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Autore: Scath Panther    09/12/2013    3 recensioni
....La liberazione di Derek era stata complicata, ma alla fine era andato tutto bene, certo la morte per mano sua della S.I era stata una nota negativa, ma il loro collega, amico e confidente Derek Morgan era uscito quasi illeso da quel incubo...
Il continuo di My Obsession, ma tranquilli se non vi va di leggere il racconto precedente non cambia nulla, la storia è completamente autonoma, ci sono solo pochi riferimenti a quella passa.
Questa volta i nostri amati Derek e Reid saranno alle prese con un caso complicato, si beh come sempre, ma con due aspetti forse mai trattati prima l'omicida è sotto gli occhi da tutti eppure Reid ha dei dubbi. Ma non è tutto Derek sarà vittima di fantasmi inconsci difficili d'affrontare, ce la farà da solo o qualcuno lo dovrà aiutare?
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Derek Morgan, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: Lemon, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le menti degli assassini, due profiler'
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l'operazione Ecco a voi il 12° capitolo, manco da un po' per molti motivi. Spero che chi ha cominciato a seguire la storia non stia rimanendo deluso o annoiato! Buona lettura! ^_-

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12° capitolo

 

(nella notte)

Alan Sorriette camminava a passo cadenzato lungo la stradina poco illuminata di un quartiere malfamato, l’odore nauseabondo che saliva dalle fogne era il segnale che la civiltà si era fermata ad almeno un paio di isolati di distanza. Era insieme a uno degli agenti incaricati dell’addestramento delle reclute, non ricordava il suo nome, ma gli era stato insegnato che in quel lavoro non importava, doveva avere fiducia del suo partner in quanto poliziotto e non persona “amica”.

Quando aveva incontrato il dottor Reid all’ospedale per chiedergli qualche aiuto extra si era sentito in colpa nei confronti degli ragazzi, ma la sua preparazione atletica mancava assolutamente di spessore, doveva puntare sulle capacità intellettuale e l’aiuto di una persone come il dottore lo avrebbero portato ad un altro livello. L’agente speciale però era sembrato tirarsi indietro, forse aveva frainteso i suoi comportamenti? O probabilmente li aveva capiti perfettamente. Che la sua attenzione nei suoi confronti avesse sconfinato con l’ammirazione  e persino con l’innamoramento era abbastanza chiaro però non gli sembrava una cosa così terribile, avevano pochi anni di differenza, il dottor Reid non era un suo diretto superiore e nel loro ambiente al contrario di altri mondi in divisa, l’omosessualità era vagamente tollerata purché non si manifestasse palesemente. Si ripromise di chiamarlo il giorno dopo e chiedergli apertamente un incontro per chiarire o almeno per farsi dare quell’aiuto di cui aveva davvero bisogno, cercava di convincersi che il problema era tutto lì e non provasse una fitta di fastidio nel sapere di non poter avere neanche una possibilità con lui.
E se in tutta quella storia c’entrava Derek Morgan? Forse aveva paura che vedesse quell’aiuto come favoritismo e non obbiettività del collega? O ancora peggio aveva problemi con il fatto che il dottore fosse palesemente gay e potesse avere delle storie con persone del suo stesso sesso!
Beh in qualsiasi modo c’entrasse quell’uomo a lui non importava, si era rivolto al dottore per un motivo e il resto era solo un contorno. Derek Morgan non c’entrava nulla con la vita del dottore, no? Era distratto, non tanto da non sapere cosa stesse succedendo, ma abbastanza da prendersi un bel calcio alla caviglia da uno dei ragazzi che si nascondeva dietro la sua schiena (una finta vittima) che stava portando in salvo.
Nel momento in cui si riprese capì che se voleva davvero diventare un agente doveva riuscire a svuotare la mente anche in situazioni di ansia simili, riprese a procedere verso la zona sicura.
Mentre effettuavano le pattuglie facevano delle simulazioni a sorpresa per testare la reattività dei soggetti e la loro capacità di valutare le situazioni di pericolo. Quando arrivarono alla zona sicura Alan aprì un braccio per tenere dietro di se la persona protetta e si guardò ansiosamente intorno, zona sicura era sinonimo di rinforzi, ma non ce n’erano. Valutò la situazione e decise che quello era un ulteriore test, prese per il polso il ragazzo e lo lanciò dietro l’auto posteggiata a un paio di metri da loro proprie mentre una scarica di finti proiettili lo colpirono alle gambe.
Cadde a terra ringhiando, aveva fatto bene i conti, ma troppo lentamente! Colpito, uno a zero per i suoi esaminatori, non solo aveva poca capacità atletica. ma ora era sorta una nuova questione: pensare al dottore lo distraeva rendendolo una cattiva recluta!

 

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 26 gennaio

Mentre veniva preparato il signor McFarlan, infermiere e medici e persino poliziotti, posizionati fuori e dentro la stanza per sorvegliarlo, si stupirono della calma e compostezza dell’uomo. C’era qualcosa di inquietante nel modo in cui stava seduto, come guardava appena fuori la finestra e come sentiva il freddo soffiare attraverso gli spifferi degli infissi. Era quasi diabolico lo sguardo vuoto o forse l’influenza dei giornali che continuavano a metter becco su quel caso avevano generato una psicosi collettiva. Quell’uomo era soltanto un folle, ne più ne meno di migliaia d’altri già ricoverati e messi dietro le sbarre.
In quel caso però spervano tutti che "estirpando" ciò che in lui era oscuro e pericoloso, la vita di quell'uomo sarebbe potuta cambiare in meglio!  Tutti lì dentro erano convinti che l'operazione avrebbe salvato la vita di quell'uomo, erano fautori di un nuovo futuro per un essere senza colpe!
Le infermiere sorridevano provando compassione, i medici lanciavano sguardi pietosi e i poliziotti osservavano le mosse dell’uomo con sospetto ma spinti quasi da misericordia, come se la loro presenza lì dentro fosse superflua perché oltre al suicido si chiedevano come l’essere che dominava “l’altro” potesse uccidere la parte innocente.
La sala operatoria, tra le più avanzate del Mondo Occidentale per quel genere di operazioni, era stata accuratamente preparata per l’intervento; alle 8:00 la vita di un uomo sarebbe stata sconvolta per sempre. Mentre la barella percorreva il reparto, le ruote cigolavano e le manette che ancora lo tenevano legato alle sbarre di ferro tintinnavano, i pochi presenti nel corridoio che non avrebbero potuto assistere a quella grandiosa operazione, per la storia della chirurgia e della medicina in generale, rimanevano ad osservare attratti da quel male così inafferrabile all’occhio umano, eppure così reale e spietato. Le povere ragazze uccise dalle sue mani erano solo una delle prove... Le porte a vento, primo ostacolo verso la sala operatoria vera e proprio vennero socchiuse da due infermiere dal fuori, poi la barella venne spinta e facendo pressione sui battenti si aprì la strada. Si rischiusero dietro di essa in pochi secondi lasciandosi alle spalle coloro che avrebbero potuto sbirciare le manovre mediche solo dall’aula d’osservazione posta a un piano rialzato rispetto alla sala operatoria.
L’equipe era diretta da un chirurgo, pluripremiato e stimato nel suo ambiente, uno di quei neurochirurghi tanto sfacciati che si credevano invincibili da voler operare la parte più delicata del corpo umano in completa solitudine, con pochi assistenti, ma nessuno che potesse prendere il proprio posto anche ore e ore di lavoro su uno stesso paziente. Il suo massimo, l’operazione durata di più era stata di 19 ore con una pausa di quasi 15 minuti, non era un record mondiale, ma era sintomatico di quanto fosse deciso a farsi valere a mostrare ciò che era. Una specie di dio insomma.
Infilati i guanti e le mascherine, tecnici, infermieri, chirurghi, anestesisti e assistenti si disposero ordinatamente, come se fossero un’orchestra. Tutti avevano un posto preciso da rispettare con il massimo rigore. Di solito ad interventi simili, tanto difficili e complicati, presenziavano anche i famigliari del paziente, ma i pochi rimasti all’uomo accusato di pluriomicidio non avevano voluto sentir ragioni, malato o no quell’uomo aveva tradito tutti loro e non avrebbero riservato alcuna cura o preoccupazione per lui.
I macchinari, gli strumenti, tutto l’occorrente era pronto. Il paziente rasato lungo tutta la zona da incidere, il resto del volto coperto con un telo e le lampade ad illuminare la parte.
Il bisturi si avvicinò al cuoio capelluto, l’anestetista osservava il respiro e al tempo stesso il macchinario, nulla poteva andar storto, lasciarlo morire significava dar un sonno ristoratore a quel mostro che invece si meritava la morte e dall’altra parte la sopravvivenza di una brava persona. Attimo dopo attimo la lama affilata seguì una linea tracciata con un pennarello, alla giusta profondità e misura, poi fu la volta del trapano e il resto degli strumenti chirurgici la cui sola vista avrebbe creato angoscia a chiunque, ma che in quella stanza simboleggiavano il potere assoluto.
Il battito regolare, la perdita di sangue continua, ma debole, i segni vitali mantenuti entro un certo range e massima attenzione a qualsiasi possibile segno di risveglio, oltre al chirurgo lì dentro c’erano decine di persone a sudare in attesa di finir quella delicatissima impresa. Uno degli assistenti tamponò un sottile rivolo di sangue dalla ferita e sbirciò al suo interno, ma il chirurgo capo lo fulminò distogliendo un momento lo sguardo dal suo "capolavoro". E di nuovo gli occhi s’incollarono alle sue azioni, piccoli movimenti, lasciare da parte la materia grigia del paziente e concentrarsi su quella estranea. Piccoli tagli, aspiratore, tampone alla fronte dell’uomo, altri tagli, pinze per spostare e veder meglio, terminazioni nervose, vasi sanguigni, nulla poteva esser sottovalutato ed ogni minimo dettaglio andava esaminato durante il corso dell’operazione stessa.
Esattamente 9 ore più tardi, 2 litri e mezzo di sangue in meno e 19 punti applicati alla cute dell’uomo, le porte della sala operatoria si aprirono per portare quello che ormai tutti credevano un uomo nuovo e giusto, nella sala post-operatoria per la degenza di 48 ore. L’osservazione in quelle ore era fondamentale per escludere edemi, danni celebrali e soprattutto la presenza di possibili altre masse.
Pesato quel “pezzo di cervello in più” i medici avevano scoperto che era grande e pesante quanto quasi metà di un emisfero e che il suo interno era più complesso di quanto immaginassero. Venne portato nella sala autopsie per poterlo studiare, trattati di chirurgia, medicina e psicologia/psichiatria avrebbero preso spunto da quel caso da quel pezzo di cervello in più!

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Hotch, cosa? D’accordo. No, non stavo dormendo sono le... le 16, perché mai dovevo dormire? Oh sì, scusa. Non volevo urlare, è che è stata una giornata dura. Sì, l’allenamento delle reclute è stato stressante. Ehm Reid? Non so nulla, perché lo chiedi a me, cosa dovrei… scusa, chiedevi così tanto per. Aspetta, perché sei preoccupato? D’accordo proverò a chiamarlo anche io. Si, Garcia dice che è a casa sua? Ok, allora potrei fare un salto. Stavo giusto uscendo

Morgan con il solo pantalone della tuta addosso passò davanti allo specchio della propria camera, dove dei manubri e una corda erano stati abbandonati per poter rispondere al telefonino del lavoro. Il suo capo, Hotch aveva chiamato già 3 volte quel giorno, ma assurdamente l’uomo di colore non aveva compreso che lo stava facendo solo perché era preoccupato, perché aveva iniziato capire qualcosa.
L’agente speciale si osservò allo specchio facendo la solita faccia seria e composta, quella da bravo agente che sa fare il proprio lavoro, ma subito i lineamenti del suo volto si deformarono in un sorriso spento. Reid, quel nome, quel volto, quella persona, che brutto effetto che gli facevano!

- L’operazione non è ancora finita, ma presto porteranno quella parte asportata ad analizzare, Reid voleva essere presente all’autopsia, ma non risponde da stamane. Non mi sono sentito di mandare una pattuglia perché Garcia dice che ha lavorato con l’account di servizio tutto il giorno e ha spedito diversi documenti, insomma so che è vivo e vegeto ma – l’uomo di colore comprese perché la voce del loro capo sembrasse così cupa, in un momento vide l’uomo davanti a se e il suo voltò gli disse tutto

Non credo c’entri la droga, non credo neanche che stia male. Forse è solo… giù, questo caso è tra i più complessi mai affrontati. E lo sta facendo da solo, senza noi. Forse, Hotch, è solo un crollo momentaneo, di quelli che io e te abbiamo avuto tante volte durante i casi difficili, ma eravamo in gruppo. Ci coprivamo a vicenda.. ma lui ora è solo .

Le proprie parole crearono una specie di frattura emotiva al suo interno, qualcosa che lo lasciò senza fiato, mentre il suo capo cambiando tono gli rivolse l’ultima frase. 

- Va a vedere come sta e riferisci – ordinò concisamente.

Morgan annuì a se stesso e non fece in tempo a rispondere a voce all’altro perché la conversazione venne interrotta. Alzò le spalle osservando il petto nudo. Perché era ancora così? Doveva esser vestito da almeno 3 minuti! Non c’era tempo da perdere, Reid stava male e lui probabilmente ne era la causa. Il problema rimaneva: era successa la stessa cosa del giorno prima, solo al contrario. Era Reid quello che aveva messo una specie di barriera, non poteva sparire in quel modo solo per qualche preoccupazione. Aveva il sospetto che ci fosse un “piano” dietro, che fosse un modo per dimenticarlo. Morgan era stato indeciso, quasi impaurito di fare l’ultimo passo fra loro, ovvero lasciar da parte la parola amicizia e immischiarsi in qualcosa di molto più grande. E proprio ora che aveva preso il coraggio ecco il ragazzo fuggire! No, non poteva permetterlo.

Ma è mai possibile? Se dico che sto bene la gente crede che io menta, se dico che sto male sembro soltanto patetico, se dico a qualcuno che voglio una risposta finisco per sembrare la contro figura di una persona autoritaria! Che diavolo!

Il borbottio continuo, simile a una teiera sul fuoco basso, giungeva fino alla porta d’ingresso quasi indistintamente. Il ragazzino camminava avanti e indietro da circa quindici minuti con il muso sporco di bianco, le mani altrettanto macchiate con tracce di polvere bianca sulle punte e uno sbuffo marrone sulla guancia. Si era dato alla pazza gioia! Con della musica classica in sottofondo, forse era Mozart magari Vivaldi o anche Bach per quanto ne poteva sapere l’uomo di colore, e la voce sgraziata del ragazzo che squittiva di tanto in tanto sovrastando la musica, a Morgan  sembrava una specie di sogno a occhi aperti più che una resa dei conti.
Morgan bussò un paio di volte, sperando per un attimo che l’altro non riuscendo a sentire non venisse ad aprire la porta. Un intero minuto nel limbo dell’incertezza e poi la porta venne socchiusa e un ciuffo famigliare spuntò dietro di essa. Gli occhi che si puntarono dritti nei suoi furono attraversati da un lampo di sorpresa e poi di paura, infine sparendo alla sua vista, perché il volto fu abbassato privandolo di quel bel contatto occhi negli occhi, si perse il lampo di tristezza. Non disse nulla il dottore, lasciò la porta aperta e tornò a passeggiare fra il salotto e la cucina, un bicchiere con macchie bianche era abbandonato al centro del tavolo; briciole, un coltello sporco di crema marrone e impronte digitali su polvere bianca.  Morgan notò questi particolari alla prima occhiata di ricognizione.
Alla seconda riconobbe gli abiti che aveva visto addosso al ragazzo il giorno prima e che erano ancora su quel corpo tanto famigliare, ora in preda a scatti nervosi, ed erano sgualciti e sporchi qui e lì. Come ultima cosa costatò l’aria viziata e la poca luce nei locali. Quel ragazzino si stava comportando proprio da ragazzino! A grandi passi lo raggiunse piazzandoglisi di fronte, prendendolo di sorpresa.
I loro occhi si scontrarono, duramente, e l’uomo di colore non poté far altro che provare disagio perché tutta quella situazione era dovuta ad un solo gesto, un piccolissimo errore ed aveva compromesso per sempre il loro rapporto.

Io, devo scusarmi eh

No, tu non devi. In ogni caso è bello che tu lo stia facendo. Forse ora possiamo tornare ad essere amici e…

Morgan sbuffò scuotendo il capo, un altro passo ed invase lo spazio vitale dell’altro, continuò a guardarlo affinché non gli scappasse ed aveva davvero paura che Reid potesse fuggire.
D’accordo. Forse… allora possiamo mettere una pietra sopra a tutto questo e ricominciare, dimenticando tutto e…

Provò a parlare, cercava le parole di senso compiuto, il modo giusto per metterle in sequenza eppure non riusciva, non ne era capace. Dire a Morgan che gli andava bene ritenersi, come prima, soltanto un amico e nulla di più, gli faceva un male indescrivibile.

Veramente, non sono qui per questo

Tagliò corto lui, sentendosi ferito dalle parole del ragazzino, altro che chiudere e mettere una pietra sopra, da quando era in quell’appartamento sentiva di dover fare solo una cosa: baciarlo! Però era lì per lavoro, per il lavoro di Reid, per un caso che poteva cambiargli la carriera, aprirgli porte che fino a quel momento aveva creduto impossibili da anche solo accostare, a cui non avrebbe potuto aspirare. Un posto come consulente di Stato per esempio, o diventare un membro di quell’élite di scienziati che avevano accesso a ogni dipartimento degli Stati Uniti d’America.
Insomma, perché il ragazzino era lì dentro con musica classica e dolci spalmati in faccia? Che cosa stava facendo? Cercava per caso di gettare all’aria una grandiosa possibilità di evolversi e diventare ciò che forse non aveva mai pensato di poter essere, ma che meritava.  Morgan contrasse le mani chiudendole a pugni mentre il volto s’induriva mostrando un chiaro atteggiamento aggressivo. Un bravo profiler avrebbe definito quell’atteggiamento una repressione di rabbia, un bravo amico avrebbe subito capito che Morgan stava cercando di trattenersi perché il motivo per cui era in quella casa non rispecchiava ciò che provava, ma lo faceva pur sempre per il ragazzino. Tutto per quel genietto.

Quando hai finito di stare qui, in un angolo in posizione fetale e vuoi prender parte alla storia, andando ad assistere all’autopsia di quel “pezzo di cervello” sarà troppo tardi! Sai perché? Perché il mondo non aspetta te, non seguirà i tuoi capricci. Non ci sarà un altro caso simile. Non avrai un’altra possibilità così. Reid datti una svegliata, perché non puoi permettere che uno stupido incidente ti faccia precipitare in un vortice di… Reid?

Chiese, immobilizzandosi in mezzo alla stanza, diventando in un attimo un pezzo di marmo; gli era sembrato di udire un singhiozzo. Gli era in un certo sembrato di aver avuto una specie di allucinazione uditiva. Aveva continuato a parlare, ma quel singhiozzo gli era parso sempre più reale.
E poi quel corpo aveva preso a vibrare, scosso da piccoli movimenti, come se fossero i singhiozzi a provocarli.
Infine un piccolo lamento, tanto lieve da esser scambiato per il soffio del vento. Morgan aveva vissuto tanto a contatto con quel ragazzo da poterne riconoscere anche i suoni più trascurabili. Il più giovane, camminava a piccoli passi, si stava allontanando da lui. Stava soffrendo e gli scappava dalle dita, anche se per la verità non c’era ancora contatto tra loro.

Sì, hai ragione. Uno “stupido incidente” non può farmi precipitare in un vortice di… di qualsiasi cosa possa definire lo stato in cui sono piombato in questi giorni. Ora mi sistemo e vado, sì… io vado

In meno di un secondo aveva visto il proprio dottore passare da semplice ragazzo con qualche problema che gli affliggeva il cuore a ragazzino di 13 anni che tratteneva i singhiozzi, stringeva i pugni e controllava a mala pena le lacrime, ma soprattutto un ragazzino che lo guardava con occhi feriti e tristi. Provò l’istinto di avvicinarlo, abbracciarlo, dirgli che sarebbe andato tutto bene tra loro. Che lo amava, sì avrebbe voluto dire quelle parole, ma era sbagliato farlo per sentirsi meglio e dar voce alla propria anima senza pensare alla reazione del ragazzino.
Voleva assicurargli che la loro vita sarebbe stata stupenda da quel momento in poi perché si erano trovati, ma si ricordò improvvisamente che loro non erano tipi da parole, non troppe, non su quel tipo di argomento. Sorrise schiaffeggiando senza timore la mente dell’altro che stupito da quel sorriso spalancò la bocca e gli occhi rossi e umidi.

Così ti voglio ragazzino

Mormorò sentendosi orgoglioso, stava reagendo finalmente. Gli si fece vicino, senza badare ai brividi che percorrevano il suo corpo che continuava ad indietreggiare. Lo raggiunse e lo avvolse in un abbraccio stretto e virile. 


Va lì fuori e conquista il mondo Spencer, per noi c’è tempo. Chiaro?

Mormorò conto il suo orecchio mentre le mani si posavano sulla sua schiena e il ragazzo più giovane rabbrividiva, senza lasciarsi prendere dalle lacrime e dal nervoso. Annuì, senza parlare, ingoiò parecchi boli d’aria e ricambiò l’abbraccio poggiando le mani sulle braccia dell’altro.

Mi… aspetti?

Chiese sforzandosi di sembrare più tranquillo, non di nuovo un 13enne, ma un quasi trentenne con una mente brillante e un certo equilibrio emotivo.

Spencer ti porto in ospedale e ti vengo a riprendere. Non ti lasciò… da solo

Perché dire quella frase era stato così semplice? L’aveva pronunciata con tutto l’affetto che provava, gli era sembrata quasi una dichiarazione d’amore e forse a modo loro lo era. Deglutì pensando che forse dovevano imparare ad essere più “chiacchieroni” in tema sentimenti, ma ci sarebbe stato tempo per tutto quello. Ora c’era il lavoro. Sciolse l’abbraccio, fece un passo indietro e riprese l’espressione seria e professionale da bravo agente, Reid finalmente lo imitò passandosi prima le dita sul volto, combinando però un pasticcio con tutto quello sporco di cibo. L’uomo di colore scosse il capo e lo prese per le spalle emettendo una lieve risatina.

Avanti ti do massimo 15 minuti per prepararti, dopo di che ti carico in auto in qualsiasi stato tu sia!

Lo minacciò facendogli subito dopo l’occhiolino. Reid annuì, non cogliendo la minaccia come qualcosa di negativo e ricambiò l’espressione con un buffo sorriso. Quando si staccarono erano di nuovo Morgan e Reid, l’agente speciale sempre pronto all’azione e il genietto. Il ragazzo finì di prepararsi, dandosi una bella sistemata in 10 minuti, aveva preparato giorni prima un paio di completi camicia, pantaloni classici che avrebbe usato durante le udienze, quindi ne approfittò per non dover cercare nell’armadio e ne indossò uno. Il volto pulito, i capelli in ordine, nessuna piega e imperfezione della sua immagine da bravo ragazzo. Tornò all’entrata del proprio appartamento trovando tutte le camere di nuovo in ordine, Morgan aveva ripulito il casino in cui erano piombati gli ambienti in quella giornata per causa del suo nervoso, le finestre erano spalancate e luce e aria inondavano ogni angolo, rendendo la casa di nuovo vivibile.
Senza parlarsi, dopo un lungo sorriso e sguardo d’intesa uscirono. Quel giorno avrebbe fatto d’autista al genietto e non gli dispiaceva affatto. Adorava poterlo osservare al lavoro, ma ancor di più amava guardare il suo volto mentre si perdeva in strane elucubrazioni mentale di cui non riusciva mettere al corrente nessuno, troppo complesse e bizzarre per essere comprese dalla mente umana. Guidò con un po’ di fretta, verso l’ospedale in cui “il pezzo di cervello in più” stava per essere dissezionato. L’equipe incaricata era ancora in attesa del via libera del giudice, quindi non si stava ancora perdendo nulla e tutto ciò solo grazie a Hotch che anche a distanza si prendeva cura di tutti loro!

Potresti passare a vederlo più tardi, no? Immagino si dovrebbe svegliare prima della nottata, magari puoi anche solo parlare con i medici

Il dottore annuì continuando subito dopo a rincorrere i propri pensieri, il caso, Morgan, l’omicidio del S.I che aveva sequestrato Morgan, la famiglia di Morgan, quegli occhi che cambiavano colore inquietando la sua povera mente che cercava ancora di analizzare il problema chimere. Troppi pensieri e troppo poco tempo per analizzarli, forse se avesse smesso di farsi distrarre da…

Non voglio che tu stia male per me, chiaro ragazzino? La prossima volta che succede esigo che tu torni subito da me. Nulla potrà rovinare il nostro rapporto, se non la lontananza…

Quel giorno Morgan parlava davvero molto, di solito era il contrario, ma quel giorno, in quel momento delicato, stava tirando fuori pensieri e sentimenti, sempre alla sua maniera però. E Reid? Il dottore gli era infinitamente grato, aveva bisogno che qualcuno lo ancorasse al suolo, alla realtà, alle cose vere e concrete e il loro rapporto lo era. Si volse scontrandosi con gli occhi profondi dell’uomo seduto al posto di guida.

E sia…

Non aveva altro d’aggiungere perché i loro sguardi raccontavano tutto il resto e anche un paio di gesti, come la mano del ragazzino bianco che si allungava fino a raggiungere quella abbandonata sulla leva del cambio o il lieve fremito dell’uomo più grande quando le loro dita si erano sfiorate.

 

- Ore 18.35. Inizio dissezione della massa estranea asportata dal paziente xxx alle ore 15:40 dal dottor xxx. L’operazione viene effettuata dai dottori incaricati dalla difesa del paziente e da quelli assunti dall’accusa, con la supervisione di una super partes più il dottor Spenser Reid –
Sei uomini più il dottore della squadra di profiler erano riuniti intorno all’ammasso rossastro posto su un tavolo di metallo.
La temperatura nella stanza era bassissima, in modo da preservare i reperti; tutti i presenti sapevano che vi erano istallati filtri per evitare la contaminazione, la cura con cui erano tutti vestiti era la dimostrazione che quel “pezzo di cervello” non era solo una prova, ma rappresentava qualcosa che andava ben oltre. Erano stati fatti tutti gli esami preliminari, risonanze, tac, fotografie, pesatura, descrizione dettagliata di forma, colore e dimensioni nel tempo trascorso dall’asportazione, e la presa della temperatura nei differenti momenti, per capire come e quanto si raffreddava.
Ora rimaneva il “taglio”. Avevano deciso di comune accordo di praticare un incisione centrale, poi avrebbero proceduto con l’estenuante sezionatura in millesimi di millimetro di tutta la massa, in modo da creare milioni di sottili veli che avrebbero analizzato con le apparecchiature elettroniche e software avanzati. Per quel passaggio ci sarebbero voluti giorni e giorni, non che il coinvolgimento di tecnici specializzati. Per ora potevano dare una prima sbirciata e tirare preliminari conclusioni.
Il taglio spettò al medico super partes, che faceva gl’interessi dell’ospedale.
All’interno la massima presentava la colorazione tipica dei cervelli umani, la stratificazione delle cellule era identica a quella di un normale ammasso di materia grigia, era a tutti gli effetti un “piccolo cervello”.

Un’ora più tardi i dottori arrivarono alla conclusione che non era una semplice massa e che la presenza di Dna in tutto il corpo voleva significare una cosa sola, quello era un cervello che aveva influenzato “attivamente” il comportamento dell’individuo a cui apparteneva e che aveva controllato attraverso le terminazioni dell’altro cervello tutte quelle parti che invece corrispondevano al suo stesso Dna. In pratica quel “parassita” usava l’ospite per arrivare alle parti con lo stesso codice genetico sparse per il corpo.

La conclusione era sorprendente e avvalorava definitivamente la tesi di Reid, avevano davvero ucciso “il cattivo” colpevole degli omicidi e avevano salvato al tempo stesso un innocente!
Il dottore della squadra di criminologi non poteva che sentirsi soddisfatto, era arrivato in fondo alla questione mostrando a tutti che aveva ragione su ogni aspetto di quella situazione. Aveva preteso di aver copia di ogni reperto, l’invio del materiale nei laboratori di Quantico sarebbe stato seguito personalmente da due ufficiali di fiducia di Hotch, che anche a distanza ci teneva a rimanere accanto alla propria squadra.

- Quindi possiamo affermare con certezza che… 

- Avvocato Ysmen la prego di non iniziare la sua arringa nel mio ufficio. E’ un orario impossibile questo, siamo tutti stanchi e al limite delle forze umane. Andate TUTTI a dormire, non voglio vedervi prima di domani mattina, chiaro? – intimò il giudice Rockhar a tutti i presenti, notando solo in quel momento che mancava una persona all’appello.

- Assistente procuratore Jewl mi spiega perché non è presente anche il Dottor Reid? – domandò alzandosi dalla sedia confortevole dalla sua postazione e iniziando a sfilarsi la toga con il chiaro intento di chiudere lì la giornata lavorativa.

- Il Dottor Reid sta ancora molestando il mio cliente! Ci crede? Ho chiesto espressamente che fosse tenuto alla larga, ma… 

- Avvocato Ysmen non sta facendo nulla di male, anzi potrebbe far luce una volta su tutte in questa storia! Perché non la smette di attaccare e si da una calmata? – chiese il giudice coprendosi gli occhi con una mano, l’assistente procuratore si permise di ridacchiare per la figuraccia fatta dal collega che in risposta alzò le spalle e tirò fuori l’asso dalla manica.

- D’accordo, per lo meno io so gestire i miei collaboratori signor ASSISTENTE procuratore, i suoi fanno ciò che vogliono! Buona serata a tutti, signor Giudice – detto ciò l’avvocato della difesa volse i tacchi seguito in corteo dagli esperti. L’assistente procuratore, piccato, rimase imbambolato per qualche secondo, quello stupido dottor Reid gli aveva fatto fare tante figuracce in quei giorni, appena sarebbe tutto finito gliel’avrebbe fatta pagare!

   
 
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