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Autore: Renesmee_CuLLen    01/12/2013    1 recensioni
Una storia drammatica, che ha inizio subito dopo la famosa battaglia. Renesmee ha fatto una brutta fine, nessuno sa cosa le sia successo. Rivelazioni, segreti, fatti che nessuno avrebbe mai immaginato potessero accadere. Tutto in una sola storia.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Corro verso la stanza della signora White. Apro leggermente la porta e mi affaccio. Dorme.

Mi fiondo verso il suo studio, poche porte più un là. Entro e accendo la luce.

Mi metto seduta sulla sua poltrona e apro tutti i cassetti.

Guardo tutte le carte, le leggo tutte con una velocità impressionante.

Poi sul fondo dell’ultimo cassetto lo vedo. Vedo quello strano segno rosso.

L’afferro e lo riconosco: il simbolo che era sulla lettera che mi aveva consegnato quell’uomo.

Faccio attenzione che tutti stiano a letto e la apro.

 

Alla presenza della signora White.

La ragazza che si trova davanti a lei è muta, ed è orfana di padre e di madre.

Io non posso badare a lei, mi è impossibile, le farei solo del male.

Potrebbe presentare dei strani comportamenti, ma fanno parte di lei.

Per favore, si prenda cura di lei.

 

Strani comportamenti? Che significa?

Giro la lettera e fisso quel simbolo rosso. Fissandolo attentamente noto una scritta minuscola.

 

“Volterra”

 

 

 

 

Nel buio mi dirigo velocemente verso la biblioteca. Prima non sarei mai riuscita a vedere, poi con la mia goffaggine sarei caduta ogni due metri.

Mi avvicino a uno scaffale e prendo una delle mille enciclopedie che mi compaiono davanti.

Sfoglio le pagine, fino ad arrivare alla lettera V. Eccola, “Volterra”:

 

Volterra è un comune italiano della provincia di Pisa.

 

Una città in Italia? Ma io sono in Inghilterra. Che c’entra?

Non capisco.

A Volterra troverei delle risposte? O solo guai?

Non so chi sono, cosa sono in grado di fare. Mi metto seduta e comincio a sfogliare le pagine dell’enciclopedia, rimuginando su cosa devo fare.

Poi abbasso gli occhi e mi ritrovo davanti una parola.

 

VAMPIRO: essere mitologico o folkloristico che sopravvive nutrendosi dell’essenza vitale (generalmente sotto forma di sangue) di altre creature.

 

Ma che sciocchezza, i vampiri non esistono.

Inesorabilmente mi torna in mente il corpo che pochi minuti prima ho prosciugato senza pietà. Forse non è una sciocchezza.

 

 

Nel modo più silenzioso possibile mi dirigo verso la camera comune dove dormiamo noi ragazze. Mi avvicino velocemente al mio armadio, afferro tutto quello che mi potrebbe servire e tutto quello che non potrei mai lasciare qui: le mie scarpette da punta, i miei spartiti, alcuni vestiti, i documenti, il passaporto e la lettera misteriosa. Butto tutto nel borsone e corro via dalla stanza e mi dirigo di nuovo verso la camera della signora White. Mi avvicino ai suoi cassetti, ne apro uno e trovo subito delle banconote.

Ne afferro una manciata ed esco dalla stanza chiudendomi piano la porta alle spalle.

Cammino per tutto l’atrio fino ad arrivare alla porta.

Osservo quella che è stata la mia casa per sette lunghi anni, e che non mi vedrà mai più.

 

Davanti a me si presenta una foresta innevata. Mi guardo intorno, non avendo idea di dove devo andare. Poi, improvvisamente, sento dei suoni, delle macchine.

Il mio corpo si lascia andare, senza che io gli dia il permesso, e senza rendermene conto mi ritrovo a correre ad una velocità impressionante, sfrecciando in mezzo agli alberi.

Seguo i suoni, sperando di arrivare in un punto più civilizzato rispetto a dov’ero prima.

Smetto di correre quando mi rendo conto di essere in prossimità di una strada molto trafficata; comincio a correre a lato della strada, abbastanza lontana per non farmi vedere dalle persone. Dovrò pure arrivare da qualche parte.

 

Nel vedere la città di Londra dopo poche ore di corsa rimango molto sorpresa, pensavo che l’orfanotrofio fosse collocato molto più lontano dalla civiltà.

Voglio lasciare questa città, questo paese, voglio andarmene.

 

Potrei andare a Volterra, potrei scoprire chi sono, da dove vengo, ma ho troppa paura.

Paura di scoprire che in realtà sono una brutta persona che ha fatto cose brutte, che ha fatto del male. Una vita come la mia, una vita in cui tutti ti trattano di merda o ti abbandonano, se la meritano solo persone che hanno fatto qualcosa di sbagliato, ma io non riesco a ricordare.

Non ricordo nulla, prima della mia prigionia. Non ricordo nemmeno quando mi ci hanno portato, chi mi ci ha portato.

Ricordo solo quella cella. E Lui, che mi ha fatto provare sensazioni che nessuno dovrebbe provare. Paura, per la mia vita. Ansia, pensando a quando sarebbe tornato. Il dolore, mentre faceva cose impronunciabili. Ho subito violenze, ho mangiato una volta alla settimana per anni. Non ho mai soddisfatto questa presunta sete di sangue. Immobile in una cella, per tanto, troppo tempo, senza vedere nessuno, senza parlare, respirando sempre la stessa aria.

 

Riesco ad arrivare, con non poca fatica, all’ aeroporto, quello stesso aeroporto di tanto tempo fa. Entro e davanti a me si presenta subito lo schermo con le partenze e gli arrivi.

Berlino, Roma, Madrid, Copenaghen. C’è l’imbarazzo della scelta.

Trovo una sedia e mi siedo. Apro la borsa e prendo i documenti con i dati che mi aveva affibbiato quell’uomo.

Secondo quanto dice qui, mi chiamo Elizabeth Smith, sono nata l’11 settembre 2006 a Londra.

Dovrei avere 17 anni, ma a me sembra di averne più o meno 20, o 21.

Alzo lo sguardo di nuovo verso le schermo e leggendo tutti quei nomi della città, riesco a trovare quella perfetta: Mosca.

 

  
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