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Autore: Cesca91    30/11/2013    3 recensioni
Dopo la fine della quinta stagione di Squadra Antimafia, ho pensato di ingannare l'attesa per la nuova stagione scrivendo un seguito della storia per chi, come me, sta immaginando e costruendo momenti e scene nella propria testa. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate voi, premettendo che sono una fan della coppia Rosy - Domenico quindi la mia storia si concentra principalmente su loro due, MA NON SOLO ;) Buona lettura!
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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3. Sotto lo stesso cielo 
 
Una mano curata bussa alla porta dell’ufficio di Calcaterra, quindi entra prima che le sia dato il permesso. Lara Colombo ha i capelli raccolti in un nido di ricci, un bastoncino lungo in legno simile ad una matita lo attraversa tenendolo stabile come un pugnale fra i polmoni, un neo a lato del naso, lo sguardo da cerbiatta orgogliosa. Eppure, dentro, cova una centrifuga di emozioni e disagi, che neppure un buon pettine riuscirebbe a sciogliere.
Quando vede Domenico, poi, si illumina in viso. Gli ha salvato la vita tirandolo fuori dalla botola, ma a volte è come se lui l’avesse salvata a lei. Ha portato il meglio fra le sue cose, i più bei sorrisi sul suo viso e il senso di giustizia forte che anima il vicequestore in tutte le sue azioni.
Legge sul volto del suo collega tanta confusione e voglia di agire, quindi lo interroga preoccupata.
- Ci sono novità?
- No, niente di niente… Niente che ci permetta di collegare De Silva ad Africanetz. Potrebbero lavorare a qualsiasi cosa, ma un semplice video di sorveglianza non ci dice niente.
- Beh, facciamolo parlare no?
- Chi? Chi facciamo parlare? Siamo alle basi, dobbiamo partire da zero…
- Il video… Era una metafora…
Domenico infila le dita fra le ciocche dei suoi capelli, quindi si stringe la testa fra i palmi delle mani come se, spremendola più forte, potesse uscire qualcosa di buono.
- Esaminiamo tutto quello che abbiamo, tutto. Ogni minimo particolare deve essere spulciato fino all’osso. Non ci deve sfuggire niente e soprattutto voglio sapere come ha fatto De Silva a salvarsi… Ancora una volta.
- Va bene. Ci vediamo da te dopo.
- No… Lara.
Lei resta impietrita, come se una scheggia di vetro fosse finita dritta al cuore.
- Come vuoi…
- E’ che preferirei rimanere qui a lavorare, stasera.
- Capito, non è un problema. Buon lavoro.
- Che c’è, ti sei offesa?
- No Domenico, non mi sono offesa. E’ che da un mese non faccio altro che starti dietro, mi prendo cura di te, ti chiedo come stai… Ma tu sei così… Così sfuggente, distratto.
- E’… E’ il lavoro.
- Sì, ma ad un certo punto il lavoro resta in ufficio e noi torniamo a casa e continuiamo la nostra vita anche dopo la mafia.
- Ma la mafia non finisce mai, Lara -, Domenico osserva il suo sguardo indurirsi poco a poco, come se l’aria che respirano in quella stanza trasformasse gli uomini in pietra. Lara lo guarda, senza proferir parola, quindi fa per voltarsi e andare via, ma Domenico la blocca con le parole. - Hai ragione scusami… Ci vediamo da me.
- Se devi farlo solo per compassione risparmiati, ti prego.
- No, lo faccio perché mi va e perché hai ragione tu, bisogna staccare la spina ogni tanto.
Lara annuisce con non troppa soddisfazione, ricevendo in cambio del suo amore un sorriso sforzato di Domenico. Perché poi va a finire sempre così. C’è qualcuno che ci ama più di se stesso ma noi non lo vediamo, non ce ne accorgiamo. E quando siamo di fronte al fatto, quando ci sbattiamo contro a tutto questo amore, gli diamo le spalle. Perché le cose complicate sono sempre le più belle, quelle che ci attirano di più nonostante la consapevolezza di non poterle avere mai. E Domenico questa consapevolezza ce l’ha forte, è la sveglia che tutte le mattine alle 6 lo tira giù dal letto. Si alza e sa che dovrà affrontare un’altra giornata terrificante, fatta di pistole, auto rubate, indagini complicate. Le piste si fanno sempre più difficili e gli occhi puntano dove il corpo non può arrivare. Dietro le sbarre, in una stanzetta bianca che si affaccia sul mondo soltanto da una piccola finestra in alto. E da quella finestra un paio di occhi grandi osserva il cielo, per aspettare l’ora del giorno in cui le nuvole disegnano i riccioli biondi di un bambino che non c’è più.
Domenico guarda Lara uscire dal suo ufficio, quindi lo sguardo gli cade su un portaritratti che vive sulla scrivania da un po’ di tempo. All’interno di una cornice satinata c’è una mamma che stringe fra le braccia suo figlio e sorride, sorridono insieme, perché c’è un filo sottile che collega i loro cuori. Un filo che li tiene in vita assieme, anche a distanza di chilometri, anche fra la terra e l’aldilà. Mimmo osserva Rosy e Leonardino e in quello scatto 10x15 spera di trovare il limite, il confine fra il cuore e la ragione. Spera di svegliarsi all’indomani e di liberare il suo cuore dalla prigione di Catania, perché questa vita gli sta stretta. Un po’ come infilare jeans aderenti in un giorno di caldo appiccicoso. Chiude gli occhi, e per alcuni minuti di silenzio immagina come sarebbe stata la sua vita se alcuni mesi fa le avesse detto sì, mentre lei gli stringeva il viso fra le mani agitate e lo implorava. “Vieni via, vieni via con me”.
Sotto lo stesso cielo, dall’altra parte della città la regina di Palermo è stesa sul letto della sua cella di isolamento, pancia in giù e una foto stropicciata fra le mani. Un pezzo di carta che imprigiona il sorriso di suo figlio, quando il suo cuore batteva ancora. Rosy ha lo guardo spento, di chi ha perso ogni cosa nella terra della mafia. Anche il diritto e il dovere di continuare la guerra, perché l’onore non si spegne mai. Ma Rosy è una perdente. E’ una regina spodestata dal trono e presa a calci dal mondo, che ha vinto contro di lei la battaglia più importante. La terra ha risucchiato suo figlio e ha lasciato a lei il destino di vivere ancora e trascorrere il resto dei suoi giorni a pensare e soffrire e a chiedersi come sarebbe andata a finire, se avesse dato ascolto a chi ha più sale in zucca di lei. E se Leonardino non avesse guardato in viso la donna che lo ha sotterrato sotto una manciata di terra nera? Se non avesse chiamato sua madre invano, prima di chiudere gli occhi per sempre? E se lei non avesse dato alla luce un figlio destinato ad una vita orribile? Se lui non fosse morto a causa sua? Se fosse morta lei, sotto il colpo di pistola di un insensibile Achille qualunque? E se, quel giorno, avesse dato ascolto a Mimmo? Se avesse dato ascolto a Mimmo tutte le volte in cui lui l’aveva pregata di fermarsi un attimo, di fare un passo accanto a lui piuttosto che da sola?
Tutte le volte. Glielo aveva detto sempre. Si trattava di prendere la mano di qualcuno, forse l’unica persona davvero disposta ad aiutarla. L’unica persona che aveva scovato in lei qualcosa che andasse oltre la mafiosa, oltre la corona della regina di Palermo. Doveva soltanto deporre lo scettro e lasciarsi aiutare. “Lasciati aiutare a trovare tuo figlio”. Sarebbe ancora vivo. Leonardino crescerebbe con Mimmo e con uno sceriffo di plastica che lo difenderebbe dai cattivi. Lei pagherebbe per tutto il male fatto. Avrebbe la vita che merita. E se non avesse fatto così tanto del male, Leonardino sarebbe ancora vivo? Se avesse pagato lui, per la cattiveria di sua madre?
Poteva restare. Rosy poteva restare e accettare un aiuto, chè male non sarebbe stato. Avrebbe lasciato che la giustizia facesse il suo corso e, forse, avrebbe trovato fuori ad aspettarla un poliziotto molto carino e un figlio già cresciuto, ma ancora vivo. Che madre sei, se non hai più un figlio? E che donna sei, se per il resto dei tuoi giorni ti è concessa soltanto la visita saltuaria di un uomo che non ha smesso di restarti accanto, seppure al di là delle sbarre? Nasconde la foto sotto il cuscino, poi chiude gli occhi e si addormenta così. Anche oggi, come tutti i giorni. Col suo bambino accanto a lei, così può sognarlo e può sentirlo respirare. E tutti i giorni si addormenta con la speranza di non svegliarsi mai più, perché Leo dorme in una piccola bara bianca mentre a lei è concesso ancora il diritto di addormentarsi su un letto più o meno comodo e ascoltare il rumore della pioggia che picchia forte sui tetti della città. E a Leo quel rumore piaceva tanto, immaginava fossero gli spari dei cattivi che erano venuti a prenderlo, così gli bastava schierare avanti il suo sceriffo col cappello per difendersi. Solo che quella volta i cattivi erano davvero tanti e lo sceriffo, da solo, non era riuscito a difendere la sua squadra. Ed erano caduti tutti, anche il capitano dai riccioli biondi. 
 
  
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