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Autore: Sakikochin    02/12/2013    1 recensioni
Fiphe è tormentata da sogni ricorrenti. Ogni notte la stessa scena, ormai l'unica cosa che le rimane da fare è rivolgersi alla sua amica Sana per aiutarla nelle sue "indagini".
Un libro particolare cattura le loro attenzioni e, al suo interno, tutto comincia a farsi più chiaro.
Pochi sono gli indizi, ma Fiphe non si tira indietro, vuole comporre il puzzle fatto di oggetti e frasi per rischiarare il mistero celato che tanto l'affligge.
Genere: Horror, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Buonasera! Ed eccomi di nuovo qui per un altro capitolo di Zohas! (In assoluto uno dei miei preferiti, sino ad ora XD).
Questa volta però non vi anticipo niente, se non: "leggete" <3
Voglio assolutamente i vostri commenti, anche per capire se fino ad ora vi sta piacendo e se riuscite a seguire il filo logico (?) della storia.
Come sempre vi ricordo la mia pagina facebook :
 https://www.facebook.com/pages/Sakiko-chan-EFP/152953404914772?ref=hl ; nelle quale trovate già alcuni disegni su Trevor, e appunto di Zohas (questi ultimi un po' vecchiotti).
Ma bando alle ciancie! Ecco a voi il quinto capitolo di Zohas!

Buona lettura!
-Saki

(p.s. come sempre ringrazio
Lady1990 per le correzione >w<)


 

5.Diamanti nell'ombra

 

 

 

Quella notte fu molto difficile addormentarsi.

Il corpo di Steeve continuava ad apparirle nella mente, ad ogni battito di ciglia.

Erano passate tre ore dall'accaduto, e da tre ore il silenzio l'avvolgeva, opprimendola.

Le due ragazze erano state scortate sino a casa da una pattuglia della polizia, e dai genitori, ed entrambe tornarono nelle loro rispettive dimore.

Fiphe sospettava che Sana fosse già a letto, vista l'ora, perciò l'idea di messaggiare con lei fu scartata a priori.

Voleva assicurarsi che stesse bene e chiederle scusa per ciò che era successo.

Non sapeva bene il perché, ma in un qualche modo Fiphe sosteneva, anzi sospettava che tutto quanto fosse solo colpa sua. Come se qualcuno avesse agito meccanicamente in conseguenza al suo reale interesse per la faccenda.

L'interpretazione dell'episodio pareva essere questa: “Prosegui, e le persone a te care soffriranno.”

Già la sottrazione del Documento era stata un tentativo di bloccaggio. Esso, infatti, aveva portato Fiphe sulla via della paura e della confusione.

Cosa doveva fare? A chi si poteva rivolgere? Ma soprattutto, poteva o... doveva andare avanti?

Buio.

Ecco cosa aleggiava nella mente della ragazza.

Il buio più totale e il silenzio.

Già... lo stesso che al momento regnava nella sua camera.

Soffocante.

Uno strano rumore la fece mettere sull'attenti, distraendola dai suoi pensieri. Subito dopo, un fascio di luce invase fugacemente la stanza, per poi scomparire seguito da un rombo.

Ci mise qualche minuto per realizzare che era stata un'auto a produrre quel baccano spettrale e subito una risatina isterica ruppe l'assordante silenzio.

Ormai tutto quello che la circondava le metteva paura, anche i rumori più comuni.

Aveva bisogno di riposare, di staccare il cervello da tutto ciò che era razionale e smettere di dare corda alla sua fantasia.

Doveva dormire, adesso più che mai.

In quei giorni aveva accumulato ore di sonno arretrato, rubate da quegli “incubi”.

Ne aveva bisogno, sapeva che ne aveva proprio bisogno e nonostante le immagini agghiaccianti di quel pomeriggio, Fiphe andò a letto.

Si mise sotto le coperte sapendo che l'indomani, di mattina presto, avrebbe dovuto farsi una doccia ristoratrice e la cartella.

Quest'ultima parola continuò a rimbombarle nella testa come un tamburo, riportandola ad una realtà sconcertante.

Di sicuro l'accaduto sarebbe trapelato in tutto l'edificio scolastico, senza lasciarle via di scampo.

Incapace di trovare una soluzione, la stanchezza prese il sopravvento sulla mente e sul corpo di Fiphe, facendola sprofondare nel sonno.

 

 

La sensazione di essere osservata era diventata ormai una certezza.

Oltre il suo sguardo, oltre lo sguardo di tutti, c'era qualcuno che la fissava con insistenza.

Si voltava in ogni direzione, quasi speranzosa di trovare il “chi” della situazione.

All'improvviso, una carrozza lussuosa venne in sui soccorso, fermandosi proprio difronte a lei.

Dal finestrino di questa riusci a scorgere la sagoma di un...umano?

Oh no! “Quello” non era un umano, era... era qualcosa di mostruoso!

Il corpo forse traeva in inganno, facendolo apparire come una creatura terrena , ma… le ali?

Le corna?

E... gli occhi?

Ghiaccio! Puro e semplice gelo, emanato da quelle iridi quasi trasparenti.

Possibile che nessuno lo vedesse? Possibile che le signore coi loro cestini di vimini, passandogli accanto, non lo degnassero nemmeno di uno sguardo?

Era proprio dietro di lei. A un soffio!

Poteva percepire la sua presenza, forte e negativa. Sentiva sulla pelle del collo il suo freddo respiro.

Era troppo, troppo vicino.

Zanne che avevano dell'incredibile, grandi e insanguinate.

Voleva guardarlo in faccia, voleva scoprire chi fosse realmente. Voleva, ma non ci riusciva.

Qualcosa di morbido la costringeva, la teneva ferma.

Eppure voleva voltarsi. Era curiosa ma anche spaventata.

Sapeva che se si fosse girata, sarebbe sparito tutto in un lampo, ma desiderava catturare ogni prezioso dettaglio di quell'essere.

Un movimento fluido catturò la sua attenzione.

Lui! Quel... quel mostro si stava avvicinando!

Oddio!

Dio, ti prego, no!

Qualcuno mi aiuti.

Vicino, vicino, sempre più vicino.

Ancora!

Stava aprendo la bocca...

Maledetto!

Fermati!

No!

Le zanne si stavano avvicinando paurosamente, ormai erano sul suo collo, a un filo di distanza.

Qualcuno... qualcuno mi aiuti!

NO!

 

L'impatto con la realtà fu molto più atroce.

Aveva il volto sudato e il respiro affannato.

Il buio della stanza le faceva male agli occhi. Cercava di dare un contorno ben definito alle cose presenti nella camera, tentando di ricordare vagamente la posizione e la forma dei mobili, ma c'era qualcosa... in più.

Quando finalmente gli occhi si abituarono all'oscurità, una figura emergeva rigida e minacciosa di fianco al suo letto, vicino alla finestra... aperta!

Aveva un corpo umano, maschile a giudicare dall'ampiezza delle spalle e la stazza.

Il volto era indistinguibile, purtroppo l'oscurità era troppo fitta per scorgere i dettagli somatici.

La stava fissando. Lo sapeva.

I loro occhi si stavano incrociando, ma solo quelli di Fiphe brillavano nelle tenebre.

Quando la ragazza cercò di alzarsi a sedere, un sibilo la immobilizzò in una posizione scomoda, con il busto mezzo sollevato.

Faceva male agli addominali, ma lei non vi badò. Si sforzò di stare il più ferma possibile per riuscire a udire ciò che sussurrava lo sconosciuto.

«...»

All'inizio uno sbuffo, quasi impercettibile, poi un nome, chiaro, nitido...

«Lorea....»

Fiphe sgranò gli occhi.

Sembrava una sorta di richiamo, triste, sospirato e sorpreso. Quel nome le diede i brividi.

Come faceva a conoscerlo? Perché l'aveva chiamata così? Ma soprattutto, chi era quell'uomo?!

Come aveva fatto a entrare in casa sua?!

Un vortice di domande ora invadeva la mente di Fiphe, portandola a temere una possibile aggressione se solo avesse provato a porgliene una.

Ma ciò che accadde si rivelò ben al di sopra di tutto quello che Fiphe poteva immaginarsi.

Egli cominciò ad avvicinarsi al suo letto, sempre di più.

Le si ghiacciò il sangue nelle vene.

Cosa voleva da lei? Perché si stava avvicinando così silenziosamente?

Chi era? Un ladro? Un assassino?

Nel frattempo, Fiphe non si accorse che era già a un passo da lei.

Da quella distanza, poté sentire il freddo che emanava la sua pelle, il profumo di pino selvatico dei suoi abiti e quell'aria così... familiare.

Fiphe continuava ad aprire e chiudere le labbra, per cercare le parole, gli insulti, smaniosa di inveire contro di lui. Ma non ci riuscì.

Da quella bocca semiaperta non usciva alcun suono. Solo il suo respiro affannoso faceva da sottofondo.

Poi anche quello scomparve.

Con gli occhi spalancati, il fiato mozzato e il corpo tremante, Fiphe si ritrovò le labbra dello sconosciuto premute contro le sue.

In breve anche la lingua di lui invase la sua bocca, coinvolgendola in una danza di saliva ed imbarazzo, lasciandola fra le sue braccia stupita e sconvolta.

Chiuse gli occhi, lasciandosi dunque trasportare.

Quel bacio un po' rude aveva un sapore nostalgico e trasmetteva al corpo della giovane un mondo di emozioni indescrivibili.

Quando le labbra di lui si staccarono, fu come se il vuoto si impossessasse di lei.

Pareva delusa da quell'improvviso distacco, tanto che fece fatica a riprendersi.

Passarono secondi, forse anche minuti, quando riaprì gli occhi si ritrovò a fissare due iridi spaventose.

Sembravano tristi, ma non fu questo a sconvolgerla tanto, bensì il loro colore.

Erano bianche! O meglio, erano color ghiaccio, ma sembravano bianche.

Iridi fredde, spaventose, iridi in grado di risucchiarti in un grigio oblio di terrore.

Come poteva dimenticarle?! Come aveva fatto a dimenticarle?!

Era lui! Ne era certa, ora più che mai.

Il sentimento che pervase Fiphe in quel momento fu una profonda e inesorabile ira.

I muscoli del suo corpo erano tesi e tremavano, ma non per la paura: erano scossi dalla rabbia.

Pronunciò il nome di quel giovane come se lo conoscesse da una vita. Lo sputò come se fosse un insulto, con una voce non sua, più matura, più potente.

«Dann!»

Una reazione inaspettata.

Il ragazzo, all'udire il suo nome, balzò in piedi ad una velocità inumana e con la medesima si precipitò verso la finestra saltando giù dal balcone.

Quando Fiphe scese dal letto, rincorrendolo per cercare di seguirlo con lo sguardo, rimase delusa nello scoprire che lui si era come volatilizzato nel nulla.

 

La mattina dopo, la sveglia suonò come al solito alle sei e quarantacinque, informandola che la sua giornata cominciava proprio da lì.

Riaddormentarsi dopo quell'episodio era stata un'impresa impossibile per lei, tant'è che sotto ai suoi occhi avevano fatto capolino due profonde occhiaie.

Appena si alzò a sedere, il suo sguardo vagò per la stanza, posandosi con timore verso la finestra... chiusa!

All'apparenza poteva sembrare tutto normale, ma dentro sapeva che ciò che era accaduto ore prima non era stato frutto di un sogno.

Lentamente alzò la mano destra, portandola verso il volto. Indice e medio sfiorarono delicatamente la superficie morbida delle sue labbra.

Se ci passava sopra la lingua, poteva ancora sentire il sapore di quello sconosciuto su di lei.

Che stupida! Non aveva reagito minimamente, anzi. Si era fatta trasportare con desiderio.

Perché?

Ormai pensarci non serviva a niente. La giornata era cominciata male, per l'ennesima volta.

Si costrinse, dunque, di mala voglia ad infilarsi le sue morbide ciabatte azzurre, ad alzarsi e a dirigersi verso il bagno dove l'aspettava una doccia-sveglia.

Le chiamava così, perché capitava spesso che la mattina si sentisse rintronata, più del normale. Per cui una doccia fredda era l'ideale per destarsi del tutto. Di certo non perché un estraneo le piombava in casa, strappandole baci eccitanti e svanendo nel nulla senza dare spiegazioni, ma perché spesso non riuscendo a dormire si metteva a disegnare, liberando la mente.

Mentre apriva l'acqua, il ricordo di lui si fece di nuovo nitido nella sua mente e la fece fremere ancor di più del getto di acqua fredda sulla schiena.

Scivolò delicatamente sulla parete della doccia, sino a toccare coi glutei il fondo, per poi sedersi con le ginocchia rannicchiate contro il petto, avvolte dalle sue esili braccia.

In quei giorni era accaduto troppo, e forse altrettanto ne doveva ancora succedere, ormai ne era sicura.

Quando finì di lavarsi, dalla doccia uscì un'altra Fiphe.

Sul suo sguardo apparve un'espressione di mero menefreghismo.

Voleva essere forte, ma allo stesso tempo voleva estraniarsi da tutto ciò che le stava capitando, come se lei fosse solo il narratore di un libro che però raccontava le sue vicende.

Quella mattina fece tutto come un automa.

Quando scese le scale, non si diresse nemmeno in cucina, bensì usci di casa, trascurando volutamente le proteste di sua madre che ormai stava urlando ad una porta chiusa.

Decise di non andare a scuola. Non voleva vedere i suoi compagni e nemmeno Sana. Per quanto fosse sua amica, in quel momento doveva riordinare le idee, doveva controllarsi, doveva riesaminare il tutto sotto un altro punto di vista.

L'aria frizzante, quella mattina, le accarezzava dolcemente il viso.

Per la prima volta in vita sua stava marinando la scuola, eppure non si sentiva minimamente in colpa.

Aveva bisogno di riflettere, in fondo non capita a tutti di venir baciati da un completo sconosciuto, in camera propria e nel bel mezzo della notte.

Quella giornata così cupa e nuvolosa era la materializzazione dell'umore di Fiphe.

La cartella leggera sulle spalle...

Auricolari ben piantati nelle orecchie...

In poco tempo non si accorse nemmeno di aver superato la via, e allo stop di aver voltato a destra in direzione del parco.

Quale miglior posto per schiarirsi la mente, se non il grande prato abbandonato? Pensò Fiphe.

Lo chiamavano parco perché era stato il posto di ritrovo per tutti i bambini del quartiere.

Ormai non sapeva quale altro luogo usare come “giardino segreto”, nel quale immergersi in tutti i pensieri caotici che le attanagliavano la mente.

Odiava i posti rumorosi. Rispetto ai ragazzi della sua età, Fiphe non usciva i sabato sera per andare in pub o discoteche, preferiva di gran lunga la buona compagnia di un libro, accompagnato da una tazza di tè fumante, in particolare nelle giornate fredde, e in seguito da qualche film romantico.

La maggior parte del tempo però lo passava a disegnare, cosa che le riusciva divinamente.

Camminare non le era mai sembrato così interessante.

Percorse via Dreis in pochi minuti e raggiunse l'entrata del parco senza accorgersene.

Come sospettava non c'era nessuno.

Tutti i ragazzi del quartiere erano a scuola a quell'ora, tutti tranne lei.

Un sospiro di sollievo le scappò dalle labbra e percorrendo il vialetto di ghiaia, raggiunse la panchina sotto al pino più grande dell'intero giardino.

Poggiò la cartella per terra, fra aghi e pigne, e tirò fuori il suo album da disegno.

Questo hobby la distraeva e la rilassava parecchio, tant'è che di recente aveva notato anche un leggero miglioramento nei suoi schizzi.

Passò così tre ore intere, senza interruzioni di alcun tipo, finché il gorgoglio del suo stomaco decretò che era giunta l'ora di mettere qualcosa sotto i denti.

Se la memoria non la ingannava, si ricordava che all'entrata del parco, svoltando a sinistra, vi era un forno famoso per i suoi enormi panini a poco prezzo.

Ripercorse perciò il tragitto al contrario, svoltando nella strada che credeva giusta e di fatto si ritrovò davanti al negozio 'Ham'.

Era già aperto da una mezz'oretta e al suo interno vi erano tre persone: una coppia sulla cinquantina ed un ragazzo, assai curioso.

Quest'ultimo indossava un lungo cappotto nero, in vita esibiva una cintura particolare, all'apparenza fatta in ferro, per metà catena e per metà composta da tasselli a forma quadrata ognuno con un simbolo particolare inciso sopra.

Appena entrò, sia la coppia che il proprietario si voltarono a fissarla.

Imbarazzata, Fiphe decise di sedersi al primo tavolo vicino a lei.

Pochi istanti dopo comparve al suo fianco un ragazzo giovane, alto e moro. In mano aveva un block notes ed una penna, pronto a prendere la sua ordinazione.

Scelse un semplice sandwich con prosciutto cotto e dopo pochi minuti lo stava già addentando.

Prese dalla cartella il cellulare, lo accese e attese.

Come aveva immaginato, sullo schermo apparvero due riquadri.

In uno vi erano indicati il numero di messaggi ricevuti non letti, nell'altro il numero di chiamate senza risposta.

Sia Sana che sua madre la stavano cercando da ore, ma Fiphe decise di rispondere solo ai messaggi di Sana, scrivendole:

 

Ciao, Sana. Scusa se stamattina non sono venuta a scuola, ma sono successe un paio di cose.

In questo momento sono da 'Ham', ti aspetto questo pomeriggio, dopo la scuola, al parco che c'è di fianco.

 

p.s. Non dire niente a mia madre.

 

A dopo, un bacio.

 

Esitò. Il dito indice indugiava sul tasto dell'invio.

Poi decise.

Pochi istanti dopo apparve sul piccolo schermo la scritta che diceva: “ messaggio eliminato”.

Non voleva nessuno...

Finì il panino in poco tempo, e dopo aver pagato il conto, uscì dal negozio dirigendosi verso la panchina sotto il pino.

Passò il tempo disegnando il paesaggio che la circondava, ma con scarso risultato, poiché si avvide presto che le bozze non erano minimamente paragonabili alla realtà.

Sì dedico infine ad altri tre disegni.

In essi ritraeva una fanciulla dai lunghi capelli scuri e ricci e occhi chiari come il cielo, ripresa in diverse posizioni ed angolazioni.

Dietro alla ragazza si stagliava una sagoma quasi umana di un uomo giovane. Di lui si distinguevano solo gli occhi.

«Ti piace proprio disegnare, eh?»

Sobbalzò.

Quel gesto improvviso la fece alzare di colpo, facendole cadere dal grembo l'album, e subito con lo sguardo iniziò a cercare la fonte di quella voce profonda e virile.

«Sono qui!»

Puntò gli occhi verso l'alto. La voce proveniva da un ramo dell'albero e su di esso vi era seduto un ragazzo moro, dai lineamenti marcati e dall'aria strafottente.

Indossava una maglietta nera e portava i jeans strappati.

«Chi sei?!»

Fiphe stava ancora tremando, era talmente immersa nei suoi pensieri che non si era accorta di nulla, né di quel ragazzo e nemmeno che il cielo si era ormai oscurato per via dei nuvoloni grigi.

Da quant'è che stava lì a fissarla mentre disegnava?

«Beh, il punto è...»

Il ragazzo scese dall'albero con un agile salto.

«Il punto è che non importa tanto chi sono io, ma chi sei tu.»

Rimase ferma a fissarlo confusa e spaventata.

Io?Perché non dovrei sapere chi sono? Ma lui chi diavolo è?!

«Perché sei confusa? Eppure dovresti aver capito da tempo chi sei veramente. Giusto? Lorea...»

Sgranò gli occhi e il respiro le si mozzò in gola.

Questo nome ormai veniva pronunciato un po' troppo spesso, per i suoi gusti.

In primo luogo voleva sapere chi era quello sconosciuto, ma una vocina dentro di lei le sussurrava di scappare, in fretta.

Decise di non ascoltarla, e di lasciare lo spazio alla curiosità.

   
 
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