Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Timcampi    04/12/2013    4 recensioni
"Rico Brzenska, quindici anni d'età di cui gli ultimi otto trascorsi in una solitudine troppo nera per una bambina, contemplava il vuoto con occhi spenti, le braccia piegate in un rigido e impettito saluto militare e i piedi fastidiosamente infilati in quegli stivali troppo grandi.
Di tanto in tanto, mentre il capo istruttore inventariava il branco di ragazzini macilenti schierati come pedoni in divisa su una scacchiera polverosa, la ragazzina lasciava correre pigramente lo sguardo sui suoi compagni, i membri del settantasettesimo Corpo di Addestramento Reclute.
«QUAL È IL TUO NOME, RAGAZZO?!» brontolò il capo istruttore, puntando i piedi di fronte al suo ennesimo bersaglio: un ragazzo sull'attenti all'estrema sinistra dello schieramento, smilzo e acerbo, con un paio di spessi occhiali in bilico sulla punta del naso un po' aquilino e gli angoli della bocca sottile ricurvi nello sfontato accenno d'un sorriso eccitato. Poteva avere forse diciotto o diciannove anni.
Rico aggrottò la fronte e, senza neppure accorgersene, si ritrovò ad allungare il collo verso la sua direzione.
Il ragazzo sbattè ripetutamente le ciglia, si sistemò gli occhiali in cima al naso e sbattè nuovamente le ciglia.
E poi scoppiò a ridere."
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Hanji Zoe, Rico Brzenska, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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STRATEGIA

 

«Ohi, Rico!»

La ragazza aggrottò la fronte, emettendo un lungo mugolio.

Se ne stava acciambellata sotto le lenzuola, le labbra arricciate e i pugni stretti perfino durante il sonno.

«Rico Brzenska!» chiamò ancora Zoe. Ma, in tutta risposta, quella si limitò a voltarle le spalle.

Il cuscino che atterrò un attimo dopo sulla sua guancia, però, non le lasciò scampo: aprì gli occhi con un sonoro grugnito, tirando un pugno al materasso in un gesto di stizza e mettendosi scompostamente a sedere, massaggiandosi la nuca.

Tutta la sua solita compostezza sembrava dissolversi nel nulla, quando era a metà tra il sonno e la veglia: i capelli arruffati, gli occhi gonfi e cerchiati, le labbra secche e le gote arrossate creavano, nel complesso, un'immagine che la sua compagna di stanza trovava decisamente troppo divertente per evitare di stuzzicarla, quando era appena sveglia; in quel momento, però, attentare al fragile umore di Rico sarebbe stato terribilmente controproducente.

«Sorgi e splendi, pelandrona!» trillò Zoe, sforzandosi di non ridere. Le faceva capolino a testa in giù dal piano superiore del giaciglio, in mezzo a una dondolante cortina di capelli scuri e illuminata soltanto dalla fioca luce della luna che, accostata al suo sguardo fiammeggiante e al suo largo, eccitato sorriso, le attribuiva un che d'inquietante.

«Abbassa la voce, idiota» l'ammonì l'altra, per poi strofinarsi con forza gli occhi ancora annebbiati dal sonno. «Che accidenti di ora è?»

«L'ora di sbrigarci. È tardi» squittì Zoe, lanciandole addosso i suoi indumenti. Ma a Rico non parve tanto il caso di domandarle quando e perchè avesse frugato tra le sue cose, forse anche in virtù del fatto che non era di certo la prima né sarebbe stata l'ultima volta in cui questo accadeva, quanto quello di comprendere cosa avesse intenzione di fare e in quale assurdità avesse deciso di coinvolgerla, nel cuore della notte e senza alcun preavviso.

L'ultima volta che Zoe aveva avuto la brillante idea di infrangere le regole e d'improvvisare un'escursione notturna nelle cucine, trascinando con sé anche Rico, costretta a fare il palo mentre la compagna faceva incetta di strisce di carne essiccata, formaggi, frutta, pane e patate, entrambe erano finite a lustrare i pavimenti dell'intero campo d'addrestramento.

Evidentemente, però, non aveva ancora imparato la lezione.

«Tardi per cosa?» latrò Rico. In tutta risposta, aggrappandosi con forza alle travi che sostenevano il suo letto, Zoe si catapultò su quello sottostante, schioccando un sonoro bacio sulla fronte della compagna.

Era tanto agile e forte quanto tremendamente inopportuna.

«Seguimi e lo vedrai» asserì, arricciando gli angoli delle labbra in un candido sorriso. Ma Rico non aveva alcuna intenzione di finire ancora una volta a lustrare pavimenti, le bastava fare il bucato e lavare le stoviglie quando era il suo turno.

«No, io non vado proprio da nessuna parte» dichiarò.

Lo sguardo di Zoe si fece d'un tratto malinconico, mentre faceva per sistemarsi gli occhiali in cima al naso, occhiali che non aveva addosso. Il suo era un riflesso condizionato, un gesto che accennava naturalmente, quando era giù di tono.

Quell'attimo di svilimento, però, durò poco.

Con un balzo schizzò fuori dal letto, poi agguantò i pantaloni della divisa e una vecchia blusa consunta e cominciò rapidamente a cambiarsi.

«Fai sul serio? Se hai intenzione di metterti ancora nei guai, ti avverto, dovrai farlo da sola»

«Non mi accadrà nulla» mormorò Zoe, calzando gli stivali.

«Bene, lo spero. Perchè se tu dovessi finire nei pasticci...!»

«Non ci finirò»

«Ho perso il conto delle volte in cui sono stata umiliata per colpa tua»

«Di' un po', Rico: hai tenuto anche il conto delle volte in cui io e te ci siamo divertite, oppure no?»

Rico ringraziò il buio pesto e la pessima vista dell'altra, quando si accorse d'essere arrossita.

Quella ragazza aveva il potere di utilizzare contro di lei qualsiasi rimprovero Rico le muovesse; a dispetto della sua aria da perfetta idiota, era in grado di trovare i punti deboli di ognuno dei suoi ragionamenti seri e contorti e di colpire proprio là, con la stessa precisione con la quale affondava le proprie lame nelle enormi sagome che sbucavano durante i loro allenamenti con l'attrezzatura per il movimento tridimensionale.

«Provvederò a tirarti fuori dai guai, nel caso dovessero accusarti di avermelo lasciato fare. Te lo prometto» sentenziò. E una promessa di Zoe Hanji, almeno questo Rico doveva riconoscerlo, era una promessa vera.

Non riuscì a spiccicare parola né in quel momento né quando, con un frettoloso “Augurami buona fortuna”, Zoe spalancò la finestra e vi balzò oltre, atterrando nell'erba alta.

Affondò il viso nei palmi delle mani, lasciandosi cadere nuovamente sul proprio cuscino; quando scostò le dita, si ritrovò a fissare la rete metallica del letto sovrastante. Cercò di scacciare via ogni pensiero -dov'era diretta? quando sarebbe tornata? e se le fosse accaduto qualcosa mentre era lontana dal campo?- e di concentrarsi sulla rete, e c'era quasi riuscita, quando un fulmineo bagliore proveniente dalla finestra squarciò per un attimo il buio della stanza, seguito da un rombo lontano.

Un temporale era in arrivo.

 

«Ci hai messo un'eternità, per un momento ho seriamente temuto che non saresti venuta»

«E io sono seriamente tentata di tornare indietro, perciò sta' zitta. Non te la caveresti cinque minuti, senza di me»

L'aveva trovata dietro l'angolo, con la schiena contro il muro e le braccia conserte, ad attenderla: neppure per un secondo aveva davvero creduto che Rico sarebbe riuscita a riprender sonno, ma sapeva bene che insistere non avrebbe fatto che allungare i tempi, e più avesse insistito, più probabile sarebbe stato che Rico finisse sul serio per lasciarla andare da sola e per aspettarla con il naso schiacciato contro i vetri per tutta la notte, troppo orgogliosa per seguirla ma comunque troppo in pensiero per riaddormentarsi.

Un altro fulmine crepò l'orizzonte, e Rico pregò in cuor suo che non cominciasse a piovere mentre erano ancora fuori dal dormitorio.

«Si può sapere dove stiamo andando?» domandò, un attimo prima che l'altra le tappasse la bocca con una mano, trattenendola al contempo per il polso e costringendola ad appiattirsi nel varco tra il dormitorio femminile e la mensa proprio un attimo prima che una guardia di ronda passasse fischiettando di fronte a quest'ultima, con una bottiglia tra le mani e le guance arrossate dall'alcol.

Non appena l'uomo fu scomparso dalla loro vista, Zoe sbucò fuori trascinando con sé anche Rico, le mani saldamente aggrapate l'una all'altra, e guidandola verso il recinto perimetrale. Per un attimo, le gambe di Rico vacillarono. Sbarrò gli occhi, puntando i piedi nella polvere.

«Non starai pensando di... uscire, vero?» mormorò. Ma il volto dell'altra era disteso e sereno.

«Fidati di me» squittì, e a Rico parve un ordine, più che un suggerimento.

E quando le sue gambe ripresero a muoversi e la presa sulle dita della compagna d'armi si fece più stretta, comprese che il suo corpo stava obbedendo con tanta docilità da non poter far altro che assecondarlo.

Fino a quando non fossero state oltre quel recinto, sapeva di essere in tempo, di poterci ripensare, ma conosceva abbastanza se stessa da sapere che non ne sarebbe stata capace.

C'era un carro, di fronte ai cancelli, carico e pronto alla partenza. Partiva ogni notte pieno di attrezzature da far riparare, scartoffie da portare in città e missive dirette alle famiglie e tornava ogni mattina colmo di provviste, attrezzature nuove di zecca e missive per le reclute.

Zoe ci saltò su e Rico, quasi sovrappensiero, la imitò.

«Giurami che saremo di ritorno prima dell'adunata» sibilò, rincantucciandosi in un angolo e portandosi le ginocchia al petto. Ma Zoe non rispose. Prese posto accanto a lei, posando dolcemente una mano sopra la sua testa.

«Voglio vederla» mormorò, con una nota di folle bramosia nella voce.

«Vedere cosa?»

«L'Armata. Non l'ho mai vista»

Rico scattò in piedi proprio nel momento in cui il carro partì, e per poco non perse l'equilibrio.

«Mi stai forse dicendo che... è questo che dobbiamo fare? Vedere l'Armata Ricognitiva?»

Improvvisamente, percepì un forte bruciore negli occhi. Inveire contro l'altra avrebbe significato farsi scoprire, ma non farlo comportava un autocontrollo che, quando si trattava di Zoe Hanji, Rico sentiva venire a mancarle. «Avrai tutto il tempo per farlo, quando ci sarai dentro» proseguì «quindi... perchè proprio adesso? Che fretta hai di vedere un branco di folli suicidi?!»

Si lasciò nuovamente cadere sul fondo del carro proprio mentre un tuono squassava l'aria. In quel momento, sbirciando fuori dallo spesso telo che proteggeva il carro e rendendosi conto che avevano già superato il recinto da diverse dozzine di metri, si sentì condannata.

Sprofondò contro un sacco di yuta e si coprì il viso con le mani, massaggiandosi dolcemente la fronte.

Se Zoe si sentì ferita dalle sue parole, si sforzò di non darlo a vedere.

«Ho sentito da uno degli addestratori che una spedizione fuori dalle mura è stata programmata per l'alba. Partiranno proprio dalla porta più vicina» si giustificò, stringendosi nelle spalle. Ma Rico sembrava in un altro mondo. Benchè il loro addestramento fosse cominciato da più di un anno, a Zoe erano state sufficienti poche settimane per notarlo: ogni volta che l'Armata Ricognitiva e i suoi uomini erano oggetto di conversazione tra le reclute, Rico si chiudeva in se stessa, estraniandosi da tutto ciò che le stava intorno. A dispetto della sua frizzante curiosità e per amor di quel tacito accordo che implicava il non farsi domande sulla vita prima dell'arruolamento, si era sempre vietata di far prevere il suo impulso d'indagare.

«I miei genitori facevano parte dell'Armata Ricognitiva» esordì Rico. Il suo sguardo era come impigliato a un punto invisibile sulla parete opposta del carro; sembrava quasi che parlasse a se stessa, che riflettesse ad alta voce. Senza accorgersene, Zoe si fece impercettibilmente più vicina.

«Mio padre veniva dal Wall Sina, da una famiglia che possiede così tanto all'interno delle mura da curarsi poco di cosa possa esserci fuori» proseguì Rico «Ma mia madre... Mia madre è cresciuta ai piedi del Wall Maria. Ha visto l'Armata Ricognitiva entrarne e uscirne tante volte, prima di decidere di voler farne parte» Fece una pausa. «A causa sua, mio padre abbandonò il suo sogno di entrare nella Polizia Militare ed entrambi entrarono nell'Armata» Inspirò a fondo, affibbiando un morso al labbro inferiore prima di continuare. «Morirono entrambi durante la venticinquesima spedizione fuori dalle mura quando avevo sette anni, e io fui spedita a vivere a Stohess con i genitori di mio padre»

Dal modo in cui pronunciò le ultime parole, Zoe comprese che non doveva avere molto a cuore coloro che l'avevano tirata su, o meglio, che costoro non avevano mai davvero avuto a cuore Rico.

Quest'ultima trasalì, quando si vide circondare le spalle da un braccio che la strinse con vigore.

«Io non finirò ammazzata da un titano» sentenziò Zoe, schioccando la lingua.

Era un vano tentativo di rassicurarla o una vanesia dichiarazione di superiorità?

«Tu non sei diversa da tutti quanti gli altri» la redarguì, ma Zoe si limitò a scrollare le spalle.

«E non ho neanche una buona ragione per tornare a casa» ridacchiò, ma Rico notò che la stretta intorno alle sue spalle si faceva più stretta. «I tuoi genitori ce l'avevano» mormorò «Ho sempre creduto che sarà l'Armata, la mia famiglia»

Per qualche motivo, un motivo che non riusciva a mettere a fuoco, Rico si sentì di colpo punta, ferita. Ignorata. Neppure fece caso al fatto che il carro si era fermato fino a che Zoe non si precipitò a sbirciare fuori.

«Siamo arrivati. E siamo a un passo dalla porta» proclamò Zoe, scendendo dal carro. Le tese una mano, ma Rico la ignorò, finendo per atterrare sul selciato sulle ginocchia.

«E ora?» domandò.

«E ora aspettiamo»

Presero posto sui gradini di un'abitazione come in attesa dell'inizio d'uno spettacolo, e rimasero in silenzio. Per Rico, quel silenzio vibrava, vibrava tanto forse che, se l'avesse infranto, il rumore che avrebbe fatto nel cadere in frantumi sarebbe stato insopportabile. Ma Zoe era raggiante.

A parte qualche albergatore sceso in strada per gettare i rifiuti dell'osteria e a qualche gatto accorso per approfittarne, la città pareva deserta.

E quando, oltre le mura, l'orizzonte cominciò a tingersi d'un pallido rosa, comparvero.

Otto soldati dai mantelli alati apparvero dall'altra parte della strada sul dorso dei cavalli più possenti che Zoe avesse mai visto. Doveva trattarsi delle squadre destinate a tenere a bada i titani sotto le mura durante l'uscita delle truppe.

«Adesso possiamo tornare al carro?» prese parola Rico, ma Zoe scosse energicamente la testa. Il suo sguardo era incollato ai soldati, che si facevano sempre più vicini.

«Voglio vederli entrare in azione» annunciò.

Una voce alle loro spalle le fece sobbalzare.

«Ho parlato con i ragazzi del Corpo di Guarnigione, ci daranno loro il segnale»

A parlare era stato un soldato appena sbucato dal vicolo alla destra della loro tribuna improvvisata. Una ragazza. Doveva essersi arruolata in tenera età, perchè poteva avere non più di diciassette o diciotto anni.

I compagni fecero segno d'aver inteso, e la giovane fece per unirsi a loro, quando notò Rico e Zoe sedute proprio ai piedi della sua cavalcatura.

«L'ho fatto anch'io, una volta» interloquì.

Zoe saltò su di colpo, prendendo a carezzare il muso del cavallo con tanta confidenza che il soldato ne rimase vistosamente impressionato. Doveva essere abituata a un certo timore reverenziale, suppose Rico.

«Come facevi a sapere che noi...?» mormorò.

«...siete reclute nel pieno di un'escursione notturna? Ah, suppongo lo siamo tutti, presto o tardi» ridacchiò. «Il massimo che possono fare è costringervi a far brillare e profumare tutto il campo, c'è una tale carenza di personale che non s'azzarderebbero mai a sbattervici fuori»

In quell'istante, qualcuno dei soldati urlò qualcosa all'indirizzo della giovane.

«Cerca di non lasciarci la pelle prima che ci sia qualcuno in grado di rimpiazzarti» la salutò Zoe, in un pessimo tentativo di risultarle emotivamente vicina, che suonò invece più come una terribile autocelebrazione. Il soldato le posò una mano sopra la spalla e chinò il capo, facendole segno di tendere l'orecchio. Accanto a lei, Rico fece lo stesso.

«Andate alle carrucole» esortò il soldato «e chiedete di un uomo di nome Hannes. Non vedreste granchè, da quaggiù» E poi lanciò un'eloquente occhiata all'indirizzo delle mura. Al solo pensiero, Zoe sembrava quasi brillare di luce propria.

Per qualche motivo, invece, il pensiero di osservare le operazioni da una prospettiva tanto perfetta rendeva Rico ancora più inquieta.

«Ditegli che sono io, a mandarvi» si congedò il soldato. «Ditegli che vi manda Nanaba»

 

Aveva cominciato a piovere quando si trovavano ancora in cima alle mura. Ne erano scese stringendosi sotto il mantello di Nanaba, che si era offerta di scortarle al carro nonostante fossero già bagnate fradicie.

Rico era così stremata che, benchè Zoe avesse dovuto insistere parecchio prima che cedesse al suo invito, aveva finito per abbandonarsi sulle sue spalle e addormentarsi mentre erano sul montacarichi. Quando giunsero finalmente là dove avevano lasciato il carro, scoprirono che non s'era mosso d'un solo centimetro: il suo conducente doveva essere ancora a sbrigare gli affari in città, forse ostacolato anche dalla pioggia.

«Spero di rivedervi presto entrambe. Cercate di non mettervi nei guai» sorrise teneramente Nanaba, la propria destra nella destra di Zoe. Sebbene non lo disse ad alta voce, quella stretta tanto ferma e potente la colpì.

«Ci rivedremo. Sicuramente»

Nanaba risalì a cavallo e, salutandole con una mano, sparì nella sciabordante cortina d'acqua che lambiva la città. Con un po' di fatica, Zoe riuscì a salire sul carro e a deporre Rico sopra i sacchi di farina che dovevano esservi stati lasciati durante la loro assenza, e prese poi posto accanto a lei, sfregandosi gli occhi e soffocando uno sbadiglio.

«Sei una gran rompiscatole, da sveglia» borbottò. Il suo volto era rosso, livido e molle di pioggia, ma sereno. Si domandò se avrebbe avuto il coraggio di svegliarla, quando fossero tornate al campo.

«Io non ce l'ho, qualcosa per cui tornare a casa, perchè non ho una casa» sospirò, scostandole dalle fronte piccole ciocche grondanti. «Però potrei prendere in prestito la tua, che te ne pare?»

Le carezzò una guancia.

«Proprio una pessima idea, vero?»

Le posò un bacio su una tempia.

 

A tradirle furono le impronte di fango lasciate dai loro stivali e, sebbene entrambe vennero spedite a lustrare pavimenti, Zoe si sforzò così tanto d'essere convincente, dichiarandosi unica colpevole, che Rico non riuscì a tenerle il broncio per più di mezza giornata.





 


*PLIN PLON*
Rieccoci qui. Un immenso grazie a tutti coloro che continuano a seguire questa storia, a quanti mi sostengono e mi so/upportano, a chiunque sia arrivato fin qui senza mandare al diavolo questa storia e chi l'ha scritta. Vi voglio bene, sul serio.
Mi piacerebbe che mi faceste sapere cosa pensate di questa storia, naturalmente, e poi qualche segno del vostro passaggio mi rinfrancherebbe anche l'animo tra una lezione e l'altra e tra un libro e l'altro, dato che sono sotto esame ma proprio non riesco a fare a meno di procedere con la stesura del racconto. 
Dopo una giornata passata a scrivere, sono sull'orlo del collasso: probabilmente farò appena in tempo a pubblicare questo capitolo, prima di crollare sulla tastiera. 
Detto ciò, scusatemi l'eventuale presenza di strafalcioni che, come al solito, vi chiedo la cortesia di segnalarmi.
Con questa storia, metto il mio cuore nelle vostre mani. 
A presto. 

   
 
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