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Autore: Chemical Lady    02/12/2013    2 recensioni
[Tratto dal Capitolo Terzo ]
La casacca del colore delle foglie vive, gli occhi grandi ed espressivi, il pugnale in cinta. Non poteva essere.
Mentre Felix si alzava in piedi, attendendo un qualsiasi cenno, quest’altro si abbassava, mettendosi in ginocchio davanti a lei. Sorrise, alzando un sopracciglio con una certa dose di soddisfazione, prima di sussurrarle “Coraggio, dillo.”
Wendy deglutì a vuoto un paio di volte, ipnotizzata “Tu…. Tu sei…”
“Chi sono, io?”
“… Tu sei Peter Pan.”
Il sorriso sul volto del ragazzo si allargò ancora di più. Con uno sguardo veloce e un piccolo cenno del capo congedò Felix, che sparì in un istante.
“E tu sei Wendy Darling.”
***
[Tratto dal Capitolo Quattro]
“Ora li chiami ‘affari’?”
Peter lo guardò per un istante “Come dovrei chiamarli?”
Il Capitano sorrise appena, smaliziato “Come dici sempre? Oh si…” attese un paio di secondi, prima di parlare “ I tuoi ‘Giochi da Bimbi Grandi’, ragazzo.”
Anche Pan si concesse un sorriso lascivo “Oh, quelli che posso fare solo con te, mh? Beh, avremo tempo anche per quelli, ma prima ho faccende serie di cui parlarti.”
Incuriosito, si sbrigò a seguirlo.
***
[LostBoys Centric]
[DarlingPan; CapitanPan]
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Killian, Jones/Capitan, Uncino, Pan, Trilli, Wendy, Darling
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
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~  The Price
to Pay.


Capitolo secondo.
A placet to belong.
 
 
 
 
 
 
 
 
“Padre, quelle due stelle, come si chiamano?”
Degli occhi chiari come l’acqua di un torrente iniziarono a scrutare il cielo, mentre un uomo si portava proprio accanto al figlio, appoggiandosi al parapetto della nave. Con un gesto quasi teatrale si bloccò accanto a lui. Il ragazzino ridacchiò, mentre lo guardava assottigliare lo sguardo “Quali stelle, Daniel?”
“Quelle laggiù! Sono più grandi e luminose di tutte le altre. Indicano una qualche rotta?”
Il genitore si sforzò sul serio, concentrandosi al fine di trovare la fonte della sorpresa del figlio. Ma non vide assolutamente nulla. Si limitò ad appoggiare una mano sul suo capo, parlandogli di ogni altro corpo celeste visibile dalla loro nave alla fonda, ma di quelle stelle che tanto avevano catalizzato la sua attenzione, nemmeno un accenno.
Erano strane, troppo belle e luminose per poter venir catalogate insieme alle altre, ma allo stesso tempo parevano visibili solo a lui. Ne sua madre, ne suo fratello Damian potevano scorgerle, esattamente come suo padre.
Da quando le aveva viste per la prima volta, quella notte a Singapore, erano diventate una sorta di ossessione per lui. Daniel arrivò al punto da credere di averle inventate lui, di aver collocato lui stesso quei due occhi celesti lassù, fra le altre stelle, perché se suo padre non le conosceva, allora di certo non esistevano davvero. Gordon Locke era un pirata, un uomo di mare, che conosceva la collocazione degli astri molto meglio di quella della terra ferma.
Ergo, non poteva sbagliare.
Nonostante ciò, lui continuò a vederle ogni sera della sua vita, fino a che essa non cambiò drasticamente.
Erano da poco giunti a Londra, il luogo in cui era nato e da cui proveniva suo padre, quando le urla lo svegliarono.  Si alzò a fatica dalla sua branda, nella cabina del capitano, vedendo che accanto a lui non c’era nessuno. Il fracasso sembrava provenire dal ponte e quando l’urlo di una donna gli arrivò distinto alle orecchie, sentì il sangue gelarsi nelle vene. Solo a quel punto lasciò perdere le scarpe, correndo a perdifiato sul ponte.
Daniel non aveva mai visto un ammutinamento, ma sapeva comunque riconoscerlo a colpo d’occhio. Sulla nave si erano create due fazioni, una a favore di suo padre e una a favore di un pezzente che avevano raccolto per mare almeno tre mesi prima e che aveva iniziato ad avanzare pretese sul comando.
Bel ringraziamento, davvero.
Scivolando fra duelli alla spada e uomini caduti, cercava ansiosamente la sua famiglia. Ma non trovò suo padre, ne sua madre. Solo Damian che gli venne in contro con il terrore negli occhi e un taglio sul viso.
“Daniel! Presto!”
Il modo in cui lo afferrò per il braccio, caricandolo a forza su una scialuppa, e l’urgenza con cui gli consegnò una spada – la sua spada – lo confusero ancora di più. Perché lo stava mandando via?
“La nave è perduta, devi scappare subito!”
“Scappare?! E dove andrò?!”
“Rimani nei pressi del molo, se sopravvivremo, verremo a cercarti.” 
Le parole furono sbrigative, scelte con cura al fine di rassicurarlo, ma quel sentimento che Damian voleva infondergli non toccò il cuore del più piccolo. Negli occhi del fratello, Daniel lesse un addio.
Fece di tutto per non farsi calare in mare, si aggrappò a lui, strappandogli la bandana rossa che portava sui capelli, ma non riuscì a far altro, perché Damian tagliò la corta che sorreggeva la scialuppa con un coltellino molto prima che potesse addirittura parlare.
Con un tonfo, cadde tra le onde del mare, ma il legno resse l’urto, salvandogli la vita.
Poteva rimanere e combattere, era uno spadaccino da non sottovalutare, ma suo fratello aveva deciso al suo posto la direzione che il suo Destino avrebbe assunto da quel momento.
Così, mentre remava con gli occhi umidi di lacrime verso una riva che pareva irraggiungibile, Daniel fissava quella che prima era la sua casa, senza sapere che le stava dicendo addio per sempre insieme a tutti coloro che amava e che erano stati la sua famiglia.
Alzando gli occhi verso il cielo, una volta ormeggiata la barchetta, lo trovò spento come i suoi occhi sottili. Non vide nemmeno quelle stelle luminose per molto, molto tempo.


 
 
 
I rami degli alberi, carichi di soffici foglie fresche, erano il miglior giaciglio che Rufio potesse chiedere. Steso a pancia in su, con il volto puntato verso la moltitudine di stelle brillanti risplendevano nel cielo, rifletteva.
Non si ricordava da quanto tempo non sorgesse il sole. Certo, il concetto di ‘tempo’ era parecchio relativo a Neverland; alle volte veniva giorno per quelli che sembravano pochi minuti contati, altre volte il sole pareva non volersi scollare dal cielo.
Quella volta, però, sembrava passata un’infinità dall’ultima volta in cui si era steso sulle pendici di qualche rupe, coccolato dal calore di una serena giornata.
In effetti, sembrava passato parecchio anche dall’ultima volta che aveva vissuto a pieno una giornata tranquilla.
“Bell?” chiamò con voce bassa, arrochita dal pisolino che aveva schiacciato prima e dallo stare tanto in silenzio. Sopra al suo petto, una piccola fatina bionda alzò il capo guardandolo con occhi stanchi “Non ti manca il sole?”
La fatina si mise seduta, incrociando le gambe e volgendosi nella direzione del suo viso mentre passava un pugno chiuso sugli occhietti. Si sentiva come se avesse dormito decisamente troppo. Una volta rimesso a fuoco il mondo, alzò lo sguardo verso il cielo, cercando un qualsiasi segno del giorno che stava per giungere. Nulla, solo buio e stelle. “Di giorno la mia luce non si vede bene, quindi ho sempre preferito la sera, ma…. È da tanto che non vedo i raggi accarezzare tenui l’acqua del mare e un po’ mi manca.”
Rufio sospirò “Ti ricordi quando ci siamo conosciuti, e tu mi hai detto che il tempo e il clima qui sono come regolati da Peter?”
Tinkerbell annuì “In base al suo stato d’animo, esatto. Da quando è arrivato lui e Ombra si sono come fusi e quindi lui stesso è diventato parte dell’Isola.”
“Come pensi che potremmo interpretare tutto questo buio, quindi?”
Mordendosi un labbro, la fatina tacque. Era passato un tempo in cui adorava tutto quello che Pan rappresentava; era come una sorta di confidente per lui e si era spesso sentita come abbagliata dal carisma del ragazzo, seppur egli nascondesse sotto di esso qualcosa di terribilmente oscuro.
In quell’ultimo periodo, però, qualcosa stava cambiando. In meglio o in peggio che fosse, stava cambiato.
Non fece comunque in tempo a dare una sua interpretazione di quel fatto, che qualcuno si schiarì la voce ai piedi dell’albero attirando così la loro attenzione. Inizialmente ne fu sollevata, - preferiva evitare di giudicare qualsiasi comportamento di Peter, onde evitare di infastidirlo - fino a che non si accorse dell’identità della persona che stava cercando di richiamarli.
“Mi dispiace disturbare questa conversazione profonda e a cuore aperto” Sotto di loro, fra le frasche, videro il volto beffardo di Felix “A Pan servi subito, Rufio. Vuoi farlo davvero aspettare per spettegolare con quell’inutile fatina?”
“Hey! Non permetterti, Felix! ” Tinkerbell si alzò in volo, perdendo un poco di polvere sul petto del morettino. Davvero troppo poco, in effetti.
“Sai come si dice, Honey. Quando una mucca smette di fare il latte viene abbattuta.”  Rilanciò il biondo, appoggiando entrambe le braccia sulla sua preziosa mazza di legno, che teneva appoggiata dietro al collo. Quel suo tono canzonatorio la fecero arrabbiare al punto tale che non riuscì a rilanciare più.
“Sei un vero contadino, Felps.” Disse Rufio, senza staccare gli occhi dal cielo.
“E tu un vero pirata.”
Quelle parole lo convinsero ad accontentarlo, solo per farlo tacere. Sbuffò, afferrando il ramo sotto di lui e capovolgendosi all’indietro, atterrando con un agile salto sul manto erboso  “Come se far aspettare Peter fosse poi chissà quale crimine. Se è vero che il tempo qua non passa, non vedo tutta questa urgenza.”
La corteccia dell’albero era parecchio ruvida, ma Rufio lo realizzò solo quando ci andò a sbattere contro. Guardò con astio il viso del biondo, che stava a due centimetri dal suo, contorto in un’espressione irata “Verrà un giorno in cui ti farà passare tutta questa arroganza…”
“Beh, anche quel giorno sarò comunque il suo braccio destro e tu nulla più che bassa manovalanza…”
Tinkerbell afferrò il biondo per il cappuccio, cercando di tirarlo via da Rufio “Smettila!”
Lui, per risposta, le diede una manata che per poco la fece cadere a terra.
A quel punto, Rufio lo spinse via “Fai pure il prepotente finché puoi, Felix. Arriverà il giorno in cui tu verrai sistemato per la tua faccia tosta.”
“Non sino a che sarò il più fedele a Pan. Tu invece?”
Ogni volta sempre la stessa storia. Che non si sopportassero era risaputo, tanto che venivano spesso anche alle mani, ma nessuno dei due si sbilanciava mai troppo e lasciava correre per evitare di creare davvero dei problemi. Quella volta fu Rufio a non replicare oltre. Gli passò accanto dandogli una spallata, prima di avviarsi sul sentiero per tornare all’accampamento.
Sentì una risata beffarda di Felix, ma non vi diede peso. Solo Tinker pareva decisa a non cedere, tanto che una volta che si fu appoggiata sulla spalla del morettino, si voltò verso l’altro che procedeva dietro di loro e gli fece una linguaccia.
Come al solito, ci avrebbe pensato il capo a gratificare il migliore tra i due e di questo Rufio aveva la certezza.
L’accampamento si rivelò più caotico del solito. Ovunque c’erano ragazzini che camminavano a passo spedito da una parte all’altra, imbracciando armi o parlando concitati fra loro.
Quando Rufio raggiunse Pan, chino su una mappa dell’Isola insieme a Tootles, si schiarì la voce “Che succede?” si accorse solo in quel frangente che Tinkerbell non sedeva più sulla sua spalla.
Peter lo guardò serio “Succede quello che ti avevo detto che sarebbe successo” Rispose secco. Sembrava irritato e non andava bene per nulla. “Il Capo Toro in Piedi mi ha mandato a chiamare e mi ha comunicato le sue chiare intenzioni di ‘eliminarci’ se non smettiamo di comportarci come i padroni dell’isola.” Sbuffò, tra il divertito e l’offeso, guardando Rufio e poi Felix con il fuoco nello sguardo “Ha intenzione di chiedere ausilio ai Cannibali.”
“Con i quali, però, abbiamo un patto.” Si intromise mellifluo Felix, incrociando le braccia sul petto, sotto alla mantella marrone “Cosa vuoi che facciamo?”
“Tu andrai alla spiaggia ad eseguire le tua mansioni come ogni sera.” Decretò sbrigativo Peter, sistemandosi la fibbia della cinta che sorreggeva il suo pugnale dalla lama lunga “Ombra porterà qui altri bambini, mi serve che tu ti accerti di chi merita di unirsi a noi e di chi invece è meglio sbarazzarsi più o meno immediatamente, rispedendolo via. Ovviamente, assicurati che tutti abbiamo il trattamento che meritino al fine di ricordarsi per tutta la vita di Neverland. Rufio, tu devi andare dai Cannibali e ritirare ‘quella cosa’. La voglio qui il prima possibile e-”
“Devo occuparmi dei mocciosi mentre a lui assegni un compito del genere?!” la voce di Felix uscì più arrabbiata del previsto, ma decise di darsi un contegno. Non voleva indispettire Peter o trasgredire i suoi ordini, ma iniziava a sentirsi frustrato da quell’atteggiamento nei suoi confronti. Prese un respiro profondo, nascondendosi sotto al cappuccio per non vedere l’espressione contrariata di Pan “Sarà fatto.”
“Molto bene, porta con te Nibbs e Pockets.” Si voltò quindi verso Tootles “Tu invece sai che fare.”
“Proteggere l’accampamento insieme a Ted, Thud e Small.”
Con un cenno del capo, Peter asserì “Ace, Cubby e Nap sono già alla spiaggia. Ti conviene affrettarti, Felix.”
Rufio lo guardò divertito, prima di voltarsi verso il capo con un ghigno parecchio compiaciuto “Io prendo i Gemelli?”
Pan si limitò ad annuire, “Io invece farò una visitina alle sirene. Giusto per capire se posso o meno contare su di loro.” Batté le mani un paio di volte per attirare l’attenzione generale. Uno ad uno, i ragazzi si radunarono attorno a lui, sollevandosi i cappucci, rinfoderando le armi o sistemandosi i mantelli, “Portate a termine gli incarichi che vi verranno assegnati a dovere, perché questa volta rischiamo molto più di quello che credete. Questa è la nostra casa e presto gli Indiani capiranno che, per loro, non c’è più posto. Per Neverland!”
“Per Neverland!”
Quando il coro svanì, tutti iniziarono a darsi da fare.
Rufio scambiò semplicemente uno sguardo con Felix, prima di dargli le spalle seppur con un po’ di timore di sentire un coltello ficcarsi nella sua schiena. Non accadde, così radunò a sé i suoi due amici e insieme partirono, percorrendo un sentiero scosceso che dall’Albero dell’Impiccato li avrebbe condotti alla Laguna dei Cannibali.
Era quella la differenza tra loro due: Rufio non pretendeva di essere il migliore, ne sentiva quell’opprimente competizione che provava Felix.
Lasciava semplicemente che fosse Pan a fugare ogni dubbio.
 


 
 

 
La vita da bucaniere non era certo rose e fiori; rotte pericolose, mari in tempesta, mesi interi senza mai toccare la terra ferma, notti senza fine e giorni afosi…
Ma tutto, tutto era meglio della vita che attese Daniel quando si ritrovò solo, per le vie di Londra, senza nulla con sé se non la spada di suo fratello e una certa dose di coraggio e intraprendenza. Non si arrese mai, nonostante la consapevolezza di essere solo al mondo, e andò avanti al meglio delle sue possibilità.
In un primo periodo, fu accolto in un orfanotrofio dall’aria malandata, dove almeno era circondato da tanti altri bambini dall’infelice esistenza, come la sua. Passò qualche anno prima che la voglia di risentire la libertà scorrergli tra le dita si facesse troppo impellente.
Unirsi ad un gruppo di ragazzini per strada fu il passo successivo verso un inevitabile rovina. Da rubare il cibo che gli serviva per sopravvivere era passato a rubare oggetti da poter rivendere, prima di diventare un abile taglia borse.
Il confine tra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato si era fatto sempre più labile.
Così, un giorno, non ci aveva pensato due volte a infilare la spada di Damian nel petto di un uomo. Il motivo della discussione era stupido e lui non c’entrava nemmeno nulla. Aveva preso a strattonare uno dei ragazzini che vivevano con lui e, per difenderlo, era quasi arrivato alle mani con quest’uomo mai visto prima.
In un istante, le sue mani si erano tinte per sempre del rosso del sangue, come un marchio indelebile di un ricordo che mai e poi mai avrebbe potuto scacciare.
Da lì fu braccato e sapere che se l’avessero preso l’avrebbe atteso solo una morte crudele, con il capo appoggiato su di un ceppo, lo spinsero a cambiare nuovamente la sua vita. A causa di una stupida intromissione aveva segnato il suo Fato per sempre. Non poteva più rimanere in quel quartiere così si ritrovò, per l’ennesima volta, solo.
Il doversi spostare spesso e il non potersi fidare di nessuno, iniziarono a pesargli sull’anima, spegnendo la sua tenacia. Si ammalò con il primo freddo di fine ottobre, quando una sottile spolverata di neve prese a depositarsi sul piccolo paese che aveva raggiunto camminando in lungo e in largo, nel tentativo di abbandonare la città.
Con il respiro sempre più corto e la fronte bollente, raccolse la compassione di una piccola famiglia che lo accolse per qualche tempo in casa sua. La padrona di casa era una donna sulla quarantina con cinque figli da curare e un marito morto da qualche tempo. Era una donna molto dolce, povera ma che tutto ciò che aveva lo donava.
Adorava le fiabe e ne raccontava una diversa ai suoi figli ogni sera. Rufio si perdeva nelle sue parole, cacciando draghi sputa fuoco o cercando antichi tesori in terre lontane. Una favola, però, lo colpì particolarmente.
‘Seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino’.
Nel momento in cui la sentì per la prima volta, divenne la sua preferita; gli ricordava la sua infanzia, quando guardava le stelle con suo padre e lui poteva vedere quelle due più alte e più luminose di tutte. Poi Neverland…. Non esisteva un luogo più bello! Lì un bambino poteva vivere bellissime avventure, poteva volare, mangiare dolci e non aveva nessun adulto che potesse comandarlo. Doveva essere un luogo così bello e magico…
Si ritrovò a fantasticare spesso su quell’Isola, desiderando ardentemente di recarsi lì almeno nei suoi sogni. Non ci riuscì mai però
Non sino a che non fu costretto ad andarsene, per l’ennesima volta.
La donna che lo ospitava aveva a mala pena il cibo per i suoi figli, così, una notte di fine febbraio se ne andò. Sapeva che forse non sarebbe riuscito a sopravvivere al freddo della campagna inglese in pieno inverno, ma non riusciva a sentirsi così tanto un peso.
Ormai non aveva nemmeno più paura di morire, tanto la sua rassegnazione era forte.
Poteva augurarsi di arrivare all’equinozio di marzo vivo, però. Una volta arrivato il pallido sole primaverile a sciogliere la neve e a riscaldargli il volto, le sue chance sarebbero aumentate. Ogni speranza si infranse, però, quando si ammalò nuovamente.
Camminò per giorni con il peso opprimente della tosse e della febbre a comprimergli il petto, fino a che non si arrese, stendendosi sotto ad una quercia altissima, che delimitava l’ingresso ad un paese. Non sarebbe mai riuscito a fare un passo in più per chiedere aiuto.
Si mise sotto di essa, stringendosi nel mantello che aveva rubato poco dopo la morte dei suoi genitori, tenendo in mano la spada di Damian. La bandana la portava sui capelli, così come ogni giorno della sua vita da quando era successo. In un certo senso si sentì sollevato.
Stava morendo, non avrebbe più sofferto la fame o il freddo e forse avrebbe addirittura incontrato di nuovo la sua famiglia. Già immaginava il saluto di Damian che pretendeva di riavere le sue cose, il sorriso affettuoso di suo padre che lo accoglieva sulla loro nave e l’abbraccio caldo e profumato di sua madre.
Chiuse gli occhi con questa immagine in testa, deciso ad abbandonarsi del tutto, mentre riprendeva a nevicare.
Così ammalato ed intontito non si accorse dell’Ombra nera che si chinò su di lui nell’esatto istante in cui perse del tutto conoscenza. 
 
 

 
Di ritorno all’accampamento, Rufio si sentiva uno straccio. Contrariamente ad ogni previsione, i Cannibali del tempio, presso il quale era custodito l’oggetto che tanto interessava a Peter, avevano opposto una certa resistenza.
Non usava la spada da un po’ e quel fendente che era riuscito a ferirlo al braccio –seppur superficialmente- l’aveva destabilizzato.
Per molto, molto tempo si era sentito intoccabile accanto a Pan, e per una volta aveva rischiato grosso. Grazie anche a Duke e Binky aveva però messo k.o. le guardie e il sacerdote. Gli ordini erano quelli di farne fuori quanti più possibili, sarebbero stati nemici in meno da affrontare, ma essendo solo in tre non si erano spinti troppo oltre.
L’importante era che tra le sue mani ci fosse quello strano oggetto quadrato dall’aria stranamente inquietante. Peter aveva parlato ben poco di quell’affare con lui, ma ciò che sapere gli era bastato a far capire a Rufio che si trattava di un’arma potentissima, tramite la quale gli Indiani avrebbero potuto imprigionare Pan per sempre.
Se lo pensava Peter stesso doveva per forza essere vero.
Ci avevano messo più tempo del previsto, visto che il tempio era collocato in una radura a poche centinai di metri da un bosco fitto che conduceva direttamente alla laguna attorno alla quale vivevano quei pochi Cannibali che erano rimasti. Avevano quindi aggirato la zona, per evitare di incappare in uno di loro. Erano già pochi prima dell’arrivo di Peter e dei Bambini Sperduti. Poi i continui attacchi e tentativi di prenderli avevano spinto Pan a iniziare una lunga campagna di ‘bonifica’ di quella zona, come l’aveva chiamata divertito Pockets.
Ormai erano rimasti una manciata, per lo più inoffensivi. In modo particolare una volta persa la sola arma che potevano usare contro Pan.
Una volta ripresi sentieri conosciuti e sicuri, si fermarono e Duke bendò la ferita di Rufio, mentre Binky teneva la guardia, guardandosi attorno circospetto.
Il primo dei gemelli lanciò uno sguardo all’oggetto che avevano appena rubato, sbuffando scettico mentre assicurava la benda strappata dal suo mantello attorno al braccio del moro “Tutta questa fatica per una scatola?”
“Questa è molto più di una scatola.” Rispose con un sorrisetto divertito Rufio, alzandole per portarla davanti al viso dell’amico. Anche Binky si fece vicino.
“E cosa sarebbe, quindi?” domandò curioso quest’ultimo, toccandone piano uno spigolo con la punta dell’indice “Sembra molto vecchia.”
“Vecchissima, in effetti.” Decretò Rufio alzandosi di nuovo in piedi per riprendere la marcia “Peter mi ha detto che viene da un altro mondo e che è stato mandata qui perché nessuno la potesse usare. Nelle mani sbagliate potrebbe causare danni che vanno oltre la nostra comprensione.”
I Gemelli si scambiarono uno sguardo che sfiorava quasi il diabolico.
“Oh, ora capisco…”
“...Perchè Peter la vuole per sé.”
Anche il moro si lasciò sfuggire un sorriso che pareva più un ghigno, prima di riprendere le redini della conversazione, dirigendola altrove. Si ritrovarono a discutere di Felix senza nemmeno averlo predetto.
Tutti, eccetto lui, rispettavano il ragazzo.
Non chiese il perché, si limitò a storcere appena il naso mentre i due gemelli biondissimi si lanciavano in un racconto di Felix che sfiorava quasi l’eroico, nel quale avrebbe ucciso un cinghiale enorme con una semplice mazzata sulla tempia.
Il tutto davanti a loro.
Quasi si commosse per la felicità, quando raggiunsero finalmente l’accampamento.
Ad accoglierli ci fu Cubby, che subito li fece passare guardando curioso quello che Rufio reggeva fra le mani. “Ce l’avete fatta! Stavamo per uscire a cercarvi!”
“Non è andata affatto liscia, abbiamo dovuto fare un po’ di pulizia prima di fare ciò che Peter ci ha chiesto! A proposito, è tornato?”
“Da un pezzo. Credo sia da qualche parte vicino alle tende.”
Rufio avrebbe voluto rispondere che quella era in assoluto la risposta più cretina mai sentita: la zona delle tende era tutto l’accampamento, e non era nemmeno poi così limitata!
Con un sospiro mandò i Gemelli a riposarsi, prima di iniziare a vagare quasi alla cieca. Le tende e le piccole costruzioni che ogni ragazzino aveva provveduto a costruirsi erano situate tutte attorno ad un falò che Tubby Ted aveva l’ordine di tenere sempre acceso e alcune di esse erano persino nascoste dalla vegetazione.
Alzò gli occhi sulla cima dell’Albero dell’Impiccato, dove tra i rami contorti Peter aveva situato il suo giaciglio e cercò di capire se era lì, ma nulla.
Quando finalmente lo trovò, rimase alquanto spiazzato dalla scena che si trovò davanti: Peter se ne stava chino in terra, con un ginocchio appuntellato sul terreno umido e le mani incrociate sull’altro. Non era quella però la cosa strana…
Davanti a lui c’era una ragazzina bionda dall’aria spaventata ma allo stesso tempo rapita. Peter la stava guardando in modo strano, intenso e smise solo quando notò il ragazzo. Solo a quel punto scattò in piedi camminando verso di lui “L’hai recuperato.” Non era una domanda.
Rufio annuì comunque, porgendoglielo “Eccolo.”
Sul viso di Pan si disegnò una smorfia vittoriosa “Il Vaso di Pandora…”
In quel sorriso trionfale, Rufio si rispecchiò a pieno. L’appagamento di Peter era il suo, poiché era stato in grado di dargli una famiglia e una casa, quindi qualsiasi sua richiesta nei suoi confronti si era fatta d’improvviso legittima.
Non gli importava nemmeno cosa ci avrebbe fatto Pan con quella cosa, non stava a lui fare domande.
Avrebbe sempre fatto di tutto per aiutarlo a perseguire i suoi scopi, perché Peter Pan gli aveva dato la cosa più preziosa del mondo, per lui: un luogo a cui appartenere.
 
 
 
 
 
Riaprire gli occhi fu strano e meno doloroso del previsto.
Davanti a lui non vide nulla, se non dei sottili fili d’erba verdi, accarezzati dalla luce di una lieve aurora. Dove diavolo era finita tutta la neve?
Si alzò, facendo leva sulle braccia doloranti e gemendo piano nell’avvertire che la febbre che pareva essersi quietata, in realtà, era ancora lì. Non aveva una sola parte del corpo che non gli dolesse, in particolar modo il capo.
Quando riuscì a mettersi quanto meno in ginocchio, si ritrovò ad ammirare un luogo mai visto prima. La vegetazione era rigogliosa e tinta di vivaci colori. Il cielo sopra la sua testa era azzurro come quello primaverile e l’aria era cosparsa del profumo di mille frutti. Sentì la pancia gorgogliare, mentre cercava di mettersi in piedi.
Non poteva essere ancora in Inghilterra, poiché di luoghi del genere non ve n’erano in Bretagna. Si guardo attorno cercando di evitare possibili capogiri, mentre una serie di colpi di tosse lo costringevano a piegarsi in due sulle ginocchia.
Poi, un pensiero lo trafisse come un dardo: che fosse morto sul serio? Quello era il Paradiso che tanto aveva sentito descritto nell’orfanotrofio cattolico in cui era finito anni prima? Sì, doveva essere il giardino dell’Eden! Un luogo così bello non poteva esiste sulla terra.
Spinto da uno spirito nuovo, mosse qualche passo, ma era ancora troppo debole.
Si concentrò, nel tentativo di cercare un bastone a cui appoggiarsi, quando avvertì un leggero spostamento alle sue spalle. Non fece in tempo a voltarsi che una voce chiara arrivò alle sue orecchie “Sembri ridotto male, che ti è successo?”
Per la sorpresa incespicò, cadendo all’indietro. Davanti a lui però non c’era un potenziale assalitore o un brigante, ma un ragazzo come lui, forse più grande di uno o due anni al massimo.
Aveva lo sguardo leggermente confuso e sorpreso, ma non sembrava avere cattive intenzioni. Lasciò scorrere lo sguardo sui suoi abiti, molto diversi da quelli che portava lui, osservando la fattura di quella casacca verde e dei bizzarri stivalacci alti che portava ai piedi.
“Ti ho fatto una domanda, non credi sarebbe una cortesia da parte tua rispondermi?”
Trasalì, cercando di rialzarsi, ma inutilmente. Si sentiva come una tartaruga sul guscio, “Scusa! Io…. Uhm… Sono appena morto e non capisco…”
Il biondo alzò un sopracciglio “Morto? Non puoi essere morto”
Si sentì così confuso, più di quello strano ragazzo. Come poteva non essere morto? Tutto ciò non aveva senso “Questo non è il Paradiso?”
Il biondo lo fissò corrucciato, prima di scoppiare a ridere di cuore. “No, questo non è quel luogo che tu chiami ‘Paradiso’.”
Quando lo vide staccarsi da terra, alzandosi in volo, per poco non si strozzò con la saliva. Era impossibile doveva essere morto! Come si spiegava tutto ciò se no?
Lo guardò atterrare su una piccola roccia, prima di allargare le braccia e pronunciare con torno tronfio “Questa è Neverland!”
Sentì il cuore perdere di un battito. Dal nulla ritrovò un po’ di energie e si alzò in piedi, camminando piano verso il ragazzo “Tu sei…. Tu sei Peter Pan?”
Il biondo incrociò le braccia, sorridendo tronfio “Ebbene sì. La mia fama mi precede in ogni mondo a quanto pare.” Lasciò passare qualche istante, prima di scendere dalla roccia e camminargli attorno per esaminarlo per bene “Sai come mi chiamo io, ma io non so come, ti chiami tu. Dovresti rimediare.”
Cercò di non farsi mettere in soggezione da Pan, ma alla sensazione di meraviglia si sostituì il panico. Iniziò a boccheggiare, cercando nella sua mente di ricordare il suo nome, perché non poteva averlo dimenticato. Non era possibile! Portò una mano alla testa, sperando che fosse la febbre a fargli quell’effetto, a dargli quel senso di vuoto ma…. Non aveva senso.
Alzò gli occhi su Peter “Non lo ricordo…. Come è possibile che io non ricordi il mio nome?!”
Pan parve quasi deliziato da quella scoperta “Sei un bambino abbandonato, vero? Hai perso tutti e tutto, per questo non ricordi molto, se non stralci di ricordi. Questo è l’effetto che fa Neverland su di te. Non preoccuparti, appena tornerai al tuo mondo domani mattina ti ricorderai chi sei. Ora dimmi, bambino, cosa vuoi fare nel tempo di un sogno? Volare? Vedere le sirene? O forse gli indiani?”
Abbassò il capo, appoggiando una mano sulla spada di suo fratello. Ironico, sapeva a chi era appartenuta ma non ricordava nemmeno più il nome dei membri della sua famiglia.
Ci mise poco ad arrivare alla conclusione che non voleva più ricordare nulla. Sentiva dentro di sé un grande vuoto, una sofferenza unica che non avrebbe mai più voluto abbracciare. Per nessun motivo.
Si avvicinò a Peter, che stava di spalle ad elencare la marea di cose che avrebbe potuto mostrargli mentre gesticolava e si aggrappò alla sua casacca “Posso rimanere?” domandò velocemente, prima di iniziare a spiegarsi “A Neverland, intendo. E per sempre. Tu sei solo qui, ad attendere i bambini che nei loro sogni vengono a farti compagnia. Io potrei diventare…. Tuo amico.”
Pan rimase di sasso a quella richiesta, prima di scoppiare a ridere nuovamente. Si sentì preso in giro come poche altre volte in vita sua “Tu vorresti rimanere? Sei il primo a fare questa richiesta.”
“Hai detto bene prima, io sono solo al mondo! Non voglio più vivere così io voglio un posto a cui posso appartenere. Ti prego, permettimi di rimanere a Neverland, non sarò un peso e ti aiuterò in tutto ciò che fai.”
Peter sembrò soppesare questa eventualità.
La solitudine era stato un prezzo alto da pagare, quando aveva deciso di diventare ciò che era ed ora quel ragazzino gli stava chiedendo di condividere quel fardello. Voleva appartenere a qualcosa, non era interessato alla magia o alla vita eterna.
Doveva averlo incantato, mentre elogiava l’Isola e tutte le sue meraviglie con fierezza, quindi ritenne quella richiesta comprensibile.
“Rimarresti in eterno un fanciullo, qui il tempo non scorre.”
“Non mi importa, sono stanco di stare solo.”
Quelle parole lo convinsero definitivamente. Pan alzò le braccia, come nel tentativo di spiegare una coperta e, quando le riabbassò oltre le spalle del ragazzo, essa era effettivamente apparsa. Era calda e profumata, di un tessuto così morbido da sembrare fatta di nuvole.
“Va bene.” Decretò semplicemente Peter, prima di appoggiare una mano sul suo capo per sfiorare la bandana rossa. “Puoi rimanere, ma a condizione che faccia sempre ciò che ti dirò, senza obiezioni.”
“Accetto, Peter.”
Il biondo annuì piano, prima di alzare una mano ed imporla davanti al viso del ragazzino moro. Dal palmo sembrò sprigionarsi una sottile nebbia verde che lo avvolse, rinvigorendolo e curandolo almeno in parte.
“Come ci riesci? Polvere di Fate?”
Peter scrollò il capo con un sorrisetto beffardo “No, sono io. E quest’Isola. Questa è magia, niente di più”
Gli fece cenno di seguirlo “Dove stiamo andando?”
Pan si voltò di nuovo, afferrandolo per un polso e alzarsi in volo con lui “Nella tua nuova casa, Rufio.”
 


Nda. 

Grazie a tutti coloro che hanno iniziato a leggere la storia e chi in particolare mi ha inserita tra seguite e preferiti.
Non mi aspettavo un tale riscontro solo al primo capitolo!
Come avete visto, siamo arrivati al punto in cui non si capisce nulla dei piani di Pan, ma che sicuramente svelerò presto!
...Spero!

Ho introdotto Rufio, che spero vi sia piaciuto -spiegazione del nome compresa- mentre nel prossimo capitolo vedremo il carissimo Felix
E non solo... Anche l'arrivo ben spiegato e descritto di una certa biondina...

Mando un bacio GIGANTE alla mia BFF Vale, che mi ha betato la storia e che ogni giorni subisce la mia presenza.
Sei la Wendy del mio Peter, entra nella gabbia Hon <3

Un grazie in particolare a chi ha recensito ** 
Mi avete fatto felicissima, grazie!

A presto. Un abbraccione a tutti
Jessy
 

 


 
  
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