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Autore: Manny_chan    05/12/2013    1 recensioni
Amastra, città oscura colma di magia e di creature misteriose.
Ci sono persone che sognano di abitarci, persone che desiderano scappare da essa e persone che vorrebbero solamente poterla visitare per una volta.
Raven è uno di loro. Quando l'occasione di coronare il suo sogno è a portata di mano la coglie al volo.
Ciò che non sa però è che non tutte le creature che popolano Amastra sono degne di fiducia e quello che sembra un sogno potrebbe presto assumere tinte ben più cupe...
Tra fate, naga e un grosso inganno, l'avventura di Raven rischia di trasformarsi in un incubo... o forse no?
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Stai dicendo sul serio?”, Aramis sgranò gli occhi, incredulo. “Dev’essere un sogno, aspetta che provo a pizzicarmi”, aggiunse.
Gareth sbuffò, divertito, dandogli una pacca sul didietro. “ Ehi! Potrei offendermi, nano. Cerca di non mostrarti così sorpreso!”
Aramis guaì debolmente, massaggiandosi la parte colpita. “Ehi, vacci piano…”, brontolò. Poi sorrise e lo raggiunse, sollevandosi sulle punte dei piedi per agganciargli le braccia al collo. “Grazie…”, sussurrò dolcemente.
Gareth scrollò le spalle. “Dovevo farmi perdonare, no? Ora va a metterti qualcosa di carino, ti aspetto giù”
Il fulvo non se lo fece ripetere due volte, schizzò a prepararsi, mentre Gareth scendeva al piano di sotto.
Raven lo aspettava appoggiato al muro della hall. 
“Allora?” chiese.
“Tutto a posto, credo che abbia smesso di ascoltare dopo la parola biblioteca, ovviamente, ma quel che importa è che è tutto esaltato perché lo portiamo alla grande biblioteca di Amastra. Appena sarà immerso nella lettura di qualche tomo ce la fileremo e saremo di ritorno prima che si accorga della nostra scomparsa. Modestamente ho avuto un idea geniale”, gongolò. “Quando è in una biblioteca Aramis non si accorgerebbe nemmeno della fine del mondo.”
“Mhmh…”, Raven inarcò un sopracciglio. “Sai, riguardo ad Aramis, se gli vuoi bene non dovresti…”
“No”, lo interruppe Gareth. “So cosa stai per dire. Te lo leggo in faccia adesso come ogni volta che ci guardi. Io amo Aramis, mettitelo in testa. Smettila di cominciare questi discorsi ogni santa volta.”
Raven sbuffò, scettico. “Hai un bel modo di dimostrarlo”
Gareth si accigliò. “Ehi!”, esclamò. “Se ti riferisci a ieri sera guarda che…”
“Mi riferisco al fatto che non dovresti mostrarti così spensierato dopo aver appena ingannato persona che dici i amare.”
“Non lo sto ingannando, lo sto proteggendo…”
Raven inarcò un sopracciglio. “Ah si?”
Gareth, scrollò le spalle. “Senti, Fiörl ci ha assicurato che sarà facile come bere un bicchier d’acqua, ma stiamo pur sempre facendo qualcosa di illegale. Qualcosa in cui non voglio che Aramis, venga coinvolto”, brontolò.
A quella risposta Raven non trovò nulla con cui ribattere, anche perché Aramis apparve proprio in quel momento, scendendo le scale  di corsa e fiondandosi addosso a Gareth. “Eccomi, dai, andiamo!” esclamò, cercando di spingerlo fuori. 
Gareth lo prese tranquillamente per mano e si lasciò tirare, strizzando un occhio a Raven che  scosse la testa e li seguì, sospirando.
Sperava con tutto il cuore che filasse tutto liscio, iniziava a sentirsi poco tranquillo.

*   *   *

La biblioteca di Amastra somigliava ad un castello in miniatura; oltrepassato il portone si ritrovarono in un enorme sala, piena di scaffali che salivano fino alla volta del soffitto e che sembravano traboccare di libri. 
Uno stregone, seduto ad una scrivania all’ingresso, li osservò con occhi vacui, prima di far loro cenno di passare. “I tomi sono protetti da incantesimi che li preservano dall’usura, cercate però di non maltrattarli troppo”, li ammonì, facendo poi loro segno di passare. 
Raven rabbrividì, l’ambiente era freddo ed austero; non esattamente il tipo di posti che amava lui.
Come previsto, comunque, non appena recuperato uno dei preziosi tomi, Aramis smise di considerarli. “Ah, Missy, mi sto annoiando, vado a controllare se c’è una sezione sconcia in questa biblioteca.” Disse ad un tratto Gareth, in tono casuale.
Il fulvo rispose con un “Mh…”, distratto. Era il momento perfetto.
Sgattaiolarono fuori senza problemi e raggiunsero Fiörl alle porte ella città. La fata, una volta allontanati dalle mura, dispiegò le ali, stiracchiandosi. “Ah, per quanto piena di magia, Amastra non è proprio fatta per le fate”, sospirò. Raven non stentava a crederlo. Sottili come garza le ali di Fiörl erano decisamente grandi. Doveva essere snervante tenerle ripiegate, ma allo stesso tempo era necessario, immaginava, vista la folla che popolava costantemente le vie.
Dopo aver scrollato le spalle per sgranchirsi la fata vece loro un cenno con il capo. “Venite, non è lontano”, disse, inoltrandosi tra gli alberi ed imboccando il sentiero che portava nel cuore della foresta, alle spalle della città.
           
*   *   *

Non ci misero molto, effettivamente. Fiörl aveva detto la verità.
Dopo una mezz’ora la vegetazione sembrò diradarsi, per lascare spazio all’entrata di una miniera. La fata si fermò, aggrappandosi ad un albero, con una smorfia di fastidio. “Non posso proseguire”, disse. Sembrava persino più pallido del solito.
Raven annuì. “E’ una miniera di ferro?”, chiese. Anche se vista l’espressione della fata era una domanda superflua.
Fiörl fece un profondo respiro, quasi stesse reprimendo un conato di vomito. “ Si… Entrate, ci sono ancora i vecchi binari dei carrelli. Quando è sorta Amastra è stata chiusa da un giorno all’altro, ma è ancora agibile. Sarà sufficiente metterne in funzione uno e in poco tempo vi porterà dall’altra parte, nel territorio dei naga.”
Gareth si avvicinò all’entrata. “E' buio là dentro”, constatò.
“E’ solo un impressione. Vedrete”, li rassicurò la fata con un sorriso. “Dentro sarà molto meno scuro, fidatevi.”
Raven esitò, quel sorriso, aveva qualcosa di strano. Qualcosa che gli aveva fatto correre un brivido lungo la schiena.
“Raven, vuoi muoverti?”, sibilò Gareth, dall’entrata della miniera.
A quel richiamo si riscosse, seguendolo e dimenticando subito dopo quella strana sensazione. Sentì lo sguardo di Fiörl puntato su di lui finché non sparirono all’interno. 
Anche quella volta, la fata non aveva mentito; il tenue chiarore della luna che filtrava dall’ingresso sembrava riflettersi su una miriade di cristalli appesi al soffitto. Avendo lavorato nelle miniere lo riconobbe come un antico sistema di illuminazione. Prima che i reami illuminati la sostituissero con l’elettricità, quella era la tecnologia più avanzata che ci fosse…
“Eccolo”, esclamò ad un tratto Gareth, indicando un vagone di ferro. “Visto, Fiörl sapeva quel che diceva.”
“Sei sicuro che  sia ancora funzionante?” 
Raven si avvicinò per esaminarlo, gli sembrava tanto vecchio da meravigliarsi che fosse ancora integro. La struttura metallica cigolò in maniera inquietante quando Gareth vi salì sopra, ma resse egregiamente il peso del ragazzo. “Ti fai troppe paranoie anche tu Raven, Sali, avanti.”
Con un sospiro Raven ubbidì, sedendosi cautamente sul fondo del carrello e cercando a tastoni un qualche interruttore. Non lo trovò, le sue dita incontrarono invece una manovella circolare. “Oh, fantastico”, bofonchiò. “Avanti Gareth, c’è da sfacchinare, questi sono i carrelli manuali di cent’anni fa.”
Gareth soffocò un gemito a metà tra il divertito ed il disperato, prima di chinarsi a sua volta. 
Il meccanismo era arrugginito, dovettero faticare non poco per sbloccarlo.
Quando alla fine, con un cigolio mostruoso, la manovella cominciò a girare agevolmente, entrambi tirarono un sospiro di sollievo. Contemporaneamente il carrello si mosse di qualche centimetro sulle rotaie, dando loro conferma che era tutto ancora perfettamente funzionante. 
“Andiamo”, mormorò Raven. Afferrò la manovella saldamente e cominciò a girarla, aiutato da Gareth  inoltrandosi nelle profondità della miniera.

    *   *   *

“Gareth?”
“Che c’è?”
“Non ti sembra che stiamo andando un po’ troppo veloce?”
Raven sbirciò oltre il bordo del carrello, la luce si era fatta più fievole e faticava a distinguere  le cose attorno a lui.
Era passato del tempo, forse dieci o quindici minuti, ma non poteva dirlo con precisione. Quel posto faceva perdere la cognizione di tutto. 
“Dici che dovremmo rallentare?”
“Direi di si, prima di schiantarci.”
Gareth sbuffò, rallentando l’andatura.
“Così va ben…”
Raven non finì la frase perché all’improvviso la luce riflessa sui cristalli sembrò aumentare d’intensità. “Ehi!”, esclamò. “Ci siamo, l’uscita della miniera dovrebbe essere vicina, fermati, proseguiamo a piedi.”
“Agli ordini!”
Gareth ridusse ulteriormente la velocità, fino a fermarsi, poi balzò giù impaziente incamminandosi tanto in fretta che Raven per poco non si ribaltò fuori dal carrello per stargli dietro. 
L’uscita era proprio là davanti a loro.
Si ritrovarono nuovamente nella foresta, ma gli alberi erano più fitti, salvo poi diradarsi completamente qualche metro più avanti per lasciare spazio ad un palazzo dalle mura di pietra bianca. Attorno ad esso sorgevano altre abitazioni dalla forma simile a quella di un alveare. “Dev’essere quello”, disse Gareth, afferrandolo per un braccio e costeggiando il limitare della foresta. “Là, guarda. È pieno di finestre aperte… Una vale l’altra, muoviamoci.”
“Gareth…”
“Cosa?”
“Sei… insomma, sei davvero convinto?”
Gareth ridacchiò. “Cos’è, non vorrai mica fare il coniglio e tirarti indietro ora!Cinque minuti e saremo di ritorno, forza!”
Raven si morse il labbro inferiore e scosse la testa, prima di seguirlo. Scavalcò una delle finestre più basse, atterrando su un morbido tappeto di velluto che ne attutì il rumore. Si trovavano proprio al centro di un lungo corridoio ricoperto di arazzi.
Il silenzio era irreale; non si sentiva nemmeno il verso di un qualsiasi animale notturno.
“Non mi piace…”, sussurrò, guardando oltre l’angolo. Quel posto sembrava disabitato. 
“Vieni, forza!”,  lo spronò Gareth. “Fiörl  lo ha detto che sarebbe stato facile.”
Raven lo seguì riluttante, continuava ad esserci qualcosa che non gli quadrava. Era troppo facile…
“Ehi, abbiamo fatto centro... e non ci sono nemmeno guardie in vista!”, mormorò Gareth, sbirciando in una delle stanze che si aprivano sul corridoio. Prese Raven per una manica, trascinandolo dentro.
Raven rimase pietrificato, trattenendo il respiro. L’intera sala sembrava essere interamente ricoperta di pietre preziose e ordinatamente disposte su alcuni piedistalli diverse scatole chiuse. Tuttavia, dall’eleganza dell’esterno si poteva facilmente intuire che fossero piene di preziosi.
Preso da un’irresistibile smania di aprirle allungò una mano verso la più vicina. L’aveva appena sfiorata però che un sibilo basso e minaccioso, sopra la sua testa, gli fece accapponare la pelle.
Non c'erano guardie in vista, aveva detto Gateth, ma avevano entrambi fatto il grosso errore di pensarecome esseri umani...
 “Gareth… via!”, gemette, prima di mettersi a correre a sua volta. Due pesanti tonfi alle sue spalle gli fecero annodare lo stomaco. 
Gareth fece l'errore di voltarsi e quel che vide gli fece mancare il fiato. Due naga armati fino ai denti e dalle fauci spalancate stavano loro alle calcagna senza difficoltà, anzi, sembravano guadagnare terreno. Emettevano sibilii gutturali terrificanti. “Sono veloci…”, ansimò atterrito.
Raven non si voltò, se l’avesse fatto probabilmente si sarebbe paralizzato dal terrore; afferrò invece il biondo per la manica e, non appena svoltato un angolo, lo tirò dietro un pesante arazzo tappandogli la bocca con una mano. Sentì lo strisciare delle creature che li oltrepassavano, per poi allontanarsi.
Lasciò Gareth, che era diventato paonazzo per lo sforzo di trattenere il respiro, e inspirò profondamente a sua volta. “Dobbiamo andarcene subito…” ansimò a bassa voce.
“Non avrei saputo dirlo meglio…. Ma dove?” sussurrò Gareth in risposta, i suoi occhi chiari erano spalancati per l’ansia. “Non ho idea di dove siamo ora…”
Raven si morse il labbro inferiore con forza, per cercare di schiarirsi le idee e non farsi prendere dal panico. Il dolore migliorò un poco la situazione.
Avevano perso l’orientamento quando erano scappati.
“Dividiamoci” disse infine.
“Non mi sembra una buona idea” sibilò Gareth, guardandolo storto.
“E’ la migliore che abbiamo al momento, Gareth! Tu vai a destra, io a sinistra, non si aspetteranno che ci dividiamo, senza contare che non abbiamo idea di dove sia l’uscita, se dovessimo imboccare un vicolo cieco entrambi sarebbe finita. Se uno dei due venisse preso invece, l’altro potrebbe scappare a cercare aiuto…”
Gareth scosse la testa, con un sospiro, “D’accordo… hai ragione” ammise infine, dopo una lunga esitazione. Scostò appena l’arazzo per guardare fuori. “Il corridoio è libero. “disse.
Raven annuì. “Allora andiamo…”
“D’accordo”
“Ah, Gareth…”
“Che c’è”
Raven accennò un sorriso, “Cerca di tornare sano e salvo da Aramis, o mi scuoierà vivo”, disse, prima di abbandonare il rifugio dell’arazzo e schizzare via lungo il corridoio. Forse era un pazzo con manie suicide, ma non era un caso ce si fosse offerto lui di andare proprio dalla parte in cui aveva visto sparire le due guardie. Gareth aveva qualcuno da cui tornare, era meglio quindi attirare l’attenzione su di lui…
Il suo piano sembrò funzionare effettivamente svoltando un angolo si ritrovò davanti le due creature che gli erano piombate addosso poco prima.
Fece dietro front, imboccando un corridoio laterale, e schizzando via più veloce che poteva.
Nonostante avesse fatto il sostenuto con Gareth, era terrorizzato. Sentiva alle sue spalle lo strisciare raccapricciante di quelle creature che sembravano essersi moltiplicati.
Gemette di orrore quando si accorse di essersi infilato in un vicolo cieco, il corridoio che aveva imboccato terminava con una porta, che non assomigliava affatto ad un portone d’uscita..
Con la forza della disperazione ci si lanciò contro, spalancandola e richiudendola dietro di sé. Una rapida occhiata attorno a sé gli rivelò che era una camera da letto, vista la mobilia.
Non stette ad ammirarla più di tanto, afferrò una poltrona e la spinse contro la porta proprio nel momento in cui i naga cercarono di aprirla. La pesante porta vibrò per il colpo violento, ma per il momento sembrava resistere…
Estrasse il pugnale che portava alla cintura, stringendolo tra le dita tremanti mentre si guadava in giro cercando una finestra, un apertura, qualsiasi cosa….
“Mettilo giù.”
Raven trasalì, la voce bassa e roca che aveva parlato era proprio alle sue spalle, vicinissima, senza che lui se fosse accorto di non essere solo. Fece per girasi e colpire, ma l’altro fu più veloce, gli afferrò il polso, torcendogli il braccio dietro la schiena.
“Te lo ripeto, mettilo giù. Sei già abbastanza nei guai, se ferisci uno di noi ti condannerai a morte da solo. Vuoi morire?”
Raven chiuse gli occhi, ansante. Era nel panico più totale. Il terrore, tenuto a bada dall’adrenalina, sembrava aver vinto, diffondendosi in ogni fibra del suo corpo. “No…”, mormorò.
“Allora lascialo. O non potrò aiutarti.”
Lentamente Raven dischiuse le dita, lasciando la presa. Il pugnale cadde sul pavimento con un suono che risuonò innaturalmente forte nel silenzio di tomba del palazzo.
“Molto meglio”, convenne la voce alle sue spalle, allentando a sua volta la presa.
Raven si voltò di scatto, per vedere chi fosse la persona che lo stava aiutando, o almeno così sperava, ma l’unica cosa che riuscì a registrare, prima che qualcosa lo colpisse con una forza disumana allo stomaco, furono due occhi di un sorprendente color ametista, dalla pupilla verticale, che sembravano ardere nella penombra della stanza.
Poi perse conoscenza.

   
 
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