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Autore: KillingJoker    01/12/2013    1 recensioni
Un uomo con un passato misterioso, arrivato esausto in un villaggio pacifico ed isolato dopo un lunghissimo viaggio. Un cavaliere instancabile che viene fermato da un ponte. Un cavallo che sparisce lasciando a terra solo ossa.
-"Il loro dovere era di primaria importanza su tutto. Sulla carità, sul riposo, sul cibo e persino sulla stessa vita. Nulla avrebbe dovuto fermarli. Nulla avrebbe osato..."-
A metà tra il solito fantasy e una moderna visione della magia e delle ambientazioni, questa è una storia di misteri e di strani personaggi, di potenti magie e di antiche entità. Il classico dei classici? Forse. Ma spero che resti comunque interessante.
Buona lettura
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Cap.3, “Tribù”-

 

Una delle abilità necessarie per essere un buon cacciatore è la pazienza. Questo lo sanno anche i bambini. Ma un fatto meno noto è che ci sono cacciatori in grado di sopperire alla mancanza di tale virtù. Faraes Naïlo è uno di questi: egli discende dalla nobile casata dei Naïlo, una stirpe di grandi cacciatori e guerrieri. Si dice che un loro antenato salvò il continente da una minaccia che questo mondo non aveva mai visto, ma sono solo leggende. Ciò che si trova nel mondo reale è, invece, suo padre Vashtam e il suo clan. Gli elfi sono sempre stati famosi per essere arcieri infallibili e mantengono tutt'ora il primato nell'arte di scovare e catturare qualsiasi tipo di preda, ma il Clan Brezza Notturna è considerato tra tutti il migliore in assoluto. Essere il figlio di un capo-clan non è facile, ma non è altrettanto difficile immaginare le aspettative che pendono sulle spalle di Faraes.

Crescere sapendo di doversi contenere, sognare di essere libero e vedere catene ai propri piedi. Questa era la sua visione della realtà. A ciò conseguì una grande mancanza di pazienza, la fretta di finire in tempi brevi il proprio lavoro per avere modo di pensare ad altro. In molti, specialmente suo padre, lo rimproveravano per la sua impulsività, ma dopotutto i suoi colpi centravano i bersagli e gli obbiettivi venivano sempre completati e non rimaneva molto da criticare.

 

L'unica persona che non aveva mai dissentito, né si era mai opposta alle opinioni di Faraes, era Falandria, sua amica d'infanzia e confidente. E fu proprio a lei che pensò, mentre rincorreva l'ultimo obbiettivo della giornata. Lei avrebbe capito perché odiava fermarsi sui rami di un albero ad osservare per minuti interminabili quel cervo. Non avrebbe avuto bisogno di chiedergli perché sprecava le sue energie a rincorrerlo invece di colpirlo alla gola con un colpo preciso ed improvviso come gli era stato insegnato. Lei avrebbe visto, avrebbe apprezzato e sorridendo avrebbe applaudito quando lui, dopo aver esitato un po' nell'inseguimento, aveva preso con un ampio e fluido movimento la freccia dalla faretra per poi incoccarla e, mentre saltava giù dall'albero, scagliarla. La freccia emise un leggero sibilo nel breve tragitto che la separava dalla zampa posteriore destra del cervo. L'elfo atterrò a qualche passo di distanza.

“Da una distanza così ravvicinata anche un neonato sarebbe capace di colpire al collo” - disse il giovane Garlaoram, che lo stava osservando. Ma stavolta la freccia che Faraes scoccò volò per settantadue metri prima di attraversare la mela che il ragazzo teneva in mano, sottraendola alla sua presa e inchiodandola ad un tronco poco distante.

“La tua giovane età ti concede di mancare di saggezza, ma non di rispetto. Se fossi impreciso come sostieni, ora la tua mano avrebbe un indice in meno. Sono il figlio dello Shonder da 153 anni, ho imparato tutti i trucchetti che servono ad impressionarti”. Il cacciatore si avvicinò all'animale, mentre prendeva una sottile striscia di stoffa dalla sua sacca.

“Perché non l'hai ucciso allora?” - chiese Garlaoram, mentre cercava di cancellare dal suo volto l'espressione terrorizzata che era sicuro di avere. Faraes estrasse la sua spada e vibrò un fendente verso il basso, a pochi centimetri dall'orecchio del cervo.

“Ciò che mi hanno chiesto sono le sue corna, non la sua vita. Ed io non intendo certo privarlo di tale dono per il tuo piacere” - rispose vibrando un secondo fendente. Raccolse infine le corna e con molta accortezza estrasse la freccia che lui stesso aveva scagliato, affrettandosi a bendarla con la stoffa.

“Ora va'. Io ti raggiungerò tra poco, intanto informali che l'ordine è stato eseguito”.

Mentre il giovane elfo si allontanava, Faraes si chinò sul povero animale che soffriva ai suoi piedi. Non riusciva a togliersi dalla testa quel pensiero... 'Un giorno ci malediranno per questo'.

Iniziò a pronunciare la formula che ormai conosceva a memoria. Era uno dei pochi incantesimi che venivano insegnati ai cacciatori, ma di sicuro era anche una delle parti fondamentali del loro equipaggiamento. A chiunque, perfino al più esperto, può capitare di rimanere ferito durante una missione. In quel momento, quando ci si trova sull'orlo di un baratro, conoscere anche soltanto un piccolo incantesimo di guarigione può fare la differenza tra la vita e la morte.
Sentì l'animale gemere, sapeva benissimo che la magia andava risparmiata, perché essa è un'alleata volatile e malevola. E' capace di fare più male del bene che promette di portare. Ma il dolore che gli squarciava il cuore era troppo grande per ignorarlo come gli avevano insegnato a fare. Togliere la vita ad un animale per fame, o per bisogno, è parte del ciclo naturale della vita. Una volta ucciso non si può tornare indietro e si riesce a dimenticare. Ma lui aveva fatto quel passo che nessun cacciatore dovrebbe mai fare: aveva lasciato aperta una possibilità di redenzione.
Il suo odio per le tradizioni, che lo costringevano ad uccidere senza una reale necessità di farlo, lo aveva portato a commettere un errore imperdonabile: quello della pietà. Ed ora, mentre le lacrime gli bagnavano il viso, era certo che sarebbe stato condannato per quel misero tentativo di rimediare.

 

 

Tornò che il sole era già tramontato, ma questo non rendeva affatto difficile individuarlo. Non per la sua gente. La prima a vederlo però, con sua grande amarezza, fu proprio Falandria.

“Faraes, per gli Dei... cosa hai fatto??” - la voce le si strozzò in gola, mentre singhiozzava.

Il suo clan lo guardava come si guardano i condannati. E lui effettivamente lo era.

La sua più cara amica piangeva per lui. E lui stesso piangeva per sé.

Suo padre lo guardava con aria delusa. Ed anche lui era deluso.

Si accarezzò ancora una volta i capelli, sentendoli ancora una volta crespi e ben più corti di quando aveva lasciato la sua casa al mattino. Il cervo, in piedi al suo fianco, appoggiò il muso al suo braccio sinistro, attizzando le braci del dolore che lo affliggeva. Le ferite lo martoriavano, ma ciò che provava in quel momento, il patto che lui stesso aveva inciso sulla sua pelle, non gli procurava alcun fastidio. Il sangue che colava sul suo petto, misto alle lacrime, era un tributo che era pronto a pagare per il perdono della sua gente.

Gettò le corna a terra, davanti alla porta della sua casa, ai piedi di suo padre.

“Questo è ciò che mi è stato richiesto. Ho compiuto la mia missione, Shonder”.

Accarezzò ancora una volta la testa priva di corna del suo compagno, pensando ancora una volta che i suoi capelli non potevano risultare uno scambio equo per ciò che lui aveva portato via a quel cervo. “Ti ripagherò” - sussurrò, mentre, tornando sui suoi passi, si allontanava dal villaggio.

Suo padre continuava ad osservarlo. Poi, lentamente, si avvicinò al dono che gli era stato lasciato nella polvere. Lo raccolse.

“Hai indubbiamente compiuto la missione, ma a quale prezzo, figlio mio?”.

  
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