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Autore: Old Paradise Street    08/12/2013    2 recensioni
Mai giudicare un libro dalla copertina, ma le persone non sono libri e i volti non sono copertine. Dobbiamo imparare a leggerci dentro, tra le righe, negli sguardi, scoprire cosa si cela dietro l'apparenza, dobbiamo riuscire ad abbattere quel muro, quel guscio con il quale ognuno prova a difendersi, sentendosi al sicuro.
Sophie, adolescente inglese rimasta orfana in un incidente.
Martina, figlia di un noto imprenditore italiano.
Due ragazze estranee che si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto.
'Gli opposti si attraggono ma i simili convivono'
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Trasferimenti

 
- Dovrò trasferirmi in Italia – Mormoro ancora sotto shock. Dovrò lasciare tutti i miei amici, le persone a cui tengo, la mia casa, la mia città, la mia vita. Tutto, insomma. E ricominciare da capo. Una vita nuova, in un Paese straniero, con una famiglia di cui non so assolutamente niente. – Siete sicuri che io non abbia nessun altro parente? Magari in Inghilterra? –
- No, ci spiace. L’unica persona che abbiamo trovato è questa sorella di tuo nonno –
- Oh, d’accordo. – Che mi piaccia o no, andrò a vivere a Venezia.
– Domattina alle 10.00 dovrai prendere l’aereo che ti porterà a destinazione. - Riprende a parlare uno degli assistenti. - Ovviamente verremo a prenderti noi e rimarremo con te fino a quando non ti sarai stabilita definitivamente in Italia. Dopodichè, per ogni problema o qualunque cosa dovrai contattare il mio collega, il signor Bardi – indica l’altro uomo, quello che aveva parlato pochissimo, che dato il cognome presumo sia italiano, che annuisce – che abita non molto distante da Venezia e per qualsiasi problema potrà aiutarti. A tua zia rimarranno i nostri biglietti da visita quindi non sarà difficile rintracciarci. Detto questo, hai il pomeriggio libero, ma ti ricordo che domattina alle 8.00 dovrai farti trovare pronta –
- Va bene, ma questa sera dove dovrei cenare e soprattutto dove dovrei dormire? –
- Ehm... – Cos’era quell’incertezza? Non posso avermi lasciata al mio destino e non aver pensato che avrò bisogno di mangiare e dormire e magari anche di un posto dove stare fino a domani, non è possibile.
- Sop, non ti preoccupare, per questa sera potrai stare da me. Ceni a casa mia e dormi lì. Ti lascio anche la mia camera così sarai più comoda –
- Grazie, Jade. Sei un tesoro, ma a dire il vero preferisco passare l’ultima notte a casa mia – Jade era una ragazza fantastica e un’amica unica. Mi avrebbe sicuramente fatto comodo stare un po’ con lei, non l’avrei rivista per molto tempo. Ma appunto perchè non sapevo se sarei tornata qui abbastanza presto, volevo rimanere un po’ nella mia vecchia casa, sì, perché quella ormai era la mia vecchia casa.
- Non puoi rimanere da sola tutta la notte, sei minorenne. Dovresti accettare l’offerta della tua amica – Ma questi sempre in mezzo erano? Prima mi dicono che andrò a vivere lontano chilometri e chilometri da tutto quello a cui tengo come se mi dovessero informare che andiamo tutti insieme a fare una bella scampagnata nei boschi, poi non si preoccupano nemmeno di fargli passare per l’anticamera del cervello che avrò bisogno di un posto dove mangiare e dormire, e infine mi dicono pure cosa dovrei fare quando loro non se ne sono minimamente preoccupati? Ma che razza di assistenti sociali erano?
- Allora visto che vuoi stare a casa tua, posso venire a farti compagnia io, se per te va bene. Chiedo a mio fratello Charley di rimanere con noi, lui è maggiorenne. – Jade si rivolge prima a me e poi ai due uomini.
- Devi decidere tu. Dove andrai per questa notte non ci riguarda. L’importante è che sia presente un adulto. – Risponde uno dei due con tono impaziente. Di sicuro non vedono l’ora di sistemare la povera ragazzina orfana e andare per i fatti loro.
- D’accordo se per Charley non ci sono problemi per me va benissimo. Scusa, ma voglio proprio stare a casa mia. Ne ho davvero bisogno. –
- Certo non ti preoccupare – Ho già detto quanto amavo Jade? Non so davvero cosa avrei fatto senza di lei.
- Bene, allora verremo a prenderti a casa tua domattina. – Fanno per andarsene ma si fermano. - Dimenticavo, credo che vorresti riavere gli oggetti che i tuoi genitori avevano con loro la sera dell’incidente. – Sentire le parole “sera” e “incidente” associate fa male, molto male, è un colpo in pieno petto. Non ho ancora accettato del tutto la morte della mia famiglia. D’altronde sono passati pochi giorni, come avrei potuto in così poco tempo?
- Oh, sì certo – Rispondo sovrappensiero.
- Bene, vado a prendere la borsetta di tua madre in auto, è l’unico oggetto ritrovato – Annuisco, ma non sto ascoltando molto in realtà. Nell’udire quella frase, però, mi risveglio. Cosa vuol dire che è l’unico oggetto che hanno recuperato? A quanto ricordo io c’era altro in macchina. Oltre ovviamente ai portafogli di mio padre e di James e alla mia pochette che però era insieme ai miei vestiti nell’armadio della camera d’ospedale.
Quando l’assistente torna ha in mano la pochette lilla di mia mamma, quella che aveva abbinato all’abito che indossava quella sera. Era la sua preferita ed ora è ridotta in condizioni pessime: ha molte macchie nere sparse qua e là, sembrano quasi macchie di bruciato.
- Ecco, questo è tutto ciò che rimane dell’incidente. – Mi porge la borsetta ed io la prendo con le mani che tremano. La rigiro fra le dita e la stringo osservandola. Quelle sono macchie di bruciato.
- Cosa vuol dire che è l’unico oggetto ritrovato? E perchè sembra che sia stata in mezzo al fuoco? –
- Vedi, secondo un testimone, quella sera, il conducente dell’altra auto, che non ha subito lesioni gravi, ha fatto appena in tempo a chiamare un’ambulanza e a trascinare i vostri corpi fuori dalla macchina che i due veicoli sono esplosi. Il primo a morire è stato Mr. Adams, era il più vicino all’esplosione e la quantità eccessiva di fumo nei polmoni ha contribuito all’emorragia che si che è creata dopo lo scontro. È morto mentre lo trasportavano qui. –
- E... mia madre e James? Quando è successo? – Non posso fare a meno di chiederlo. Appena ho saputo che ero sopravvissuta solo io non ho avuto il coraggio di domandarlo a nessuno. Non volevo stare ancora più male sapendo i dettagli, ma ora ne ho bisogno. Non posso andarmene senza sapere cos’è accaduto quella maledetta sera.
- Mrs. Adams, a causa del forte impatto ha sbattuto il viso contro il cruscotto e poi le sono crollati addosso i frantumi del vetro causando profonde ferite. È morta il giorno dopo in ospedale. –
- E James? –
- Tuo fratello è stato il più forte. È quello che ha resistito di più. Nell’incidente è stato sbattuto con forza contro il sedile anteriore, fratturandosi una costola. Le sembrerà una cosa non troppo grave, ma a causa dei successivi spostamenti dall’auto alla strada e poi sulla barella dell’ambulanza questa costola si è spostata e ha forato un polmone e... –
- E poi è morto. – Concludo io.
- Esatto, la sera dopo l’incidente se n’è andato anche lui. – Guardo Jade, è in lacrime. Non riesce a tenere gli occhi aperti, a guardare qualcuno, e si copre la bocca con una mano nel vano tentativo di placare i singhiozzi. Sono ridotta così anch’io, solo che il mio dolore è interno. Sono riuscita a trattenermi, a ricacciare indietro quasi tutte le lacrime che tentavano di uscire, ma poi, vedendo Jade in quello stato, non resisto più e mentre l’abbraccio scoppio anche io. Per la terza volta in poche ore mi sfogo piangendo.
Dopo un po’ mi stacco da Jade, tentando di ricompormi.
- Dentro ci sono anche i portafogli di tuo padre e tuo fratello. –
- D’accordo. –
- Bene. Credo sia tutto. Se dovesse venirci in mente altro che ti riguarda ne parleremo domattina. Detto questo, a domani. Mi raccomando, sii puntuale. Alle 8.00 ti verremo a prendere a casa. -
I due uomini mi voltano le spalle, mentre Jade si allontana per telefonare a Charley. In quel momento vedo entrare Alex e Cleo che appena mi notano mi vengono incontro velocemente per poi soffocarmi in un abbraccio affettuoso. Quanto mi sono mancati i loro abbracci. Non ci siamo ancora visti una volta da quando sono iniziate le vacanze natalizie. Sono i miei migliori amici praticamente da sempre e ci sono sempre stati, in ogni momento, bello o brutto che sia stato.
- Sophie, tesoro! Come stai? Scusa, scusa, scusa! Volevo venire appena ho saputo che ti eri svegliata ma non ce l’ho davvero fatta! Scusa, mi dispiace tantissimo! –
- Ehi, ehi, Cleo, tranquilla! L’importante è che tu sia venuta, non importa quando. Sono contenta che siate qui. Devo dirvi tantissime cose, tra cui una molto importante.
- Sop, cos’è successo ancora? – Questa volta è Alex a parlare. Con me è sempre così dolce. È il migliore amico che una ragazza possa avere.
- Ecco, ragazzi, non so come dirvelo, solo che... non possiamo più vederci come prima. – L’ho detto tutto d’un fiato. Senza dettagli certo, ma l’ho detto. Spero capiscano.
- Cosa vuoi dire Sop? Anche se cambierai casa verrai sempre a scuola con noi, no? E comunque, anche se cambiassi città e scuola, ci possiamo vedere lo stesso. Non tutti i giorni certo, ma abbastanza spesso. -
- No Cleo, mi dispiace. – La interrompo subito, prima che salti a conclusioni affrettate. – Da domani... da domani vivrò a Venezia, in Italia. – Finalmente l’ho detto.
- Che cosa? – Mi domandano entrambi restando a bocca aperta per lo stupore.
- Cosa vuol dire che andrai a vivere in Italia? – Mi chiede Alex sbalordito.
- Vuol dire che andrò a vivere in Italia. Avete notato i due uomini in giacca e cravatta che sono usciti quando voi siete entrati? Ecco, quelli erano assistenti sociali che dovevano trovarmi una famiglia a cui essere affidata visto che sono minorenne. E l’unica mia parente che hanno rintracciato abita in Italia.
- Davvero? – La voce di Cleo è pericolosamente incrinata. – Te ne andrai in Italia? –
- Non ho altra scelta. – Così dicendo, con la voce rotta anch’io, l’abbraccio mentre scoppiamo a piangere, di nuovo, una sulla spalla dell’altra e sentiamo Alex che ci stringe fra le sue braccia, quasi come se ci volesse tenere unite e proteggerci. Restiamo così abbracciati per almeno cinque minuti. Io, Cleo e Alex. Resto così, fra le braccia dei miei migliori amici di sempre, le persone a cui tengo di più.
Quando ci stacchiamo e ci guardiamo negli occhi, noto che anche Alex, il ragazzo forte, quello che affronta tutto a testa alta, il ragazzo che non piange mai, ha gli occhi lucidi. Non l’ho mai visto piangere, se non dalle risate, e non voglio di certo che lo faccia a causa mia. Guardo Cleo e nell’istante in cui i nostri sguardi si incrociano sorridiamo entrambe. Sta pensando la stessa cosa che sto pensando io, ne sono certa: è la prima volta in dieci anni d’amicizia che lo vediamo sul punto di piangere.
- Che avete da ridere, ragazze? – Ci chiede infatti lui.
- Niente, niente. – Ci affrettiamo a ribattere noi due. Nel frattempo Jade ha chiuso la telefonata con Charley e ci sta raggiungendo.
- Per Charley va bene se questa notte dormiamo da te, almeno ti facciamo compagnia. –
- D’accordo. Ma ora basta parlare di cose tristi. Godiamoci questo ultimo pomeriggio tutti insieme, vi va?
- Ma certo, tesoro! – Cleo farebbe di tutto per vedermi sorridere, lo so.
- Prima però, voglio andare al cimitero. Devo vederli. – Devo assolutamente vederli, non posso partire senza farlo.
- Sai dove li hanno sepolti? – Mi chiede Jade che probabilmente non lo sa.
- Ehm... a dire il vero no. –
- Non vi preoccupate, vi portiamo io e Cleo, ci siamo già stati una volta. –
- Davvero? – Mi rivolgo ad Alex, perplessa.
- Si dopo il funerale siamo andati anche al cimitero. – Mentre io al funerale non sono nemmeno andata.
- Quindi hanno già fatto il funerale. Quando? –
- Tre giorni fa. Il pomeriggio in cui ti sei svegliata dal coma. –
- Oh, grazie per essere andati, davvero. –
- Figurati. Ora andiamo? –
 
Usciamo dall’ospedale e ci dirigiamo alla fermata dell’autobus più vicina per raggiungere il cimitero.
Quando arriviamo Alex e Cleo ci conducono fino alle lapidi dei miei genitori e di mio fratello. Davanti sono posati tantissimi mazzi di fiori coperti in parte dalla neve.
I miei amici si sono fermati poco distanti, per lasciare a me e a Jade i nostri spazi. Lei rimane in piedi di fronte alla lapide su cui è scritto il nome di Jay, le mani nelle tasche del giubbino, impassibile. Con la coda dell’occhio vedo che ha gli occhi lucidi, la bocca serrata e si sta sforzando di non piangere. Io mi inginocchio davanti alla tomba dei miei genitori, sistemo due dei tre mazzi di fiori che ho comprato dal fioraio di fronte al cimitero e poi rimango lì davanti, a ricordare i loro volti felici. Fra poco più di un mese avrebbero festeggiato vent’anni di matrimonio.
Dopo qualche minuto mi alzo e poso il terzo mazzo sulla tomba di James per poi avvicinarmi a Jade e passarle un braccio intorno alla vita mentre lei fa lo stesso con me. Restiamo così, abbracciate e in silenzio, a fissare il vuoto, a non trattenere più le lacrime, a pregare per loro. A rassegnarci al fotto di averli persi per sempre.
Non ce la faccio più, non sopporto più il fatto che quei visi sorridenti che mi immagino di continuo rimarranno lì, impressi nella mia mente, non verranno via con me e non li vedrò più, se non in una semplice fotografia conservata in un posto speciale, un’immagine che non potrà mai sostituire la dolcezza delle parole e del volto di mamma, l’affetto che scorgevo negli sguardi di papà o le provocazioni nei sorrisi sghembi di Jay.
– Ti prego andiamo via. –
- Va bene – mi risponde Jade con una voce priva di qualsiasi emozione. Un’ultima preghiera per loro e poi ritorniamo dai miei amici.
 
******
 
- Ehi, Sop, questi dove te li metto? – Mi chiede Cleo con alcuni dei miei CD fra le mani.
- Mettili in questo sacchetto, grazie – dico porgendole una busta di plastica.
Siamo tornati tutti a casa mia, dove ci ha raggiunto Charley, dopo aver passato tutto il pomeriggio in giro per la città e ora Cleo e Jade mi stanno aiutando a fare le valigie.
- Ragazze vi serve una m… - in quel momento entra Alex – Ma quanta roba ti porti, Sop? – Mi guarda con gli occhi spalancati.
- Alex, non è mica una vacanza. Parto e non so quando torno, mi devo portare più cose possibili.
- Piuttosto, Charley dov’è? –
- È di là, in cucina e sta preparando la cena. -
- La cena? Ma che ore sono? E poi, sa cucinare? Non conosce nemmeno la cucina, non sa dove trovare le cose… -
- Rilassati, gli ho spiegato tutto io e ha detto che sa cucinare bene. Comunque sono quasi le otto, non so voi ma io sto morendo di fame! – Con tutto quello che mi passava per la mente avevo peso anche la cognizione del tempo.
- Sì, tranquilla Sop, Charley cucina benissimo! Forse anche più di me. – mi rassicura Jade.
- Ah, va bene. Andiamo almeno ad apparecchiare la tavola allora. –
La cena è buonissima, Charley ha cucinato degli spaghetti al ragù semplicemente favolosi. “Beh, vai in Italia, d’ora in poi li mangerai più spesso no? Consideralo un piccolo regalo per la tua partenza” Mi ha risposto quando gli ho chiesto come mai avesse cucinato un piatto italiano. Lo ammetto, è un cuoco eccezionale. Sicuramente molto più bravo di me. Non che ci voglia molto a superare le mie doti culinarie dato che io so fare a malapena un piatto di pasta.
Dopo cena e dopo aver finito di sistemare valigie e borsoni, che sono più di quelli che mi aspettavo di portare, decidiamo di guardare un film tutti insieme. Ci impieghiamo minimo mezz’ora per decidere quale guardare e alla fine optiamo per “Bianca come il latte rossa come il sangue” un film italiano uscito qualche mese fa. Insomma, proprio una serata tutta Italiana.
- Forza piccola Sop, ora a nanna che domani ti devi alzare presto. - Mi dice Alex quando il film finisce. “Piccola Sop”? Da quando mi chiama così?
- Va bene p… - Mi blocco, non posso dire “papà” come faccio sempre quando mi tratta come una bambina. Non più. Ora è tutto diverso, se l’avessi detto sarebbe sceso un silenzio abbastanza imbarazzante. Ora la parola “papà” non posso più dirla a nessuno, perché nessuno può prendere il posto di mio padre, neanche se si scherza. Così lascio perdere e vado in bagno a cambiarmi. Gli altri, incuranti di quello che mi è appena successo mi imitano e dopo una ventina di minuti siamo tutti pronti per andare a dormire; Jade nella stanza degli ospiti, Alex e Charley nella stanza di mio fratello in cui c’è un letto in più e io e Cleo nella mia camera, dove la mia migliore amica ha il posto riservato sul divano-letto per tutte le notti in cui sta da me.
Come ogni volta io e Cleo chiacchieriamo un po’ prima d dormire, non possiamo farne a meno.
- Ti ricordi come ci siamo conosciute? – Mi chiede lei ad un tratto.
Mi giro sul fianco in modo da non darle le spalle. Come ci siamo conosciute, non potrei mai dimenticare quel giorno. Mi scappa un sorriso al ricordo. – Ma certo che mi ricordo, come potrei dimenticare il giorno in cui ho conosciuto una delle persone più importanti della mia vita? – Ridacchia anche lei e nel buio le nostre voci si disperdono mentre ci completiamo le frasi a vicenda, nell’intento di ricostruire quel giorno di tredici anni fa, quando al parco giochi, nonostante non avessimo avuto nemmeno tre anni, abbiamo litigato per chi sarebbe dovuta salire per prima sull’altalena. Poi ci siamo rincontrate i giorni seguenti, ogni giorno davanti alla stessa altalena, ogni giorno con l’obiettivo di scoprire un pezzo dell’altra, fra giochi e chiacchere sotto gli sguardi vigili delle nostre mamme, stupite dal fatto che un giorno litigavamo e il giorno dopo eravamo più amiche di prima. Quell’altalena è il nostro punto di ritrovo da anni ormai, dove poi, all’età di undici anni, abbiamo scritto la frase “Sophie e Cleo amiche per sempre” sul legno delle sbarre. Perché la nostra amicizia è così, è fatta di molti litigi e discussioni, ma durerà per sempre. Non sarà certo la lontananza a farla finire. Dopo mezz’ora decidiamo di andare a dormire veramente, siamo esauste e domani sarà il grande giorno.
- Buonanotte Sophie –
- Buonanotte Cleo –

 
*****
 
“Ultima chiamata per i passeggeri del volo C3752 Londra-Venezia delle ore 10.00. Si prega di recarsi al gate 10 per l’imbarco.”
 
Fra pochi minuti sarò su un aereo, pronta a lasciarmi alle spalle Londra e tutta la mia vita, per ricominciare. Ricominciare da capo in un'altra città.
- Non immagini nemmeno quanto mi mancherai. – Sono le prime parole che Alex mi rivolge da quando siamo arrivati in aeroporto e temo che saranno anche le ultime. Mi stampa un bacio sulla guancia e poi mi stringe a sé, come non ha mai fatto, come se non volesse più lasciarmi andare. Ancora una volta ha gli occhi lucidi.
- Ciao, Sophie. – Ennesimo abbraccio della giornata con Jade.
- Promettimi, ti prego Sop, promettimi che col fatto che vai a vivere in Italia non smetteremo di essere amiche, che ci sentiremo tutti i giorni, che qualche volta tornerai, che resteremo comunque unite. Come ci siamo promesse quasi cinque anni fa. –
- Cleo, cosa ci siamo detto ieri sera? Di cosa abbiamo parlato? –
- Di noi e della nostra amicizia. –
- Da quanto siamo amiche? –
- Da quando avevamo tre anni. –
- Giusto. Quasi tredici anni fa. Come ci siamo conosciute? –
- Litigando per un’altalena. – Ormai entrambe abbiamo le lacrime agli occhi.
- Esatto. – Le sorrido. – E pensi che tredici anni di un’amicizia che è iniziata litigando ed è continuata fra pazzie varie possa finire tanto facilmente? –
- No, hai ragione, scusa. È che ho una paura terribile di perderti. Sei la mia migliore amica. Anzi la prima amica che ho avuto nella mia vita. Non riuscirei ad immaginarmi senza di te, o peggio, con un’altra ragazza a fare le stesse cose che faccio insieme a te. –
- Lo so, Cleo, ti capisco. È la stessa sensazione che provo io. Però ti ricordi quella frase, quella sulla nostra altalena? Cos’è che diceva? “Sophie e Cleo amiche per sempre”, e così sarà. Per sempre. –
- Per sempre. – Scoppiamo a piangere e ci abbracciamo. – Devi andare o perderai l’aereo. –
- Lo so. – Però rimaniamo comunque abbracciate. Alla fine sono obbligata a staccarmi.
- Quindi è giunto il momento. –
- A quanto pare. –
- Come farò senza di te? Chi mi tirerà fuori ogni volta dai guai in cui mi caccio? Chi mi fermerà appena in tempo prima che faccia una figura di merda? –
- Sulle figure di merda sono d’accordo, senza di me ne farai molte di più. – Ora ci mettiamo entrambe a ridere e poi a piangere stringendoci di nuovo in un abbraccio. La stringo forte a me, voglio ricordarla così, voglio ricordare i suoi abbracci, voglio che il suo profumo mi si impregni nei vestiti così in viaggio mi sembrerà di averla accanto. Quando ci stacchiamo diventiamo entrambe serie.
- Questo è un “ciao” non un “addio”. Ricordalo sempre. –
- Tornerai? –
- Tornerò. –
- Allora ciao. –
- Ciao Cleo. –
Faccio vagare lo sguardo su ognuno dei presenti, compresi tutti i miei compagni di classe che sono venuti a salutarmi e che sicuramente avranno saputo tutto da Alex o Cleo.
Subito arriva uno dei due assistenti ad avvisarmi che l’imbarco sta per chiudere. Ho già salutato tutti, ma incrociando lo sguardo con ognuno di loro è come se lo facessi di nuovo.
Mi avvio verso la pista e a metà della scaletta per salire sull’aereo mi volto e mi ritrovo a cercare i volti dei miei amici fra la folla accalcata alle vetrate. Scorgo Cleo, che mi fissa con le guance rigate dalle lacrime e che appena capisce che la sto guardando mi sorride rassicurante. Vedo anche tutti gli altri. Alex, Jade, Charley, i miei nonni materni che sono stati accompagnati fin qui solo per salutarmi, Elisa, Savannah, Mark, Joe, Rick e tutti gli altri miei compagni, compreso Jake, il mio ex ragazzo, che ho lasciato alla fine dell’estate perché mi aveva tradita. Lui è l’unico che non sorride, che non ha né un’espressione rassicurante, né una dispiaciuta o felice. È impassibile, è lì che mi punta le sue iridi color ghiaccio addosso che mi squadrano con un’espressione dura e indecifrabile. Stampata su quel volto che raramente lascia trapelare qualche emozione.
È il momento. Finisco di salire quei benedetti scalini senza più voltarmi indietro e sono dentro. Pronta, o quasi, ad una nuova vita.
 
*****
 
Fuori dall’aeroporto troviamo una Mercedes blu ad attenderci. Prima di salire in auto mi fermo a respirare a pieni polmoni l’aria di Venezia. È così diversa da quella di Londra: è più leggera, meno inquinata e ha il tipico sapore salmastro delle città vicine al mare.
Salgo in auto e l’uomo che di cognome fa Bardi parte, percorrendo strade e stradine in direzione della casa di questa zia a me sconosciuta.
Durante il tragitto noto che spesso i due assistenti si lanciano occhiate strane come se ci fosse qualcosa che non vada e di cui io sono all’oscuro.
 
Il viaggio in macchina dura circa un’ora, dall’aeroporto fino alla zona di Venezia S. Lucia, dove lasciamo la macchina per raggiungere il terminal dei traghetti e prendere il battello che ci avrebbe portato a destinazione. Meno di mezz’ora dopo il battello attracca al terminal e ci incamminiamo verso una stradina subito di fronte. Il cartello col nome della via dice “Calle Vallaresso”.
Quando ero piccola mio nonno, il papà di mamma, ogni tanto mi insegnava qualche parola o espressione in Italiano e l’anno scorso ho deciso di frequentare un corso per imparare meglio la lingua quindi un po’ lo parlo e lo capisco.
È una via strettissima, ma piena di negozi, molti anche di marche famose.
I due uomini si fermano davanti ad un portone e suonano il campanello. Risponde una donna e dopo che gli assistenti le dicono i loro nomi si sente un verso come di disappunto ma il portone si apre.
Anche se l’esterno non ha un bell’aspetto l’interno dell’appartamento è esteticamente molto elegante. È grande e spazioso e dall’ingresso, alle cui pareti sono appese tante fotografie, parte un lungo corridoio su cui si affacciano parecchie stanze. La signora ci fa accomodare in salotto, su dei divanetti in pelle e da brava padrona di casa ci offre da bere. Mi osservo intorno; c’è un piccolo caminetto in fondo alla stanza con alcuni oggetti appoggiati sul ripiano sopra, varie foto e cornici sulle mensole dei mobili e due finestre piuttosto grandi che illuminano moltissimo l’ambiente e da una di esse si accede ad un piccolo balconcino alle cui ringhiere di metallo lavorato sono appese un paio di fioriere contenti molti tipi di fiori bellissimi.
- Nonostante quello che ci ha detto al telefono, signora Costantini, abbiamo pensato che fosse meglio se lei conoscesse di persona la ragazza – Comincia il signor Bardi con tono sicuro. Lei annuisce impassibile.
- Sapete però come la penso su questa faccenda. –
- Signora, - la interrompe subito lui – è pur sempre una nipote di suo fratello, il quale è impossibilitato a prenderla in custodia. –
- Posso intervenire? – Chiedo quasi con timore. – Buongiorno signora, io sono Sophie Adams, ma questo lei lo sa già. Mi sembra di capire che qui non sono la benvenuta. In fondo la capisco anche: si trova ad essere quasi costretta a dover adottare una ragazza che, pur essendo una sua parente, non ha mai visto in vita sua e non deve essere certo facile, né per lei, né per me. Però la prego di pensarci su. Io ho dovuto lasciare tutta la mia vita a Londra per venire qui contro la mia volontà, perciò la prego anche di mettersi nei miei panni e provi anche a capirmi. – Faccio il mio discorso cercando di parlare il più possibile in italiano e cercando di non fare troppi errori, ma non credo di esserci riuscita molto.
- Sophie, ci lasceresti da soli con la tua prozia, per favore? Potresti cominciare a fare un giro per il quartiere, c’è un parco proprio vicino al terminal dei traghetti da cui siamo arrivati. Così nel frattempo noi chiariamo questa questione. – Un modo carino per dire “Fuori dalle scatole che dobbiamo parlare”. Nonostante questo seguo il loro consiglio e due minuti dopo mi ritrovo fuori di casa a cercare di ripercorrere la strada che avevo fatto poco prima con gli assistenti.
Raggiungo il parco senza troppe difficoltà; è bello e grande. Appena trovo una panchina libera mi siedo e tiro fuori un libro dalla borsa, tanto per ingannare il tempo leggendo. Controllo anche il cellulare ma non trovo niente di nuovo. Mi stringo nel cappotto e tiro su la sciarpa affinché mi copra quasi tutto il naso e poi comincio a leggere.
Poco dopo noto con la coda dell’occhio arrivare un gruppo di ragazzi che si ferma poco distante. I maschi cominciano a giocare a pallone, mentre vedo due ragazze allontanarsi per raggiungere un posto dove sedersi e chiacchierare tranquille. Una delle due mi colpisce particolarmente: ha lunghi capelli castani e devo ammettere che è molto bella, ma soprattutto indossa abiti dall’aria abbastanza costosa e da lontano il telefono che tiene fra le mani sembra un Iphone. Osservandola bene noto anche che ha spesso lo sguardo rivolto verso il gruppo di ragazzi che giocano a calcio. Uno di loro devo ammettere che non è niente male. È un bel ragazzo, abbastanza alto, capelli scuri e occhi verdi. Corre dietro alla palla con un’espressione felice stampata in volto. Distolgo lo sguardo e mi immergo ancora di più nella lettura.
Non passa molto tempo quando mi accorgo che il ragazzo carino e un suo amico mi stanno fissando. Appena alzo lo sguardo loro si voltano dalla parte opposta e continuano a parlare come se nulla fosse, ma nel momento in cui io chino di nuovo la testa sento i loro occhi che tornano a squadrarmi. Devo ammettere che anche l’amico non è male: fisico asciutto, anche lui alto, moro e occhi castani.
In quel momento la ragazza si alza e si avvicina a quest’ultimo mormorandogli qualcosa. Lui non le da retta, troppo impegnato a seguire l’amico con lo sguardo che, mi accorgo solo ora, sta venendo verso di me. Mi rituffo nel mio libro, ma senza successo perché un istante dopo me lo ritrovo seduto accanto.
- Ciao! Sei nuova? Non ti ho mai visto da queste parti. – Comincia leggermente in imbarazzo.
- Io… sì, mi sono appena trasferita. – Perché ormai mi sono trasferita, no?
- Non sei italiana, vero? – mi sorride - Si sente che hai l’accento straniero. Di dove sei? –
- Londra. –
- Wow! È una città magnifica! Vorrei davvero andarci. Oh, scusa non mi sono presentato. Io sono Simone. –
- Piacere, Sophie. –
- Per essere inglese però lo parli abbastanza bene l’Italiano. – Altro sorriso.
- Grazie. – Mormoro sottovoce. Mi sento le guance completamente in fiamme. – Ho imparato da mio nonno. –
- Vieni ti faccio conoscere i miei amici. –
Non ho nemmeno il tempo di ribattere che mi ha già preso la mano e mi sta letteralmente trascinando verso il gruppo di ragazzi.
Mi presenta e tutti mi salutano gentilmente, o meglio quasi tutti. La ragazza dai vestiti costosi mi fissa, ha uno sguardo strano, che può sembrare quasi d’odio. Cosa possibile se solo mi conoscesse almeno un po’. L’amico di Simone, invece non ha ancora smesso di guardarmi.
- Io devo andare. – È stata sempre lei a parlare, con un tono di voce alquanto seccato.
- Ti accompagno io, Marti. – Questa, invece, è la voce di Simone.
Salutano tutti e si voltano per tornare a casa. Faccio lo stesso anche io. Sono stata in giro abbastanza e comincia a farsi buio. Devo tornare dalla signora Costantini e sapere cosa ne sarà di me.
Durante il tragitto ripenso a tutto quello che è successo questo pomeriggio, dall’arrivo a Venezia all’incontro con Simone e quella ragazza, Martina.
Quando arrivo a casa della signora gli assistenti mi comunicano che quest’ultima non può (o non vuole?) assolutamente prendermi in affidamento, ma che hanno trovato una casa-famiglia dove posso stare finché non divento maggiorenne o qualcuno non decide di adottarmi.
 
*****
 
L’edificio che occupa la casa famiglia si trova dall’altra parte della città. È una grande villa con un parco visibile dall’esterno. Noto molti ragazzi e ragazze che passeggiano, lasciando le impronte nella neve fresca. A vedere loro non sembra un brutto posto.
Entro accompagnata dai due uomini che mi conducono subito nell’ufficio della direttrice. È una donna sulla quarantina, elegante e molto raffinata. Indossa un tailleur beige che mette in risalto la sua figura alta e slanciata e ha dei lunghi capelli castani che contrastano col verde dei suoi occhi. Ha tratti molto simili alla ragazza del parco.
- Buongiorno signora Versace. Sono il signor Bardi e questo è il mio collega, Mr. Jones. L’abbiamo contattata poco fa per discutere del caso di questa ragazza, Miss Sophie Adams. –
- Oh, sì, buongiorno! Accomodatevi pure! – Risponde la donna in modo cordiale. – Dunque, piacere Sophie, io sono Francesca Versace, la direttrice di questa casa-famiglia. –
- Piacere di conoscerla – Ribatto secca e lei mi sorride.
- Il signor Bardi e Mr. Jones mi hanno spiegato la tua situazione e sono davvero dispiaciuta per te. Mi piacerebbe moltissimo aiutarti provando a farti ricominciare da qui, ospitandoti in questa struttura. Sono sicura che ti troverai molto bene. –
- Quindi è deciso? Rimarrò qui? Non tornerò a Londra? – La donna mi guarda senza dire una parola.
- Sophie, - comincia Mr. Jones – anche se tua zia non può ospitarti, devi comunque poter fare affidamento su qualcuno, possibilmente un parente, e lei è l’unica che può svolgere questo compito. Quindi finché non compi diciotto anni devi rimanere qui, a meno che non ti adottino prima.
Se questo significa rimanere qui solo due anni e mezzo posso anche accettarlo. Alla fine non sembra male come posto e Francesca sembra una donna disponibile, ma appena compirò diciotto anni me ne vado e torno a Londra dai miei amici e riprendo la mia vita.


*Angolo autrice*
Scusate scusate scusateee!! Per questo capitolo vi ho fatto aspettare non so quanti mesi. Non so nemmeno se meriti qualcuno che lo legga :(
Vi giuro che avrei voluto pubblicarlo più di un mese fa, anzi è un bel po’ che è finito, ma mi mancava proprio il tempo di scriverlo al computer.
No so se qualcuno abbia pensato che fossi sparita dalla circolazione, comunque nel caso vi dico che non è così. Non sono sparita e non lo farò, almeno spero. La storia continuerà, anche se dovessi metterci anni per finirla. L’ho iniziata e la finirò, ve lo prometto.
Non vi posso però garantire aggiornamenti regolari, mi dispiace ma ho un’altra long sul mio profilo che è nelle stesse condizioni di questa e fra una e l’altra gli aggiornamenti saranno a distanza di molto tempo, mi dispiace molto.
Passiamo al capitolo. Vi posso dire che questo è un po’ il capitolo svolta: Sophie si trasferisce in Italia e conosce quelli che saranno i personaggi principali di questa fanfiction, che non vi dico chi sono :P
Qui abbiamo conosciuto i suoi amici e la storia della loro amicizia, soprattutto quella con Cleo.
Abbiamo capito un po’ cos’è successo la sera in cui tutto è iniziato e aggiungo che potrei scrivere un piccolo Missing moment sulla sera dell’incidente, ma questa è solo un’idea, devo trovare più che altro il tempo di farlo…
Non so che altro dire sul capitolo quindi aspetto vostri pareri, sapete che mi fa sempre piacere ricevere anche solo un piccolo commento!
Se volete sapere qualcosa in più o per qualsiasi cosa potete aggiungermi su facebook, mi chiamo Sylvia Efp o potete anche contattarmi sul mio profilo di EFP _sylvia_
Per chi seguisse anche il pov di Martina non dirvi niente riguardo al prossimo capitolo, mi spiace.

Baci e al prossimo capitolo (che potrebbe essere fra mille anni :D)
Silvia


Edit 7/09/15: Dato che ormai questa storia sembra abbandonata (la collaborazione da cui era nata non è andata a buon fine), sia da me che dall'autrice che scriveva il pov di Martina, ho deciso di cancellare OPS - pov Sophie da questo account per ripubblicare SOLO il primo capitolo come OS sul mio account EFP (il cui link è nelle note qui sopra). Se mi tornerà la voglia di continuare questa storia la pubblicherò, ovviamente sul mio account, come seguito della OS ripartendo da questo capitolo.  
  
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