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Autore: I_love_books    02/12/2013    2 recensioni
Mary Elisabeth odia tutto, dal suo nome alla sua vita, perfino i suoi tanto amati fratelli che oramai vede come un ostacolo, così, in seguito ad una proposta di matrimonio che non ha intenzione di accettare, si imbarca per il Florida. Si traveste da ragazzo e si rifugia in un campo militare.
La storia è ambientata durante la Grande Guerra
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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10 Rinunce

 

Eric entrò nella stanza, furioso.

La porta sbatté violentemente sulla parete.

Ernie, che in quel momento era disteso sul suo letto, per poco non si prese un colpo.

-MA SEI MATTO?- gli gridò.

-STA' ZITTO!- gli urlò di rimando lui.

Ernie spalancò gli occhi. Non era da Eric, urlare agli altri. Quello era compito suo.

-Stai bene?-

-Ma certo, non si vede?- rispose l'altro con sarcasmo, sedendosi sul materasso.

Ci fu qualche attimo di silenzio, poi -Dov'è Jake?-

La risposta non arrivò.

Ernie dovette rassegnarsi.

 

Ancora non credeva a quello che era successo.

Ma poi, cosa era successo?

Finì di allacciarsi i bottoni della giacca blu e cominciò a camminare, anche se non sapeva per dove.

Inconsapevolmente, stava tornando al campo.

Che cosa aveva fatto?

-Mary!- era Conrad.

-Che…ci fai qui?- chiese lei piano. La voce sembrava esserle sparita.

-Niente…Dennis si è perso un guanto e mi ha mandato in giro per cercarlo…- e sbuffò -Ma che ti prende? Hai una faccia…- le chiese preoccupato.

-È tutto ok, ho solo un po' di influenza- fu la prima cosa che le venne in mente, mentre nascondeva le mani insanguinate dietro la schiena.

-Dai, ti accompagno- le sorrise il fratello.

-Grazie…-.

Provò ad apparire felice, ma come poteva?

 

Si stava facendo sera.

Erano quasi le otto.

Nelle camere dei soldati c'era un gran trambusto, perché si stava avvicinando l'ora di cena.

Eric aveva deciso che sarebbe rimasto dentro con Ernie, non aveva fame.

Era preso da un'enorme malinconia.

In più era stanco, si sarebbe riposato.

Passavano le ore, la notte ormai avvolgeva tutto, al di fuori delle finestre.

Il ragazzo era rimasto sveglio, con gli occhi fissi al soffitto.

Non riusciva a prendere sonno con tutto quel caldo, anche se non era l'unica ragione della sua insonnia.

Erano ancora nitide nella sua mente le immagini di quel pomeriggio, in cui era accaduto di tutto: un attentato in Europa, la fuga di Jake…

Ma soprattutto, non riusciva a pensare a nient'altro che a lei, a Mary, ai suoi occhi, ai suoi capelli, al suo sorriso e…

E a come l'aveva guardata prima.

Si vergognava di se stesso.

Si passò le mani sul viso.

Era stato un idiota, a lasciarsi andare, avrebbe dovuto prevederlo.

Prevedere…Prevedere di non essere capace di controllarsi quando parlava con lei, o semplicemente quando la vedeva.

Il problema era lui, non lei. La colpa era la sua.

Doveva fare assolutamente qualcosa…

Si addormentò tardi, scosso ed esausto.

 

Aveva lo stomaco chiuso.

Non andò a cena quella sera.

Di sicuro Eric ci sarebbe andato, e di sentirsi in soggezione per tutto il tempo proprio non le andava.

Aveva messo una benda sul taglio che si era procurata prima per bloccare il flusso di sangue, e ora aveva lasciato all'aria la ferita.

Prima, insieme a Conrad, aveva incontrato anche Dennis, che l'aveva abbracciata, stritolandola come al solito.

Non gli era sfuggita, però, la sua espressione, e non l'aveva lasciata in pace fino a che Conrad, con la saggezza e l'affetto di fratello maggiore, se lo era trascinato via per un orecchio.

-Tagliati i capelli…ahi…Che dopo…ahi…ne riparliamo…AHI!- aveva detto lui, tutto preso a urlare per il dolore.

Le era venuto in mente anche a lei, quel problema, e quella sera si premurò di chiudersi nel suo bagno personale con le forbici della vecchia Eva.

Tolse parecchie ciocche lunghe.

Alla fine i suoi capelli erano diventati così corti che a mala pena riusciva a passarci la mano.

Aveva lasciato solo il codino, una treccia spessa pochi millimetri.

L'aria nella stanza si stava facendo pesante.

Decise di uscire.

Fuori era buio. Le uniche fonti di luce erano i pochi lampioni disposti lungo la strada che attraversava tutta la caserma.

Camminò per pochi minuti, poi si sedette su una panchina.

Si fermò a guardare tutti gli alloggi delle guardie, cercando di scorgere quello di Eric.

-Non ti pare un'ora un po' troppo tarda per passeggiare?-

Era Elliot.

-Senti, non è il momento. Levati dai piedi e lasciami in pace- gli intimò sbrigativa.

-Cosa hai fatto alla mano?- le domandò invece lui, ignorando l'ordine.

-Niente che possa interessarti- cominciava ad annoiarsi, a dirla tutta.

-Lo dirò a tuo padre, sappilo-

-Fallo, non mi interessa- e si alzò, allontanandosi con le mani nelle tasche.

-Ehi ehi ehi! Aspetta un momento- la fermò, afferrandola per una spalla -Davvero non ti importa?-

-Mi dici cosa ho fatto per meritarmi una seccatura come te? Lasciami in pace!- disse di nuovo, alzando di molto la voce.

E corse via.

 

Il suo era stato un sonno molto turbato.

Si svegliò improvvisamente, con il sudore che gli scendeva dalle tempie.

Si mise a sedere.

Aveva appena avuto un incubo .

Aveva rivisto Mary, i suoi occhi fissi su di lui, con la stessa espressione smarrita che aveva ancora in mente.

Si asciugò la fronte con la manica.

-Credevo di essere io quello malato…-

Ernie era sveglio.

-Era solo un sogno, niente di più- mormorò Eric, con la voce che tremava.

-Ho come l'impressione che in te ci sia qualcosa che non va, ho ragione?- e si alzò dal proprio letto, camminando lentamente verso quello di Eric.

-Cosa ti è successo? Prima mi urli in faccia, poi deliri nel sonno…- gli disse, appoggiandosi al muro, stanco.

-Niente, ti ho detto, niente…-

-Ehi! Non credere di potertela cavare così- lo ammonì, puntandogli minacciosamente l'indice al viso -Potrai prendere in giro anche te stesso, ma sappi che io non mi faccio fregare così facilmente-.

L'altro sospirò.

-Guarda, sono talmente buono da facilitarti il compito- disse poi Ernie -Le domande te le faccio io, così ti risparmi la fatica. Meglio, no? Allora…Perché Jake è sparito?-

Quella fu la prima e la più semplice domanda che pose al ragazzo.

Con il passare dei minuti, Ernie arricchiva di particolari tutto quello che chiedeva.

Quando arrivarono all'argomento “Paul”, Eric iniziò a sentire caldo.

La sua reazione non passò inosservata. Ernie assunse un'espressione indagativa.

-C'è qualcosa che io non so?-

Eric si morse il labbro.

-Non preoccuparti. Qualsiasi cosa sia, ti prometto che la manterrò segreta- disse, aprendosi in un mezzo sorriso.

 

Aveva parlato per più di un'ora, si era alzato e aveva preso a girare per tutta la stanza, gesticolando peggio di un direttore d'orchestra.

Si era soffermato su tutto, su ogni piccolo particolare della propria vita in compagnia di Mary, a cominciare da quando l'aveva scoperta.

I baci, i segreti, i litigi, e infine la sua perdita di controllo.

Ernie era rimasto colpito, ma ancora non aveva proferito parola. Stava solo seduto ad ascoltare.

-…L'ho guardata e… e non ho più ragionato…- mormorò, passandosi una mano tra i capelli -Non volevo farle del male, sapevo che se l'avessi fatto non me lo sarei mai perdonato. Era…era vederla così…ingenua…Non so cosa sia stato a fermarmi…Non lo sapeva neanche lei cosa stava facendo…È…è tutta colpa mia…-

-Non…non so proprio come fare, Ernie, aiutami…Come esco da questa situazione?-

-Forse…- provò l'altro -Non devi uscirne, devi chiarirti con lei…Devi dirglielo…-

-Ma è proprio questo che voglio evitare, andiamo! Tu non capisci…-

Gli tremava la voce -Io ho paura che possa succedere di nuovo, accidenti! Ho paura di non rispondere più a me stesso, devo…-

-Devo dimenticarla- disse in un sussurro quasi impercettibile.

Aveva gli occhi umidi.

-Tu devi cosa?…-

Ma Eric era già uscito.

 

Era tardi ormai.

Finalmente le era possibile farsi un giro senza essere disturbata da chicchessia.

Forse avrebbe potuto…

No, era una cosa senza senso.

Ma sarebbe stato per poco, non l'avrebbe vista nessuno.

Alla fine decise di sì, avrebbe parlato con Eric.

Mancavano pochi metri dalla sua porta, e le venne un dubbio.

Forse era per colpa sua che non voleva più parlarle. Aveva fatto qualcosa di sbagliato e ora lui se l'era presa.

No, si disse ancora, non aveva senso.

Era rimasta intanto con la mano sospesa a mezz'aria, nell'atto di voler bussare.

All'improvviso si aprì la porta di scatto, e lei rimase ferma come un pesce lesso.

Eric, che andava di fretta, non la vide, la travolse completamente e perse l'equilibrio.

Caddero entrambi goffamente sul selciato.

Mary si sentiva soffocare dal peso del ragazzo, che in quel momento era sopra di lei e le stava schiacciando il torace.

-…E-Eric…N-non respiro…Spostati…- mormorò senza fiato lei.

-Tu che ci fai qui?- sembrava ancora più meravigliato di lei. Cercò di alzarsi, ma senza successo.

-Cos'è, ora non posso neanche camminare con le mie gambe?- gli chiese, seccata.

Dopo molti tentativi per coordinarsi, alla fine riuscirono a rimettersi in piedi, entrambi imbarazzatissimi.

-Eric, io…io volevo parlarti- disse, quando riuscì a ricomporsi

-...No, sono io che devo parlarti, e ora ascoltami- cercò di essere il più sgarbato possibile. Se voleva riuscire nel suo intento doveva cercare una qualsiasi ragione per provocare un litigio.

Ma lei era ferma, irremovibile e impassibile. Stava semplicemente ascoltando.

-Io … c'è un cosa che non riesco a tenermi dentro. Il fatto è…Noi…-

E da dietro Ernie, che aveva seguito tutta la scena, volse uno sguardo implorante al cielo.

-...non siamo fatti per stare insieme.- gli era costato uno sforzo enorme, pronunciare quelle poche, false, parole.

Ad Ernie cadde la mascella.

-Quello che è successo…Dimenticalo, è stato solo un errore…-

Mary era senza parole. Nella sua mente non c'erano idee per formulare una frase di senso compiuto.

Ernie era semplicemente sconvolto -Tu…-

-Ma insomma, cosa sta succedendo qui?- era un ufficiale, di turno quella sera, era un sottopagato di Mary e doveva il massimo rispetto al colonnello -Che cos'è questa, un'assemblea condominiale? È l'una di notte. Tornate tutti a letto, forza…Oh, signore- e si accorse della ragazza, nonostante il buio -Mi dispiace signore, stavo solo riprendendo un comportamento non adeguato…-

-Va bene Williams, ho capito, se permetti qui ci penso io- lo interruppe lei, già intuendo la lunga chiacchierata che avrebbe seguito.

-Oh, certo signore. I miei rispetti- e si allontanò.

-Rientrate subito nelle vostre camere, sono stato chiaro?- intimò loro con la voce dura, non smettendo un secondo di guardare Eric. Sentiva gli occhi bruciarle

Lui si vergognava perfino di immaginarsela, e teneva lo sguardo basso.

-Sì, signore- disse atono. Subito dopo entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

Ernie e Mary rimasero fuori. Lui provò a dire -Non preoccuparti, sono sicuro che non voleva dire così davvero…-

-Senti- lo interruppe lei scortesemente -Non mi interessa. Ha detto quello che pensa, no? Rispetto benissimo la sua scelta, per quanto possa fare male. Non ho altro da dire. Riprenditi- concluse brusca ponendogli una mano sulla spalla e se ne andò, quasi correndo.

-Non risolverai mai niente così!- le gridò quello, sull'orlo dell'esasperazione.

Mary si voltò.

Era vero, Ernie aveva ragione.

Era sul punto di dirgli che era confusa, che non sapeva cosa fare, ma l'urlo aveva svegliato parecchie persone negli alloggi confinanti.

Per evitare altri guai, la ragazza scappò, la sua figura si nascondeva nel buio.

Rassegnato, Ernie rientrò nella camera, dove Eric era seduto sul suo letto.

Era chino su se stesso.

Aveva le mani sul viso e le maniche della giacca erano bagnate delle sue lacrime.

 



 
  
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