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Autore: Chemical Lady    08/12/2013    2 recensioni
[Tratto dal Capitolo Terzo ]
La casacca del colore delle foglie vive, gli occhi grandi ed espressivi, il pugnale in cinta. Non poteva essere.
Mentre Felix si alzava in piedi, attendendo un qualsiasi cenno, quest’altro si abbassava, mettendosi in ginocchio davanti a lei. Sorrise, alzando un sopracciglio con una certa dose di soddisfazione, prima di sussurrarle “Coraggio, dillo.”
Wendy deglutì a vuoto un paio di volte, ipnotizzata “Tu…. Tu sei…”
“Chi sono, io?”
“… Tu sei Peter Pan.”
Il sorriso sul volto del ragazzo si allargò ancora di più. Con uno sguardo veloce e un piccolo cenno del capo congedò Felix, che sparì in un istante.
“E tu sei Wendy Darling.”
***
[Tratto dal Capitolo Quattro]
“Ora li chiami ‘affari’?”
Peter lo guardò per un istante “Come dovrei chiamarli?”
Il Capitano sorrise appena, smaliziato “Come dici sempre? Oh si…” attese un paio di secondi, prima di parlare “ I tuoi ‘Giochi da Bimbi Grandi’, ragazzo.”
Anche Pan si concesse un sorriso lascivo “Oh, quelli che posso fare solo con te, mh? Beh, avremo tempo anche per quelli, ma prima ho faccende serie di cui parlarti.”
Incuriosito, si sbrigò a seguirlo.
***
[LostBoys Centric]
[DarlingPan; CapitanPan]
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Killian, Jones/Capitan, Uncino, Pan, Trilli, Wendy, Darling
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
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~  The Price
to Pay.


Capitolo Terzo.
The Life I've Chosen.
 

 
 


Il fuoco davanti a lui stava iniziando ad affievolirsi, ma non gli andava di alzarsi per recuperare altro legname. Sentiva il freddo fin dentro alle ossa, come se esso fosse in grado di bloccargli legamenti e muscoli.
Se si fosse alzato, quel ginocchio malandato sarebbe saltato, altro che.
Abbandonò quei pensieri lamentosi, tornando ad incidere con perizia il bastone da passeggio che quello strano individuo aveva commissionato. Non l’aveva visto in volto, ma da lontano e di spalle pareva essere ricco quanto repellente.
Un individuo mai visto, sicuramente straniero, per esser chiari.
Stava ancora cercando di rifinire con eleganza il contorno di una rosa, quando la voce forte di suo lo fece sbagliare. “Bard! Dove diavolo sei, maledetto ragazzo?! Sempre a perdere tempo in stupidaggini!”
Stringendo gli occhi per sopprimere la vena omicida che si era messa a pulsargli nella tempia, il biondo ficcò il coltello nel terreno e spezzò il bastone con una pedata, prima di gettarlo nel fuoco. Tanto avrebbe dovuto ricominciare da capo.
Doveva presentare un lavoro impeccabile, come sempre.
“Schiatterai, prima o poi, maledetto bastardo.” Sibilò tra i denti stretti, afferrandone uno nuovo, ricavato dalla stessa noce dell’altro, e riprendendo da capo l’intero lavoro.
Quasi non sentiva più le mani nonostante fossero avvolte dai guanti quando arrivò a completare l’opera. La alzò davanti agli occhi, per controllare che non vi fossero segnacci o sbavature, ma l’incisione risultava pulita e precisa.
Ecco il suo premio per l’essere il figlio di un carpentiere e falegname: sapere lavorare il legno con una maestria a dir poco invidiabile, ma aver iniziato a farlo che non era che un bambino. Non sapere nemmeno cosa fosse, l’infanzia, ne come ci si sentisse nel passare del tempo in compagnia con degli altri ragazzini, immerso nei giochi.
Non aveva mai provato la felicità e non aveva mai riso davvero di cuore.
Passava la vita in quella triste casa che condivideva con suo padre e con la giovane che era stato costretto a sposare un anno prima, pregando per la morte di entrambi e la sua liberazione.
Da loro si recò, dopo aver spento le poche braci rimaste con una manciata di neve bianca, varcando la porta come se si trattasse delle porte dell’Ade stesso. Appoggiò i frutti del suo lavoro contro il muro, slacciandosi il mantello e guardando cupamente verso la tavola imbandita di pane e formaggi. Quanto meno, grazie alla sua fatica, non mancavano mai di cenare.
Ayra venne verso di lui con il solito sorriso luminoso da ragazzina spensierata, baciandolo sulla guancia. “Coraggio, siediti! Ho cucinato per te tutto il giorno!” Trillò allegra, riempiendo una ciotola con della zuppa prima di passarla al padre del marito.
L’uomo lanciò uno sguardo furtivo al figlio, senza degnarlo nemmeno di un saluto o di un cenno. Che si odiassero, non era di certo una novità.
Quando era piccolo, era solito testare la durezza del legno sulla schiena di Bard, sino a che non era cresciuto ricambiandogli il favore e rendendogli quasi inutilizzabile la gamba destra.
Era folle, quel ragazzo. Aveva qualcosa, negli occhi azzurri come il ghiaccio, di malato.
Non aveva mai degnato di uno sguardo la bella ragazza con cui l’aveva costretto a maritarsi, consumando il matrimonio solo per renderlo ufficiale e per poi riprendere a dormire nella stanza che era la sua da bambino.
Non era sano quel suo modo di vivere, come se cercasse in ogni modo di non crescere, di non diventare mai un uomo, aggrappandosi alla adolescenza.  Beh, se voleva continuare così, lui lo avrebbe solo accontentato “Sbrigati a mangiare, moccioso. L’acquirente del bastone che hai fatto oggi passerà non appena la luna toccherà la punta degli alberi.”
Ayra guardò senza capire entrambi, mentre spezzava una pagnotta di pane ancora caldo “Come mai ad un’ora così tarda? Che razza di uomo è?”
Il padre rise, tetro, guardando verso il figlio con espressione pregna di malignità “Lo scoprirà Bard, che ‘uomo’ è. Sbrigati a mangiare e vai a concludere la vendita, devi recarti ai limiti ovest della Foresta.”
Sperava di intimidirlo, ma non ci riuscì affatto; nel petto del biondo prese a vibrare una certa curiosità. Si ficcò in bocca un pezzo di formaggio, trangugiando un bicchiere di sidro, prima di alzarsi e recuperare bastone, mantello e spada. Non si sapeva mai, chi si sarebbe potuto trovare davanti.
Se la prese comoda, arrivando in quello che sarebbe dovuto essere il punto di incontro con un certo anticipo. Spiò le fronde degli alberi e i sentieri che da quella piccola radura si irradiavano per il Bosco Incanto e, quando fu sicuro di essere solo, si mise a sedere su un tronco d’albero.
Osservò di nuovo il bastone, prendendo il coltellino per levigare ancora di più una zona che si era scheggiata chissà come, soffiandovi poi sopra per ripulirlo da ogni residuo. Quando lo alzò davanti agli occhi per controllarlo, si trovò faccia a faccia con qualcuno.
Si sbilanciò per la sorpresa, cadendo all’indietro. “Cosa diavolo…?”
“Mi piacciono le persone che arrivano in anticipo agli appuntamenti, non mi fanno perdere tempo!” trillò quella losca figura, abbassandosi il cappuccio di un elaborato mantello color fumo. Il suo volto era semplicemente repellente, squamato, e gli occhi rievocavano quelli di un rettile.
“Chi siete voi?” domandò Bard con tono basso, rialzandosi il piedi con la mano libera appoggiata sull’elsa della spada.
Quell’ ‘uomo’ fece un buffo inchino, agitando in modo assai originale le mani “Tremotino, messere, o colui che vi ha commissionato il lavoro.”
Tremotino.
Aveva sentito parlare di lui all’osteria del paese a valle. Davanti a lui se ne stava l’Oscuro signore. Contro ogni previsione –sia sua che del suo interlocutore- non parve affatto turbato da ciò. Sorrise furbescamente, passandogli il frutto del suo lavoro come se si trattasse della spada più preziosa.
Tremotino afferrò il bastone, controllandolo per bene prima di mugolare appena, muovendo il capo come se stesse gongolando per la felicità “Sapevo di non poter sbagliare, nell’assegnare il lavoro a voi. Il prezzo fissato da vostro padre sono otto monete d’oro e mi sembrano ben spesi.”
“Al diavolo l’oro! Ho altro che desidero chiedervi e so che voi potete aiutarmi.”
Il folletto lo guardò inclinando appena il capo, incuriosito da tanta sfacciata intraprendenza “E cosa vorreste, di grazia?”
“La mia infanzia”
A quelle parole, Tremotino rise “E se vi dicessi che non posso accontentarvi in questo?”
“Allora permettetemi di rimanere così per sempre!” insistette Bard, facendosi ancora più vicino di qualche passo “Sono stanco di sentirmi un servo, voglio iniziare a vivere.”
L’Oscuro finse di pensarci su “Invero, potrei fare in modo di accontentarvi.” Si chinò verso il viso di Bard, sussurrando piano “Esiste un luogo, in un altro mondo molto lontano da qui, dove il tempo non scorre. Rimarreste giovane in eterno, se è quello che desiderate.” Si staccò, facendo qualche passo verso la foresta e mulinando il bastone sulla sua testa, prima di puntarlo al cielo “Seconda stella a desta, questo è il cammino! E poi diritto, sino al mattino!” prese a canticchiare, tornando a guardare il ragazzo davanti a lui.
Il biondo rimase in silenzio per un istante, chiedendosi se fosse una scelta saggia. Al solo pensiero di andarsene da quel luogo infernale, però, sentì la morsa che lo stringeva al cuore dalla nascita allentarsi. “Mi sembra un ottimo compromesso. Speditemi laggiù, quindi!”
Tremotino rise ancora “Non è così facile, signorino. La magia ha sempre un prezzo, che è sicuramente superiore ad un bastone intagliato.”
Bard deglutì, prendendo la decisione più importante della sua vita “Sono disposto a darvi qualsiasi cosa chiediate.”
L’Oscuro appoggiò il bastone alla spalla, tamburellandosi il labbro inferiore con un’unghia gialla e lunga “Cosa chiedo, quindi? Cosa chiedo…” girò attorno a lui, mentre Bard stringeva le mani in attesa di un esito. Quando si bloccò, alle sue spalle, Tremotino aveva un’espressione strana, come persa nel vuoto. Si umettò le labbra secche, prima di avanzare le sue condizioni “Voglio l’anima di tuo padre.” Disse senza mezzi termini.
Bard si voltò di scatto “L’anima di mio padre?”
L’Oscuro annuì “Diciamo che la mia è una specie di…. Curiosità personale. Un figlio sacrificherebbe mai suo padre per rimanere per sempre giovane?”
“Sì.” Rispose il biondo, lasciando appena il tempo a Tremotino di terminare la frase “Prendetevi ora l’anima di quel vecchio porco, se la volete, visto che per me non ha alcun valore. Prendetela e speditemi in questa terra magica.”
Il folletto non fece una piega, limitandosi ad annuire lentamente. “Ovviamente, dovrete partire da solo. Vostra moglie non-”
“Quella stupida ragazzina non è mai stata presente nei miei piani. Non me ne faccio di nulla e, se lo desiderate, potete prendervi anche lei.”
Tremotino lo guardò cupamente per un istante, prima di scoppiare nuovamente a ridere, battendo fra loro le mani “No, grazie, non mi serve anche lei. Mi basta vostro padre. Abbiamo un patto quindi?” chiese, allungando la mano verso quella di Bard.
Questi la strinse, sollevando appena un lato della bocca in una smorfia compiaciuta “Abbiamo un patto.”
 

 

 
“Trovi giusto che io sia qui a guardare in faccia tutti questi mocciosi, mentre Rufio raccoglie onori che non si merita?!”
Nibbs alzò gli occhi dal coltello che stava affilando, osservando Felix mentre se ne stava chino in avanti, con le mani appoggiate alle ginocchia e il volto all’altezza di quello di un bambino che piangeva disperatamente, aggrappato alla grande gabbia in cui era rinchiuso con almeno altri dieci ragazzi.
“Lo sai che io faccio il tifo per te, amico. Fino a che Pan però continua a preferire lui, non puoi far altro che eseguire quello che ti assegna.”
A quelle parole, il biondo si indispose e non poco. Mollò una sonora pacca contro la rete della gabbia, facendola tremolare contro i sostegni metallici di cui era composta. Andò velocemente verso Nibbs, afferrandolo per il colletto della giubba. Quando riprese a parlare, i suoi gesti vennero traditi dal solito tono pacato e calmo “Io sono onorato di fare parte degli Sperduti e ogni compito che mi viene affidato è importante tanto quanto uno di Rufio.”
Nibbs sorrise, sardonico “Ma sei tu che hai appena detto che la grande missione data a lui è molto meglio che star qui in spiaggia.”
“Persino spalare letame sarebbe più interessante che rimanere qui ad accogliere bimbetti da ogni mondo.” Fece qualche passo indietro, dopo averlo strattonato.
L’altro rise, voltandosi verso Cubby, Pockets e Ace, che stavano seduti attorno al fuoco mentre Nap fissava l’orizzonte silenzioso, dalla cima della piccola altura su cui si era piazzato “Avete sentito, ragazzi? Mai una volta che Felix la Volpe possa apprezzarci! Non saremo mai degni, nulla da dire.”
Nella mente di Nibbs, ad ogni Sperduto corrispondeva un animale. Lui era il coniglio, non perché gli mancasse il coraggio, ma perché diceva di ‘schizzare’ come un coniglio. Il suo cervello andava più o meno alla stessa velocità di una lepre, in ogni caso.
Peter era l’Aquila, che non si faceva sfuggire mai nulla e pattugliava i cieli di Neverland, mentre l’animale più furbo non poteva che essere Felix; Rufio era il Gatto, buono alle apparenze ma in grado di risolvere ogni problema usando gli artigli; i Gemelli erano astuti e collaborativi come una coppia di procioni, con tanto di mascherina da criminali quando scatenavano il caos nell’accampamento, la notte; Tootles era un Orso, perché aveva la stessa indole di autodifesa di quel animale e la tenerezza di un pupazzo; Ace era un Lupo, vista la pelle di colore in netto contrasto con gli occhi celesti…. In vero lo aveva chiamato così anche perché aveva desiderato più di una volta di spaccargli la testa a quel dannato spione; Pockets, che fra loro era il più giovane, nell’immaginario di Nibbs aveva assunto le sembianze di una piccola puzzola, forse a causa di quella strana striatura che avevano i suoi capelli, unica nel suo genere; Cubby era un Leone per via della criniera di ricci folti e delle occhiate che soleva lanciare quando ne aveva abbastanza.
Con gli altri non aveva abbastanza confidenza, o semplicemente non gli importava di loro. Perché quindi sprecarsi a trovare soprannomi?
Tornò a saltelli di lepre verso il fuoco, lasciandosi cadere sulla sabbia inumidita e scrollando i capelli color carbone subito dopo. Alzò poi gli occhi verso il cielo stellato dell’Isola, desiderando l’apparizione di Peter. Sentirlo suonare il flauto mentre attendevano Ombra sarebbe stato bellissimo.
Aveva già portato quattro bambini, quella notte, portandosene via altrettanti per rimandarli a casa. Usavano un metodo preciso per verificare che il tempo di prigionia ideale fosse passato: grattavano via tutto il muschio dal tronco di un albero e attendevano che ricrescesse. Ogni porzione di albero corrispondeva ad un bambino. In un luogo dove il tempo non passa, anche il crescere delle cose è fortemente relativo: un bambino poteva essere fortunato e rivedere il muschio anche in soli pochi minuti o in quelli che in un altro modo potevano anche essere centocinquanta anni.
Era un idea alquanto sadica e – naturalmente - di Felix. Per quella sera avevano finito con le partenze e attendevano solo nuovi arrivi.
Pockets fissò con intensità il bastone che reggeva in mano e su di esso apparì un piccolo salsicciotto, che mise ad arrovellare sul fuoco. Stava giusto per addentarlo, quando un fischio lungo e prolungato di Nap glielo fece cadere fra la sabbia.
Quando si voltarono verso di lui, notarono che puntava il cielo avanti a sé. Ombra era tornata e reggeva qualcuno per mano.
Più si faceva vicino, però, più Felix si faceva confuso. Non sembrava affatto un bambino, anzi…. Quando lasciò cadere il suo passeggero a terra, tutti andarono verso di esso per guardarlo dall’alto.
Beh, per guardarla dall’alto.
“Una femmina?” domandò dubbioso Nibbs “Non ha nulla a che vedere con noi o con la missione, perché diavolo Ombra l’ha portata qui?”
Felix guardò divertito la ragazzina bionda, inclinando di lato il capo. Schioccò la lingua contro la bocca, prima di chinarsi sulle gambe per abbassarsi. Subito, la bambina scattò indietro, urtando le gambe di Ace “Forse voleva uno fratello o un cugino. Si sarà confusa.”
“D-dove sono?” si attentò a chiedere, parlando a voce bassa e spaventata.
I ragazzi ridacchiarono, mentre Felix allargava le braccia, appoggiando un ginocchio sulla sabbia per tenersi in equilibrio “Benvenuta a Neverland.”
Gli occhi della ragazza mutarono, illuminandosi a giorno. Si sporse verso di lui sorridendo “Questa è davvero Neverland?” chiese eccitata, prima di alzarsi in piedi, lisciando la camicetta bianca da notte e ripulendola laddove la sabbia bagnata l’aveva sporcata.
Tutto attorno a lei era natura: dalla spiaggia chiara, alle onde del mare che si infrangevano in una melodia rilassante, alla foresta profumata che aveva alle sue spalle.
Ma quel piccolo paradiso onirico si sarebbe ben presto trasformato in un incubo.
Il sorriso si spense quando notò la grande gabbia, vicino all’ingresso della selva. I pianti dei bambini, i loro occhi spaventati, le richieste di aiuto e il modo in cui chiamavano la madre con voce persa le fecero inumidire gli occhi “C-cosa sta succedendo qui?” Guardò attentamente i ragazzini che l’avevano ‘accolta’ come se notasse solo in quel momento i loro vestiti sciupati e dai toni scuri, ben differenti da ogni descrizione di ogni fiaba “Voi chi siete?”
Ci pensò Felix a fare gli onori di casa, abbassandosi il cappuccio e fingendo di inchinarsi “Siamo i Bambini Sperduti di Pan. Ora, se volete accomodarvi nella gabbia, Signorina-”
“Stai mentendo!” la reazione improvvisa della bambina li lasciò tutti – meno il biondo - senza parole. Nessuno si era mai azzardato a rivolgersi così a Felix “Non è possibile, Peter Pan non farebbe mai una cosa del genere a dei bambini innocenti!”
Nibbs ridacchiò “Beh, teoricamente sono loro che hanno deciso di prendere la mano di Ombra. Così come hai fatto tu!”
“Forza, nella gabbia, ragazzina!”
Per l’ennesima volta, la biondina riuscì a schivare la presa di Felix “Non è vero! State tutti mentendo!” sentì le lacrime salirle agli occhi, mentre i racconti di sua madre su Peter Pan si infangavano di quelle ridicole calunnie. Non poteva essere vero, lui raccoglieva solo bambini soli al mondo e tristi, tenendoli per sempre sulla sua isola. Quelli che aveva davanti erano più grandi di lei. Soprattutto quello che aveva gli occhi più cattivi.
Si guardò attorno, notando la gabbia e chiedendosi se, correndo a perdifiato e chiamandolo, Peter sarebbe apparso per aiutarla a liberare tutti quei poveri bambini. Stava per voltarsi verso il sentierino che dalla spiaggia sembrava irradiarsi nel cuore dell’Isola, quando la bloccarono.
Felix la afferrò per un braccio, strattonandola fino al punto di farla sbilanciare.  Wendy rimase in piedi solo perché riuscì ad appoggiarsi a lui “Stai zitta, ragazzina e fila con gli altri prima che io decida di passare alle maniere forti!”
“Peter Pan è buono!” insistette lei, testarda “Non può avervi ordinato di trattarci così! Io credo in lui!” prese tutta l’aria che poté, inspirando profondamente prima di gridare “IO CREDO IN PETER PAN!”
A quelle parole, Nibbs scambiò uno sguardo eloquente con il più grande. Pockets rimase letteralmente a bocca aperta e la sua mascella non cadde sulla sabbia solo perché attaccata al resto della faccia.
“Diamine!” Ace prese il foglietto che teneva arrotolato dentro alla casacca, quel ritratto fatto dallo stesso Pan molto tempo prima e cercò una qualche somiglianza tra il bambino che stavano cercando e quella bambina, ma non sembravano essercene.
 Per Felix, però, non ci fu bisogno di ulteriori parole. La sua presa si fece più serrata, mentre scivolava sul polso della ragazzina “Vieni con me, subito.” La tirò con forza, verso la selva.
“Dove mi stai portando?!” domandò, sentendo la prima lacrima lasciare i suoi occhi per solcare la sua guancia impallidita dalla paura. Le stava facendo male.
Il biondo sogghignò “Da Pan, ecco dove ti porto, mocciosa.”
Il tono del ragazzo spaventò Wendy al punto tale da farle perdere la forza e, con essa, ogni resistenza.
 

 

 
La porta si spalancò di colpo, lasciando che una folata di vento gelido inondasse la stanza, mentre Bard rientrava. Suo padre lo guardò scocciato, mentre questi la richiudeva con il chiavistello e appendeva il mantello accanto alla porta, insieme alla spada.
“Sei già di ritorno?” domandò senza particolare interesse, riprendendo a fissare le fiamme che lambivano il caminetto e stringendosi nella coperta che teneva addosso.
“Sorpreso, non è vero?” domandò acidamente Bard, andando a sedersi davanti a lui, su di uno sgabello “Visto l’acquirente, speravate che mi portasse via.”
“Non dire scempiaggini. Chi svolgerebbe i lavori se tu non ci fossi più?”
Il biondo strinse i denti, prima di pensare che sarebbe durata ancora poco e dedicargli un sorriso quasi dolce “Sapete padre, oltre ad avermi dato un mestiere, mi avete anche insegnato un’altra cosa.”
Questi lo guardò senza capire “E cosa ti avrei insegnato, di grazia?”
Il biondo si sporse di più verso di lui, mentre il sorriso mutava in una smorfia intrisa di cattiveria pura “A sfruttare ciò che gli altri possono darmi per il mio tornaconto. E … Quello che voglio, padre…. È la vostra….”
Si sfilò uno dei due guanti, mostrando la sua mano destra, illuminata da una strana iridescenza luminosa, che si propagava dal palmo sino alle dita. L’uomo sussultò.
“Vita!”
Con un unico colpo secco, tutta la mano di Bard affondò nel petto del padre, afferrando il suo cuore per poi strapparlo dal petto.
Si alzò di scatto, ribaltando lo sgabello mentre guardava suo padre ansimare sulla poltroncina di pelli conciate. “Tremotino! Tremotino!” urlò a pieni polmoni, tenendo il cuore alto e stretto nel pugno.
Quest’ultimo apparve, seduto comodamente sul tavolaccio di legno “Non c’è bisogno di urlare, ragazzetto, io ci sento benissimo.”
“Ho fatto ciò che mi hai chiesto.” Disse vittorioso, camminando verso di lui, mentre il padre alle spalle osservava ricolmo di paura l’Oscuro, incapace di parlare.
Tremotino guardò il cuore, corrugando le sopracciglia. “Beh, non è nero.”
Bard parve non capire “Che significa?”
“Significa che non è nero.”
Il biondo sbuffò scocciato, alzando gli occhi al cielo “Credo di aver capito, sapete? Ma non colgo il senso della cosa: doveva essere nero?”
“Tecnicamente, sì.” Spiegò il folletto, scendendo dal tavolo con un saltello e dirigendosi verso il ragazzo. Prese fra le mani l’organo ancora pulsante, esaminandolo più da vicino “Se tuo padre non avesse provato amore per te, il suo cuore si sarebbe tinto dei colori scuri della notte. Quindi, mio caro, hai davanti un padre severo ma che, a quanto pare, ti ama.”
Bard abbassò lo sguardo, prima di voltarsi a guardare negli occhi l’uomo che lo aveva allevato, privandolo di tutto. In quegli occhi, così diversi ma al tempo stesso identici ai suoi, colse qualcosa di nuovo che forse poteva ricollegare solo alla paura per la morte imminente. O forse a qualcos’altro.
“ Non mi importa.” Disse alla fine, con la stessa sicurezza di prima “Ho mantenuto la mia parola, ora tu mantieni la tua.”
Tremotino abbassò di poco il capo, in una sorta di ironica riverenza, prima di stringere quel cuore tra le mani, riducendolo in una manciata di sabbia dorata.
Bard osservò la scena in silenzio, captando l’istante preciso in cui la vita di suo padre abbandonava definitivamente il suo corpo. Passò alcuni istanti in silenzio, prima di umettarsi le labbra “Avete avuto le risposte che cercavate? Riguardo al figlio che può sacrificare suo padre, intendo.”
Tremotino non rispose, e quando Bard si voltò nuovamente verso di lui, accettò il piccolo sacchettino di velluto nero che questi gli stava porgendo.
Lo aprì, versando il contenuto sulla sua mano e sbuffando una risata mal contenuta “Tutto qui? Ho ucciso mio padre per un fagiolo?”
“Non è un semplice fagiolo.” Replicò piccato Tremotino, facendogli il verso “Quello è un fagiolo magico, apre un portale tra i mondi. Dovrai pensare intensamente alla tua destinazione prima di gettarlo davanti a te.”
Il giovane annuì. “Come si chiama di preciso, la mia destinazione?”
L’Oscuro assottigliò gli occhi, sputando fuori quel nome come se gli costasse davvero caro parlarne “Neverland”
“Neverland? Suona ironico.” Stringendo il fagiolo tra le mani, Bard superò Tremotino, dirigendosi alla porta, “Ci vediamo in giro allora, Oscuro.”*
“Un ultima cosa, ragazzetto.” Il biondo si bloccò sull’uscio, in attesa “Quando arriverai, non potrai fare quello che ti pare. Quell’Isola ha un padrone molto geloso. Dovrai fare esattamente quello che ti dice, se non intendi pagare con la vita.”
“A meno che non decida di uccidere questo ‘padrone’, non credete?” asserì voltandosi, ma nella stanza non c’era più nessuno con lui. Non riuscì a trattenere un sorriso compiaciuto, prima di afferrare il suo mantello e indossarlo.
Con un ripensamento veloce, andò verso suo padre afferrando qualcosa da dentro la tasca della sua giacca lurida. Un vecchio orologio da taschino intarsiato d’oro. Sarebbe stata un’eccellente merce di scambio in qualsiasi mondo, senza contare che era la sola cosa di valore che la sua famiglia possedeva.
Non si affannò a raccogliere i suoi pochi averi, un po’ per paura che Ayra si potesse destare e un po’ perché sapeva che, nella sua nuova casa, avrebbe avuto tutto.
Raccolse solamente una piccola ascia e il suo coltellino da lavoro, come souvenir di quella vecchia vita, certo che avrebbero avuto un’utilità ben diversa.


 
 
 
 
Wendy sentiva freddo alle braccia, ma non trovava il coraggio di alzarsi da quel tronco d’albero caduto per avvicinarsi maggiormente al fuoco.
Sin dal primo istante in cui aveva messo piede nell’accampamento dei Bambini Sperduti aveva capito di essere davvero nei guai. Tante paia di occhi diversi la guardavano con divertimento o diffidenza, a seconda dei casini, ma nessuno sembrava davvero amichevole nei suoi confronti.
Strofinò le mani lungo gli avambracci lasciati scoperti dalla camicia da notte bianca, stringendosi nelle spalle e cercando di farsi piccola al punto tale da scomparire del tutto. Aveva paura, aveva freddo e le veniva da piangere.
Si sentì ancora di più una ragazzina di quanto in realtà non fosse, bramosa di correre nella stanza dei suoi genitori per stringersi nell’abbraccio della madre. In cuor suo però sapeva che la permanenza sull’Isola non sarebbe stata ne breve ne semplice.
A sentire quel ragazzo dai modi bruschi e crudeli – Felix, a quanto aveva capito - stava aspettando l’arrivo di Peter Pan. Ci avrebbe pensato lui a lei.
Nella voce del giovane però aveva colto una vena di ironia che lei aveva interpretato a modo suo: non sarebbe arrivato mai, e se mai l’avesse fatto, l’avrebbe senza ombra di dubbio tratta in salvo.
Lui non poteva avere a che fare con quei bulli dall’aria smargiassa e trasandata. Non era davvero possibile.
Rimase sola a lungo, ad osservare il via vai continuo di ragazzini che imbracciavano armi di ogni sorta, mentre sentiva lo stomaco farsi sempre più rigido man mano che qualcuno provava ad avvicinarla.
Fu quando vide Felix tornare verso di lei che si spaventò parecchio. Lo guardò, mentre raccoglieva una pietra delle dimensioni di un pompelmo e squittì per la paura. Addio, era morta, se lo sentiva.
Quando si chinò su di lei, la ragazza portò istintivamente le braccia sopra al capo, piagnucolando qualcosa di incomprensibile persino a se stessa. Il colpo però non arrivò mai, poiché la pietra che il biondo reggeva in mano si era mutata in una tazza ricolma di cioccolata calda. Solo a sentirne l’odore, Wendy sentì la pancia brontolare. Come poteva essere affamata se rischiava di vomitare per la paura?!
“Prendila, è per te.” La incitò Felix con tono basso “Non è avvelenata, posso assicurartelo.”
Restia, la biondina allungò la mano prendendo la tazza. La ceramica calda era terribilmente piacevole fra le sue mani ghiacciate. “Perché mi tenete qui?” si azzardò a dire, fissando con occhi spenti la superficie liquida della cioccolata. “I-io vorrei andare a casa, ti prego.”
Felix sorrise appena un po’ maligno, prima di tornare a guardarla quasi dolcemente, per metterla a suo agio. Aveva un obiettivo e intendeva arrivarci senza intoppi “Ho iniziato con il piede sbagliato e mi dispiace tanto. Posso sapere il tuo nome?”
Tentennando un poco, la giovane alzò gli occhi sottili in quelli di ghiaccio dell’altro “Mi chiamo Wendy, Wendy Darling.”
“E dimmi, Wendy Darling, da che mondo vieni?”
Un’espressione stranita si palesò sul volto della ragazzina “Dalla realtà, suppongo.”
Felix sorrise maggiormente “Ma davvero, eh? Hai per caso un fratello, o vicino di casa?”
Wendy iniziò a sentirsi infastidita “Perché mi fai tutte queste domande?” domandò d’impulso, prima di ritrarsi da sola come se aspettasse uno schiaffo.
“Ci stiamo solo conoscendo, bambolina, non vedo perché ora devi fare così la maleducata.”  Felix si sedette a terra, a gambe incrociate, appoggiando i gomiti alle ginocchia e il viso ai pugni “Hai per caso qualcosa da nascondere?”
“No, non ho nulla di interessante, per questo dovreste lasciarmi andare!”
L’altro sbuffò, tra il divertito e lo scocciato “Senti, dimmi quello che voglio sapere e forse ti lasceremo andare. Va bene? Ora bevi quella cioccolata prima che si freddi.”
Wendy sapeva di non potersi fidare. Negli occhi del ragazzo non vi erano altro che cattiveria e menzogne, eppure la possibilità di poter tornare a casa era tanto attraente da spingerla a rischiare, così portò la tazza alle labbra, prendendo un sorso piccolo per non bruciarsi. Quella era in assoluto la cioccolata più buona che avesse mai bevuto in vita sua.
Felix la guardò mentre si leccava le labbra con gusto e schioccò la lingua contro al palato “Prima, sulla spiaggia, hai detto che tu credi in Peter Pan.” Esordì, attirando così la sua attenzione “In cosa credi, esattamente?”
“Nella sua bontà.” Fu la sua risposta immediata. Abbassò nuovamente gli occhi sulla tazza, prima di prendere il coraggio a due mani “Io non so chi sia la persona per cui fai tutto questo, ma non può essere Peter Pan. Lui è un ragazzo speciale, che porta a Neverland i bambini soli per farli giocare fra loro e vivere spensierati. Lui crea una famiglia e non ne distrugge nessuna, portando via chi è amato. È molto coraggioso e intraprendente e anche se a volte sembra impertinente, si comporta così solo perché è un bambino!”
“Cos’altro sai di lui?”
Wendy scostò un boccolo biondo dal viso, portandolo dietro ad un orecchio, mentre si faceva pensierosa “Beh, so che non cresce mai, perché qui a Neverland il tempo non scorre e che è per questo motivo che i bambini possono venire qui durante la notte, nei loro sogni e divertirsi prima di tornare nei loro letti. Oh! So anche che è molto amico degli indiani e delle sirene e che il suo nemico è Capitan Hook, che cerca sempre di farlo fuori, senza mai riuscirci! Poi-”
Non poté proseguire, perché Felix, all’ultima frase riguardante Hook, si era lasciato andare in una risata così sonora da far voltare gli Sperduti nelle vicinanze. La risata non durò molto, ma lo lasciò seriamente divertito e con gli occhi appena inumiditi dal tanto ridere. “Tu credi che Hook sia una minaccia, per Pan?”
“Sì, insomma, prova sempre a farlo fuori, ma alla fine vincono i buoni.” Concluse Wendy riuscendo solo a farlo ridere di nuovo.
“Ragazzina, non sai davvero nulla di Neverland.”
La biondina – che iniziava ad avere seri dubbi riguardo all’essere finita sull’Isola giusta - lo guardò quasi arrabbiata “So molto più io di te, su Neverland, scommetti? Peter Pan è la mia favola preferita, mamma mi ha letto tutte le sue avventure e le conosco tutte quante a memoria! Posso assicurarti che tra i suoi bambini non c’è nessun Felix!”
Sul volto di quest’ultimo si dipinse un ghigno divertito, mentre inclinava di lato il capo. “Ultima cosa, prima di lasciarti in pace: tu credi nella magia?”
Wendy rimase molto sorpresa di quella domanda. Non tanto dalle parole, ma da come Felix le aveva pronunciate, quasi come se si aspettasse qualcosa.
Decise, ancora una volta, che la sincerità l’avrebbe ripagata, così annuì “Io credo nella magia.”
“Basta così.”
Una voce alle sue spalle la fece sussultare violentemente. Si voltò di scatto, rovesciando a terra un po’ della cioccolata, ritrovandosi a guardare negli occhi un altro ragazzo.
Quello, però, non era un ragazzo normale e lei poteva sentirlo. Sembrava che riuscisse quasi ad emanare una sottile aurea oscura, da quegli occhi verdi e splendenti.
Mosse un passo verso di lei, che quasi scattò indietro, fra le braccia di Felix che ancora se ne stava accovacciato. Poi, qualcosa attirò la sua attenzione.
La casacca del colore delle foglie vive, gli occhi grandi ed espressivi, il pugnale in cinta. Non poteva essere.
Mentre Felix si alzava in piedi, attendendo un qualsiasi cenno, quest’altro si abbassava, mettendosi in ginocchio davanti a lei. Sorrise, alzando un sopracciglio con una certa dose di soddisfazione, prima di sussurrarle “Coraggio, dillo.”
Wendy deglutì a vuoto un paio di volte, ipnotizzata “Tu…. Tu sei…”
“Chi sono, io?”
“… Tu sei Peter Pan.”
Il sorriso sul volto del ragazzo si allargò ancora di più. Con uno sguardo veloce e un piccolo cenno del capo congedò Felix, che sparì in un istante.
“E tu sei Wendy Darling.”
Un vortice di emozioni contrastanti colpì la biondina, che iniziò a torturarsi freneticamente le mani. Il ragazzo che aveva sempre sognato di incontrare era lì, davanti ai suoi occhi, e lei non sapeva cosa pensare. Si sentiva sua prigioniera e aveva paura di lui, del suo sguardo cattivo quanto quello di Felix e della sua espressione sfacciata. Eppure non riusciva davvero a temerlo del tutto, ad averne una paura cieca, seppure non avesse idea di cosa quell’essere avrebbe potuto farle.
Era più bello di quanto lo avesse mai immaginato. Quel suo lato spietato non solo lo rendeva temibile, ma al contempo più intrigante ai suoi occhi. Tutto ciò la atterriva.
Senza contare che sembrava quasi che…
“…Ti stessi aspettando?” domandò, con voce bassa e lievemente suadente. Come diavolo aveva fatto? “Io so sempre chi verrà a trovarmi a Neverland, cara Wendy. Il tuo cuore che crede in me mi ha avvisato che desideravi tanto conoscermi, così ho mandato Ombra a prenderti.”
“Davvero? Sei stato tu a mandare a casa mia la tua Ombra?”
“Nulla è casuale, Wendy. Tutto è scritto.”
Si concesse uno sguardo più profondo nell’anima della ragazza e lei lo avvertì. Sentiva i suoi occhi leggerla, studiarla e comprenderla in poco più di un battito di cuore. Rimase in quella posizione per alcuni secondi, prima di voltarsi verso un ragazzo, che per Wendy sembrava sbucato dal nulla.
“Riprenderemo presto la conversazione, mettiti comoda.” Le disse sbrigativo, prima di raggiungere quello strano soggetto, vestito in modo diverso dagli altri e senza le scarpe, appoggiandogli una mano sulla spalla per spostarsi fuori dal suo campo visivo.
Mettersi comoda? Significava che sarebbe rimasta molto?
Un nuovo conflitto interiore, più forte del precedente, si scavò una fossa nel suo cuore come un tarlo; voleva tornare a casa ma, al contempo, desiderava conoscere meglio Pan.
Era sempre stato il suo eroe. Non poteva essere cattivo come si poneva.
Forse doveva solo dargli una chance.
Si alzò in piedi, camminando con un po’ più di sicurezza verso il fuoco, dove si concesse di riposare e scaldarsi per qualche istante.
Felix la guardò, assottigliando lo sguardo mentre Too le posava una coperta sulle spalle e si presentava. Strinse i denti, chiedendosi quali fossero i piani di Pan.
Intendeva tenerla con loro?! Era impossibile. Non sarebbe stata che uno stupido impiccio, quella ragazzina piagnucolosa e ingenua. Così ingenua da essere irritante.
Avrebbe reso il suo soggiorno tra gli Sperduti un autentico inferno, lo ripromise a sé stesso e a quella sciocca bimbetta, se solo Peter avesse osato prolungare troppo la sua permanenza.
Lo giurò sul pugnale che stringeva in mano, prima di passarlo sul palmo e incidersi appena la carne. Lo promise sullo stesso sangue che gli correva tra le nocche chiuse del pugno.


 
 
Creare il portale fu davvero semplice.
Gli bastò pensare intensamente a Neverland e il fagiolo fece il resto del lavoro. L’atterraggio fu meno piacevole, così come la sensazione che gli era rimasta all’altezza della bocca dello stomaco.
Si alzò in piedi, ritrovandosi su una spiaggia bianca come la luna che illuminava, con davanti ad un oceano infinito e dietro una selva che pareva impenetrabile. L’aria profumava di salsedine e gli parve la più leggera mai respirata.
Era appena arrivato eppure sentiva di appartenere a quel luogo.
Appoggiò una mano sull’elsa della spada, deciso a iniziare una nuova vita da quello stesso istante. Grazie alla luna e le stelle, che irradiavano molta luce, riuscì a raccogliere qualche ramoscello con cui accese un fuoco, che poi tenne vivo con dei rami.
Iniziò a intrecciare altri rami, al fine di creare una piccola tettoia sotto cui ripararsi attendendo il giorno, quando un fruscio lo mise in allerta. Sguainò la spada, avvicinandosi al limitare del bosco, tenendo alta la guardia.
Attese, con le orecchie ben aperte, ma non vide nessuno. Sono a quel punto rinfoderò la spada, voltandosi verso il fuoco e rimanendo sconcertato da ciò che vide.
Due ragazzi, più piccoli di lui, seduti vicino ad esso. Si stavano scaldando le mani, parlando a voce bassa, quasi come se non lo avessero notato.
Il biondo andò verso di loro, guardandoli scocciato “Levatevi subito di lì, ragazzini.”
Il moro ridacchiò, mentre l’altro, il biondino, si limitava a guardarlo interessato. “Ci chiedevamo solo quanto tempo ci avresti messo a notarci!” fisse il primo, prima di allungare una mano “Io sono Rufio e lui è Peter. Benvenuto a Neverland.”
Pan alzò un sopracciglio “Non sei un po’ grandicello, per stare qui?”
Sul viso del biondo si dipinse una smorfia quasi offesa, prima di fulminare Rufio con uno sguardo gelido. Questi abbassò la mano lentamente “Io? Grandicello? Non sarete voi ad essere troppo piccoli per stare in giro a quest’ora di notte?”
Peter scambiò un’occhiata divertita con l’amico, prima di alzarsi in piedi “Non sai dove ti trovi, dico bene? Quando hai fatto il patto con Tremotino ti ha dato solo una destinazione, senza spiegarti nulla di questo luogo, o sbaglio?”
Le parole di quello strano ragazzo lo destabilizzarono al punto tale da arretrare appena. “Come fai a sapere queste cose?!”
Il moro sbuffò alle parole del nuovo arrivato, prima di dire, con tono canzonatorio “Peter Pan sa sempre tutto. Lui è il padrone dell’Isola, che conosce come il palmo della sua mano. Ciò vale anche per tutti coloro che la visitano.”
Solo nell’udire quell’ultima parte, il biondino si sorprese. Quello era il padrone di Neverland? Quel ragazzino magro e dall’aria emaciata? Sarebbe stato un giochetto da ragazzi, farlo fuori. Riprese in mano la spada, puntandola verso Peter.
Rufio alzò entrambe le sopracciglia, leggermente allarmato “Oh, io non lo farei…”
“E perché mai? Questo ragazzino potrebbe farsela sotto?”
Peter non rispose nemmeno, passando in mezzo al fuoco acceso dal biondo per andargli in contro, sfidandolo con lo sguardo.
Quando le fiamme praticamente si spostarono, permettendogli così il passaggio, Bard sgranò appena gli occhi. Recuperare il controllo di sé non fu semplice, ma non poteva dimostrarsi debole davanti a lui, o non avrebbe ottenuto nulla. Doveva essere solo un trucchetto da quattro soldi.
Alzò la spada sopra al capo e quando Pan fu a tiro di lama la abbassò di colpo.
Quando questi la afferrò con una mano sola, guardando la punta a pochi centimetri dal suo volto, Bard rimase totalmente spiazzato. Provò a ritirarla a sé al fine di caricare un altro fendente, ma non ci riuscì. Una sottile stilla di sangue colò lungo il braccio di Pan, ma a lui non sembrava importare. Non sembrava nemmeno provare dolore, anzi, la strinse di più.
Quando il metallo si tinse di rosso, diventando incandescente, il più alto dovette resistere parecchio per non lasciarla cadere. Con un ultima stretta, quella decisiva, la lama scoppiò in tanti frammenti, che volarono tutti attorno a loro.
Rufio si buttò a terra, mentre più di un frammento esplodeva in volto a Bard, ferendolo profondamente dalla fronte alle guance. Si ritenette fortunato, però, a non aver perso gli occhi, anche se i segni sarebbero rimasti per sempre a ricordargli di quanto era stato stupido ed avventato.
Peter lo guardò cadere a terra, prima di leccare via dall’avambraccio il suo stesso sangue e sorridendo nel sentire il sapore ferroso sulla lingua. “So che sei qui per rimanere e so che non sai nemmeno chi sei ne da cosa scappi. Anche tu, come Rufio, non hai una casa in cui tornare quindi se intendi rimanere in questo posto devi rispettare le mie regole. Oppure te li caverò personalmente, gli occhi.”
“Oh, perfetto, leggi addirittura nel pensiero” replicò leggermente rabbioso il ragazzo a terra, dovendo però ammettere che Pan aveva ragione. Non aveva più nulla, anche se non ricordava perché. Non sapeva nemmeno come si chiamasse, nonostante tutto ciò sembrasse assurdo.
Il moro si rialzò, pulendosi i vestiti dalla sabbia “Quindi vuoi far rimanere anche lui? davvero?”
Peter annuì “Questo posto inizia a diventare troppo noioso, non ti pare? Abbiamo bisogno di più amici con cui giocare.”
Rufio però non sembrava per nulla persuaso. “Sei sicuro che sia una mossa astuta? Non mi sembra poi così amichevole. Poi sembra molto più grande di quanto dovrebbe.”
“Ora che ha capito con chi ha a che fare, non darà più problemi, dico bene? Per l’età, non importa. Non conta quanti anni hai fisicamente, quanto lo spirito. Lui ha lo spirito giusto per unirsi a noi due.” Rispose Pan, puntando poi gli occhi verdi e freddi in quelli sottili di Bard “Senza contare che ha sacrificato molto, per ritrovarsi qui.” Quello sguardo nascondeva qualcosa che Rufio non riuscì a cogliere, ma il biondo si. Una certa empatia, che era venuta a crearsi in quel esatto istante. Non riuscì ad associarla a nulla, poiché non poteva sapere che anche Pan aveva dovuto sacrificare ‘qualcosa’ per ritrovarsi lì, in quei potenti panni. Smise di guardarlo così intensamente, passando ad un’altra questione “Come potrei chiamarti?” domandò quindi, prima di incrociare le braccia sul petto pensieroso.
Il biondo rimase steso a terra, cercando di tamponare il sangue che stava scendendogli dal viso, quando Rufio affiancò Pan davanti a lui “Beh, è un ragazzo fortunato. Ti ha sfidato ed è comunque riuscito a sopravvivere. Nel mio mondo, i bambini fortunati spesso vengono chiamati Felix, che significa letteralmente ‘fortuna’…. Ed è un bel nome per un cane o un gatto.”
L’altro gli sorrise divertito, guardandolo con un sopracciglio sollevato “Non pensavo fossi bravo con i nomi. Però mi piace, Felix sia.”
Iniziarono ad incamminarsi verso il bosco, lasciando l’altro con una mano sulla ferita aperta sul volto e l’altra che stringeva ancora un’elsa senza più la lama, a chiedersi perché Pan avesse deciso davvero di risparmiarlo.
Fissò l’oceano, lanciando via l’elsa e portando la mancina nella tasca interna del mantello per stringere in mano l’orologio del padre. Quando lo aprì, vide che delle lancette non vi era più traccia e che non erano cadute e rimaste nel quadrante.
Erano sparite.
‘Perché a Neverland il tempo non scorre’, si disse da solo.
Non sarebbe mai invecchiato, sarebbe rimasto giovane e senza obblighi per sempre.
Certo, ne aveva con Pan, ma sentiva già che sarebbe stato diverso, anche se non ricordava quello che era successo prima di arrivare lì. Sapeva solo una cosa: il peso opprimente sul suo petto si stava lentamente dissolvendo.
Si alzò, facendo per lanciare l’orologio fra le onde, ma all’ultimo ci ripensò, sistemandolo di nuovo nel mantello. Preferì tenere quel singolo ponte di ricordo fra sé e la quella vita che stava pian piano dimenticando del tutto.
E si lasciò scappare un sorrisetto.
Perdeva sangue, aveva rischiato la vita e forse si era legato per l’eternità a qualcuno di estremamente potente e malvagio, ma sentiva che aveva fatto le scelte giuste per se stesso.
Sapeva che lì avrebbe potuto sentirsi felice.
“Allora, vieni, Felix?”
Si voltò verso Rufio, decidendo di fare buon viso a cattivo gioco. Annuì, con falsa accondiscendenza “Ovviamente.”  Decretò, prima di incamminarsi dietro di loro.
In quel momento, la sua lealtà era tutta per sé stesso, ma poi avrebbe iniziato davvero a capire che Peter Pan era più simile a lui di quanto potesse sembrare inizialmente.
Il passo successivo, quello che lo avrebbe portato a diventare lo Sperduto più fedele al capo, sarebbe arrivato ben presto, insieme alla gelosia verso Rufio.
 
 
 
 
 
 
*cit telefilm, dal episodio 3x01. 
Vista la scena tra Felix e Tremotino, ho voluto dare una base a questi due.
La presenza dell'Oscuro è stata, quindi, quasi d'obbligo.






Nda.
Sono in crisi da sessione d'esame, quindi perdonate tutta la violenza di questo capitolo..
(No, non è vero, Felix me lo immagino esattamente opportunista come ho scritto qua sopra.)

Sarò super breve, perchè devo davvero correre sui libri.
Ringrazio tutti coloro che leggono la storia o l'hanno inserita fra preferiti e seguite. 
Siete l'amore.
In particolare, un grazie ENORME ai tre angeli che hanno recensito lo scorso capitolo.

Il prossimo spero arrivi presto, ma non  garantisco molto
Dipende da tempo e voglia di scrivere dopo ore di studio quindi, credete in me come credete in Peter. v.v


Un bacione. 
Jessy 
 
 
 
 




 
  
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