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Autore: EllieMarsRose    04/12/2013    1 recensioni
[The Quireboys]
[The Quireboys][The Quireboys]Blu; il colore profondo di quegli occhi che osservano il mondo. Che vedono la vita dispiegarsi in un modo odioso, a tratti inaccettabile.
Spike si separa dal suo grande amore e sembra non volersi più appassionare a nulla.
Ma i suoi amici gli insegneranno a rimanere a galla, nonostante la vita voglia a tutti i costi voltargli le spalle.
...
Spike guardò l'amico ravvivarsi i capelli rossi: «Leah mi diceva sempre che l'essenziale è invisibile agli occhi»
«Aveva torto» Tyla si rigirò fra le mani la bottiglia di Chardonnay «io l'essenziale l'ho sempre trovato qui dentro»
(cit. capitolo #5 "Pianto")
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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04 Apatia

Guy aprì la porta dell'appartamento aiutandosi con il gomito destro e rischiando di rovesciare il pranzo sul pavimento. Diede un'occhiata al corridoio; era vuoto.

«Spike!».

La risposta fu un silenzio immobile. Guy scosse la testa e sospirò, sconsolato; lasciò il fish and chips sul tavolo della cucina ed andò a bussare alla porta della stanza dell'amico strisciando gli stivali: «Bello, ho comprato da mangiare. Ci sono delle patatine fritte galattiche...»

doveva cercare di suonare molto più convincente

«... e se le mangi fredde fanno schifo».

Di nuovo non udì la voce di Spike.

Guy si alterò; tentò di abbassare la maniglia, ma la porta era chiusa a chiave dall'interno: «Senti, sono giorni che sei tappato nella tua stanza e ti rifiuti di collaborare con il mondo esterno. Non so nemmeno se sei vivo o morto, cazzo!».

Il ragazzo rimase con il fiato sospeso, in attesa di una qualsiasi risposta; anche solo un vaffanculo. Ti prego Spike, mandami a fare in culo. Era da quando era tornato da Lione che si nascondeva fra quelle quattro mura; metteva il naso fuori dalla stanza solo per andare in bagno e, saltuariamente, per rubare i McVitie's dalla dispensa. Ma non era il fatto di non trovare più biscotti in cucina che lo mandava in bestia; ciò che lo faceva partire per la tangente era essere certi che il proprio amico stava così male per colpa di una per cui lui aveva perso la testa e che l'aveva piantato in asso senza remissione. Io ti avevo avvertito diverse volte Guy si tastò le tasche alla ricerca di una graffetta anzi, tutti ti avevamo detto di lasciar perdere, che quella era una stronza, che non ci piaceva per svariati motivi e sbuffò per aver trovato solo qualche moneta da un penny ma tu, proprio, zero.

Improvvisamente, il chitarrista sentì scattare la serratura e la porta si aprì leggermente; rimase con la bocca aperta quando di fronte a sé vide Spike spettinato, con la barba incolta di almeno quattro giorni, gli occhi stanchi ed arrossati, circondati da occhiaie profonde, e la sigaretta stretta fra le dita tremanti. «Non importa se fredde faranno schifo» parlava con voce roca e bassa e il suo alito sapeva pesantemente di alcol «lasciale pure sul tavolo della cucina. Ora non ho fame».

Guy lo fissò preoccupato: l'amico stava in piedi per miracolo, attaccato alla porta come se fosse la sua ancora di salvezza. Si vedeva lontano miglia che erano giorni che non riusciva a dormire, che non faceva altro che bere, fumare, mangiare qualche briciola ogni tanto e pensare ininterrottamente a quella stronza. L'incazzatura gli salì alle stelle, ma tentò comunque di tenerla per le briglie, mostrando una calma ostentata: «Oggi abbiamo le prove» si allungò verso di lui per mettergli una mano sulla spalla; poteva sentire sotto il palmo i muscoli tesi del cantante «c'è bisogno di te».

Spike gettò il proprio sguardo sul pavimento seguito, poco dopo, dalla sigaretta. La guardò rotolare sulle piastrelle e spegnersi nel giro di pochi secondi. Si rivide in quel mozzicone; si sentiva spento, freddo, inutile. Da quando Leah l'aveva lasciato per quei motivi futili, si sentiva privato di ogni motivazione possibile per andare avanti. «Guy» fece un respiro profondo, passandosi una mano sulle palpebre «credo che, d'ora in avanti, dovrete cercarvi un altro cantante e chitarrista»

«Stai scherzando?» il chitarrista rimase intontito dalla frase dell'amico, come se avesse appena ricevuto una bastonata in testa. Sperava con tutto se stesso di aver capito male; ma Spike scosse il capo, continuando a tenere lo sguardo basso.

A quel punto Guy sentì di aver raggiunto il limite di sopportazione: «No, no, NO! Tutto tranne questo» spalancò la porta con un pugno facendo perdere l'equilibrio a Spike. Lo fissava con gli occhi iniettati di sangue: «Non vuoi più suonare la chitarra? Beh, ci posso anche stare; non perchè tu non sia bravo, ma perchè già canti. Ma un cantante no, un altro cantante NON-LO-VOGLIO». Il chitarrista gli diede uno spintone e lo fece cadere come un sacco di patate sul letto, pieno di pacchetti di Lucky Strike vuoti e tappi di bottiglie di whisky: «Vedi di non fare il cazzone, che nessuno canta come te. E tutta questa voglia di mollare per cosa? EH?»

Spike lo fissò per qualche secondo con gli occhi blu vuoti, incapace di reagire, poi si girò verso la parete, dandogli le spalle: «Per favore, lasciami solo».

Guy lo guardò con il sangue che gli ribolliva per la rabbia; guardò lui e l'ambiente che lo circondava. Erano giorni che in quella stanza, praticamente, non entrava luce: le persiane erano chiuse ed il timido sole londinese disegnava chiare strisce sfumate sulla moquette scura della stanza, costellata delle varie bottiglie di alcolici recuperate dal soggiorno, tutte svuotate del liquido e riempite del dispiacere di Spike. L'unica bottiglia ancora piena era poggiata sul comodino. Guy guardò un raggio di sole illuminare il liquido ambrato che l'etichetta bianca nascondeva in parte e si soffermò su di essa; poteva vedere il gallo cedrone fissarlo con i suoi occhietti tondi. Famous Grouse, la mia bottiglia. Inspirò fra i denti, sempre più nervoso, ed arricciò il naso; nell'aria aleggiava un forte odore di chiuso mischiato ad una fitta nebbia fatta di nicotina. E Spike si nascondeva in quella nuvola torbida, un misto di sporcizia, distacco e testa pulsante per i troppi pensieri, cercando di non avere nessun contatto con la realtà. Non parlava per esorcizzare il suo demone. Non urlava per sfogare la sua rabbia. Non piangeva nemmeno. Non faceva assolutamente nulla; solo metteva a tacere quel male affogandolo nell'alcol. «Non puoi scappare in eterno, bello» il chitarrista raccolse dal pavimento due bottiglie vuote «prima o poi ti prenderò. E quando lo farò, tu verrai con me a suonare».

La porta fu chiusa con un tonfo sordo e Spike sospirò, facendosi scivolare addosso le parole del coinquilino. Dava le spalle all'unico ponte con il mondo esterno, adagiato su quel letto completamente sfatto e freddo. Già... sfatto come il letto di Leah in quell'appartamento. Rabbrividì; cercò un lembo della coperta e se la tirò fin sopra la testa. Nascosto nel suo mondo, con la lana che gli pungeva le guance, Spike si rifugiò nel passato, nel frangente in cui Leah gli aveva detto che non lo amava. Celò gli occhi blu dietro le palpebre e fece un respiro profondo, rivedendo a rallentatore tutti i dettagli di quel fatidico giorno: la facciata dell'edificio, i muri scrostati del pianerottolo, Colette che lo tirava in casa scambiandolo per il nuovo trombamico (perchè è questo che lui è, vero Leah?), la camera da letto con le scarpe sparse sul pavimento e la chitarra classica che lui aveva perso tempo ad accordare, le voci... il bacio... la rosa che veniva buttata a terra e quelle parole che lei gli aveva sbattuto in faccia con violenza: all the pain is with yourself, all the blame is with yourself.

Io? Era l'ennesima volta che se lo chiedeva in quei quattro giorni insonni: io, cos'ho sbagliato? Ripensò alla loro breve relazione, a come aveva subito perso la testa per lei e a come quell'incendio passionale, nel giro di quattro mesi scarsi, si era estinto completamente, laciando il posto al nulla più completo. Spento per lei, ma non per me. Fin dalla prima volta che l'aveva addocchiata, le rotelle del suo cervello si erano per magia inceppate e le cose erano andate sempre più accentuandosi, finchè, dopo due settimane, le aveva detto le due paroline magiche. Non sapeva spiegare perchè provava quel sentimento così forte; Leah aveva quel non so cosa che mi tirava scemo... è successo e basta. In fondo, non si decide arbitrariamente di chi innamorarsi. Si mise a pancia in giù, con la fronte appoggiata al cuscino, in cerca di una risposta; la storia del “tu non mi hai mai capita fino in fondo perchè non sei in grado di apprezzare quel libro” gli suonava fin troppo assurda. Proprio non riusciva a capire perchè Leah si era attaccata a lui, ci aveva fatto l'amore e poi l'aveva piantato in asso per andare in Francia e farsi il primo che capitava. Era così frastornato che non riusciva a reagire in alcun modo; gli sembrava di essere sigillato in una bolla di sapone. Tutto sembrava uno scherzo ai suoi occhi. Sempre rimanendo nascosto sotto le coperte, si mise seduto ed allungò il braccio per afferrare il whisky che aveva lasciato sul comodino; diede una lunga sorsata e poi si poggiò la bottiglia in grembo. Con la bocca e lo stomaco che bruciavano per il troppo alcol, appoggiò la schiena e la testa al muro. Rivide di nuovo Leah che lo fissava con sguardo glaciale: all the blame is with yourself... ma perchè? Ormai era così confuso che non riusciva più a connettere; l'unica cosa chiara nella sua testa era il tonfo lento e regolare del suo cuore. Un suono triste e continuo; non c'era modo di fermarlo.

Improvvisamente la serratura della porta d'ingresso scattò e delle scarpe pesanti si posarono sulla moquette. Guy... Un rumore crescente di passi si stava avvicinando al suo nascondiglio; a quanto pare non è solo. Fece spallucce. Vorrà presentarmi il mio sostituto; tutto sommato, è stato veloce. Sapevo che non sarebbe stato per nulla difficile. La porta della camera si aprì e Guy disse a qualcuno: «È lì sotto». Spike si appallottolò ancor di più su se stesso, vergognoso di farsi vedere da un estraneo ridotto in quelle condizioni. Ma quando una mano gli tolse bruscamente di dosso le coperte ed una voce conosciuta lo chiamò per nome, fu costretto ad alzare il capo.

SPIKE!

Tyla lo stava fissando con le sopracciglia corrugate ed un'espressione dura; non lo salutò, andò immediatamente al punto: «Cosa stai facendo?».

Proprio non lo sapeva: «Sto cercando di... pensare?».

«Sì, questo lo vedo» gli occhi verdi di Tyla passarono al setaccio la stanza velocemente, poi tornarono sull'amico: «Perchè non sei andato a provare?».

Il ragazzo parlava con tono quasi minaccioso; Spike si irritò e cominciò lui stesso ad alzare la voce: «Perchè non ho voglia, non puoi costringermi».

Guy si intromise nel discorso: «Ripeti un po' quello che mi hai detto, dai!»

«Che non voglio più suonare» Spike si alzò in piedi barcollando ed urlò con tutto il fiato che aveva in corpo: «NON VOGLIO PIÙ SUONARE!»

«Piantala di dire stronzate» Guy gli si buttò addosso con violenza e lo prese per il bavero della maglietta bianca, inzaccherata di spirito: «Se lo ripeti, anche solo una volta, ti sfondo la faccia a pugni».

Spike ridacchiò fra i denti, mentre una scintilla gli attraversava lo sguardo: «Fallo... coraggio. Tanto ormai non ho più nulla da perdere».

Guy vide rosso per un secondo ed alzò la mano destra, ma fu bloccato tempestivamente dalla voce di Tyla: «Buono Guy, lascia perdere». Fece scivolare fuori dalla tasca della giacca rosa una sigaretta e se l'accese: «Senti un po'» parlava a Spike con tono stranamente tranquillo «lo sai che sei conciato uno schifo?».

Il ragazzo non si rispose; si limitò a mettersi seduto e a guardare in faccia l'amico dopo aver spinto via Guy.

Tyla proseguì: «E credo anche che tu sappia molto bene che non puoi andare avanti così». Spike indurì i propri lineamenti, ma, di nuovo, non proferì parola. Per parte sua, Tyla lo osservò attraverso il fumo grigio della Marlboro che stava facendo fluire dalle proprie labbra verso il soffitto della stanza e, come era solito fare in quelle situazioni, lo mise fuori gioco con una sola domanda: «Hai pianto?».

Nella stanza scese il silenzio più assoluto; sia Guy che Spike guardavano sbalorditi il cantante dei Dogs D'Amour per quello che aveva appena chiesto. Dopo qualche secondo, la voce ruvida del ragazzo fece vibrare l'aria: «No» che puttanata, che roba da bimbe «dimmi tu, è necessario?».

Tyla finì la sigaretta con una lunga aspirata, carbonizzando in parte il filtro, poi fece due passi verso la finestra e la spalancò con veemenza, scaraventando il mozzicone in strada: «Allora: innanzitutto, aprire le finestre per lasciar uscire questa puzza insopportabile».

Spike grugnì e si coprì il viso con un braccio, sentendo i propri occhi colpiti brutalmente dalla luce del giorno.

«Poi, fili immediatamente a lavarti via il lerciume che hai addosso» Tyla alzò l'amico di peso e gli mollò uno spintone in direzione del corridoio «e non tornare finchè non avrai un odore decente».

«Non...».

Spike fece per ribattere, ma Tyla gli urlò contro: «VACCI, PORCA DI QUELLA TROIA».

Guy fissò il coinquilino sbalordito, mentre con il capo chino e l'espressione vuota ciondolava verso il bagno; si voltò verso Tyla con la bocca semi aperta in cerca di spiegazioni.

«Ormai lo conosco come le mie tasche» il cantante bevve un sorso di Famous Grouse e poi continuò: «tranquillo che lo recuperiamo alla grande».

«Me lo auguro» Guy si passò una mano in mezzo ai capelli sbuffando «posso aiutarti in qualche modo?».

Tyla annuì in silenzio e gli mise un braccio intorno al collo: «Vai a farti un bel giro... diciamo per un paio d'ore. Non cercare altri musicisti per il momento. Vai a fare una bella partita a freccette e poi chiama tutta la band. Ci vediamo allo scantinato di Bam intorno alle sette questa sera».

Guy aggrottò la fronte: «Perchè proprio alla vostra sala prove?»

«Perchè noi abbiamo un registratore che a voi manca» Tyla lo accompagnò verso la porta «fidati che entro mezzanotte avrete il vostro primo brano inedito».

Il chitarrista sgranò gli occhi incredulo.

Tyla, di rimando, gli fece l'occhiolino e lo lasciò sul pianerottolo: «Soprattutto, Spike si rimetterà in bolla».

   
 
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