Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: AlexisLestrange    30/11/2013    2 recensioni
Era stato così naturale, così spontaneo, così istintivo, John non ricordava neppure come fosse accaduto. Era stata la distanza, si ritrovò a pensare lasciava andare la presa stringendo tra le dita il bordo del lenzuolo, quella dannata distanza che li aveva tenuti lontani per anni. Ma ora era tornato, era vivo, ed ora era suo, tutto suo.
Genere: Angst, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«Signor Holmes, finalmente riesco a parlarle».

L'uomo, voltò la testa verso la figura seduta sulla poltrona. Era di schiena contro la finestra dalle
tapparelle socchiuse, il che rendeva la sua sagoma decisamente indefinibile, in controluce. L'altro,
seduto su una grande poltrona davanti ad un lungo tavolo di legno, mosse appena la testa, ad
osservarlo meglio.

«È un piacere, signor Bruhl» disse poi, le labbra stirate in un sorriso melenso.

L'uomo alla finestra si girò di scatto, il volto corrugato in una strana espressione, come se avesse
appena deglutito qualcosa di estremamente aspro.

«Vorrei che fosse un piacere anche per me» disse poi, quando sembrò riuscire a ricomporsi, la voce
tremante, tormentandosi le mani. «Ma, come lei certamente avrà saputo...»

«Le mie più sentite condoglianze».

L'uomo chiamato Bruhl distorse di nuovo la bocca in una smorfia, prima di parlare. «Saprà
certamente perché sono qui». Nel parlare, fece un passo in avanti, verso l'altro, che si limitò ad
inclinare appena la testa. «Chiedo giustizia per quel che accaduto».

«Sarò lieto di aiutarla». L'espressione del suo viso era una maschera di impeccabile cortesia, il
sorriso ancora perfettamente al suo posto.

Il signor Bruhl sbatté le mani contro il tavolo. «Mi avevate detto che era morto, signor Holmes! Che
il caso era chiuso, perché era stato trovato morto!» ringhiò, e dagli occhi spalancati scintillò un
guizzo di rabbia repressa.

Mycroft non fece una piega, anche se il suo sorriso parve scivolargli via dal volto. «Era quello che
credevamo tutti» sentenziò, lentamente.

Quello scoppiò in una risata amara e beffarda. «Mi sta dicendo che non sapeva che suo fratello
fosse in vita, prima che la notizia giungesse anche a me?»

A quella parola, l'altro ebbe un quasi impercettibile scatto irritato. La bocca del signor Bruhl si
distorse in un ghigno di trionfo, ma dopo pochi istanti, Mycroft riprese la parola con la più pacata
tranquillità.

«Ci terrei ad informarla, per il suo piacere, che non è ancora stato assodato che sia Sherlock Holmes
il responsabile del rapimento dei suoi figli, signor Bruhl» disse, e di nuovo un sorriso tirato fece
capolino sul suo volto.

Quello spalancò gli occhi, togliendosi una ciocca di capelli sudati dalla fronte, l'espressione
stralunata. «No?» fu tutto quello che riuscì a dire con voce strozzata, a metà tra l'incredulità e il
sarcasmo.

«Innocente fino a prova contraria» rispose tranquillamente Mycroft, abbassando lo sguardo sul
tavolo di legno, che le mani dell'altro stavano facendo tremare.

«E chi altri potrebbe essere stato?» domandò ancora il signor Bruhl, che tra l'affanno e l'ira pareva
un cane rabbioso sul punto di mordere la sua preda.

Mycroft rialzò lo sguardo su di lui, la bocca incurvata nella stessa, garbata espressione. «Siamo
risaliti ad un altro uomo, James Moriarty».

L'altro si leccò nervosamente le labbra, iniziando a camminare avanti ed indietro alla stanza. «E
dov'è quest'uomo, adesso? In prigione?» ansimò; il volto aveva preso uno strano tic nervoso.

Mycroft attese solo un momento prima di rispondere. «È morto».

Il signor Bruhl scoppiò in una seconda risata beffarda, poi scosse più volte la testa, quasi isterico.
«Oh, no, oh, no, signor Holmes. Molto astuto, molto astuto, ma avete già usato questo trucchetto,
non è vero?». Il viso gli si distorse in un ghigno a metà tra l'incredulità ed il dolore, poi, in un
improvviso scatto d'ira, sbatté di nuovo le mani sul tavolo. «Mio figlio è morto per questo! Non
lascerò perdere, non vi lascerò far correre!»

Mycroft non mosse un muscolo del suo beneducato sorriso. «Dovrebbe avere più fiducia nella
nostra polizia, signor Bruhl».

«Voi avete rinunciato!» sputò quello, in un ruggito. «Voi avete chiuso il caso!»

«Non ora che Sherlock Holmes è stato scoperto ancora in vita» rispose placidamente Mycroft, e la
cosa parve mettere a tacere l'uomo, che spalancò gli occhi, sorpreso.

«Indagherete ancora?» domandò poi, con una voce rauca che lasciava trasparire più disperazione di
quanta ne fosse mai passata fino a quel momento.

Il sorriso di Mycroft si fece più melenso ed untuoso che mai. «Deve capire, signor Bruhl, che
potrebbe non essere nei nostri interessi scoprirne di più. Il presunto colpevole è ormai morto, andare
a rispolverare vecchi casi è sempre... sconveniente».

Quello aprì gli occhi come se non credesse a quel che aveva sentito. «Ma è nei miei

«Allora le suggerisco di organizzarsi a sue spese. Trovi qualcuno che scopra come sono andate le
cose». Mycroft fece un garbato cenno con il capo in direzione dell'altro, che contrasse il viso in una
nuova smorfia, per poi deglutire.

«Qualcuno?»

L'altro aspettò un istante prima di riaprire bocca, come per accertarsi che le sue parole sortissero
l'effetto desiderato. «Una volta, lei ritenne Sherlock Holmes l'unico investigatore in grado di
risolvere il rapimento dei suoi figli. Perché non lo richiama?»

Il signor Bruhl lo guardò come se fosse impazzito. «È uno dei sospettati! Su cosa dovrebbe
indagare, sulla propria innocenza?» sbottò, e la voce gli tremava di rabbia repressa.

«Non è quello il problema principale che l'ha portata qui, no?» Mycroft sorrise ancora, con
accondiscendenza.

I pugni dell'altro si serrarono. «Che cosa intende dire?» sibilò, alzando lo sguardo su di lui.

Mycroft inclinò amabilmente la testa. «Ho sentito che sua figlia non se la sta cavando bene».

Gli occhi chiari del signor Bruhl si spalancarono in un abisso di paura. Si lasciò cadere sulla sedia
di fronte all'altro, la fronte madida di sudore, e per lunghi istanti non fu in grado di parlare.

Quando infine riaprì le labbra pallide e tremanti, quello che ne uscì fu un fievole: «Come lo sa?»

Mycroft reclinò appena lo schienale della poltrona, congiungendo le mani, e solo per un attimo
qualcosa di simile al trionfo gli brillò negli occhi.

«Che Sherlock Holmes sia il rapitore, o che sia che il suo investigatore privato, è l'unico a poterle
procurare la cura». Fece una pausa, e si chinò verso di lui. «Lo contatti, signor Bruhl».

Quello sbatté le palpebre, deglutendo, come paralizzato.

*

John aprì le palpebre a fatica, disturbato dalla luce che entrava dalla finestra aperta. Si strofinò gli
occhi con il dorso delle mani, mentre brandelli della notte precedente continuavano a fare la loro
comparsa, vagamente confusi con i frammenti di sogno non ancora del tutto scivolati via dalla sua
mente, tanto che si chiese confusamente quanto c'era di vero e quanto di immaginazione.

Si voltò su di un dorso, e vide che il posto accanto al suo letto era vuoto -sentì lo stomaco contrarsi
appena a quel pensiero, ma di vero c'erano le lenzuola tutte scomposte e drizzate, di vero c'era quel
profumo pungente sul cuscino, e di vero c'era il rumore della doccia dall'altra parte della stanza che
stava a dirgli che lui, John Watson, non era da solo, non più.

Si alzò in piedi stiracchiandosi, infilandosi una vecchia vestaglia marrone, e avviandosi pigramente
verso la cucina, i movimenti ancora lenti dal sonno. Spalancò le tende, strizzò un altro paio di volte
le palpebre, finché non fu in grado di mettere chiaramente a fuoco tutta la stanza, poi prese un
pentolino, lo riempì con abbastanza acqua per preparare il tè per due persone, e accese il fuoco con
uno sbadiglio, per poi lasciarsi cadere sulla poltrona, attendendo la fine dell'ebollizione.

Sfogliò senza troppa convinzione le pagine del quotidiano del giorno prima, ma invece di leggere le
notizie riportate, si fermò ad osservare i segni a matita che cerchiavano le notizie più eclatanti della
cronaca nera, studiandone il tratto, la calligrafia leggermente obliqua che aveva riempito di
scarabocchi i bordi delle pagine, a volte per correggere la grammatica del giornalista in questione, a
volte semplicemente per prendere appunti. Ma, si chiese John senza riuscire a trattenere uno sbuffo
di divertimento, chi diavolo prendeva appunti su di un quotidiano? Lo scroscio della doccia si
interruppe di colpo e la risposta entrò in cucina con uno sbadiglio ed un rumore di telo strascicato.

John inclinò la testa all'indietro per vederlo, e riuscì a trattenere un sorriso proprio sulla punta delle
labbra, mentre apriva la bocca per parlare -la voce, sperava, il più neutrale possibile.

«Buongiorno».

Sherlock inclinò appena la testa per guardarlo meglio, ma si limitò a sbadigliare, avvolto nel suo
lenzuolo come un zombie, e si diresse strisciando verso la cucina, gettando un'occhiata al pentolino
dove bolliva l'acqua, mentre John lo seguiva con lo sguardo, come studiandone le mosse.

«Il tè sarà pronto-»

«-Ora».

Sherlock si strofinò il dorso della mano sul viso, poi versò l'acqua in una tazza, vi infilò dentro una
bustina dell'infuso, e ritornò con tutto il suo lenzuolo nell'angolo dall'altra parte della stanza,
sorseggiandolo con lo sguardo fisso sulla parete.

Mai troppo di buonumore appena sveglio, si disse John trattenendo un secondo sorriso -che
accidenti gli prendeva, oggi?- ma doveva ammettere che c'erano comunque stati dei miglioramenti.

Non si sarebbe mai dimenticato di quella mattina -era stato dopo la prima notte in cui erano,
ricordò, stati insieme- in cui si Sherlock si era presentato nella stanza completamente nudo, e alla
sua espressione sconvolta si era stupito, dichiarando che «dopotutto, mi hai già visto senza vestiti,
John». A nulla era valso il suo discorso sulla decenza («Mi trovi indecente, quindi?») e la sua paura
che qualcuno potesse vederlo («Andiamo, chi entrerebbe nel nostro appartamento alle sette e un
quarto della mattina? La signora Hudson è uscita, ho sentito i suoi passi; andava dal panettiere,
presumo»).

Averlo in giro per casa con il telo della doccia a mo' di mantello, era un già un passo avanti, si disse.
Averlo in giro per casa, era un passo avanti. Averlo. Di nuovo.

John fermò i suoi pensieri prima che entrassero in zona proibita, quella che si stava obbligando ad
evitare, e per sua fortuna il rumore dell'acqua che sfrigolava nel bollitore rischiando di fuoriuscire
dal pentolino lo vece drizzare in piedi e correre a salvare il salvabile. Quando si ritrovò
un'ustionante tazza di tè tra le mani, e andò di nuovo sedersi sulla poltrona, sentì una voce fuori
campo decretare, con una certa supponenza: «Lo avevo detto, che era già pronto».

John si scottò la lingua nel bere e preferì evitare di commentare, prendendo di nuovo in mano il
giornale, e sfogliandolo lentamente. Era quasi riuscito ad immergersi nella lettura di un articolo di
politica estera, quando sentì di nuovo la voce alle sue spalle domandare, con la massima
tranquillità: «Trovato qualcosa di interessante?»

John voltò la testa verso di lui, che si stava vestendo con la massima naturalezza, accovacciato sul
divano. «Hai letto questo giornale ieri, Sherlock, e anch'io» replicò, inarcando appena un
sopracciglio.

Quello si alzò il calzino sinistro prima di rispondere. «Sì, ma non con le mie note».

John aprì il giornale con uno schiocco, mostrandoglielo da sopra la poltrona, per poi leggere una
delle annotazioni ad alta voce. «“La donna che ha scritto quest'articolo, probabilmente una donna
sola ma con un figlio a carico, ha utilizzato per la prima bozza un vecchio notebook, probabilmente
con qualche tasto difettoso, il che legittima gli errori di battitura, ma non giustifica quelli di
sintassi e la poca coerenza dell'articolo, spiegabile solo in caso di una sua relazione,
presumibilmente segreta, con il direttore
”. C'era davvero bisogno di dirlo?»

Si girò a guardarlo. Aveva incurvato appena le labbra in un sorriso di compiacimento. John si
costrinse a non osservare oltre la curva perfetta della sua bocca, e a non pensare a che cosa avrebbe
voluto farci.

«Stavi cercando di impressionarmi?» commentò invece, con una punta di sarcasmo.

Sherlock si voltò dall'altra parte. «Non ne ho bisogno» replicò, e si alzò uscendo dalla stanza con la
camicia ancora abbottonata solo per metà, in una maniera che fece capire a John di aver avuto
indiscutibilmente ragione.

Un cellulare, posato sul tavolino davanti a lui, iniziò ad illuminarsi vibrando, ancor prima che
partisse la suoneria.

«Sherlock!»

John lo chiamò, prendendo in mano il telefono. Era Lestrade.

«Sherlock!»

L'altro non dava segni di averlo sentito, e John si stava giusto chiedendo se non fosse caso di
rispondere egli stesso, quando la chiamata terminò, per far spazio ad un nuovo messaggio di testo.

Scotland Yard. Vieni, appena possibile.

Una sgradevole sensazione si fece largo lungo lo stomaco di John, mentre si obbligava a restare
calmo, ed ad attraversare la stanza a passo rapido, per entrare nella camera spalancando la porta,
trovando l'altro già pronto, con il lungo cappotto nero addosso.

Sherlock accennò con la testa al telefono che John teneva in mano.

«Lestrade?» domandò, annodandosi la sciarpa intorno al collo pallido.

L'altro annuì. «Perché non hai risposto? Ci sono tre chiamate perse solo stamattina» domandò, la
gola stranamente sacca.

«Perché so già che cosa vuole, e mi piace svegliarmi con calma» rispose Sherlock, senza fare una
piega. Attraversò la stanza, prendendogli il telefono di mano ed infilandoselo in una tasca.

«E cosa vuole?» chiese ancora John, immobile sulla soglia, accigliato.

Sherlock era già a un passo dalla porta, quando si voltò verso di lui, e parve attendere un secondo
prima di parlare, come scegliendo le parole giuste. «Ricordi cosa stava facendo l'ultimo giorno che
è stato qui, prima che io...?» Alzò appena le sopracciglia, come a suggerire il resto della frase, e
quel qualcosa che aggravava lo stomaco di John parve appesantirsi di piombo. Deglutì.

«Trovo decisamente difficile dimenticare i dettagli di quel giorno, Sherlock» replicò, duramente.

Lui sembrò non farci caso. Si limitò ad accigliarsi appena, come invitandolo a continuare.

John trattenne un sospiro, e si costrinse a rispondere correttamente alla domanda. «Ti stava... ci
stava arrestando, giusto?»

Sherlock non annuì, ma non lo contraddisse nemmeno. Si limitò a guardarlo con uno sguardo
stranamente perforante, poi aprì la bocca e commentò: «Gli ci è voluto un po' per ricordarsi che non
aveva ancora finito di farlo».

Aprì la porta e fece per sparirci dentro, poi all'ultimo secondo fece capolino dalla soglia, lo guardò
dall'alto in basso, e aggiunse, aggrottando le sopracciglia: «Forse dovresti cambiarti, prima di
uscire, presentarti a Scotland Yard in pigiama sarebbe indecente».


 
Note dell'autrice:

E con incredibile rapidità, ecco già il primo, vero capitolo, yo.
Nonostante Mercoledì avessi postato solo un piccolo, minimo, prologo, già più gente di quanta mi aspettassi ha
buttato un occhio e seguito questa storia, so, grazie mille, I hope you'll stuck with me until the end (did you mean:
"01/01/2014"?)
, e... nulla, grazie a tutti, e uno special thanks to
topstiel che mi sta betando (con estrema calma, LOL), e a
dininokid, che mi sta aiutando psicologicamente con questa cosa.
Oh, e se per qualche sconosciuto motivo qualcuno dovesse essere interessato, su Ao3 c'è la versione inglese di questa
stessa storia, feel free to check it here (-->
http://archiveofourown.org/works/1060910)
Kisses,

Relya.

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: AlexisLestrange