l'operazione
Ecco a voi il 12° capitolo, manco da un po' per molti motivi.
Spero che chi ha cominciato a seguire la storia non stia rimanendo
deluso o annoiato! Buona lettura! ^_-
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12°
capitolo
(nella
notte)
Alan
Sorriette camminava a passo cadenzato
lungo la stradina poco illuminata di un quartiere malfamato,
l’odore
nauseabondo che saliva dalle fogne era il segnale che la
civiltà si era fermata
ad almeno un paio di isolati di distanza. Era insieme a uno degli
agenti incaricati
dell’addestramento delle reclute, non ricordava il suo nome,
ma gli era stato
insegnato che in quel lavoro non importava, doveva avere fiducia del
suo
partner in quanto poliziotto e non persona “amica”.
Quando
aveva incontrato il dottor Reid
all’ospedale per chiedergli qualche aiuto extra si era
sentito in colpa nei
confronti degli ragazzi, ma la sua preparazione atletica mancava
assolutamente
di spessore, doveva puntare sulle capacità intellettuale e
l’aiuto di una
persone come il dottore lo avrebbero portato ad un altro livello.
L’agente
speciale però era sembrato tirarsi indietro, forse aveva
frainteso i suoi
comportamenti? O probabilmente li aveva capiti perfettamente. Che la
sua attenzione
nei suoi confronti avesse sconfinato con l’ammirazione e persino con
l’innamoramento era abbastanza
chiaro però non gli sembrava una cosa così
terribile, avevano pochi anni di
differenza, il dottor Reid non era un suo diretto superiore e nel loro
ambiente
al contrario di altri mondi in divisa,
l’omosessualità era vagamente tollerata
purché non si manifestasse palesemente.
Si ripromise di chiamarlo il giorno dopo e
chiedergli apertamente un incontro per chiarire o almeno per farsi dare
quell’aiuto di cui aveva davvero bisogno, cercava di
convincersi che il
problema era tutto lì e non provasse una fitta di fastidio
nel sapere di non
poter avere neanche una possibilità con lui.
E se in tutta quella storia c’entrava Derek
Morgan? Forse aveva paura che vedesse quell’aiuto come
favoritismo e non
obbiettività del collega? O ancora peggio aveva problemi con
il fatto che il
dottore fosse palesemente gay e potesse avere delle storie con persone
del suo
stesso sesso!
Beh in qualsiasi modo c’entrasse quell’uomo
a lui non importava, si era rivolto al dottore per un motivo e il resto
era
solo un contorno. Derek Morgan non
c’entrava nulla con la vita del dottore, no? Era
distratto, non tanto da non sapere cosa
stesse succedendo, ma abbastanza da prendersi un bel calcio alla
caviglia da
uno dei ragazzi che si nascondeva dietro la sua schiena (una finta
vittima) che
stava portando in salvo.
Nel momento in cui si riprese capì che se voleva
davvero diventare un agente doveva riuscire a svuotare la mente anche
in
situazioni di ansia simili, riprese a procedere verso la zona sicura.
Mentre effettuavano le pattuglie facevano
delle simulazioni a sorpresa per testare la reattività dei
soggetti e la loro
capacità di valutare le situazioni di pericolo. Quando
arrivarono alla zona sicura Alan
aprì un braccio per tenere dietro di se la persona protetta
e si guardò
ansiosamente intorno, zona sicura era sinonimo di rinforzi, ma non ce
n’erano.
Valutò la situazione e decise che quello era un ulteriore
test, prese per il
polso il ragazzo e lo lanciò dietro l’auto
posteggiata a un paio di metri da
loro proprie mentre una scarica di finti proiettili lo colpirono alle
gambe.
Cadde a terra ringhiando, aveva fatto bene
i conti, ma troppo lentamente! Colpito, uno a zero per i suoi
esaminatori, non
solo aveva poca capacità atletica. ma ora era sorta una
nuova questione:
pensare al dottore lo distraeva rendendolo una cattiva recluta!
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26
gennaio
Mentre
veniva preparato il signor McFarlan, infermiere e medici e persino
poliziotti, posizionati fuori e dentro la stanza per sorvegliarlo, si
stupirono della calma e compostezza dell’uomo.
C’era qualcosa di inquietante nel modo in cui stava seduto,
come
guardava
appena fuori la finestra e come sentiva il freddo soffiare attraverso
gli
spifferi degli infissi. Era quasi diabolico
lo sguardo vuoto o forse
l’influenza dei giornali che continuavano a metter becco su
quel caso avevano
generato una psicosi collettiva. Quell’uomo era soltanto un
folle, ne più ne
meno di migliaia d’altri già ricoverati e messi
dietro le sbarre.
In
quel caso però spervano tutti che "estirpando"
ciò che in
lui era oscuro e pericoloso, la vita di quell'uomo sarebbe potuta
cambiare in meglio!
Tutti lì dentro erano convinti che l'operazione avrebbe
salvato la vita di quell'uomo,
erano fautori di un nuovo futuro per un essere senza colpe!
Le
infermiere sorridevano provando compassione, i medici lanciavano
sguardi pietosi e i poliziotti osservavano le mosse
dell’uomo con sospetto ma spinti
quasi da misericordia, come se la loro presenza lì dentro
fosse
superflua
perché oltre al suicido si chiedevano come
l’essere che
dominava “l’altro”
potesse uccidere la parte innocente.
La
sala operatoria, tra le più avanzate del Mondo Occidentale
per quel genere di operazioni, era stata accuratamente preparata per
l’intervento; alle 8:00 la vita di un uomo sarebbe stata
sconvolta per sempre. Mentre la barella percorreva il reparto, le ruote
cigolavano e le manette che ancora lo tenevano legato alle sbarre di
ferro tintinnavano, i pochi presenti nel corridoio che non avrebbero
potuto assistere a quella grandiosa operazione, per la storia della
chirurgia e della medicina in generale, rimanevano ad osservare
attratti da quel male così inafferrabile
all’occhio umano, eppure così reale e spietato. Le
povere ragazze uccise dalle sue mani erano solo una delle prove... Le
porte a vento, primo ostacolo verso la sala operatoria vera e proprio
vennero socchiuse da due infermiere dal fuori, poi la barella venne
spinta e facendo pressione sui battenti si aprì la strada.
Si rischiusero dietro di essa in pochi secondi lasciandosi alle spalle
coloro che avrebbero potuto sbirciare le manovre mediche solo
dall’aula d’osservazione posta a un piano rialzato
rispetto alla sala operatoria.
L’equipe
era diretta da un chirurgo, pluripremiato e stimato nel suo ambiente,
uno di
quei neurochirurghi tanto sfacciati che si credevano invincibili da
voler
operare la parte più delicata del corpo umano in completa
solitudine, con pochi
assistenti, ma nessuno che potesse prendere il proprio posto anche ore
e ore di
lavoro su uno stesso paziente. Il suo massimo, l’operazione
durata di più era
stata di 19 ore con una pausa di quasi 15 minuti, non era un record
mondiale,
ma era sintomatico di quanto fosse deciso a farsi valere a mostrare
ciò che
era. Una specie di dio insomma.
Infilati
i guanti e le mascherine, tecnici, infermieri, chirurghi, anestesisti e
assistenti si disposero ordinatamente, come se fossero
un’orchestra. Tutti
avevano un posto preciso da rispettare con il massimo rigore.
Di
solito ad interventi simili, tanto difficili e complicati,
presenziavano anche i
famigliari del paziente, ma i pochi rimasti all’uomo accusato
di pluriomicidio
non avevano voluto sentir ragioni, malato o no quell’uomo
aveva tradito tutti
loro e non avrebbero riservato alcuna cura o preoccupazione per lui.
I
macchinari, gli strumenti, tutto l’occorrente era pronto. Il
paziente rasato
lungo tutta la zona da incidere, il resto del volto coperto con un telo
e le
lampade ad illuminare la parte. Il
bisturi si avvicinò al cuoio capelluto,
l’anestetista osservava il respiro e al
tempo stesso il macchinario, nulla poteva andar storto, lasciarlo
morire
significava dar un sonno ristoratore a quel mostro che invece si
meritava la
morte e dall’altra parte la sopravvivenza di una brava
persona. Attimo
dopo attimo la lama affilata seguì una linea tracciata con
un pennarello, alla
giusta profondità e misura, poi fu la volta del trapano e il
resto degli
strumenti chirurgici la cui sola vista avrebbe creato angoscia a
chiunque, ma
che in quella stanza simboleggiavano il potere assoluto.
Il
battito regolare, la perdita di sangue continua, ma debole, i segni
vitali
mantenuti entro un certo range e massima attenzione a qualsiasi
possibile segno
di risveglio, oltre al chirurgo lì dentro c’erano
decine di persone a sudare in
attesa di finir quella delicatissima impresa. Uno degli assistenti
tamponò un
sottile rivolo di sangue dalla ferita e sbirciò al suo
interno, ma il chirurgo
capo lo fulminò distogliendo un momento lo sguardo dal suo
"capolavoro". E di nuovo gli occhi
s’incollarono alle sue azioni, piccoli movimenti, lasciare da
parte la materia
grigia del paziente e concentrarsi su quella estranea.
Piccoli
tagli, aspiratore, tampone alla fronte dell’uomo, altri
tagli, pinze per
spostare e veder meglio, terminazioni nervose, vasi sanguigni, nulla
poteva esser
sottovalutato ed ogni minimo dettaglio andava esaminato durante il
corso
dell’operazione stessa.
Esattamente
9 ore più tardi, 2 litri e mezzo di sangue in meno e 19
punti applicati alla
cute dell’uomo, le porte della sala operatoria si aprirono
per portare quello
che ormai tutti credevano un uomo nuovo e giusto, nella sala
post-operatoria
per la degenza di 48 ore. L’osservazione in quelle ore era
fondamentale per
escludere edemi, danni celebrali e soprattutto la presenza di possibili
altre
masse.
Pesato
quel “pezzo di cervello in più” i medici
avevano scoperto che era grande e
pesante quanto quasi metà di un emisfero e che il suo
interno era più complesso di
quanto immaginassero. Venne
portato nella sala autopsie per poterlo studiare, trattati di
chirurgia,
medicina e psicologia/psichiatria avrebbero preso spunto da quel caso
da quel
pezzo di cervello in più!
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Hotch,
cosa?
D’accordo. No, non stavo dormendo sono le... le 16,
perché mai dovevo dormire? Oh
sì, scusa. Non
volevo urlare, è che è stata una giornata dura. Sì,
l’allenamento
delle reclute è stato stressante.
Ehm Reid? Non so
nulla, perché lo chiedi a me, cosa dovrei… scusa,
chiedevi così tanto per. Aspetta,
perché sei
preoccupato? D’accordo proverò a chiamarlo anche
io. Si, Garcia dice che è a
casa sua? Ok, allora potrei fare un salto. Stavo giusto uscendo
Morgan
con il solo pantalone della tuta addosso passò davanti allo
specchio della
propria camera, dove dei manubri e una corda erano stati abbandonati
per poter
rispondere al telefonino del lavoro. Il suo capo, Hotch aveva chiamato
già 3
volte quel giorno, ma assurdamente l’uomo di colore non aveva
compreso che lo
stava facendo solo perché era preoccupato, perché
aveva iniziato capire
qualcosa.
L’agente
speciale si osservò allo specchio facendo la solita faccia
seria e composta,
quella da bravo agente che sa fare il proprio lavoro, ma subito i
lineamenti
del suo volto si deformarono in un sorriso spento. Reid,
quel nome, quel volto, quella persona, che brutto effetto che gli
facevano!
-
L’operazione non è ancora finita, ma
presto porteranno quella parte
asportata ad analizzare, Reid voleva essere presente
all’autopsia, ma non
risponde da stamane. Non mi sono sentito di mandare una pattuglia
perché Garcia
dice che ha lavorato con l’account di servizio tutto il
giorno e ha spedito
diversi documenti, insomma so che è vivo e vegeto ma
– l’uomo di colore
comprese perché la voce del loro capo sembrasse
così cupa, in un momento vide
l’uomo davanti a se e il suo voltò gli disse tutto
Non
credo c’entri
la droga, non credo neanche che stia male. Forse è
solo… giù, questo caso è tra
i più complessi mai affrontati. E lo sta facendo da solo,
senza noi. Forse,
Hotch, è solo un crollo momentaneo, di quelli che io e te
abbiamo avuto tante
volte durante i casi difficili, ma
eravamo in gruppo. Ci coprivamo a vicenda.. ma lui ora è
solo .
Le
proprie parole crearono una specie di frattura emotiva al suo interno,
qualcosa che lo
lasciò senza fiato, mentre il suo capo cambiando tono gli
rivolse l’ultima
frase.
-
Va a vedere come sta e riferisci –
ordinò concisamente.
Morgan
annuì a se stesso e non fece in tempo a rispondere a voce
all’altro perché la
conversazione venne interrotta. Alzò le spalle osservando il
petto nudo. Perché
era ancora così? Doveva esser vestito da almeno 3 minuti!
Non c’era tempo da
perdere, Reid stava male e lui probabilmente ne era la causa.
Il
problema rimaneva: era successa la stessa cosa del giorno prima, solo
al
contrario. Era Reid quello che aveva messo una specie di barriera, non
poteva
sparire in quel modo solo per qualche preoccupazione. Aveva il sospetto
che ci
fosse un “piano” dietro, che fosse un modo per
dimenticarlo. Morgan
era stato indeciso, quasi impaurito di fare l’ultimo passo
fra loro, ovvero
lasciar da parte la parola amicizia e
immischiarsi in qualcosa di molto più grande. E proprio ora
che aveva preso il
coraggio ecco il ragazzo fuggire! No, non poteva permetterlo.
Ma
è mai possibile?
Se dico che sto bene la gente crede che io menta, se dico che sto male
sembro
soltanto patetico, se dico a qualcuno che voglio una risposta finisco
per
sembrare la contro figura di una persona autoritaria! Che diavolo!
Il
borbottio continuo, simile a una teiera sul fuoco basso, giungeva fino
alla
porta d’ingresso quasi indistintamente. Il ragazzino
camminava avanti e indietro
da circa quindici minuti con il muso sporco di bianco, le mani
altrettanto macchiate
con tracce di polvere bianca sulle punte e uno sbuffo marrone sulla
guancia. Si
era dato alla pazza gioia! Con
della musica classica in sottofondo, forse era Mozart magari Vivaldi o
anche Bach
per quanto ne poteva sapere l’uomo di colore, e la voce
sgraziata del ragazzo
che squittiva di tanto in tanto sovrastando la musica, a Morgan sembrava una specie di sogno
a occhi aperti
più che una resa dei conti.
Morgan
bussò
un paio di volte, sperando per un attimo che l’altro non
riuscendo a sentire non
venisse ad aprire la porta. Un intero minuto nel limbo
dell’incertezza e poi la porta venne socchiusa e un ciuffo
famigliare spuntò dietro di essa. Gli
occhi che si puntarono dritti nei suoi furono attraversati da un lampo
di
sorpresa e poi di paura, infine sparendo alla sua vista,
perché il volto fu
abbassato privandolo di quel bel contatto occhi negli occhi, si perse
il lampo
di tristezza. Non
disse nulla il dottore, lasciò la porta aperta e
tornò a passeggiare fra il
salotto e la cucina, un bicchiere con macchie bianche era abbandonato
al centro
del tavolo; briciole, un coltello sporco di crema marrone e impronte
digitali
su polvere bianca. Morgan
notò questi particolari alla prima occhiata di ricognizione.
Alla
seconda riconobbe gli abiti che aveva visto addosso al ragazzo il
giorno prima e
che erano ancora su quel corpo tanto famigliare, ora in preda a scatti
nervosi,
ed erano sgualciti e sporchi qui e lì. Come
ultima cosa costatò l’aria viziata e la poca luce
nei locali. Quel ragazzino si
stava comportando proprio da ragazzino! A
grandi passi lo raggiunse piazzandoglisi di fronte, prendendolo di
sorpresa.
I
loro occhi si scontrarono, duramente, e l’uomo di colore non
poté far altro che
provare disagio perché tutta quella situazione era dovuta ad
un solo gesto, un
piccolissimo errore ed aveva compromesso per sempre il loro rapporto.
Io,
devo scusarmi
eh
No,
tu non devi. In
ogni caso è bello che tu lo stia facendo. Forse ora possiamo
tornare ad essere
amici e…
Morgan
sbuffò scuotendo il capo, un altro passo ed invase lo spazio
vitale dell’altro,
continuò a guardarlo affinché non gli scappasse
ed aveva davvero paura che Reid
potesse fuggire.
D’accordo.
Forse…
allora possiamo mettere una pietra sopra a tutto questo e ricominciare,
dimenticando tutto e…
Provò
a parlare, cercava le parole di senso compiuto, il modo giusto per
metterle in
sequenza eppure non riusciva, non ne era capace. Dire a Morgan che gli
andava
bene ritenersi, come prima, soltanto un amico e nulla di
più, gli faceva un
male indescrivibile.
Veramente, non sono qui per questo
Tagliò
corto lui, sentendosi ferito dalle parole del ragazzino, altro che
chiudere e
mettere una pietra sopra, da quando era in quell’appartamento
sentiva di dover
fare solo una cosa: baciarlo! Però
era lì per lavoro, per il lavoro di Reid, per un caso che
poteva cambiargli la
carriera, aprirgli porte che fino a quel momento aveva creduto
impossibili da
anche solo accostare, a cui non avrebbe potuto aspirare. Un posto come
consulente di Stato per esempio, o diventare un membro di
quell’élite di
scienziati che avevano accesso a ogni dipartimento degli Stati Uniti
d’America.
Insomma,
perché il ragazzino era lì dentro con musica
classica e dolci spalmati in faccia?
Che cosa stava facendo? Cercava per caso di gettare all’aria
una grandiosa
possibilità di evolversi e diventare ciò che
forse non aveva mai pensato di
poter essere, ma che meritava. Morgan
contrasse
le mani chiudendole a pugni mentre il volto s’induriva
mostrando un chiaro
atteggiamento aggressivo. Un bravo profiler avrebbe definito
quell’atteggiamento una repressione di rabbia, un bravo amico
avrebbe subito
capito che Morgan stava cercando di trattenersi perché il
motivo per cui era in
quella casa non rispecchiava ciò che provava, ma lo faceva
pur sempre per il ragazzino.
Tutto per quel genietto.
Quando
hai finito
di stare qui, in un angolo in posizione fetale e vuoi prender parte
alla
storia, andando ad assistere all’autopsia di quel
“pezzo di cervello” sarà
troppo tardi! Sai perché? Perché
il mondo non
aspetta te, non seguirà i tuoi capricci. Non ci
sarà un altro caso simile. Non
avrai un’altra possibilità così. Reid
datti una svegliata, perché non puoi
permettere che uno stupido incidente ti faccia precipitare in un
vortice di…
Reid?
Chiese,
immobilizzandosi in mezzo alla stanza, diventando in un attimo un pezzo
di
marmo; gli era sembrato di udire un singhiozzo. Gli era in un certo
sembrato di
aver avuto una specie di allucinazione uditiva. Aveva
continuato a parlare, ma quel singhiozzo gli era parso sempre
più reale.
E
poi quel corpo aveva preso a vibrare, scosso da piccoli movimenti, come
se
fossero i singhiozzi a provocarli.
Infine
un piccolo lamento, tanto lieve da esser scambiato per il soffio del
vento.
Morgan aveva vissuto tanto a contatto con quel ragazzo da poterne
riconoscere
anche i suoni più trascurabili. Il
più giovane, camminava a piccoli passi, si stava
allontanando da lui. Stava
soffrendo e gli scappava dalle dita, anche se per la verità
non c’era ancora
contatto tra loro.
Sì,
hai ragione.
Uno “stupido incidente” non può farmi
precipitare in un vortice di… di
qualsiasi cosa possa definire lo stato in cui sono piombato in questi
giorni.
Ora mi sistemo e vado, sì… io vado
In
meno di un secondo aveva visto il proprio dottore passare da semplice
ragazzo
con qualche problema che gli affliggeva il cuore a ragazzino di 13 anni
che
tratteneva i singhiozzi, stringeva i pugni e controllava a mala pena le
lacrime, ma soprattutto un ragazzino che lo guardava con occhi feriti e
tristi.
Provò
l’istinto di avvicinarlo, abbracciarlo, dirgli che sarebbe
andato tutto bene
tra loro. Che lo amava, sì avrebbe voluto dire quelle
parole, ma era sbagliato
farlo per sentirsi meglio e dar voce alla propria anima senza pensare
alla
reazione del ragazzino.
Voleva
assicurargli che la loro vita sarebbe stata stupenda da quel momento in
poi
perché si erano trovati, ma si ricordò
improvvisamente che loro non erano tipi
da parole, non troppe, non su quel tipo di argomento. Sorrise
schiaffeggiando
senza timore la mente dell’altro che stupito da quel sorriso
spalancò la bocca
e gli occhi rossi e umidi.
Così
ti voglio
ragazzino
Mormorò
sentendosi orgoglioso, stava reagendo finalmente. Gli si fece vicino,
senza
badare ai brividi che percorrevano il suo corpo che continuava ad
indietreggiare. Lo raggiunse e lo avvolse in un abbraccio stretto e
virile.
Va
lì fuori e
conquista il mondo Spencer, per noi c’è tempo.
Chiaro?
Mormorò
conto il suo orecchio mentre le mani si posavano sulla sua schiena e il
ragazzo
più giovane rabbrividiva, senza lasciarsi prendere dalle
lacrime e dal nervoso.
Annuì, senza parlare, ingoiò parecchi boli
d’aria e ricambiò l’abbraccio
poggiando le mani sulle braccia dell’altro.
Mi…
aspetti?
Chiese
sforzandosi di sembrare più tranquillo, non di nuovo un
13enne, ma un quasi
trentenne con una mente brillante e un certo equilibrio emotivo.
Spencer
ti porto in
ospedale e ti vengo a riprendere. Non ti lasciò…
da solo
Perché
dire quella frase era stato così semplice? L’aveva
pronunciata con tutto l’affetto
che provava, gli era sembrata quasi una dichiarazione d’amore
e forse a modo
loro lo era. Deglutì
pensando che forse dovevano imparare ad essere più
“chiacchieroni” in tema
sentimenti, ma ci sarebbe stato tempo per tutto quello. Ora
c’era il lavoro. Sciolse
l’abbraccio, fece un passo indietro e riprese
l’espressione seria e
professionale da bravo agente, Reid finalmente lo imitò
passandosi prima le
dita sul volto, combinando però un pasticcio con tutto
quello sporco di cibo. L’uomo
di colore scosse il capo e lo prese per le spalle emettendo una lieve
risatina.
Avanti ti do massimo 15 minuti per
prepararti, dopo di che ti carico in auto in qualsiasi stato tu sia!
Lo
minacciò facendogli subito dopo l’occhiolino. Reid
annuì, non cogliendo la minaccia
come qualcosa di negativo e ricambiò l’espressione
con un buffo sorriso. Quando
si staccarono erano di nuovo Morgan e Reid, l’agente speciale
sempre pronto
all’azione e il genietto. Il
ragazzo finì di prepararsi, dandosi una bella sistemata in
10 minuti, aveva
preparato giorni prima un paio di completi camicia, pantaloni classici
che
avrebbe usato durante le udienze, quindi ne approfittò per
non dover cercare
nell’armadio e ne indossò uno. Il volto pulito, i
capelli in ordine, nessuna
piega e imperfezione della sua immagine da bravo ragazzo.
Tornò all’entrata del
proprio appartamento trovando tutte le camere di nuovo in ordine,
Morgan aveva
ripulito il casino in cui erano piombati gli ambienti in quella
giornata per
causa del suo nervoso, le finestre erano spalancate e luce e aria
inondavano ogni
angolo, rendendo la casa di nuovo vivibile.
Senza
parlarsi, dopo un lungo sorriso e sguardo d’intesa uscirono.
Quel
giorno avrebbe fatto d’autista al genietto e non gli
dispiaceva affatto.
Adorava poterlo osservare al lavoro, ma ancor di più amava
guardare il suo
volto mentre si perdeva in strane elucubrazioni mentale di cui non
riusciva
mettere al corrente nessuno, troppo complesse e bizzarre per essere
comprese
dalla mente umana. Guidò con un po’ di fretta,
verso l’ospedale in cui “il
pezzo di cervello in più” stava per essere
dissezionato. L’equipe
incaricata era ancora in attesa del via libera del giudice, quindi non
si stava
ancora perdendo nulla e tutto ciò solo grazie a Hotch che
anche a distanza si
prendeva cura di tutti loro!
Potresti
passare a
vederlo più tardi, no? Immagino si dovrebbe svegliare prima
della nottata,
magari puoi anche solo parlare con i medici
Il
dottore annuì continuando subito dopo a rincorrere i propri
pensieri, il caso,
Morgan, l’omicidio del S.I che aveva sequestrato Morgan, la
famiglia di Morgan,
quegli occhi che cambiavano colore inquietando la sua povera mente che
cercava
ancora di analizzare il problema chimere. Troppi
pensieri e troppo poco tempo per analizzarli, forse se avesse smesso di
farsi
distrarre da…
Non
voglio che tu
stia male per me, chiaro ragazzino? La prossima volta che succede esigo
che tu
torni subito da me. Nulla potrà rovinare il nostro rapporto,
se non la
lontananza…
Quel
giorno Morgan parlava davvero molto, di solito era il contrario, ma
quel
giorno, in quel momento delicato, stava tirando fuori pensieri e
sentimenti, sempre
alla sua maniera però.
E
Reid? Il dottore gli era infinitamente grato, aveva bisogno che
qualcuno lo
ancorasse al suolo, alla realtà, alle cose vere e concrete e
il loro rapporto
lo era. Si
volse scontrandosi con gli occhi profondi dell’uomo seduto al
posto di guida.
E
sia…
Non
aveva altro d’aggiungere perché i loro sguardi
raccontavano tutto il resto e
anche un paio di gesti, come la mano del ragazzino bianco che si
allungava fino
a raggiungere quella abbandonata sulla leva del cambio o il lieve
fremito
dell’uomo più grande quando le loro dita si erano
sfiorate.
-
Ore 18.35. Inizio dissezione della
massa estranea asportata dal paziente xxx alle ore 15:40
dal dottor xxx. L’operazione viene effettuata dai dottori
incaricati dalla difesa del paziente e da quelli assunti
dall’accusa, con la
supervisione di una super partes più il dottor Spenser Reid
–
Sei
uomini più il dottore della squadra di profiler erano
riuniti intorno all’ammasso
rossastro posto su un tavolo
di metallo. La
temperatura nella stanza era bassissima, in modo da preservare i
reperti; tutti
i presenti sapevano che vi erano istallati filtri per evitare la
contaminazione,
la cura con cui erano tutti vestiti era la dimostrazione che quel
“pezzo di
cervello” non era solo una prova, ma rappresentava qualcosa
che andava ben
oltre. Erano
stati fatti tutti gli esami preliminari, risonanze, tac, fotografie,
pesatura,
descrizione dettagliata di forma, colore e dimensioni nel tempo
trascorso
dall’asportazione, e la presa della temperatura nei
differenti momenti, per
capire come e quanto si raffreddava.
Ora
rimaneva il “taglio”.
Avevano deciso
di comune accordo di praticare un incisione centrale, poi avrebbero
proceduto
con l’estenuante sezionatura in millesimi di millimetro di
tutta la massa, in
modo da creare milioni di sottili veli che avrebbero analizzato con le
apparecchiature elettroniche e software avanzati. Per quel passaggio ci
sarebbero voluti giorni e giorni, non che il coinvolgimento di tecnici
specializzati. Per ora potevano dare una prima sbirciata e tirare
preliminari
conclusioni. Il
taglio
spettò al medico super partes, che faceva
gl’interessi dell’ospedale.
All’interno
la massima presentava la colorazione tipica dei cervelli umani, la
stratificazione delle cellule era identica a quella di un normale
ammasso di
materia grigia, era a tutti gli effetti un “piccolo
cervello”.
Un’ora
più tardi i dottori arrivarono alla conclusione che non era
una semplice massa
e che la presenza di Dna in tutto il corpo voleva significare una cosa
sola,
quello era un cervello che aveva influenzato
“attivamente” il comportamento
dell’individuo
a cui apparteneva e che aveva controllato attraverso le terminazioni
dell’altro
cervello tutte quelle parti che invece corrispondevano al suo stesso
Dna. In
pratica quel “parassita” usava l’ospite
per arrivare alle parti con lo stesso
codice genetico sparse per il corpo.
La
conclusione era sorprendente e avvalorava definitivamente la tesi di
Reid,
avevano davvero ucciso “il cattivo” colpevole degli
omicidi e avevano salvato
al tempo stesso un innocente!
Il
dottore della squadra di criminologi non poteva che sentirsi
soddisfatto, era
arrivato in fondo alla questione mostrando a tutti che aveva ragione su
ogni
aspetto di quella situazione. Aveva
preteso di aver copia di ogni reperto, l’invio del materiale
nei laboratori di
Quantico sarebbe stato seguito personalmente da due ufficiali di
fiducia di Hotch,
che anche a distanza ci teneva a rimanere accanto alla propria squadra.
-
Quindi possiamo affermare con certezza che… –
-
Avvocato Ysmen la prego di non iniziare la sua arringa nel mio ufficio.
E’ un
orario impossibile questo, siamo tutti stanchi e al limite delle forze
umane.
Andate TUTTI a dormire, non voglio vedervi prima di domani mattina,
chiaro? –
intimò il giudice Rockhar a tutti i presenti, notando solo
in quel momento che
mancava una persona all’appello.
-
Assistente procuratore Jewl mi spiega perché non
è presente anche il Dottor
Reid? – domandò alzandosi dalla sedia confortevole
dalla sua postazione e
iniziando a sfilarsi la toga con il chiaro intento di chiudere
lì la giornata
lavorativa.
-
Il Dottor Reid sta ancora molestando il mio cliente! Ci crede? Ho
chiesto
espressamente che fosse tenuto alla larga, ma… –
-
Avvocato Ysmen non sta facendo nulla di male, anzi potrebbe far luce
una volta
su tutte in questa storia! Perché non la smette di attaccare
e si da una
calmata? – chiese il giudice coprendosi gli occhi con una
mano, l’assistente
procuratore si permise di ridacchiare per la figuraccia fatta dal
collega che
in risposta alzò le spalle e tirò fuori
l’asso dalla manica.
-
D’accordo, per lo meno io so gestire i miei collaboratori
signor ASSISTENTE
procuratore, i suoi fanno ciò che vogliono! Buona serata a
tutti, signor
Giudice – detto ciò l’avvocato della
difesa volse i tacchi seguito in corteo
dagli esperti. L’assistente procuratore, piccato, rimase
imbambolato per
qualche secondo, quello stupido dottor Reid gli aveva fatto fare tante
figuracce in quei giorni, appena sarebbe tutto finito
gliel’avrebbe fatta
pagare!