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Autore: gattapelosa    04/12/2013    3 recensioni
Stop! Non andate oltre, questo Regno non è Regno per voi. È terra di follie: vi vive Biancaneve nella comicità della sua vita futura, Ariel e i suoi incontri piccanti, il Genio nella lampada, Cenerentola coinvolta nel mistero del padre deceduto, Alice nella magica terra di "MaChiCazzoHaInventatoStaRoba"...
Io vi ho avvisati, non entrate. Non siete abbastanza forti.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Rosso





Avevo sempre classificato il rosso come simbolo negativo di esagerazione e irrealtà, perché il rosso era colore dell’amore, ma all’amore ancora non credevo. Era simbolo di violenza, come il sangue dei nemici caduti in guerre cui io avevo preso parte. Poi ho rivalutato tutto, perché i capelli rossi di Ariel non sapevano d’esagerazione, né di irrealtà.
Se solo l’avessi baciata prima, Ursula non avrebbe avuto modo di trascinarla negli abissi dei mari. Sarebbe rimasta con me, per sempre.
E ora mi accontentavo di passeggiare per il litorale, fin sopra gli scogli delle dighe più basse, sognando di scorgere tra le onde del mare il rossore dei suoi capelli.  
Mi lasciai cadere sull’ultimo scoglio, fissando l’acqua farsi scura al passaggio dei pesci, argentata per la luna. E poi, un lieve rossore di superficie.
Spalancai di colpo gli occhi, con quello sfarfallio nelle viscere a gridare “C’è!”. Lentamente emerse dall’acqua una fluida cascata rossa, coprente il volto morbido della bella sirena.
— Ariel— dissi, sconvolto. — Sei qui!
Mi si buttò tra le braccia, piangendo. Non emetteva suoni, come ricordavo dai suoi tre giorni in terra ferma, ma era bella come lo era sempre stata, morbida come avevo sempre sognato che fosse. Viva. Mia.
— Cosa è successo? Ti ha lasciato andare?
Lei, sorridendo, si sporse in avanti a baciarmi le labbra. Era morbida la sua bocca, morbida e salata. Si stese sul mio scoglio, con la pinna verde a ingombrare i movimenti. Tornò a baciarmi le labbra. Avrei voluto sorridere, piangere, farle tante domande, ma era quel calore a distrarmi, a farmi sognare.
— Ti amo— dissi, carezzandole la schiena, sfiorandole il reggiseno.
Poi furono le sue labbra a lasciarmi, per scivolare solo un po’ più giù, fin sopra il petto spoglio della camicia. Tracciavano lascive il contorno dei capezzoli, mordendo e leccando la pelle.
— Ariel…— sussurrai, eccitato. E lo ero sul serio, come la notte del nostro primo incontro, agitato da sogni erotici, e da quelli di tutte le notti successive.
Ariel se ne accorse: lasciò scivolare una mano fin sopra la patta dei pantaloni. Se in un primo momento ne rimasi sorpreso, poi, al tocco delicato della sua dolce mano, iniziai a gemere. Anche Ariel sospirò, mordendo un lembo di pelle e prendendo tra le mani la mia erezione. Esperta come nessuna sirena avrebbe mai potuto essere, mi fece sospirare, gemere e gridare fino all’estremo: inarcai la schiena e baciai Ariel con tutta la passione del momento. Poi lei posò le mani sporche sullo scoglio, sorrise felice, mimò un “Ti amo”.
— Ti amo anche io— risposi.
Allora mi addormentai.
 
Quando riaprii gli occhi faceva freddo, portavo pantaloni e camicia, l’acqua splendeva chiara, ma ero solo. Mi alzai di botto, gridando spaventato.
— Ariel!
Non volevo credere che fosse ancora là sotto, nelle mani di Ursula. Non volevo credere d’aver solo sognato, come tutte le altre volte. Allora sbottonai la camicia, pregando di trovarvi il morso dove la pelle era liscia.
— Ariel!— gridai ancora, e ancora non servì: Ariel non c’era più. Non sarebbe tornata.



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Il parto peggiore della mia vita: 500 parole? Scherziamo? Intere frasi sono state cancellate o abbreviate da sinonimi rindondanti e infantili. Ecco perché non scrivo flashfic, no no. 

 
  
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