Una ragazza.
Brave.
Genere: Sentimentale, Song-fic, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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ATTENZIONE
Sono desolata di dover dare questo annuncio, ma mi pare doveroso mettervene al corrente.
Il mio computer ha avuto un problema hardware improvviso ed a quanto sembra non sarà possibile recuperare i file che vi erano salvati. Fortunatamente avevo una copia di "Brave" salvata in un altro luogo, ma tale copia é ahimè soltanto parziale. Inoltre, avrò seri problemi ad aggiornare da ora in avanti, ma in qualche modo spero di riuscire a fare.
Non so descrivervi la mia grandissima frustrazione all'idea non solo di non poter rispettate le scadenze autoimpostemi, ma soprattutto di non poter progredire con la stesura digitale autonoma e, anzi, di aver perso numerosi dati e capitoli già terminati.
Con immenso dispiacere,
Made Again 





Canzone del Capitolo: King of Sunset Town



Venerdì 30 Luglio 1990
 
-I signori passeggeri diretti a Manchester Piccadilly sono pregati di affrettarsi al binario sei. Ripeto, il treno delle 17.34 per Manchester Piccadilly in partenza da London Euston lascerà la stazione tra pochi minuti. I signori passeggeri sono pregati di affrettarsi al binario sei.-
Rachel correva affannata scansando i pendolari dell’ora di punta di quel caldo venerdì 30 luglio affiancata da un ansimante Ethan, che le stringeva la mano scivolosa. Era madida di sudore ed agitata: la vecchia, seppur ancora molto elegante Aston Martin DBS nera del settanta aveva avuto un guasto alle porte di Londra e v’erano voluti venti preziosi minuti perché l’efficiente compagnia assicurativa di Connor facesse accorrere sul luogo un carro attrezzi per rimorchiare l’auto. Rachel aveva dunque preso un autobus insieme ad Ethan. Il tragitto le era parso infinto, non arrivavano mai. E così si era ritrovata all’ultimo minuto a correre tra la calca di un tardo venerdì pomeriggio decisamente troppo caldo. Riuscì a salire sul treno proprio mentre le porte del convoglio si stavano chiudendo alle sue spalle, rischiando di lasciare fuori il suo ingombrante zaino.
Si voltò: Ethan stava in piedi davanti al vetro della porta ormai chiusa. Non era nemmeno riuscita ad abbracciarlo, lui che aveva corso per mezza Londra su un autobus scalcagnato pur di portarla fin là, dove sarebbe partita per una città lontana che non avrebbe probabilmente mai più lasciato. Certo, lui sarebbe venuto a trovarla da Edimburgo con la sua berlina decapottabile blu nuova fiammante, ma soltanto quando gli esami e le lezioni glielo avessero permesso. Stava iniziando un periodo di prova per loro, Rachel ne era consapevole, come pure Ethan. Ma avevano deciso che il suo futuro veniva prima della loro relazione per quel momento: vi ci sarebbero adattati e tuttavia prima o poi si sarebbe chiusa anche quella parentesi.
-Siamo fatti per durare, noi.-
Questo le aveva detto quella mattina, mentre salivano in auto. Rachel aveva sorriso. Sperava davvero che lui non l’abbandonasse. Non avrebbe potuto sopportalo in quel momento.
Qualunque cosa potesse pensare, ora quel ragazzo le rivolgeva un sorriso schermato dalla porta insonorizzata del treno. Mentre il convoglio sobbalzava improvvisamente in avanti, mimò l’atto di telefonare, scandendo il labiale.
-Ti amo.-
-Anche io.- scandì Rachel a sua volta, poggiando la mano al vetro bollente. Lo guardò allontanarsi, finché la stazione di London Euston non scomparve alla sua vista dietro una curva.
-E’ fatta.- mormorò tra sé, continuando a guardare fuori. Era vero, ormai era fatta. Non si tornava più indietro a quel punto. Il suo futuro era in avanti, la aspettava affacciato alla fine di quelle due ore di treno attraverso l’Inghilterra da sud a nord. In un qualche modo, era un po’ come tornare a casa. Sua madre era originaria di Manchester, una vera mancuniana DOC. Sperava che quella gigante del nord dai contorni fumosi potesse accoglierla come una figlia rimasta lontana per molto tempo. Quella città sarebbe stata il suo futuro e la sua vita per gli anni a venire, aveva quella ragazza dai capelli biondi un po’ troppo ribelli e dagli occhi smeraldini il diritto di sentirvicisi a casa? Rachel pregava che fosse così.
Si riscosse da quei pensieri e si voltò, diretta verso la carrozza alla sua destra. Appena aperta la porta, l’aria condizionata l’investì come una benedizione. Trovò posto affianco ad una donna bionda dall’aria assorta, immersa nella lettura di un consunto librone. Una volta accomodatasi e trovata un’adeguata sistemazione al suo ingombrante bagaglio, si apprestò ad affrontare quelle due ore di viaggio. Estrasse dalla tasca superiore del vecchio Salewa verde scuro il proprio walkman con la cassetta prediletta già inserita ed il suo vecchio quadernetto giallo zafferano. Non aveva avuto più il coraggio di scrivere di Kayleigh dopo quella sera. Ma, città nuova, vita nuova. Era ora di affrontare il passato per riprendere una vita “normale”.
 
“Come spiegare alla mia anima dipendente e malata che quella fuga non durò che un giorno, quando caddi a terra stremata, completamente senza forze per tutti quei giorni passati a totale digiuno, tentando di fuggire da quella vita che più che una salvezza si stava dimostrando la mia condanna? Ma Liam, il mio angelo ed il mio demonio, la mia liberazione e la mia perdizione, mi aveva seguita fin là. Mi raccolse e mi riportò indietro. Mi salvò nuovamente da me stessa e da quella città-fantasma. Quando tornammo in quel rifugio, origine e fine di ogni mio male, Bess e Jack sniffavano davanti alla televisione. Liam si buttò malamente sul tappeto di fianco a loro e si attaccò ad una bottiglia sporca  dal manico scheggiato.
Mi avviai stancamente in bagno, chiusi la porta e accesi l’acqua. Dovevo farmi un bagno per lavarmi di dosso quella sensazione malata ed appiccicosa di non valere nulla, quella consapevolezza assassina di non avere nessun motivo per andare avanti. Dovevo in qualche modo rinascere. Quel bagno: la mia fine o il mio nuovo inizio.
La mia fine.
Mi immersi nell’acqua tiepida. La fronte mi bruciava, avevo fortissimi crampi allo stomaco e una nausea che mi stritolava le viscere. All’improvviso, dalla stanza accanto arrivò un grosso tonfo, come di una porta che cadeva di schianto sul pavimento. Contemporaneamente, urlai. Non per la paura. Ma per il dolore. Improvviso, atroce, fottutamente feroce, totalmente inumano. Mi raggomitolai su me stessa in quella vasca dall’acqua improvvisamente gelata. Gelata e rossa. Tremavo ed urlavo. E non potevo fare altro. Intanto di là, altre urla arrivavano e sembravano farsi sempre più vicine e contemporaneamente lontane. Sentivo Liam gridare imprecazioni e maledizioni al vento, Bess stillare e strepitare e Jack agitarsi nel tentativo di menare pugni a non sapevo nemmeno chi. Sentivo uno, due, cento urla di minaccia rivolte ai miei tre compagni di naufragio. E sentivo il mio urlo disumano, e vedevo l’acqua farsi sempre più rossa tra gli occhi annebbiati dal dolore e dalle lacrime. Improvvisamente un poliziotto irruppe nella stanza e rimase completamente paralizzato davanti allo spettacolo che stavo dando di me. E altri due dietro di lui. Continuavo ad urlare, a piangere, a stringermi, graffiarmi, mordermi, fino a sentire il sapore del sangue in bocca, sulla pelle, nell’acqua, dentro di me. Forse stavo finalmente morendo. Ma se così non fosse stato, perché tanto male per nulla? Sparatemi, uccidetemi e non dite nulla a nessuno, ma fermate tutto questo perché non esiste al mondo nulla, nulla peggio di questo.
Rosso.
Bianco.
Nero.”
 
Rachel si addormentò con la testa appoggiata al finestrino bollente e la penna ancora in mano, scossa di quando in quando dal vecchio treno singhiozzante.
 
Uno scossone più forte degli altri la riscosse dal suo sonno agitato, riportandola violentemente a bordo del convoglio diretto a Manchester Piccadilly in quel torrido venerdì pomeriggio che stava pigramente volgendo a sera tra nuovi, rapidi scorci di campagna inglese. Si girò, intorpidita, verso il finestrino e le sfuggì un grande sbadiglio. La donna seduta di fronte a lei sollevò lo sguardo dal suo grosso tomo e sorrise al riflesso del viso assonnato di Rachel.
-Non si preoccupi, signorina. Oramai non manca più molto all’arrivo.-
Rachel si voltò verso la signora che aveva appena parlato. Il forte accento mancuniano della donna le rendeva superflua la domanda che uscì spontanea dalle sue labbra.
-Di dov’è originaria, màdame?-
-Di Manchester. Sono di ritorno. Mi sono recata a far visita a mio figlio. E tu cara? Se non è sconveniente domandartelo.-
-Si figuri. Mi sto recando a Manchester per intraprendere un nuovo lavoro nel campo del giornalismo.-
La donna sorrise, un sorriso segnato da sottili rughe di cui sembrava andare vagamente orgogliosa.
-Allora, ti auguro ogni fortuna, mia cara collega.- I luminosi occhietti blu schermati da un paio di spessi occhiali dalla classica montatura dorata brillarono nella sua direzione.
Rachel divenne improvvisamente curiosa.
-Anche lei giornalista, màdame?-
-Solo occasionalmente oramai, cara. Per lo più mi dedico pienamente alla mia famiglia e al mio adorato marito, le uniche due cose che io abbia realmente amato oltre al mio lavoro. Ma sono soddisfatta di ciò che ho fatto. Mi appresto a pubblicare un libro.-
A Rachel quello sguardo, quegli occhi, ora che li osservava attentamente, parvero vagamente famigliari. Dove l’aveva già vista?
-Mi perdoni, màdame, ma potrei già averla incontrata? Ho la sensazione che questa non sia la prima volta che la vedo.-
-Non di persona, mia cara!- rise la donna, piuttosto divertita. –Io ogni caso, si. Credo proprio che tu possa avermi già visto. Magari su Melody Maker. Una volta avevano quella terribile fissazione per le foto dei giornalisti. Volevano un bel primo piano di fianco ad ogni articolo. Ridicolo. A chi importa la faccia di chi scrive? L’importante è che lo faccia bene.-
Rachel s’illuminò di colpo. Con voce stupefatta chiese: -Lei è per caso Penny Ann Valentine?-
-Si mia cara. Lo sono.- sorrise serena la donna dai luminosi occhietti azzurri.
Incredibile chi si può incontrare su un anonimo convoglio inglese.
-Per chi andrai a lavorare, cara?- Rachel si riscosse dal suo stato di stupore e sorpresa.
-Mi è stato gentilmente permesso di fare un periodo da stagista presso il New Music Express nella sede mancuniana della rivista. Tale…- Rachel prese a rovistare nella tasca superiore del vecchio zaino alla ricerca del biglietto da visita del giornalista che avrebbe a breve assunto il ruolo di capo nella sua vita. I lunghi, ricci capelli biondi le ricadevano sulle guancie, sciolti, rendendole difficile la ricerca.
-Mr. Palmer forse?- azzardò Mrs. Valentine.
-Si, màdame! Proprio lui. Un mio caro… parente, gli ha fatto il mio nome e ho avuto fortuna.- affermò Rachel sollevando il capo. La donna si aggiustò il capellino sulla testa e si rassettò la gonna. Poi riprese a guardarla, con un sorriso gentile ad impreziosirle il volto.
-Sei molto fortunata mia cara…?-
-Rachel Kayleigh Hogarth , Mrs. Valentine.-
-Kayleigh. Che nome delizioso, cara. Ebbene, come stavo dicendo, sei molto fortunata. Sir Palmer è un giornalista di ottimo livello, un uomo disponibile nonché una persona davvero squisita, particolare oserei dire. Non giudicarlo dalle apparenze! Vedrai che ti troverai meravigliosamente a lavorare alle sue dipendenze. Apprenderai moltissimi trucchi del mestiere e, credimi cara, molto nella carriera di un buon giornalista di successo dipende dal mentore che si ha avuto in gioventù. Tu hai i presupposti per diventare un’ottima giornalista, mia cara Kayleigh Hogarth.-
-Vi sono infinitamente grata Mrs. Valentine. La fortuna ed il piacere per avervi incontrata oggi sono miei. Non so descrivervi la mia felicità nell’aver avuto il privilegio di fare la vostra conoscenza.-
La registrazione di una voce femminile interruppe la conversazione tra le due.
-Siamo in arrivo alla stazione Manchester Piccadilly. I signori passeggeri sono pregati di appropinquarsi alle uscite e di avere l’accortezza di non lasciare nulla sua sedili. Grazie per la cortese collaborazione.-
-E’ stato un piacere anche per me, mia cara Kayleigh.- Penny Valentine s’alzò, ripose il vecchio tomo nella borsa e si diresse verso la porta in fondo al vagone. Prima di oltrepassarla, si voltò nuovamente verso Rachel.
-Credi in te stessa. Vedrai che riuscirai ad arrivare in alto. Ma ti raccomando una cosa: non perdere mai di vista le cose realmente importanti. La vita ti metterà davanti a molti bivi, talvolta difficili. Scegli sempre la strada che ti rende più felice. Addio, cara.- Rivolgendole un ultimo luminoso sorriso, varcò la porta e scomparì alla vista di Rachel, lasciandola a fissare la porta chiusa.
Rachel si abbandonò sul sedile. Aveva appena finito di discutere con Penny Ann Valentine, una delle migliori giornaliste musicali britanniche. Incredibile quale sorpresa le aveva riservato quel vecchio treno sobbalzante in un venerdì pomeriggio decisamente troppo caldo.
Prese dalla tasca superiore del vecchio Salewa verde una nuova musicassetta. Una musicassetta che aveva a lungo lasciato chiusa nel buio di un vecchio cassetto polveroso.
L’inserì nel walkman, quindi chiuse lo zaino, lo prese sulle spalle e si diresse verso l’uscita. Il treno era ormai praticamente fermo. Premette play e lasciò che Season End la avvolgesse nel suo fresco, dolce abbraccio. Le prime note di King of Sunset Town le risuonarono negli auricolari non appena le porte del convoglio si aprirono.
Scese dal treno.
La lunga intro musicale in crescendo l’accompagnò attraverso la stazione affollata. Un bambino correva sulla banchina, tenendo ben stretto nella manina chiusa a pugnetto un leccalecca alla fragola, intrattenendo senza intenzione gli stanchi pendolari vogliosi di ritrovare il sorriso delle proprie famiglie una volta a casa. Rachel gli rivolse un fugace sorriso.
La luce del tramonto invadeva la stazione ferroviaria di Manchester quando la ragazza ne varcò l’uscita.
Appoggiata allo stipite del grande ingresso di marmo della stazione, Rachel fissava un punto indefinito in lontananza, il viso rilassato, lo sguardo vuoto. Quella città…
D’improvviso, la sua espressione cambiò. Una nuova consapevolezza si fece strada sul volto della ragazza, illuminato dai caldi bagliori del tramonto. Quella era una nuova vita. Doveva azzerare i precedenti, quella era la sua ultima possibilità di un’esistenza spensierata e felice. Era suo obbligo coglierla. Si tolse lo zaino dalle spalle e prese a frugarvici all’interno. Dopo un minuto abbondante, le sue mani riemersero dal vecchio Salewa verde stringendo un sottile flaconcino nero. Il braccio si rilassò contro il suo corpo ancora troppo magro e vulnerabile, continuando a stringere convulsamente il tubetto tra le mani. Un sospiro sfuggì dalle sue labbra colorate da quel grosso mostro che le si stava risvegliando in fondo al cuore, facendola sentire così pericolosamente instabile sulle gambe. Senza preavviso, la resa dei conti era arrivata ed ora era tardi per scappare nel buio della sua stanza: o distruggeva una volta per tutte quel dolore, o lui avrebbe distrutto definitivamente lei ed a quel punto nessuno avrebbe più potuto rimettere assieme il suo debole corpo spezzato. Rachel si premette violentemente le mani chiuse a pungo sulle tempie e scivolò lentamente lungo lo stipite marmoreo dell’ingresso fino a ritrovarsi accovacciata a terra. La gente continuava a passarle frettolosamente di fianco, osservandola chi con curiosità, chi con indifferenza, chi con una vaga ombra di preoccupazione sul volto, ma nessuno si fermò ad aiutarla. Le cuffiette continuavano a pomparle dritto nella testa un flusso ininterrotto di note appuntite come aghi. Le sentiva pizzicarla e sfregiarla ovunque, insinuandosi profondamente dentro di lei, facendola sanguinare. Doveva reagire. Doveva trovare la forza di farlo, o non si sarebbe alzata mai più.
Appellandosi a tutte le sue forze, appoggiò il palmo alla fredda lastra di marmo e si riportò in piedi. Lo sguardo determinato, una vaga ombra di rabbia negli occhi. Senza esitare, si voltò e lanciò il correttore nel cestino dietro di lei. Quella densa e rassicurante crema colorata sparì alla sua vista, sommersa dai rifiuti. L’amica di tante notti insonni, lei che mascherava così abilmente le sue occhiaie, gli occhi gonfi ed arrossati da ore ed ore di fredde lacrime amare affogate nel cuscino zuppo, da sola, al buio. Mascherare. Ma lei doveva essere se stessa, era stanca di portare una maschera, era stanca di recitare. Nuova città, nuova vita. Si portò il dorso della mano sinistra alla guancia destra e la strofinò con forza finché una sottile linea bianca non apparve evidente contro il rossore della pelle sfregata. Poi prese un elastico e intrecciò i ribelli capelli biondi in una lunga treccia, in modo che le lasciassero libero il viso.
Quando rialzò lo sguardo verso lo skyline di una Manchester prossima al crepuscolo si sentì, per la prima volta dopo mesi, semplicemente se stessa. Rachel Kayleigh Hogwart.
Davanti a lei, la grande regina del nord, la sua nuova casa.
L’avrebbe accolta?
 
“He said -I'm the king of sunset town-
Watch a big wheel turning round,
Some go up and some go down,
Some go thirsty some just drown,
-That's the law round here-
Said the king of sunset town.”

 
“Disse -Io sono il Re della città del tramonto-
Osserva una ruota panoramica girare,
Alcuni salgono ed altri scendono,
Ad alcuni viene sete, altri invece annegano,
-Questa è la legge da queste parti-
Disse il Re della città al tramonto.”

Rachel sorrise.
-I’m the queen of sunset town.-




  
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