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Autore: Lulumyu    07/05/2008    4 recensioni
Può capitare nelle vite delle persone che un avvenimento passato segni per sempre il futuro.
Lei era convinta di essersi lasciata tutto alle spalle, incubi a parte.
Ma si sbagliava.
Il suo destino era già stato predisposto e, dopo quell'incontro, non poteva far nulla per tornare indietro.
Ma era davvero quello che voleva?
Genere: Generale, Romantico, Malinconico, Dark, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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NdA: Ciauz!
Eccomi tornata con un nuovo fiammante capitolo. Che dire, spero sia di vostro gradimento! Si concentra su due coppie in particolare della nostra storia; i loro rapporti sembrano progredire. Sarà così?

Ringraziamenti:

X jess: Ciauz! Grazie per aver continuato a seguire la storia nonostante la lunga attesa. È una scelta coraggiosa la tua ;P. grazie per i complimenti. spero che anche questo capitolo ti piaccia.
Un bacione^^.

X fiubi: Ciauz^^! Ancora scusa per la terribile attesa dello scorso capitolo. Sono felice che nonostante tutto continuerai a seguire la storia^^. Un po’ di sorprese in questo capitolo ci saranno, quindi… buona lettura^^!
Un bacione!

X GiO91: Ciauz^^! Grazie per i complimenti. sono felice che la storia ti piaccia e felicissima che continuerai a seguirla nonostante le terribili attese XD. La maschera, eh? Eh eh. Aspetta e vedrai^^.
Un bacione!

Perfetto. Anche per questa volta ci siamo.
Grazie a tutti voi che aspettate pazientemente i miei capitoli e li leggete altrettanto pazientemente. Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento. I commenti sono sempre ben accetti!
Approfitto di questo spazio se no mi dimentico. Non so se lo avete già adocchiato, ma sulla mia pagina autore di EFP ho aggiunto un prospetto delle mie storie che aggiorno regolarmente in cui sono elencate informazioni extra riguardo ad esse, come, ad esempio, il periodo della pubblicazione dei prossimi capitoli (che modifico se non riesco a rispettare la scadenza, quindi siete automaticamente avvertiti), i capitoli mancanti ecc.
Bene, ho detto tutto.
Alla prossima!
Vostra ‘myu.

Destini Intrecciati
by Lulumyu

23."Emozioni e misteri"


Leonard si scostò da lei, lentamente, ancora con il fiatone.
Hermione non poté fare a meno di ammirare il suo petto liscio, dai muscoli ben scolpiti, alzarsi ed abbassarsi ritmicamente.

L’avevano fatto. Di nuovo.

Imbarazzata afferrò i lembi delle lenzuola e se le tirò fin sotto al mento. Il movimento non sfuggì all’altro auror, che, divertito, la spinse verso di sé, praticamente costringendola ad appoggiare la testa contro il proprio corpo.

- come… com’è che siamo arrivati a questo punto? – domandò, con voce appena udibile, la ragazza.

Leo rise.

- intendi in senso fisico o spirituale? – la canzonò.

Hermione gli tirò una gomitata che lo fece ridere nuovamente.

- rispondi – disse, ringraziando la penombra della stanza che stava coprendo il proprio rossore.

- mi stavi dando la medicina. Aveva un sapore disgustoso. Avevo bisogno di qualcosa che la addolcisse un po’. Così ti ho baciata. E poi con mia somma gioia la natura ha fatto il suo corso – disse.

Hermione rimase silenziosa per qualche istante.

- è la seconda volta questa settimana! – esclamò, completamente vinta dall’imbarazzo, immergendo il volto tra le lenzuola e tentando di rifugiarvisi sotto.

- e la terza questo mese. Direi, Granger, che la nostra relazione sta facendo progressi – esclamò contemplativo, incrociando le braccia dietro la propria testa.

Hermione emerse leggermente dal suo rifugio di cotone.

- non chiamarmi Granger – borbottò, con voce titubante.

Lo sguardo malizioso di Leo incontrò quello di lei.

- come dovrei chiamarti allora? – chiese, con un tono di voce tentatore che le fece venire i brividi.

- con il mio nome. Come, altrimenti? Suppongo… - si fermò per qualche istante, il volto in combustione, - suppongo che stiamo insieme, no? Non voglio che il mio… il mio ragazzo mi chiami per cognome – borbottò.

Lo sguardo di lui non era mutato ed era rimasto silenzioso.
In preda al nervosismo chiese insicura:

- allora? Siamo insieme o cosa? -.

Fu decisamente sollevata quando lo vide sorridere genuinamente.

- suppongo di sì, Hermione – disse.

Quando allungò una mano per sfiorarle il viso lei non si ritrasse. Il tocco gentile di Leo la fece sorridere. Ma non sorrise più quando lui scivolò al suo fianco sotto le coperte e riprese a baciarla appassionatamente, come poco prima.

Com’era cominciata la loro relazione? In quella caverna? Prima?

Dentro di sé non aveva problemi ad ammettere che stare con Leo non le dispiaceva affatto. Si sentiva sempre un po’ imbarazzata però a dirlo ad alta voce.
Si sentiva fortunata ad essere stata salvata dalla depressione da un ragazzo come lui.
Il suo ragazzo.

Si scostò da Leo, che tentò invano di riacchiapparla, e, afferrando una delle coperte superiori per coprirsi alla meglio, si allontanò dal letto.

- dove vai? – borbottò lui, decisamente contrariato, - vieni qui -.

Aveva teso da sotto le coperte le braccia verso di lei in un gesto buffo che la fece ridere.

- vado a fare la doccia – esclamò.

Rapidamente si diresse in bagno e chiuse la porta alle sue spalle.
Vi si appoggiò contro, scivolando al suolo, e lasciò le lacrime scorrere liberamente sul suo viso.
Perché, perché si sentiva così in colpa?

Non stava facendo nulla di sbagliato. Si era solo trovata un nuovo ragazzo. Lo facevano tutte. Perché lei no? Una cosa così naturale. Perché indugiare nel passato? Non era meglio andare avanti? Certo che lo era. Certo.
Non c’era bisogno di pensare al passato.

Non poteva permettersi di pensare a Ron mentre baciava un altro ragazzo.

OoOoOoOoO

Ginny era seduta a gambe incrociate sul fondo del suo letto. Il vento proveniente dalla finestra aperta era piuttosto freddo, ma non sembrava percepirlo.
Tutta la sua attenzione era rivolta al suo ospite, il quale occupava il suo letto e per due giorni non aveva dato cenni di volersi svegliare.

Il grido con il quale aveva accolto la sua apparizione improvvisa era rimbombato contro le pareti della stanza.
E poi si era accasciato a terra. Ed era rimasto immobile.

Avrebbe potuto ucciderlo, se avesse voluto. Era questo il pensiero che l’assillava. C’era stato almeno un secondo dal momento in cui egli era apparso a quello in cui lei si era gettata a soccorrerlo in cui aveva pensato di lasciarlo morire, o meglio, ucciderlo con le sue stesse mani.
Ma non era capace di uccidere qualcuno a sangue freddo, oltretutto qualcuno ferito. Non avrebbe più potuto guardarsi allo specchio se avesse fatto una cosa simile.

Ma era il suo nemico. L’avrebbero acclamata come un’eroina se lo avesse ucciso. Anche se probabilmente non sarebbe vissuta abbastanza a lungo per sperimentare quella gloria improvvisa.
Quanto ci sarebbe voluto prima che Voldemort venisse a saperlo? Ben poco. E sarebbe stata uccisa tra mille tormenti.
Dunque era per paura delle ripercussioni, che non l’aveva ucciso?
No. Neanche per quello.

Debito magico, rossa.

Ecco perché. Perché lui le aveva salvato la vita una volta. E lei aveva salvato la vita a lui.
Beh, in realtà lei non aveva fatto nulla. Non appena si era inginocchiata al suo fianco era spuntata Nagini, praticamente dal nulla, e poi erano comparsi una decina di elfi domestici che avevano depositato il corpo sul suo letto e per alcune ore lo avevano circondato. Erano stati loro a guarirlo, probabilmente sotto ordine del Signore Oscuro.
L’ordine che lei aveva ricevuto, mentre si era seduta – o meglio, accasciata – in un cantuccio della stanza, era stato di tenerlo d’occhio ed occuparsi di lui mentre gli elfi non c’erano.

Nagini le aveva fatto capire chiaramente che in quel momento la camera di Ginny era il luogo più sicuro in cui il Principe poteva riprendersi. E anche che quello era un ordine del Signore Oscuro in persona per lei, al quale lei, per il bene della propria sopravvivenza, non intendeva disubbidire.
Gli elfi se ne erano andati da poco. Si erano occupati del loro padrone con molta attenzione, ma anche con molta fretta. Si vedeva che avevano paura di lui.

E lei era lì ad osservare il figlio del serpente, che dormiva.

Era la prima volta che lo vedeva senza mantello e cappuccio. Aveva un fisico longilineo, anche se scolpito da chissà quanti duri addestramenti. Dopotutto il suo maestro era stato quasi sicuramente suo padre. Che pacchia.
Ginny rabbrividì tra sé e sé. Ricacciò indietro i sentimenti di pietà che erano sorti in lei al pensiero di avere un padre del genere. era praticamente impossibile che amasse suo figlio.

Voldemort amava solo sé stesso; lei lo sapeva più di chiunque altro. Lei che una volta l’aveva inconsapevolmente adorato con tutte le sue forze.

Osservò nuovamente il suo ‘paziente’. Sembrava quasi morto. Le porzioni di pelle che la maschera non nascondeva erano diafane, di un pallido innaturale. I capelli biondi erano sparsi sul cuscino disordinatamente. Si chiese se erano davvero di quel colore oppure erano frutto di un incantesimo di disillusione incorporato alla maschera particolare che portava. Del resto suo padre non avrebbe mai voluto far trapelare la sua vera identità.

Per la prima volta si rese conto della situazione in cui si trovavano. Se solo lo avesse voluto, se solo avesse trovato il coraggio, avrebbe potuto allungare una mano e togliergli la maschera.
Peccato che era terrorizzata dall’idea di farlo.

A cosa le sarebbe servito vedere il suo volto? Era poco probabile che lo conoscesse già. Praticamente impossibile.
Il signore oscuro lo aveva sicuramente tenuto ben nascosto fino a quel momento, nonostante fosse scomparso e fosse creduto morto. Doveva aver in qualche modo mantenuto i contatti con chiunque avesse cresciuto il Principe.
Probabilmente un Mangiamorte.

Un principe lo sembrava proprio. La versione maschile e mascherata di Biancaneve o della bella addormentata nel bosco. Niente nani né bosco, in realtà. Solo elfi e la stanza più remota della torre più alta.
Ginny si tirò una pacca sulla fronte, scuotendo la testa.

Non è una battuta divertente, cretina. Finiscila si disse.

Lo guardò nuovamente, di sottecchi. Aveva quasi paura di svegliarlo solo guardandolo. Non voleva si svegliasse.
Era tutto così calmo, ora che lui dormiva. Certo, il terrore di avercelo in stanza era sempre presente, però se non altro era certa che in quei pochi giorni le battaglie si fossero fermate.
Cioè, non ne era certa. Lo sperava.

Dovresti essere tu a rimanere rinchiuso qui dentro, pensò, non io. Così non combatteresti contro coloro che amo.

La luce proveniente dall’esterno era fredda. Illuminava la sua maschera d’argento e d’oro di riflessi. Il Marchio fatto di pietre preziose riluceva sinistro.

Un secondo dopo lo stava sfiorando con un dito. Si sorprese del suo gesto audace. I piccoli smeraldi erano affilati sotto il suo tocco incerto. Quando sfiorò la superficie della maschera la sentì gelida. Si chiese se fosse la stessa sensazione che provava lui indossandola, o più semplicemente se il suo calore corporeo non fosse sufficiente a renderla tiepida.

Chi può averti fatto questo? Si domandò, ed i suoi occhi corsero ad intuire sotto le coperte il fianco ferito del Principe.

Era stato Harry? Ginny si sorprese nel non provare nessuna emozione a seguito di quel pensiero. Non era felice che qualcuno avesse ferito il Principe. Il suo cervello si era inceppato. Non c’erano dubbi.
Con il dito percorse quasi ogni centimetro della maschera che gli copriva tutto il volto. Come faceva con Garuda, quando si arrotolava contro di lei durante la notte.

Alzò lo sguardo sul non più tanto piccolo Basilisco. Dormiva anche lui, di fianco al padrone, dall’altra parte del letto rispetto a dove era seduta lei. Ormai era lungo quanto lei era alta ed il suo corpo stava cominciando ad ingrossarsi in modo vistoso. Aveva già subito la prima muta. Si era presa un colpo nel trovarsi in grembo una pelle vuota un giorno, appena svegliata.

Quando riportò la propria attenzione sul Principe si accorse che gli stava sfiorando i capelli.
Ritrasse subito la mano, stringendosela al petto. Quel comportamento era troppo famigliare. Era consapevole che non avrebbe mai osato farlo se lui fosse stato sveglio. Si sentiva come una bambina incerta se infilare le mani nel vasetto di marmellata oppure no.

Si sentì un po’ come una gazza, attratta dai riflessi dei materiali preziosi della sua maschera.
Era improbabile… che si svegliasse…

Il gesto fu piuttosto meccanico, seppur repentino. Sapeva che se non l’avesse fatto in quel momento non lo avrebbe fatto più. E poi avrebbe fatto velocemente. Solo una sbirciatina.
Si pentì immediatamente di ciò che aveva deciso di fare.

Quando la sua mano stava ormai per afferrare la maschera con l’intento di sfilargliela dal volto, gli occhi del Principe si spalancarono e Ginny si sentì afferrare per il collo da una stretta ferrea.
Annaspò, spaventata.

Si rese subito conto che egli non era in sé. Non le avrebbe mai fatto del male volontariamente.
Quel pensiero la colpì con la violenza di una frusta. Da quando aveva acquisito questa consapevolezza?
Da quando, si rese conto con una calma innaturale, viste le circostanze, aveva smesso di temerlo?

Gli afferrò il polso, tentando di sottrarsi alla presa. Fu quando gli infilò le unghie nella carne che i suoi occhi grigi la guardarono per davvero ed egli, proprio come Ginny aveva previsto, mollò la presa istantaneamente.

- Ginevra – disse, con un tono di voce innaturale, che quasi poteva dirsi sconvolto.

Lei tossì, portandosi le mani al collo. Il rumore svegliò Garuda, il quale subito si inarcò, pronto ad attaccare qualsiasi nemico avesse osato avvicinarsi ai suoi padroni.
Con un gesto Evil lo tranquillizzò. Tese una mano verso il serpente e questi vi si strusciò brevemente contro come un gatto, per poi scivolare verso la sua padrona e, dopo essersi strusciato contro una delle sue gambe scese dal letto, presumibilmente rifugiandosi sotto ad esso per continuare il riposo interrotto.

Nel frattempo gli altri due occupanti della stanza erano silenziosi, l’una tentando di controllare il proprio respiro e l’altro sistemandosi seduto.

Ginny maledì gli elfi domestici per non avergli fatto indossare almeno una canottiera (anche se dubitava che il Principe ne possedesse). Era a torso nudo e la carnagione cinerea quasi si confondeva con il candore delle bende che gli circondavano la ferita.

Lo osservò mentre se la tastava, sicuramente trattenendo gemiti di dolore. Come faceva a rimanere impassibile nonostante dovesse fargli piuttosto male?

Perché me ne preoccupo? Si domandò quando ormai il suo respiro si era normalizzato.

- cosa stavi facendo…? – si sentì colta sul fatto. Con un’occhiata si sincerò che non la stesse guardando e per fortuna era così.

- controllavo se eri morto – era una scusa così perfetta che si complimentò con la sua prontezza d’animo.

Lo sentì ridere. La sua solita risata ironica di circostanza, più che di divertimento.

- pare di no – disse.

- sarà per la prossima volta – si pentì, questa volta, di ciò che aveva detto. Non sapeva fino a quanto le era permesso scherzare con lui. E non sapeva se per lui quello fosse stato un insulto, più che uno scherzo.

I suoi occhi scattarono dalla ferita a lei. Subito Ginny voltò lo sguardo da un’altra parte.
Curiosamente, egli sembrò aver lasciato correre la sua frase impudente.

- cosa mi è successo? – domandò infatti, con voce tranquilla.

- questo dovresti dirmelo tu – mormorò lei dopo qualche secondo di tentennamento, evitando il suo sguardo, - sei comparso qui all’improvviso, con una ferita profonda. Mi hai spaventata. Gli elfi… e Nagini… loro si sono occupati di te. Io non ho fatto nulla. Ti ho solo tenuto d’occhio -.

- capisco – disse.

Continuò ad osservarla. Ginny cominciò a sentirsi nervosa.

- chi devo ringraziare? – sbottò, lanciando uno sguardo fuggevole alle bende.

- tuo fratello – rispose lui. Il tono che usò la spaventò.

- chi?! – gemette, incontrando finalmente lo sguardo freddo del Principe.

- non è necessario che tu lo sappia – le disse.

Ginny stava trattenendo le lacrime a stento.

- chi è stato? chi? chi? – urlò, gettandosi contro di lui.

Sembrava avere ancora parecchia forza nel proprio corpo, perché le afferrò le braccia e la trattenne a poca distanza da sé.

- silenzio! -.

Ginny si zittì, spaventata. Aveva parlato in serpentese. Il sibilo era stato violento come una frustata.
Ci volle qualche minuto perché la presa di lui si rilassasse e lei smettesse di tremare come una foglia. Era un tono strano, quello che usò per parlarle dopo. Sembrava quasi ferito, ma al contempo esprimeva un tormento che sembrava gli stesse consumando le viscere.

- Ginevra… dimenticali – le intimò, - loro non sono nulla. Devi dimenticarli. Non hanno più nulla a che vedere con te ne devono averne -.

- cosa…? – tentò di dire, ma egli la prevenne.

- per questa volta sarò clemente. Si tratta del compare di Potter – disse.

Ron! Pensò Ginny. Non sapeva se esserne felice o devastata.

Passò la propria domanda muta al principe, con uno sguardo piuttosto eloquente.

- vive. Ma solo per una fortuita circostanza – disse Evil. Il suo tono era irritato.

Ginny ringraziò silenziosamente il cielo.
Non voleva farlo nuovamente arrabbiare. Così decise, per proteggere la propria incolumità, di mormorargli un ‘grazie’ per averle comunicato la notizia.
Stava per distogliere lo sguardo ma egli la prevenne tenendole in mento sollevato con una mano.

- non nominarli più – le disse, ed il suo tono era di inflessibile comando, - se li nomini è perché stai pensando a loro. Ed io non posso sopportare che i tuoi pensieri siano dedicati ad altri al di fuori di me – ora si guardavano negli occhi; in quelli del Principe c’era un sentimento che anche lei aveva provato in passato.

Gelosia.

Ma Ginny non aveva mai osservato nessuno con sguardo tanto possessivo.

Turbata, non appena egli le lasciò il mento, Ginny abbassò lo sguardo sulle coperte.
Fu inquieta durante il silenzio che seguì. Egli non si era mosso di un millimetro. Le teneva ancora stretto un braccio con una mano, anche se non fortemente.
Quando egli riprese a parlare la sorprese. Gemette, vergognandosi subito dopo della propria reazione. Ma le parole di lui non migliorarono certo la situazione.

- dunque ti dispiace che io non sia morto – aveva usato il tono di chi commenta il tempo, riallacciandosi ad una conversazione che Ginny aveva creduto a torto conclusa.

Non sapendo bene cosa dire preferì rimanere in silenzio.

- sembrerebbe che io non riesca a far altro che procurarti dispiaceri – disse.

Ginny mantenne il suo mutismo.
Forse aveva interpretato il suo silenzio come un affronto. O più semplicemente gli piaceva che lei reagisse a qualsiasi cosa le dicesse.

- cosa dovrei fare per avere una reazione da parte tua? – il suo tono rimase casuale, - uccidere un membro della tua famiglia? -.

Ginny alzò lo sguardo, gli occhi sgranati.

- con chi dovrei cominciare secondo te? – domandò.

Ebbe ciò che voleva. Le gote di Ginny si infiammarono, così come il suo sguardo.

- non osare… o io… -.

- o cosa, Ginevra? – la interruppe subito, canzonatorio, - mi uccidi? -.

Seppe allora cosa gli stava passando per la mente. Tentò di allontanarsi da lui. Ma in risposta lui la trasse verso di sé. I loro visi erano a pochi centimetri di distanza. Poteva quasi percepire il gelo che la maschera ancora irradiava e che poco prima aveva tastato con le proprie dita. Abbassò lo sguardo e la testa con esso, agitata.

- perché non mi hai ucciso? – la domanda che aveva tormentato anche lei era fuoriuscita con una facilità disarmante dalle labbra di lui, in forma di un sibilo oscuro che la fece tremare.

Scosse la testa ripetutamente senza osare guardarlo.

- potevi farlo… ero ferito… debole… inoffensivo… - continuò, ignorando i movimenti convulsi della ragazza, - certo avresti avuto qualche problema a fuggire… ma avresti potuto rubarmi la bacchetta… era lì… sul tavolino… eppure non te ne sei nemmeno accorta -.

Stava tentando di implicare qualcosa? Ginny non voleva ascoltarlo.

- avresti potuto fuggire – ripeté – ma non ci hai neppure pensato. Perché, Ginevra? -.

Un lieve rumore metallico le disse che la sua maschera si era accorciata. Sapeva cosa stava per accadere, eppure, anche in quel momento, non stava facendo altro che scuotere la testa, senza neanche provare a fuggire.

- perché non hai nemmeno tentato di uccidermi? – ripeté nuovamente egli sulle labbra della giovane, in un lieve sibilo, bloccandole il viso con una mano.

Quando la baciò ogni eventuale resistenza di Ginny crollò. Non se ne accorse neanche, ma mentre le proprie mani cadevano inerti sulle coperte ed il suo corpo si rilassava completamente in quell’impetuosa stretta il serpente che egli le aveva tatuato sul polso si dissolse completamente.

Ora sì. Ora sapeva perché non lo aveva ucciso.

OoOoOoOoO

Hermione era uscita dal bagno dopo neanche troppo tempo. I capelli ancora umidi le scivolavano lungo la schiena e si era rimessa gli abiti con cui era arrivata, perfettamente puliti grazie ad utili incantesimi domestici.
Andò in cucina e tornò stringendo una tazza tra le mani. Era impressionante come la sua presenza in quella casa a lui non sembrasse assolutamente strana.

- ancora quella maledettissima brodaglia? – domandò, facendo una smorfia.

Lei rise. Gli piaceva vederla ridere.

- smettila – disse, sedendosi sul bordo del letto ed allungandogli la tazza.

- lo sai vero cosa ti aspetta se io bevo questa schifezza? – le chiese malizioso, prendendo l’oggetto tra le mani.

Emanava un dolce tepore, accompagnato da un odore disgustoso.

- non ho tempo. Devo tornare al quartier generale – disse perentoria lei, adocchiandolo con giocosa severità.

- allora non bevo – esclamò lui con tono petulante.

- vorrà dire che per, uhm… diciamo… una settimana? Non mi farò vedere – disse lei.

Leo sgranò gli occhi.

- ma questo è uno sporco ricatto! – esclamò, scandalizzato.

Hermione gli fece la linguaccia.

- non credere che non sia capace anche io di certi espedienti. Ti ricordo con chi ero a scuola. Sai quante volte a costringere Harry ad applicarsi! E Ron poi… -.

Si interruppe di colpo. Abbassò la testa e tacque.

Da qualche parte dentro di lui Leo sentì una belva ruggire. Era consapevole del fatto che lei pensasse ancora a Weasley. Prima la cosa non gli dava granché fastidio. Ma, a quanto pareva, stava cominciando a diventare geloso di Hermione. Più probabilmente si era stancato di vedere il suo volto rattristarsi pensando a quello. Se lo avesse avuto davanti in quel momento gli avrebbe spaccato la faccia.

Queste emozioni violente erano nuove per lui. Non aveva mai provato un desiderio così forte di proteggere una persona.
Era confuso. Ma le accettava. Negare l’evidenza, la sua infatuazione per lei, era ridicolo.
Mentre sorseggiava l’intruglio a poco a poco per tentare di diluirne il sapore la vide allungarsi sotto il letto. Recuperò la borsa che si era portata dietro e ne estrasse un blocchetto. Poi si diresse alla finestra della camera e la spalancò.

- che fai? – domandò Leo, curioso.

- appunto sulla mia agenda alcune cose – rispose.

- cosa? -.

La vide roteare gli occhi.

- al momento la quantità di medicina che ti ho somministrato – disse.

- te l’hanno detto i medimaghi? -.

Lei annuì, cominciando a scribacchiare sul blocchetto. Doveva essere senz’altro magico. Di tanto in tanto spuntavano bigliettini che sembravano navigare nelle pagine precedenti e qualche parola lampeggiava.
In cucina suonò qualcosa e la ragazza dopo aver chiuso il blocchetto vi si precipitò. Tornò poco dopo stringendo un’altra tazza.

- non un altro intruglio spero – domandò lui, sulla difensiva.

Hermione rise.

- oh, sì. Un intruglio mortale. È camomilla, scemo – disse – per farti rilassare un po’ e riposare meglio -.

Era la prima volte che qualcuno lo chiamava scemo con quel tono di voce così dolce. Se non se ne fosse dovuta andare probabilmente le sarebbe saltato addosso di nuovo.

- devi proprio andare? – chiese.

In risposta la ragazza sorrise e raccattò tutte le sue cose. Fece per uscire, ma poi, come in un secondo pensiero, corse verso di lui e lo baciò lievemente.
Poi se ne andò, lasciandolo solo e incredulo con la tazza di camomilla ancora piena in mano.
Sorridendo tra sé e sé cominciò a sorseggiarla. Sarebbe andato avanti se all’improvviso non avesse udito lo schiocco di una materializzazione. Gettando la tazza da un lato impugnò la bacchetta e la puntò sul nuovo venuto.

- sono io, calmati – disse questi.

Leo lo osservò in allerta. Poi abbassò lentamente la bacchetta.

- Darius – disse, - sei impazzito? Vuoi farti ammazzare per caso? -.

Il ragazzo appena comparso nella stanza aveva corti capelli castani e gli occhi del medesimo colore. Aveva segni di vecchie cicatrici sulle guance ed indossava la divisa da auror.

- sinceramente credevo di essere al sicuro, visto le condizioni in cui ti saresti dovuto trovare – rispose, - ma vedo che sei guarito in fretta. Suppongo sia merito di chi ha appena lasciato questo appartamento -.

Leo rimase a guardarlo in silenzio.
L’auror chiamato Darius roteò gli occhi.

- e va bene, va bene. Giungerò subito al punto – disse, contrariato, - il ministro desiderava accertarsi delle tue condizioni… e delle tue intenzioni –.

Leo strinse gli occhi.

- le mie intenzioni non sono mutate. Di’ al ministro che mi sto rimettendo perfettamente. Però, se vuole che d’ora in avanti sia più produttivo, non dovrebbe più assegnarmi missioni difficili. E questo vale anche per la mia partner – disse.

- Potter non è più al Quartier Generale. Mi chiedo perché… - cominciò l’altro, ma Leonard lo interruppe.

- Potter non è un mio problema -.

- oh, e la sua migliore amica sì invece? – riprese Darius, freddamente.

I pugni di Leonard si strinsero sulle lenzuola.
Darius emise un profondo sospiro, poi afferrò il bordo della sedia rimasta accanto al letto e vi si sedette.

- ascolta, Ed… - ma fu interrotto bruscamente.

- Leonard -.

Ci fu qualche attimo di silenzio prima che l’auror riprendesse.

- Leonard – disse, pronunciando lentamente quel nome, - quando gattonavamo già ti conoscevo meglio di chiunque altro. Ma ora non riesco proprio a capire cosa ti passa per la testa -.

Il silenzio imperterrito dell’altro lo spinse a continuare.

- non era l’occasione che avevi sempre aspettato? Cosa è cambiato? – chiese.

- non è cambiato assolutamente nulla, Darius – disse Leonard, deciso, - il piano è sempre lo stesso. Ho dovuto solo modificarlo un po’, a seguito degli ultimi eventi -.

- intendi il rapimento della Weasley? -.

Leonard annuì con la testa.

- fin qui posso anche comprenderti. Ma la Granger? Cosa c’entra la Granger? – domandò Darius, ironico.

Un sorrisetto sarcastico increspò le labbra di Leonard.

- non hai capito proprio nulla, amico mio – esclamò, - comunque, non è nei miei piani renderti partecipe di ciò che ho in mente -.

Darius si rialzò, con calma. Il suo amico non era proprio cambiato di una virgola in tutti quegli anni.

- come vuoi. Ma ricorda che non è a me che dovrai renderne conto, alla fine -.

Si smaterializzò con la stessa velocità con la quale era comparso, lasciando Leonard nuovamente solo nella sua stanza. Con un sospiro puntò lo sguardo fuori dalla finestra. Il cielo era cupo.

Hermione si scostò dalla parete della cucina. Tra le mani stringeva il blocchetto che le aveva dimenticato in cucina, poco tempo prima, e che era tornata a prendere.

Approfittando del fatto che Leo si era coricato sotto le coperte e che nessuno dei due sembrava averla notata, uscì dall’appartamento e correndo via, riuscendo a malapena a ragionare, ancora in preda allo shock.

  
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