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Autore: Leannel    11/11/2004    0 recensioni
Storie delle vite passate di Leannel e compagni. In questa primo incontro tra lei e Reimer
Genere: Avventura, Azione, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Leannel ansimò. Era una situazione irreale. Sudava. Aveva paura. Le tremavano le ginocchia. Cosa stava succedendo? Contro cosa stava combattendo? Chi era davvero il suo avversario? Una domanda più semplice giunse veloce alla sua mente stanca. Dove si trovava? Come aveva potuto nescondersi agli occhi del suo nemico quando non era circondata da altro che dal buio?. Sospirò. Sembrava che tutto fosse destinato a finire, allora. O forse tutto era già finito. Si alzò in piedi.

“Chi sei e dove ti trovi?” gridò, accorgendosi di essere circondata dal niente.

“Chi sono?” rispose una voce suadente dal buio. “Chi sono io?” disse.

Leannel percepì il suono metallico di una spada sguainata. Di conseguenza, eccola, la sfoderò.

“Non so chi sei, né cosa vuoi da me. Ma per la prima volta nella mia vita ho paura. E non posso perdonarti un affronto simile” disse.

Silenzio.

La voce rise.

“Non puoi pedonarmi? Sei ridicola. E non hai idea di chi hai di fronte”

“Non ce l'ho. E mi piacerebbe molto farmela”. L'eria si spostò. Leannel comprese che il suo non era un avversario comune. Si spostò alla sua destra. Una lama si avvicinò al suo fiancò sinistro. Leannel rincorse la luce bianca dell'acciaio. Il suo nemico, la voce di donna, schivò il suo primo attacco. Le lame si incrociarono e striderono. Leannel reagì con tutta la forza che aveva in corpo. Il corpo cui apparteneva la voce si allontanò. Leannel saltò all'indietro. La lama fu inesorabilmente premuta sulla sua schiena.

“Sei ridicola” ripetè la voce.

Leannel gridò. La lama era entrata nella carne. La mano destra lasciò cadere la spada di acciaio lucente. La voce rise rumorosamente. Ma Leannel, ormai senza alcuna speranza, sorprese il suo avversario. Afferrò qualcosa di tagliente dalla faretra e disarcionò il nemico alle spalle.

Ora era lei a trovarsi in vantaggio. Il corpo della voce giaceva il suolò con la mano madida di sangue.

“Maledetta” mormorò. Leannel le puntò il pugnale sottile alla gola. Con un balzo che Leannel avrebbe ritenuto impossibile a qualunque essere vivente, la voce, afferrò con i piedi il piccolo pugnale e lo lanciò lontano. Leannel rimase un istante interdetta. L'avversaria ne approfittò per gettarla all'indietro con un calcio. Leannel saltò inpiedi. Sempre con l'aiuto del piede, la spada tornò tra le sue mani. Comprese che la voce aveva fatto lo stesso.

“Sta tranquilla” disse la voce “ancora non morirai” Leannel tremò.

“Chi sei? Cosa vuoi da me? Dove mi hai portata?” gridò

la voce rise.

“Hai paura. Una paura che ti gela il sangue, Leannel. E so anche perchè. Perchè io ti conosco, so tutto di te, conosco il tuo nome, la tua vita. E tu non sai niente. Non sai neanche dove ti trovi.”

“Ti taglierò la testa se non mi riporti dove mi trovavo”

La voce rise fragorosamente.

“Mi taglierai la testa? E che ne farai poi? Tu non sei niente! Tu non puoi niente”

Leannel gridò, lanciando il suo ennesimo assalto. Combatteva con una rabbia che le era sconosciuta. Non capiva perchè. Anzi no. Era chiaro. Non voleva morire per mano di una donna come quella.

“Ti ho detto che non morirai” ripetè la voce, apparendo alle spalle di Leannel.

“Non io, ma una di noi morirà” rispose Leannel

“Davvero non preferisci prima scoprire chi sono io?” Leannel sorrise, consapevole che la voce vedeva con chiarezza la sua espressione. Con i movimenti piùveloci che Leannel avesse mai effetuato, la spada della voce volò in alto e la figura esile di donna, cadde a terra, la spada contro il collo.

“Nessuno al mondo è in grado di sconfiggermi” disse Leannel

“Per oggi hai già detto abbastanza buffonate” Leannel non capiva. “Qui sono io che comando. Qui niente è reale, nemmeno io sono reale. Qui tutto ciò ch c'è di reale sei tu.Ed io detto le tue regole”

“Quindi io non posso ammazzare te e tu non puoi ammazzare me”

“Non esattamente”

“Chi sei?”

“Questa è la tua mente. Questa è la tua maledizione”

“Cosa c'entra?”

“Qual'è l'ultima cosa che ricordi?”

“Io...” rispose Leannel “ricordo gli Orchi. E gli uomini. Maledetti mortali traditori. Centinaia di mortali. Morien che gridava e Reimer che la salvava. E Talmaye con lo sguardo spento. Ne abbiamo ammazzati tanti. E poi... una freccia. Sono stata colpita da una freccia!”

“Esattamente. Quella freccia ero io. Quella bambina bionda ero io.”

“Allora tu...”

“No, io e te non siamo la stessa persona. Siamo due facce della stessa medaglia forse. Ma non siamo la stessa persona. Ho usato il trucco della bambina per confondere il tuo amico intelligente, e i tuoi occhi per confondere te. Mi avete reso tutto estremamente facile”

“Io non..”

“Non capisci? Capirai.”

“Chi sei?” Leannel si dimenò “Chi sei, maledetta, e cosa vuoi da me?”








Salmaye si svegliò di soprassalto. In un primo momento si chiese finanche il suo nome. Poi il campo si ristresse a dove si trovava. Non era decisamente da lui addormentarsi dove capitava. Eppure era successo. Indubbiamente si era addormentato in un posto che non era la sua camera da letto, a meno che non dormisse in un giardino di narcisi, circondato da pietre bianche. Ora che ci pensava non ricordava davvero cosa facesse da quelle parti. Ma non era importante. Cose del genere accadevano spesso.

Si stropicciò il viso e la pelle bianca. Poi i grandi occhi blu gonfi di lacrime.

Si chiese cosa fosse riuscito a svegliarlo. E poi si chiese da dove venisse quel rumore assurdo. Un rumore sordo, metallico e ripetitivo. Ma non si avvicinava lontanamente al rumore forte di un orologio. Piuttosto un rumore di battaglia. Uno scontro.

Salmaye pensò che in un’altra situazione non si sarebbe mai accorto che le stanze delle armature fossero tanto vicine. Quel palazzo era decisamente troppo grande. Non sarebbe mai riuscito a farci l’abitudine.

Si chiese cos’avrebbe fatto Talmaye al suo posto. Si rispose che non avrebbe fatto niente. Quindi era chiaro che la cosa migliore da fare era segiure il rumore. Dopo qualche tentativo Salmaye riuscì ad alzarsi. Le vesti stropicciate tornarono magicamente alla più perfetta della pieghe. Si chiese di quale materiale fossero fatte, ma la risposta non gli interessava. In effetti in nessun modo sarebbe riuscito a darsi risposta.

Seguì il rumore. Un corridoio. Poi un altro. i suoi piedi camminarono da soli, senza essere guidati dal suo cervello. Come del resto facevano spesso. In effetti l’udito di Salmaye era formidabile. Un ultimo corridoio. Una lunga stanza grigia, illuminata da alcuni grandi bracieri. Salmaye non aveva mai visto quella stanza dopo quasi 500 anni di vita in quei luoghi.

Quella stanza piacevole con grandi finestre e tende spesse, color rosso rubino. Sul muro era appeso il maggior numero di armi che Salmaye avesse mai visto. Ce n’era anche una analoga alla sua. Poi c’era un numero ristretto di armature appartenenti alla seconda era ed altrettante appartenenti alla terza. Ma ciò che di più lo colpì furono le marionette di questo teatrino. C’era una donna dai capelli castani. Bellissima. Forse la più bella che avesse mai visto. Sedeva su di una sedia dello stesso colore delle tende, osservando il resto della scena con uno sguardo tra il sadico, il truce, l’indignato e il divertito.

Davanti ad essa la figura sottile di un piccolo elfo che si muoveva freneticamente, secondo uno schema ben studiato, ed infliggendo fendenti alle armature che la circondavano.

Salmaye non seppe se trovare la scena ridicola oppure provare rispetto per il giovane elfo che si impegnava con tutte le sue forze e che , letteralmente, non faceva altro che allenarsi giorno e notte. Si chiese perché Leannel non avesse affidato anche Morien a Reimer.

Reimer era stato un ottimo maestro, dopotutto. Dopo tutti gli allenamenti assurdi e le innumerevoli assenze ingiustificate. Se non altro non li avrebbe mai fatti allenare ad un’ora in cui la notte era tanto profonda.

Rimase immobile per un attimo. Morien restava a patto di diventare un vero guerriero. Ma imparava in fretta. Non erano passati molti mesi da quando lo avevano portato. O forse erano anni, chissà. Era uno di quei tali che si impegnano con tutti se stessi. Invece, convenne con se stesso, Talmaye era di quelli che lavoravano meglio sottopressione (noto che fosse molto difficile mettere suo fratello sotto pressione), e lui stesso andava stuzzicato con gli argomenti giusti.

Morien combatteva sola a quell’ora della notte di fronte a quella donna bellissima. Sembrava quasi un quadro. E se nessuno aveva mai dipinto un quadro come quello che osservava Salmaye l’arte aveva mancato di una parte di bellezza. Da sempre.

Salmaye si chiese come riusciva ad amare una donna come Leannel. Così egocentrica. Così fuori di testa. Non riuscì a darsi una risposta. Restava tangibile, comunque, che l’amava.

“Evidentemente qualcuno è venuto a farci compagnia.” disse una voce melodica. Morien alzò lo sguardo e fissò Salmaye. Sorrise. Leannel gli lanciò un’occhiata. Morien riprese ad allenarsi.

“Che ci fai ancora sveglio” chiese Leannel

“Siete stati voi a svegliarmi.” Leannel sospirò. Fece un cenno con la mano a Morien che smise di combattere.

“Non mi sembra il momento adatto a restare svegli” concluse la donna elfo.

“Vi farò compagnia” rispose Salmaye.

“Avvicinati” disse Leannel in un sussurro. Poi sospirò. Salmaye fece ciò che gli era stato ordinato. Non capiva quale intenzione avesse Leannel. A dire il vero ai più era costantemente impossibile capire cos’avesse in mente.

“Questo non è un allenamento per quelli come te” disse la donna. “No, decisamente non lo è” con aria spaventata e confusa Salmaye fissò Morien nei suoi grandi, acquosi occhi castani. Era diverso dal normale. Aveva qualcosa che lo rendeva ancora più androgino del solito. Le labbra rosse. La pelle bianca. E poi in effetti non lo aveva mai visto con una camicia tanto stretta. Si sentì ancora più confuso che in principio. Leannel schioccò le dita davanti al viso del ragazzo, facendo tornare l’attenzione su di lei. Salmaye la fissò negli occhi che la notte acquisivano un colore ancora più tendente al grigio. Era ufficiale. Non capiva più assolutamente niente. I colori divennero sfumati. Lo sguardo di Leannel lo intrigava, lo avviliva e lo stregava allo stesso tempo. Ma poi la vide chiaramente. La vide avvicinarsi. Le loro labbra si sfiorarono. Il buio.

Salmaye cadde spino a terra.

“Sei stata cattiva” mormorò Leannel

“Dovevo esserlo, altrimenti avrebbe scoperto il nostro segreto” sorrise. In quel momento Morien si chiese quale essere su Arda sarebbe mai riuscito a restare indifferente a quella donna. “E poi” riprese “sono decisamente pi cattiva con te”

Morien capì che era il chiaro segnale di dover ricominciare a combattere. Ma era abbastanza decisa ad ottenere quello che Leannel voleva da lei. Anzi ne era convinta fermamente.


La mattina di un dodici dicembre, freddo per definizione, Reimer si alzò dal suo letto spazioso. Guardò alla sua sinistra. Evidentemente Morien non c’era. Tutti coloro che potevano avere l’ambizione di chiedere a Reimer il perché del fatto che Morien dormisse nella sua stessa camera da letto credevano che fosse per tenerlo d’occhio. Certo, non si sarebbero mai aspettati di vederli dormire costantemente nello stesso letto dalle lenzuola verde-acqua.

Reimer sospirò. Non ricordava che l’amore lo rendesse tanto possessivo. Chissà cosa le aveva fatto Leannel. O magari avevano parlato di cavalli e profezie per tutta la notte. Ne sarebbero state capaci. Reimer era fermamente convinto che se Leannel e la sua donna si fossero incontrate in un’altra vita, sarebbero state le migliori amiche e compagne della terra di Mezzo. Ma in questa vita, Morien doveva imparare a combattere e a proteggersi da sola e Leannel era impegnata per la maggior parte del tempo a sentirsi triste. No, non era vero. Leannel era molto sollevata dal poter sfogare i suoi istinti sadici su quella piccola ragazzina dolce.

La campana accanto al suo baldacchino verde suonò di nuovo.

Reimer si disse che la sua era cominciata come una giornata particolarmente sfortunata. Detestava parlare col re. Detestava il re, forse. Ma non era difficile fingere di essergli dedito.

Si alzò e si vestì nella maniera più veloce che conosceva.

“Fa in modo di renderti presentabile” disse una voce dalla finestra “Devo chiederti un favore” Leannel.

“Non ho nessuna di pensare adesso” rispose Reimer “annuirò”

“Non sarà tanto difficile applicarsi. O forse lo sarà”

“Cosa vuoi che gli dica?” Leannel entrò nella stanza e si avvicinò. Non aveva dormito. Ma non sembrava comunque stanca.

“Voglio che di tua spontanea volontà gli chieda di accompagnarvi nel vostro viaggio”

“Abbiamo un concetto lontano di ‘di spontanea volontà’. Comunque si, dovrò applicarmi”

“Ma tu lo farai per me, vero?” Leannel strinse il viso dell’uomo tra il pollice e l’indice e, per un istante, anche la sua volontà. Reimer pensava che Leannel non ne sarebbe stata più capace.

“Cosa ha intenzione di darmi tuo padre” chiese Reimer.

“Penso che si sia stancato di vedermi affidare Morien. Vuole testarla. Ed è stato avvistato un grumo di orchi ai confini del nostro territorio. A dire il vero anche più in là dei confini. Dovete ucciderli”

“Si, glielo chiederò” Leannel lo fissò con aria interrogativa “In primo luogo perché ho un animo misericordioso” sorrise “in secondo, perché è indubbio che senza di te non distruggeremmo mai un grumo di orchi” Reimer si chiese cosa intendesse Leannel per un ‘grumo’. Ma il senso non era tanto assurdo, infondo. Leannel sorrise timidamente. Non era abituata ad avere le cose senza doversi sacrificare. Ed aveva intuito che forse Reimer avrebbe chiesto comunque a suo padre di portarla con loro.

“Morien” mormorò la donna “ha dormito con me stanotte. Questa gente è stupida ma non penso che credano davvero che Morien sia Casto, oltre che molto ambiguo” Reimer sorrise. Poi si chiese se Leannel avesse raccontato alla gente del posto cose insensate, anche di quando aveva dormito nella stessa stanza con lui Talmaye o Salmaye. Poi rise di nuovo. Lo aveva fatto certamente. Cercò il suo sguardo di nuovo, ma se n’era già andata via.

“Cosa diavolo aspetti?” disse un’altra voce dell’altra parte della porta. Reimer si chiese se tutta la gente del posto lo osservasse mentre dormiva.

“Sto suonando questo campanello da minuti, ormai!”

“Si, Talmaye, sto arrivando.” Reimer mise su una giacca di pelle nera ed i primi pantaloni che gli capitarono sotto mano. Aprì la porta. Dall’altra parte Talmaye, vestito con precisione completa lo osservava severamente. Aveva il viso soddisfatto. Reimer pensò che si fosse allontanato, la sera prima.

“Non essere irruento. Parlavo con Leannel di cose importanti. Ci vorresti tu al mio posto. Maledizione detesto quell’elfo” sul viso di Talmaye si dipinse un falsissimo sorriso.

“Buon giorno anche a te” disse “Quell’elfo odioso ti sta aspettando. E forse proprio a causa di Leannel non ti concederà niente di quello che cerchi. È molto arrabbiato”

“Oh, va bene. Leannel mi ucciderà”

“L’importante è che non scappi prima” Reimer non ebbe il tempo di rispondere a Talmaye. Erano ormai davanti al portone della stanza del trono. Talmaye fece segno in silenzio a Reimer di abbottonarsi la camicia. Reimer lo fece. Con la mano Talmaye gli augurò buona fortuna.


Reimer entrò nella grande stanza bianca. Chinò il capo in segno di inchino.

“Fortunatamente siete arrivato” mormorò la voce suadente del re “Cominciavo a pensare che foste morto” lo odiava. La sua poca servilità sarebbe servita a ben poco. Dopo migliaia di anni che viveva là continuava a dargli del voi. E lui avrebbe dovuto fare lo stesso. Si chiese come da un uomo così orribile fossero potuto nascere un elfo così perfetto come suo figlio Legolas ed una creatura meravigliosa come Leannel.

“Evidentemente non sono morto” rispose. Il viso di Talmaye, sul fondo della sala si contorse. La diplomazia non era chiaramente il forte del capitano Reimer.

“No. Non lo siete. Comunque non siamo qui a parlare della vostra morte” Talmaye fu consolato dal pensiero che infondo Thranduil si fidava ciecamente di Reimer. Perlomeno non gli avrebbe tagliato la testa.

“Vi ascolto.” Rispose Reimer, sedendosi.

“Ci sono degli orchi, molti orchi, all’estremo ovest dei miei territori” Reimer detestò quel ‘miei’ “E siccome tu sei qui per proteggere al meglio questi territori, partirai con i tuoi uomini e li salverai” Reimer trasse un respiro profondo. In un momento come quello non poteva permettere di farsi tagliare la testa.

Annuì.

“Partirai questa notte stessa. Ti darò tutto quello che mi chiederai” colcluse il sovrano. Reimer annuì di nuovo. Deglutì.

“C’è una cosa che devo dirvi” disse “Io ed i miei uomini da soli siamo pochi. Avremmo bisogno del nostro capitano. Avremmo bisogno del talento di Leannel” il re lo fissò un istante pieno di disprezzo e rise.

“Mia figlia non sopravviverebbe ad un incontro del genere. E non posso permettere che la sua bellezza perfetta sfumi nel niente” Reimer chiuse gli occhi e strinse i pugni. Talmaye temette fortemente per la sua testa. Reimer sospirò. E poi uscì dalla stanza con Talmaye e suo seguito.

“Ce l’hai fatta sei stato bravo” disse il più giovane dei due “Purtroppo ora sarà Leannel ad ucciderti” Reimer non sentiva più niente. La stupidità di quell’elfo lo affliggeva. Come poteva non capire che la bellezza di Leannel sarebbe sfumata come quella di sua madre se non l’avesse lasciata combattere? Come poteva non capire che la bellezza estrema di Leannel non si fermava ai suoi occhi o al suo sorriso o al suo seno? Leannel era molto di più dei suoi occhi, del suoi sorriso o dei suoi seni. Leannel era Leannel. E suo padre non l’amava come tale ma come ricordo di sua madre. E la cosa più complessa era che Reimer stesso non riusciva a capire come la cosa avesse la forza emotiva di penetrare la sua dura sensibilità. Entrato nella sua camera pianse. Pianse lacrime alle quali non avrebbe mai saputo dare un peso od un nome. Forse erano lacrime stupide ma non poteva fare a meno di versarle. Non le avrebbe parlato. Non avrebbe potuto sopportare di parlarle.

Quando ebbe la forza di alzare il viso vide a suo fianco Morien che sorrideva.

“Perdonami, mi sono svegliata solo adesso” sorrise “Non è un uomo tanto stupido, infondo. Infondo ha chiamato noi per stare con sua figlia.” Reimer sorrise.


Talmaye sospirò. In effetti il suo obiettivo principale era sempre stato quello di rimanere al centro dell’attenzione. Ma sapeva bene di non conoscere se stesso abbastanza da conoscere il suo obiettivo. Proprio lui che conosceva sempre tutti. E non capiva se stesso. Rimaneva comunque il fatto che Talmaye detestava non essere ascoltato. E Reimer l’aveva ignorato completamente. Inoltre le parole sciocche del Sire Thranduil lo avevano seccato. Quell’uomo era completamente inadatto al suo ruolo. Poi pensò che forse se fosse stato lui stesso, Talmaye, a parlare forse sarebbe riuscito a convincerlo. Spesso il dolore rendeva le persone semplici. Thranduil ne era l’esempio lampante. Leannel invece dimostrava l’esatto contrario. Leannel. Forse si sarebbe arrabbiata davvero. O forse avrebbe capito. Leannel era imprevedibile quanto se stesso.

“Talmaye!” disse d’un tratto una figura esile che correva con aria scapigliata. “Cos’è successo? Perché non vengo mai informato!”

“Niente. Sal, non ti sei perso niente” Talmaye sembrava cupo

“Non sembra affatto dalla tua espressione” rispose Salmaye

“Va’ a preparare le nostre borse, dobbiamo andare a Ovest”

“Non ha lasciato che Leannel venisse con noi” mormorò Salmaye. Talmaye ebbe l’impressione che se davvero avesse voluto sapere qualcosa di più su se stesso avrebbe dovuto chiederla a Salmaye. Salmaye che non era dotato di una grande perspicacia e lo conosceva meglio di chiunque altro.

“No, non l’ha fatto.”

“Si, ci penso io alle borse. Tu vai dai cavalli” Quanto era maledettamente buono suo fratello, si disse Talmaye. Ma era l’unico fratello che mai avesse avuto e, anche se non avrebbero mai preso una decisione simile in tutta la loro vita, gli voleva bene. All’unica persona che riusciva a farlo sentire nudo. Poi ripensò a Reimer. Quella sua inutile sensibilità. Che gli impediva di uccidere un pirata disarmato in battaglia, ma non di tagliare la gola ad un oste. Non la capiva, Talmaye, la sensibilità. E forse era proprio questo ciò che lo intrigava di Leannel. La sua sensibilità atroce, egocentrica, portata all’eccesso. Ancora non era mai stato a letto con una donna che aveva tentato innumerevoli volte di tagliarsi le vene. Forse una volta ce l’avrebbe fatta ma non sarebbe stato amore. Per un istante, incamminandosi verso le stalle, si chiese se avrebbe mai capito l’amore o se lo avrebbe mai provato. Si rispose che infondo la cosa non gli interessava più di tanto.


La mezzanotte era passata da qualche minuto. Leannel aspettava al buio della sua camera. Aspettava di sapere se avrebbe potuto fare quello che desiderava. Morien si affacciò alla finestra. Leannel non aprì. Era Morien e non Reimer. Era chiaro qual’era stata la risposta. Fece cenno a Morien di tornare in camera sua. Maledizione. Maledetto. In effetti era già chiara quale sarebbe stata la risposta di suo padre. Fissò la scrivania. Il coltello che lei stessa aveva portato in camera dalle mense la tentò. Lo fissò per un istante. Fissò il suo freddo metallo lucente. Come poteva la stirpe elfica mettere tanta perfezione anche in un oggetto così inutile come un coltello da cucina? Si chiese se non avessero effettuato uno scambio nella culla. Magari era solo un mortale dotato di una grande longevità. Sorrise. Che cosa stupida. Guardò di nuovo il coltello. Eccola. L’idea giusta. Per una volta forse non avrebbe davvero tentato di uccidersi.


Reimer era già seduto accanto a Morien sul suo alto cavallo grigio. Morien sedeva su un altro, molto alto, e dal manto marrone. Talmaye li fissò.

“Vi scopriranno prima o poi se vi fate vedere sempre insieme” Reimer lo fulminò con lo sguardo. Forse aveva parlato troppo.

“Cosa stiamo aspettando.” Disse

“Salmaye, arriverà. Gli ho chiesto di fare le borse” rispose il più giovane dei due. Morien percepì chiaramente una certa sensazione di sfida.

“Non fate gli sciocchi, voi due” disse “Leannel non può venire punto e basta. Non è affatto colpa nostra”

“E se mentre siamo via si uccidesse? Si ucciderebbe perché tu” e indicò Reimer “Non hai saputo usare la lingua” Reimer era pronto a rispondere. Ma non lo fece. Trasse un respiro profondo.

“Mi dispiace” Talmaye sospirò. Per una volta aveva capito cosa fosse quell’inutile cosa chiamata emotività. E non gli era piaciuta. Solo Leannel riusciva a farlo sentire emotivo.

“Scusate. Scusate. Scusate davvero per il ritardo!” disse Salmaye, sempre correndo, sopraffatto da due borse nere. Proprio quel giorno che gli era sembrato di non dormire per tutta la notte. “Scusate ancora. scusa Talmaye, non trovavo i tuoi vestiti..”

“Hai preso i tuoi?” Talmaye a cose normali si sarebbe arrabbiato, ma sospirò.

Salmaye annuì, come previsto.

“Non c’è problema. Partiamo ora” intervenne Reimer.

Salmaye e suo fratello salirono sul dorso dei rispettivi cavalli.

La compagnia partì in silenzio.

Tre ore dopo Reimer era rimasto l’unico sveglio, assieme a Talmaye. L’elfo dagli occhi blu si avvicinò al suo maestro.

“perdonami”

“Non c’è problema”

“Si, c’è problema. Questa missione mi secca, quell’uomo mi secca, gli orchi mi seccano. E mi secca ancora di più che non ci sarà nessun nobile con cui parlare”

Reimer rise. Infondo Talmaye era legato in modo particolare solo alle cose futili.

“Mi chiedo davvero come sia possibile che le stirpi più importanti di questa terra lo reputino importante e saggio”

Reimer sospirò e disse

“Ha perso sua moglie. L’unica donna che mai ha amato. E l’ha persa in un modo orribile”

“Ma non può lasciare che il suo regno, compresa sua figlia vada in rovina e cadda insieme a lui.”

“Forse adesso porta un peso troppo grave per le sue spalle. Eppure neanche io riesco a perdonarlo.” Fissò un istante Talmaye “Tu non capisci le logiche del dolore”

“No, non le capisco. O meglio, so cosa sono e come funzionino. Ma mi sono assuefatto al dolore, molto tempo fa, come alla gioia” Reimer pensò che tutto quello che sentiva e che vedeva fosse molto triste. Talmaye conosceva l’animo umano nelle sue profondità più recondite ma non l’aveva mai sopportate sulla sua pelle. Talmaye pensò che forse la realtà era che la sua anima galleggiava in un mare di dolore, denso come il peccato.

“Tu pensi davvero che non ce la faremo senza Leannel?” chiese.

“Si, penso di si. Ma forse Leannel riuscirà a trovare un modo per raggiungerci. Se non lo farà, non nego che qualcuno di noi potrebbe cadere.” Reimer sorrise “Naturalmente mi auguro il contrario” Talmaye sorrise. Forse non si augurava il contrario. Forse sarebbe stato più facile se fosse stato proprio lui a morire in quel viaggio. Forse era davvero l’unico elemento sacrificabile. No, si augurava il contrario. Annuì. Reimer gli fece cenno di dormire, ma Talmaye scosse il capo. Poi tirò a sé le briglie del cavallo e si allontanò. Andava a fare un giro di circospezione. In realtà Reimer si rese conto che Talmaye aveva bisogno di restare solo.


Ore cinque del mattino. Talmaye non era ancora tornato mentre gli altri compagni continuavano a dormire candidamente. Reimer cominciava a sentirsi preoccupato. La notte sussurrava voci di morte e sangue. Gli orchi non erano lontani in modo particolare. Anzi forse erano intorno a loro. Forse avevano ucciso Talmaye, ed avrebbero ucciso anche loro. Reimer sospirò chiedendosi come aveva potuto giurare a Salmaye di non bere più. No, Talmaye non sarebbe morto prima di lui. Non lo avrebbe permesso.

Fruscio tra le fronde scure. Reimer respirò più silenziosamente. Altri fruscii. Non era il vento. Non erano orchi e soprattutto non era Talmaye. Era come un rumore sovrumano. Qualcosa di diverso. Nel peggiore dei casi, pensò Reimer, poteva trattarsi di un Nazgul. Se così fosse stato, non ci sarebbero state speranze. Ma gli animali sarebbero sembrati scossi se nelle vicinanze fosse stato un male del genere. Reimer scese dal cavallo nella maniera che riteneva la più silenziosa. Si avvicinò a quelle fronde. Lentamente. Poi, uno scatto. Un alto cavallo nero, completamente nero, dalle spalle larghe e lo sguardo fiero giunse alla lama della sua spada. Non ne fu comunque ferito. Il cavallo rimese immobile.

“A volte” disse la voce del cavaliere “mi chiedo se in tutti questi anni sia cambiato qualcosa”

“Che cosa ci fai qui” non era una domanda, quella di Reimer. Era un ordine. Leannel pensò che quei luoghi lo rendessero teso.

“Che ci faccio qui? Combatto, soffro, rido, e muoio con i miei sottoposti” Leannel sorrise. Reimer rise.

“Come hai fatto”

“Oh, questa è stata da manuale. Neanche a Talmaye sarebbe venuta un’idea del genere”

“Gli hai detto che ti saresti uccisa?”

“No, decisamente peggio. Gli ho detto che avrei bruciato, tagliuzzato, corrotto il mio corpo ed avrei sofferto tutte le pene possibili. Solo dopo mi sarei uccisa e a lui non sarebbe rimasto neppure il mio viso.”

“Sei la più crudele di tutti noi”

“Lo so perfettamente” Reimer e Leannel non si trovavano tanto in sintonia da anni. Questo era perché la donna aveva finalmente ottenuto ciò cui anelava.

Risero ancora insieme. Poi Morien mugolò e decisero che non ’avrebbero svegliata.

“Credi davvero che sia pronta?” chiese Reimer

“Sinceramente no. Ma se la caverà. È circondata da chi combatte da quando è nato”

“Si, hai ragione”

“E poi, se dovesse essere in pericolo tu le offriresti la tua vita”

“Non capisco di cosa parli. A chi ti riferisci rivolgendoti a ‘lei’?”

Leannel sorrise.

“Non so di cosa parlava Cirdan quando diceva che il tuo dono era la menzogna.”

“Neanche io”. Leannel si guardò intorno. Il bosco si faceva rado. Forse adesso non era più neanche bosco. Stavano varcando il confine a Ovest del Bosco Atro.

“Dove si trova Talmaye?”

“Temevo che fosse morto prima che arrivassi”

“E adesso?”

“No, non morirà”

  
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