Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Timcampi    09/12/2013    2 recensioni
"Rico Brzenska, quindici anni d'età di cui gli ultimi otto trascorsi in una solitudine troppo nera per una bambina, contemplava il vuoto con occhi spenti, le braccia piegate in un rigido e impettito saluto militare e i piedi fastidiosamente infilati in quegli stivali troppo grandi.
Di tanto in tanto, mentre il capo istruttore inventariava il branco di ragazzini macilenti schierati come pedoni in divisa su una scacchiera polverosa, la ragazzina lasciava correre pigramente lo sguardo sui suoi compagni, i membri del settantasettesimo Corpo di Addestramento Reclute.
«QUAL È IL TUO NOME, RAGAZZO?!» brontolò il capo istruttore, puntando i piedi di fronte al suo ennesimo bersaglio: un ragazzo sull'attenti all'estrema sinistra dello schieramento, smilzo e acerbo, con un paio di spessi occhiali in bilico sulla punta del naso un po' aquilino e gli angoli della bocca sottile ricurvi nello sfontato accenno d'un sorriso eccitato. Poteva avere forse diciotto o diciannove anni.
Rico aggrottò la fronte e, senza neppure accorgersene, si ritrovò ad allungare il collo verso la sua direzione.
Il ragazzo sbattè ripetutamente le ciglia, si sistemò gli occhiali in cima al naso e sbattè nuovamente le ciglia.
E poi scoppiò a ridere."
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Hanji Zoe, Rico Brzenska, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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LO SCACCHIERE

 

«Il tuo caffè è sempre spettacolare, Petra! Me ne prepareresti un'altra tazza?»

«Sei troppo gentile, è soltanto caffè! Solo una, o non riuscirai a dormire. Ne hai già avute tre»

«In realtà Zoe è semplicemente troppo pigra per prepararsela da sé, non è vero?»

«Ah, piantala, Nanaba! E ricordati che dovrò fare affidamento su di voi fino a che non mi sarò ripresa del tutto. I medici hanno detto così»

«Non riesco davvero a credere che queste siano state le loro esatte parole. Petra, dove stai andando?»

«La torta di carote. Credo sia pronta.»

«Hai bisogno di una mano con i piatti? Lascia fare a me»

«Sei gentile, Nanaba. Ti ringrazio»

«Figurati, non è nulla»

Petra e Nanaba infilarono la porta accompagnate da un trambusto di porcellana e vetro, prima che questa si riaccostasse con un lieve cigolio.

Rico prese un piccolo sorso dalla sua tazza di caffè, in cui aveva versato una smodata quantità di zucchero: per quanto non avesse mai amato il gusto del caffè, non riusciva mai a declinarne l'offerta.

«Come mai così silenziosa?» mormorò Zoe, scrutandola attraverso le spesse lenti dei suoi occhiali nuovi. Aveva un'aria sinceramente inquieta.

“Niente”. “Nulla d'importante”. “Non ricordo d'essere mai stata particolarmente loquace”. “Ce l'ho con te”. “Sono preoccupata a morte”.

Fece spallucce, prendenendo un lungo sorso con il quale riuscì a svuotare la tazza.

Quello, Zoe lo sapeva bene, era il suo modo per esprimere il suo disappunto misto al timore di dichiararlo ad alta voce: nascondeva quanto più del suo viso riusciva a celare dietro una tazza, un bicchiere, una scodella, un fazzoletto, un libro, qualsiasi cosa avesse a portata di mano.

«Mi manca il tuo tè» sospirò, percorrendo l'orlo del suo bicchiere con la punta dell'indice. «Fai un tè orribile, però mi manca» aggiunse.

Dopo l'ultima spedizione oltre le mura, non le era stato ancora permesso di mettere il naso fuori dal Quartier Generale; sebbene le sue condizioni migliorassero a vista d'occhio, alcune ferite non s'erano ancora rimarginate del tutto e la gamba destra e il braccio sinistro erano ancora costretti in una prigione di gesso. Era Rico, ogni volta che ve n'era la possibilità, a lasciare il suo alloggio per trascorrere al Quartier Generale dell'Armata Ricognitiva quanto più tempo le fosse concesso.

Per quanto avesse a cuore la gran parte della compagnia e benchè non avesse alcuna intenzione di ammetterlo, vedere così tante facce gentili muoversi attorno a Zoe le provocava una sensazione quasi spiacevole: l'Armata era una famiglia un po' stramba, decisamente male assortita, ma unita, e il timore di vedere il suo piccolo appartamento presso gli alloggi del Corpo di Guarnigione farsi ancora più silenzioso, svuotato di quel battibeccare e di quel famigliare baccano che facevano intuire ai suoi commilitoni che Zoe era “tornata a casa”, faceva serpeggiare una profonda angoscia dentro di lei.

«Tu preferisci il caffè» mugugnò in risposta, seguendo con occhi attenti il movimento della sua mano.

«Non c'è bisogno d'essere gelosa, sai, Rico?» ghignò. Ma Rico sembrava essere totalmente catturata dal fischiante moto dell'indice intorno al bicchiere colmo d'acqua. Zoe lo faceva spesso. Quel ritmo era sempre lo stesso, da anni, da sempre. E aveva il potere di placarla, di far rallentare i suoi battiti cardiaci e il suo respiro.

«Io ho detto soltanto che tu preferisci il caffè. Hai la coda di paglia?» brontolò.

L'indice di Zoe si fermò, e la donna si voltò a scrutare l'altra attraverso le spesse lenti degli occhiali, scuotendo lentamente la testa. Aveva il più innocente dei sorrisi impresso sul volto.

Anche quello non era cambiato per nulla: era lo stesso, ingenuo e brillante, che non l'aveva lasciata dormire per innumerevoli notti, che sembrava non avere pietà né rispetto dei suoi momenti più tristi, che la sbeffeggiava quand'era giù di tono. Il segno inconfutabile che ogni cosa era esattamente come doveva essere.

«Sei la peggiore testona che abbia mai incontrato» dichiarò. Posò l'unica mano non bloccata dal gesso sopra il tavolo, con il palmo rivolto all'insù, e quando Rico vi sovrappose la propria sentì le sue lunghe dita intrecciarsi con le proprie e gli occhi farslesi umidi. Sentì la punta del suo naso sfiorare quella del proprio, fiato caldo solleticarle le labbra. Aveva chiuso gli occhi; aveva aggrottato la fronte, come in attesa di qualcosa di poco piacevole o che avesse aspettato per un tempo abbastanza lungo da irritarla.

Sentì le voci di Nanaba e Petra provenire dal corridoio appena in tempo per drizzarsi sullo schienale e spingere di malagrazia l'altra lontana dal suo viso.

«...Non farci caso, il nostro caro nuovo caporale si comporta così con tutti da che lo conosciamo»

«Mi piacerebbe lavorare in squadra con lui. È... molto diverso da come me l'avevano descritto» trillò Petra, seguendo Nanaba oltre la soglia e depositando sul tavolo il dolce ancora fumante. «Nanaba dice che il caffè a quest'ora ti fa andar fuori di testa» asserì, non appena vide appuntarsi su di lei lo sguardo speranzoso di Zoe.

«Con “diverso” intendi “più basso”, “più scorbutico”, oppure qualcosa come “simpatico più o meno come una ruota di carro sui piedi”?» intervenne quest'ultima «E lascia pure perdere il caffè»

Strinse più forte la mano di Rico nella propria.

«Mi presteresti la tua mano libera, di tanto in tanto?» mormorò a pochi centimetri dal suo orecchio, quando Petra servì in tavola la torta di carote. «La mia sinistra è inutilizzabile»

Zoe metteva il suo sorriso anche nelle parole. Se anche non avesse potuto vederla, avrebbe intuito la curva delle sue labbra, le gote accentuate, il luccichio dietro i suoi occhiali.

Lasciò che il suo sguardo indugiasse per un istante sulle loro mani: erano diverse, e non si adattavano comodamente l'una all'altra; una era incredibilmente grande, ruvida, ossuta, decisamente dura, costellata di piccole cicatrici, mentre l'altra era molto piccola, affusolata, fin troppo liscia e morbida per essere la mano di una persona che se la cava da sé.

Accomodò le proprie dita lentamente, una per una, tra quelle dell'altra.

«Sarà sempre meglio che vederti mangiare come una barbara» brontolò.

Lei sola poteva sapere quanto e quanto spesso la mancanza di quella stretta quasi fastidiosa la tormentava.

Quel che non sapeva era che Zoe, accanto a lei, stava pensando la stessa cosa.

 

«Hai messo su peso»

«Chi, io? Nossignore»

«Bugiarda»

«Non ti fidi di me?»

«...A volte»

«Che significa “a volte”, Rico?!»

Era ormai passata la mezzanotte quando si alzarono finalmente da tavola e si augurarono la buonanotte, dirigendosi nelle rispettive camere da letto. Zoe zoppicava terribilmente sulla gamba sana, mentre divideva il proprio peso tra il bastone e Rico.

Dalla sua ultima spedizione, si sentiva orribilmente pesante, fastidiosamente ancorata al suolo dalla zavorra delle sue ferite e delle ossa rotte e, benchè il solo fatto d'essere tornata viva entro le mura fosse di per sé un miracolo, non era trascorso un solo giorno in cui non si fosse lagnata della sua situazione.

Dopo che l'altra fu sotto le lenzuola, lo sguardo di Rico si soffermò per un breve istante sul bastone, poggiato al muro accanto al letto: nonostante fosse così malconcia, Zoe era solita lasciare la propria stanza spesso, durante la notte; una sera aveva portato il bastone con sé, sperando che questo potesse dissuaderla dal lasciare il proprio letto da sola, ma ciò non era stato sufficiente a evitare che, al mattino, trovasse il volto beato di Zoe a un palmo dal proprio, candidamente adagiato sul cuscino.

Le augurò frettolosamente la buonanotte e uscì dalla stanza, ignorando le proteste della donna e i suoi inviti a restare.

C'era qualcosa che doveva fare.

S'incamminò a passo svelto verso gli uffici amministrativi, certa di trovarlo ancora là. Si ravviò nervosamente i capelli, spinse gli occhiali su per il naso, strinse i pugni, serrò i denti intorno al labbro inferore. Non sapeva bene cos'avrebbe detto, ma qualcosa andava detta.

«Avanti» scandì una voce bassa e profonda dall'altra parte della porta, quando vi picchiò su le nocche.

Alla liquida e ondeggiante luce di un camino acceso, il comandante Erwin Smith e il suo cane da guardia sedevano intorno a un tavolino circolare. Tra loro, c'era un'elegante, lucente scacchiera di legno. Il capo del comandante si piegò in avanti in un sobrio gesto di saluto, che Rico si affrettò a ricambiare.

«Matto» mormorò Rivaille, facendo passare il proprio alfiere nero in posizione d'attacco, prima di rivolgersi a Rico. «Che c'è? La testa di rapa sta dando di nuovo grane?»

«No» rispose «Ma è di lei che si tratta»

Non riuscì a distinguere il genere di occhiata che Rivaille lanciò a Erwin Smith prima di lasciare la stanza, socchiudendo la porta e muovendo alcuni passi lungo il corridoio, fino a mettere alcuni metri tra loro e l'ufficio.

Questo gesto bastò perchè Rico capisse che doveva aver inteso la natura strettamente personale del suo problema.

Quando le sue visite al Quartier Generale erano divenute frequenti e la figura di Rivaille, fresco di nomina a caporale e considerato da molti come la più brillante risorsa dell'umanità, aveva cominciato ad entrare sempre più spesso nelle sue giornate, Rico aveva preso a rivalutarlo: per quanto arrogante, testardo e intrattabile potesse essere, la sua natura leale, schietta, di uomo onesto e di valoroso soldato era assolutamente innegabile.

Il caporale premette la schiena contro il muro, incrociando le braccia al petto e osservandola di sottecchi, in attesa.

Aprì e richiuse la bocca tre volte, prima di riuscire a spiccicar parola.

«Non lascerò che metta piede là fuori un'altra volta» annunciò. Aveva parlato troppo velocemente e la sua voce era spaventosamente incrinata, ma nulla la fece vergognare di se stessa quanto il contenuto della frase che, senza accorgersene, aveva appena pronunciato. Le sue mani erano vuote; non aveva alcun potere né su Zoe né sulla Legione. Si sentì non troppo dissimile da una bambina impaurita, come se fosse tornata indietro nel tempo e stesse per perdere l'unica possibilità che aveva di fermare i suoi genitori prima che lasciassero le mura per l'ultima volta.

Non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire dalle dita quanto di più simile a una famiglia fosse stata in grado di conquistare con le sue sole forze e, per quanto fosse del tutto impotente, era anche altrettanto ostinata. Resistette alla tentazione di mordersi le labbra, e pregò in cuor suo che l'uomo non notasse i suoi pugni serrati. Non poteva far nulla, però, per le lacrime in bilico tra le sue ciglia, se non sperare che la penombra fosse abbastanza densa da nasconderle.

Il caporale la osservava con un'attenzione tanto prepotente quanto vuota, come se non stesse guardando il suo volto ma qualcos'altro oltre di esso, come se fosse stato in grado di vedere attraverso il suo viso contratto.

«E trovavi necessario che io ne fossi al corrente?» sibilò, con un'aria vagamente più seccata del solito. «È libera di andarsene, se è quello che vuole. Se farne il tuo animaletto da compagnia ti sta così a cuore, fa' in modo di fare del tuo meglio per riuscire nel tuo intento»

Fece per tornare indietro, quando Rico si frappose tra lui e la porta.

«Io non sto cercando di farne il mio animaletto, che razza di insinuazione sarebbe, questa?» ringhiò tra i denti.

«Ha fatto la sua scelta quando ha indossato questo stemma» disse Rivaille, picchiettando la punta delle dita sull'effigie dell'Armata Ricognitiva cucita sopra il taschino. «E anche tu» aggiunse. D'istinto, lo sguardo di Rico si mosse in basso, sulle due rose rosse i cui gambi s'intrecciavano sulla stoffa della sua giacca. «Ognuno di noi ha delle priorità. Ciò che conta è non mentire a noi stessi in proposito»

«In gioco non c'è nulla a cui possa rinunciare» replicò Rico. Le lacrime ormai le rigavano il volto, ma non ci faceva caso. Il caporale aveva torto, torto marcio: come avrebbe potuto scegliere la propria carriera basandosi unicamente sui propri sentimenti nei riguardi di un'altra persona? O intendeva forse dire che, nella scelta dell'Armata come suo approdo, Zoe non l'aveva tenuta affatto in considerazione?

Aveva torto. Doveva avere torto.

«Immagino tu non sappia cosa significhi tenere a qualcuno al punto tale da logorarsi l'anima per via della paura che lei torni a casa ridotta a un mucchio di carne, sempre se è possibile raccoglierne i pezzi» La sua voce s'era alzata d'un paio di ottave. Stranamente, però, era ferma. «L'inferno che c'è là fuori mi ha già privato di tutto, non può continuare»

«Evidentemente può» ribattè Rivaille, in tono duro.

«Non se io la fermerò»

«Non hai alcuna autorità su di lei»

«Lei è la mia...» Rico si fermò. «...la mia f-»

«Famiglia?»

«E io sono la sua»

«Lei non ha soltanto te»

Aprì la bocca per replicare, ma tutto quel che ne venne fuori su un mesto singhiozzo.

«Tienila d'occhio, nel caso abbia in mente qualche nuova “brillante idea che non può aspettare domani”. Buonanotte» si congedò Rivaille, superandola in due passi e tornando nuovamente al suo ufficio. Si fermò a guardarla per un momento, però, alla luce dello spiraglio che filtrava da dietro la porta: il suo viso verteva in condizioni disastrose. Si profuse in un profondo sospiro.

«Io cercherò di fare altrettanto, d'ora in poi. Soltanto perchè non mi piace avere cadaveri sulla coscienza. E ora va' a dare una pulita a quella faccia»

«Ho la tua parola?»

«Hai la mia parola che farò del mio meglio, ma non che il mio meglio basterà a tenere in vita quella testa calda. Fattelo bastare»

 

Si sedette sulle lenzuola lentamente, per non svegliarla.

Ogni notte accanto a lei somigliava un po' a tutte quelle trascorse durante il periodo del loro addestramento: la debole luce della luna svelava un viso che era mutato ben poco, quel sorriso leggero che non scompariva mai, la curva della sua spalla muscolosa, un fianco ossuto, mani grandi e imperfette.

Eccetto qualche cicatrice che s'era andata ad aggiungere alle precedenti, Zoe non era cambiata affatto.

Lanciò un'occhiata alla porta che aveva quasi timore di lasciarsi alle spalle, ma i suoi occhi tornarono presto a concentrarsi su di lei: non aveva alcuna voglia di tornare nella propria stanza, né di lasciarla sola. Intercorrevano archi di tempo troppo lunghi tra le volte in cui riusciva a vederla sopita al suo fianco e, in quelle occasioni, autoconfinarsi altrove le sembrava folle e dormire le pareva una tortura.

La mano di Zoe si mosse dolcemente, tamburellando piano sulle lenzuola.

«Fai davvero tanto baccano, ragazza» sussurrò la donna.

«Eri sveglia già prima che arrivassi, non è così? Ti avverto: non ti lascerò andare da nessuna parte»

«Non ho intenzione di muovere un solo passo, Rico»

Picchiettò nuovamente sulle lenzuola.

«“Ti avverto: non ti lascerò andare da nessuna parte”» pappagallò.

«Non riusciresti a trattenermi»

«Vogliamo scommettere?»

«Non è necessario» decretò.

Tante cose erano cambiate, dai tempi dell'addestramento: i letti non erano a castello, l'igiene di Zoe era leggermente migliorata, e in nessun altro posto in cui avesse dormito aveva percepito il freddo penetrarle nelle ossa come accadeva nelle vecchie camerate, innanzitutto.

Una cosa, però, era rimasta identica, e questo le piaceva, la faceva sentire a casa.

Lasciò che Zoe la invadesse con tutto il suo corpo, circondandola con l'unico braccio sano, attirando il capo di Rico al petto e cercando il contatto tra le loro gambe, e le si avviluppò a sua volta. E poi attese.

Un suono profondo, rauco e gutturale.

«Buonanotte anche a te»

 







 


*PLIN PLON*
Non potendo esprimermi in proposito del finale che ho in mente per questa storia, mi limito a darvi un consiglio: leggete questo capitolo con attenzione, molta attenzione. Non fatevi sfuggire nulla, o potreste perdervi più in là.
Ah, bene. Ero quasi impaziente di scrivere questa parte del racconto: avevo in mente il dialogo con Rivaille in modo assolutamente chiaro, ma scriverlo è stato comunque faticoso, è un personaggio davvero estremamente difficile da rendere; la parte finale è un fuori-programma aggiunto all'ultimo momento, ma del quale sono decisamente felice. 
Sono grata a tutti voi che recensite questa storia e che fate salire il mio umore a livelli stellari, grazie, grazie, GRAZIE INFINITE A TUTTI VOI. Continuate così, non avete idea di quanto mi renda felice sapere che questa storia viene accolta positivamente da così tante splendide personcine. Ah, per sweetbeauty94​
il dubbio a proposito del suo nome mi attanagliava, così mi sono informata su Wikia. Lì i nomi in kanji sono scritti all'orientale, prima il cognome e poi il nome. Traslitterando i kanji così com'erano riportati, è venuto fuori "Hanji Zoe". 
Continuate a seguirmi in tanti, siamo ormai quasi a metà del racconto! 
Un abbraccio e un chibi caporale di peluche a tutti voi. A presto!

 

   
 
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