9.
Il prezzo da pagare
Quando
Gennaio finì, Febbraio cominciò nel silenzio. Di tutte le ore rubate a quell’esistenza sempre uguale,
a quella vita fatta di spazi angusti e povertà, condannata al castigo di una
luce fallace, quelle che Draco preferiva erano
senz’altro quelle passate con Hermione. Tuttavia, da
quando aveva deciso di allontanarla, lui, per lei, sembrava aver smesso di
esistere. Non era sicuro di aver fatto la scelta giusta, perché la sua mancanza
si era fatta ancora più dolorosa, dopo aver conosciuto la sua presenza, e in
più gli sembrava di vedere una luce asfittica, quasi ferita, negli occhi della
ragazza, quando si azzardava a guardarla, a provocarla, a parlarle. Sentiva il
peso della sua decisione premergli nel petto, nel tentativo di stanare
quell’amore che gli si era annidato nel cuore e che faceva più male di tutto,
eppure non poteva dirsi del tutto pentito. Era una delle poche scelte che Draco aveva preso in totale autonomia, senza spinte esterne
e privo di condizionamenti; soprattutto, cosa ancora più importante, era
l’unica scelta che aveva preso per altruismo, e non per se stesso com’era
solito fare. Era una sensazione nuova, strana e bellissima al tempo stesso, ma
pungente e dolorosa come non si sarebbe aspettato. Combattuto tra il desiderio
di avvicinarsi a lei e la consapevolezza di doversi mantenere coerente con la
sua decisione, Draco continuava a vivere in un
purgatorio senza via d’uscita. Talvolta le si avvicinava, apriva la bocca e poi
le sbadigliava davanti con sfacciataggine, come se lei fosse un fastidio:
l’intenzione era quella di parlarle, perché ne sentiva il bisogno, perché
nonostante sapesse di aver fatto la cosa giusta non poteva esimersi dal
desiderare quella sbagliata. Qualche volta, invece, le parlava davvero: erano
per lo più insulti, offese pungenti e qualche volta persino feroci, perché lei,
chiusa nel suo silenzio, sembrava irraggiungibile quanto la fine della guerra.
Draco non lo sapeva ancora, ma stava cominciando a intuire il costo delle
decisioni: le scelte prese in totale autonomia, con volontà e per giustizia,
non sono mai indolori, e lui lo stava imparando a sua spese, pagando il prezzo
che quell’amore gli stava chiedendo.
Hermione, dal canto suo, preferiva il vuoto lasciato dall’amarezza
della solitudine, piuttosto che la beffa dolorosa che aveva dovuto sopportare
fino a quel momento. In fondo, Ginny aveva ragione:
perché sopportare offese e insulti da un ragazzino arrogante che aveva a cuore
soltanto se stesso? D’altronde, lei non poteva immaginare che l’amica avesse
uno sguardo più lungo del suo, e che avesse intuito, per caso o per destino, da
lontano, più di quanto non avesse capito lei standogli accanto.
Lo osservava, Hermione,
da lontano e di nascosto, segretamente attirata da lui per una motivazione che
le rimaneva oscura e che tuttavia la spingeva a stargli lontana. Aveva anche
altri pensieri, questo è ovvio, perché la guerra si stringeva attorno a loro
con una morsa spettrale e tangibile, e la campana di vetro che avevano
costruito, e che li isolava dal mondo esterno, non sarebbe durata in eterno. Lo
sapeva bene, lei, che cominciava già a perdere le memorie della vita
considerata normale. Quello che c’era prima, la vita precedente alla guerra,
sembrava solo un bellissimo sogno: aveva la consistenza eterea e impalpabile di
una speranza infranta con il dolore di un risveglio crudele. Ricordava a stento
il sole di giugno, la brezza del parco, l’odore di carta e inchiostro, la
frustrazione per un brutto voto, l’effluvio dei sotterranei. Erano tutte cose
che aveva dimenticato, che le sembrava di non aver mai vissuto. Forse, cercava
di convincersi, era per questo che tendeva verso Malfoy
con la spasmodica ansia di una scolaretta alle prese con i primi esami: lui era
quanto di più vicino alla normalità avesse, quanto di più simile alla vita
prima della guerra.
Non sapeva, Hermione,
che era un sentimento totalmente diverso a guidarla verso Draco,
ma il sospetto aveva già cominciato a crescere in lei, come un albero
ingombrante che faceva strisciare le sue radici fastidiose e inarrestabili nel
ventre della terra – nel cuore di Hermione. I semi di
quella pianta erano terribili e cattivi, sarebbe stato necessario estirparli
subito. Invece lei non li riconobbe e li lasciò crescere, permise loro di
infestare il suo cuore, trapassandolo con le sue radici. Quando lei cominciò a
capirlo, era già troppo tardi per sbarazzarsene.
***
« Perché non gli parli più? » La voce di Neville
era flebile, un sussurro tenue animato da una malizia innocente. Hermione alzò gli occhi su di lui, una limpida sorpresa ad
accenderle lo sguardo. Non parlò, ma la sua occhiata perplessa e la piega
imbarazzata delle sue labbra spinsero il giovane a specificare, con cautela: « Malfoy ».
La ragazza chinò il capo e si concentrò
nuovamente sulle bende di Neville. Le svolse lentamente, con uno zelo che non
aveva mai avuto e che aveva l’unico scopo di evitare lo sguardo incuriosito con
cui lui la stava trapassando. Non erano occhi avidi, i suoi, né pretenziosi;
non la stava giudicando e, lei lo sapeva, non avrebbe preteso più di quanto
fosse disposta a dire, eppure Hermione si sentì comunque
messa alle strette.
« Lui… » Le sfuggì un sospiro a fior di labbra,
camuffato da un fremito che non aveva niente a che vedere con Draco, e tutto con la carne viva che ricopriva il petto di
Neville, unica eredità di una Maledizione che aveva rischiato di ucciderlo. « È
una persona cattiva » disse alla fine con poca convinzione, le labbra
arricciate in una smorfia intristita. Con delicatezza, poggiò le bende pulite
sulla ferita, esercitando una pressione lieve e prudente. Sapeva che la sua
risposta non era soddisfacente, e neanche lontanamente vicina alla realtà delle
cose, eppure non poté esimersi da quel commento.
Neville sospirò, ed Hermione
ritrasse la mano, spaventata, temendo di avergli causato dolore con un tocco
poco gentile. Lui, però, non diede segno di aver notato quell’esitazione.
« Esiste una rabbia che non ha niente a che
vedere con la cattiveria. È il ruggito di chi cerca di nascondere le proprie
fragilità »
La mano di Hermione si
fermò a pochi centimetri dal torace del ragazzo. Un tremore delicato le correva
lungo le dita, mentre una ragnatela scarlatta si allargava sulle bende bianche,
disegnando sentieri cremisi sul candore non più immacolato di quel medicamento
poco efficace. I suoi occhi, lentamente, si posarono su Neville, percorrendo
con una flemma quasi esasperante il bicipite tornito, il profilo della sua
spalla, la guancia sfregiata, e infine posandosi dentro le sue pupille, abisso
e baratro senza confine. Avrebbe voluto vedere il fondo di quegli occhi, Hermione, percorrere la strada che le si snodava davanti e
giungere alla frontiera illesa, superarla e avere una risposta, ma era
impossibile trovare la fine, dentro gli occhi di Neville, e per quanto lei la
cercasse non riuscì a raggiungerla, pur sapendo che aveva tutto a che fare con
quello che lui aveva visto nella testa di Malfoy –
sarebbe stato come guardargli dentro, guardare l’anima di Draco
e capire.
« Che vuoi dire? » domandò Hermione
con un sospiro vuoto, gli occhi spalancati dal dubbio divorante che le cresceva
dentro al ritmo del suo cuore. Neville sorrise, e l’enigma del suo sguardo si
fece ancora più insondabile. Poi, dietro il velo opaco delle sue risposte, si
accese una scintilla di dolore.
« Sai, dovresti… » indicò con un cenno impacciato
della mano la sua ferita ancora scoperchiata « Brucia un po’, così » aggiunse
con un sospiro timido che nascondeva il fremito di un’intensa sofferenza.
Hermione scosse il capo e si affrettò a ultimare la medicazione.
Fuori dalla tenda regnava un silenzio assoluto, spezzato solo dal fischio del
vento e alimentato da un silenzio interiore che rumoreggiava come una tempesta.
Quando ebbe appuntato anche l’ultima benda, la ragazza rivolse al giovane un
sorriso incoraggiante, dopodiché gli porse una pozione e, dopo essersi
assicurata che non gli servisse altro, uscì dalla tenda.
L’aria del primo pomeriggio era fresca e pulita,
suggeriva memorie di tempi felici e portava lontano le angosce di una guerra
che sembrava improvvisamente inesistente. Hermione la
respirò a pieni polmoni, la palpebre socchiuse e le gote lievemente arrossate
dal freddo. Una pace insperata le si era posata sul cuore. Le parole di Neville
le avevano cucito addosso una serenità che le aveva riempito il petto, e una
nuova fiducia l’aveva pervasa.
Riaprì gli occhi con un lieve sorriso sul volto,
e li posò sulla sagoma lontana di Draco con una
sicurezza che non la sorprese, perché in fondo aveva sempre saputo dove
cercarlo. Quando gli occhi del giovane si posarono su di lei, con una
meraviglia senza misura ma inquinata dalla rabbia e dal timore, lei rimase
immobile, accogliendo quello sguardo su di sé senza che una sola domanda le
nascesse nel cuore.
Da dove venisse quella pace, Hermione
non l’avrebbe capito mai. Ma mentre si avvicinava a lui, cominciava forse a
intuire quel dolore maldestro che si rimpiccioliva dentro i suoi occhi
mercuriali fin quasi a sparire, per poi esplodere di nuovo, inspiegabilmente,
al primo soffio di vento – perché quel vento aveva portato una novità che lui
non voleva vedere e che lei non era pronta a ricevere, non ora che una nuova
sicurezza le aveva aperto il cuore.
« Hermione »
Era una voce che lei conosceva e che non aveva
mai dimenticato. Era una voce che aveva sognato, sperato di udire, esplosa da
qualche parte nella sua mente proprio in quel momento, mentre andava con la
sicurezza di andare, sapendo dove, sapendo come. Era stato, per un attimo, solo
per un istante, una sensazione meravigliosa, come se il suo cuore si fosse
schiuso e le avesse indicato un sentiero inequivocabile. Non c’era più vento,
non c’era più suono, c’era solo quella sicurezza; ed era bastato un nome – il
suo – perché sparisse tutto, risucchiato dal vortice malsano di un ricordo. Era
bastata una voce – quella di Ron – a inchiodarla lì,
il cuore stranamente pesante e adesso privo di quella certezza, e di nuovo
inquinato da una sensazione atroce.
Delusione.
Il sorriso tenue di Ron
era esattamente come lo ricordava, una smorfia calda e buffa che aveva il
sapore dell’adolescenza e il profumo di casa. Hermione
aveva atteso il suo ritorno per anni: da quando era cominciata la guerra, da
quando lui e Harry se n’erano andati, non era passato un solo giorno senza che
il suo viso tormentasse i suoi sogni e scompigliasse il suo cuore. Per
amicizia, amore o senso di colpa, era stato un pensiero fisso da cui non era
riuscita a esimersi. Finché non era arrivato Draco.
Se ne rendeva conto solo adesso, Hermione. Adesso, che guardava il viso di Ron Weasley e lo scopriva diverso
da come lo ricordava – non erano le rughe, o le cicatrici, né la sporcizia o
l’opacità dei suoi capelli. Era la sua memoria che la ingannava, o forse il suo
cuore che lo oscurava di una luce diversa – prima era luminoso e ora era
spento, Ron.
Aveva smesso di pensare a lui, e l’aveva
dimenticato.
Il dolore le schizzò acuto nel cervello, rimbombò
fino allo stomaco e si estese nel petto come veleno. Un singhiozzo le sfuggì
dalle labbra mentre Ron la stringeva in un abbraccio,
fraintendendo la sua esitazione, la sua espressione, il suo dolore. Percepì la
sua carezza solo con una parte della sua mente – mani caldi e forti, ruvide
eppure dolci. Aveva sempre desiderato quel tocco, ma, improvvisamente Ron la confondeva. Quel ritorno inaspettato la confondeva.
« Sei… sei tornato » balbettò confusa,
accarezzando con gli occhi la linea screpolata delle labbra e posandosi,
spaesata, dentro l’azzurro delle sue iridi. Lui annuì con un sorriso luminoso
avvolgendo il viso di Hermione tra le sue mani e
posandole un bacio delicato e casto sulla punta del naso.
Poi, successe tutto troppo in fretta perché lei
potesse capire qualcosa: lampi di capelli rossi dappertutto, la voce stridula
di Molly, il ghigno di Fred e George, la commozione di Arthur, gli occhiali di
Harry, il timore di Ginny, la felicità di tutti, la
rabbia di Draco. La rabbia di Draco.
***
Furono necessarie diverse ore perché
all’accampamento tornasse la calma. Il ritorno di Harry e Ron
aveva risvegliato un mostro dormiente: la speranza. L’eccitazione che aveva
pervaso i cuori dei membri dell’Ordine era esplosa nel momento in cui i due
ragazzi avevano messo piede dentro il campo in cui loro si nascondevano. Non
sapevano ancora cosa quel ritorno significasse, ma vedere due facce amiche, e ancor più quella del Bambino Sopravvissuto,
era senz’altro un buon segno.
Quando terminarono i saluti, le lacrime e i
festeggiamenti, il sole era già tramontato. Molly si era messa ai fornelli con
un sorriso luminoso, e Fred e George non ne potevano essere più lieti: il
ritorno del fratello, oltre a renderli felici, avrebbe senz’altro riempito i
loro stomaci di qualcosa di più gradevole al palato di foglie secche e radici
marce.
Ginny era riuscita a superare la sua paura più grande, e ora sorrideva come
tutti, tenendo la mano a Harry come se non dovesse lasciarla mai più. Né lui né
Ron avevano fatto commenti sulla sua cicatrice, quasi
questa non esistesse affatto; solo dopo diverse ore suo fratello gli aveva
chiesto, con una semplicità e una serietà disarmanti, chi era il colpevole. Lei
l’aveva abbracciato senza rispondere.
Hermione aveva avuto il tempo di capire che la sua confusione era
dovuta solo alla sorpresa. Dimenticata la pace che l’aveva conquistata per due
meravigliosi, interminabili minuti, era dovuta scendere a patti con se stessa e
ammettere che il senso di colpa l’aveva lacerata al punto che il ritorno dei
suoi amici l’aveva lasciata delusa e amareggiata più perché non era stata in
grado di trovarli e aiutarli, piuttosto che per il fatto che non era felice di
vederli.
Cominciò a dubitare di quella nuova sicurezza che
si era fatta strada nel suo cuore quando Ron strepitò
con una rabbia e un disgusto eccessivi tutta la sua ritrosia.
« Che ci fa lui qui? »
L’allegra caciara che riempiva l’accampamento si
spense all’improvviso, lasciando posto a un lieve ronzio imbarazzato. I sorrisi
spensierati scemarono, sostituiti da espressioni sorprese o smorfie
consapevoli. L’illusione che la guerra non fosse mai cominciata svanì quando
Ronald Weasley puntò un dito accusatore contro Draco Malfoy: entrambi si
squadrarono, ugualmente guardinghi, ugualmente sfrontati, disgustati allo
stesso modo.
L’impacciato silenzio che era esploso, quasi come
un ricordo doloroso, senso di colpa mai del tutto sopito, si incollò ai volti
dei presenti cristallizzandoli nella vergognosa convinzione che quel ragazzo
non doveva trovarsi lì e che la guerra era solo una scusa. I calici, prima
levati in onore di Harry e Ron, si abbassarono; i
sorrisi scomparvero; le risate ammutolirono e persino la vaga certezza che
tutto potesse andare per il meglio venne inghiottita da quell’unica domanda.
« Va tutto bene, Ron. È
nostro prigioniero » Hermione, il viso leggermente
arrossato dall’imbarazzo, poggiò con delicatezza una mano sulla spalla di Ron, che fissava il biondo in cagnesco. Nessuno dei due
sembrava intenzionato ad abbassare gli occhi per primo: più che un gioco, era
una sfida. Era passato il tempo dei dispetti fatti per divertimento, delle
marachelle giocate per ridere; ora, quel che c’era in gioco era molto più
grande, molto più importante. Chinare il capo avrebbe significato farsi
vincere, e in quella guerra persino la più piccola sconfitta poteva decidere la
sorte delle due parti.
« Non mi sembra di vedere catene » osservò Harry
con una limpida sorpresa a irrigidirgli la voce. Con un gesto frettoloso, sfilò
gli occhiali, pulì le lenti con un lembo della maglietta e poi li inforcò di
nuovo. Sembrava cercare qualcosa – la risposta che gli sfuggiva.
« Le catene di Malfoy
sono invisibili, Harry » rispose Neville pacatamente. Gli occhi di tutti si
puntarono sul ragazzo. Era pallido, ma nonostante questo la sua figura
slanciata e smagrita spiccava livida tra la folla che si era accalcata attorno
al fuoco. Lui e Luna erano gli unici che continuavano a sorseggiare con
tranquillità la loro zuppa, come se non ci fosse mai stata nessuna
interruzione, niente per cui valesse la pena distrarsi dal loro compito.
I presenti – tutti quelli che erano stati dentro
il campo abbastanza a lungo da vedere la cattura di Malfoy
– corrugarono la fronte, domandandosi segretamente chi e quando aveva imposto
quel genere di magia sul prigioniero, quand’era sempre stato chiaro a tutti che
la sua posizione privilegiata sarebbe costata la vita a qualcuno.
Harry e Ron, però,
fraintendendo totalmente le parole del loro amico, tirarono un lieve sospiro di
sollievo. Il primo fece spallucce e rivolse un sorriso alla sua fidanzata; il
secondo, dopo un’ultima occhiata truce, grugnì tutta la sua disapprovazione
prima di infilarsi nella prima tenda disponibile, offeso da qualcosa di non del
tutto chiaro.
I festeggiamenti per il ritorno del Bambino
Sopravvissuto continuarono tutta la notte, così Hermione
non ebbe modo, né tempo, di domandare ai suoi migliori amici quali erano stati
i frutti della loro ricerca. Avrebbe desiderato conoscere i dettagli;
abbracciarli e domandare loro scusa per essere stata così vigliacca; magari,
persino ridere di quella guerra con un sorriso diverso da quella smorfia
impregnata di amarezza che aveva dovuto costruire, giorno dopo giorno, senza di
loro.
Eppure, l’ombra che le avviluppava il cuore era
così greve che non le lasciò spazio per nient’altro che non fosse la ricerca di
risposte di tutt’altro tipo.
« Era una frase ambigua, la tua » considerò Hermione a bassa voce, lanciando uno sguardo di sottecchi a
Neville. Oltre l’ombra lunga che le ultime fiamme del falò disegnavano sul suo
volto, lei intravide un sorriso sghembo.
« Lo so » rispose con un tono leggero, impregnato
d’un ironia delicata. La ragazza non poté trattenere un sorriso a fior di
labbra, mentre gli scoccava un’occhiata a metà tra il risentito e il divertito.
Sopra di loro, scintillava un cielo ammantato di
gelo. Il leggero brusio che aveva animato l’accampamento fino a qualche ora
prima si era spento, sostituito dal fischio sottile di un vento implacabile e
nero che tuttavia, lì dentro, non li poteva raggiungere. Il tempo vuoto dei
loro respiri era scandito solo dal crepitare delle fiamme morenti. Ombre lunghe
e dai riflessi aranciati si allungavano sui loro visi, drappeggiando gli zigomi
di velati misteri.
« Va meglio? » Hermione
indicò con un cenno del capo le bende che fasciavano il petto glabro e bianco
del ragazzo, esposto alle intemperie di quella nottata nonostante il freddo
pungente. Non era una dimostrazione di superiorità o una prova della sua
tempra, ma una semplice necessità dettata dal dolore che un qualsiasi contatto
gli provocava.
« Va meglio, grazie » rispose lui con un sorriso lieve. « E tu, Hermione, stai
bene? » domandò dopo pochi istanti, osservando con cortesia i tratti gentili
della ragazza, gli zigomi alti e i ricci convoluti e disordinati che le
incorniciavano il viso delicato e fine, e posandosi infine sui suoi occhi,
limpidi specchi opachi sui quali le fiamme si riflettevano per poi perdersi
oltre baratri che lui poteva solo immaginare ma non carpire.
« Certo. Perché non dovrei? » Hermione
tornò alla realtà con un battito casuale di ciglia. Fu un movimento tanto
ingenuo e inconsapevole, che strappò a Neville un sorriso capace di mascherare
la serietà della sua domanda.
« Da quando Harry e Ron
sono tornati sei… » L’esitazione di un attimo gli costò una severa occhiata da
parte della ragazza. Il silenzioso avvertimento del suo sguardo, però, non lo
esonerò dal rispondere « spenta » concluse in un soffio, a cui fece eco lo
sbuffo spazientito di Hermione.
« Ho smesso di colpevolizzarmi per averli
abbandonati, quante volte lo dovrò ripetere? » ribadì con esasperata fierezza.
« Non era a questo che mi riferivo » precisò
Neville con tono asciutto. Hermione tacque.
Nonostante la risposta del ragazzo fosse tanto inaspettata quanto vaga, non
ebbe alcuna difficoltà a capire il velato riferimento.
Durante gli anni di guerra, Neville era diventato
un confidente prezioso e un amico irrinunciabile. Il loro rapporto si era fatto
più saldo, complice la paura e il quotidiano pericolo: era più semplice
sopravvivere, avendo qualcuno a cui aggrapparsi. La solitudine, per Hermione, era diventata meno complicata solo grazie a lui:
da bestia feroce e sconosciuta si era trasformata in un’alleata quando
l’amicizia sincera e disinteressata di Neville l’aveva aiutata a superare i
momenti più difficili di quella guerra. Solo allora aveva accettato la mancanza
dei suoi migliori amici e aveva smesso di allontanarsi dal mondo per punizione,
capendo che l’isolamento poteva divenire pericoloso, quando non stemperato da
un sorriso autentico.
Non era perciò sorpresa di sentirlo parlare con
quell’insolenza schietta e a tratti persino presuntuosa che solo un amico vero
può permettersi di avere.
« Non… non capisco. A cosa ti riferisci allora? »
Le palpebre di Hermione tremarono in modo del tutto
impercettibile. Se Neville non l’avesse conosciuta così bene, il leggero
tremito della sua voce sarebbe passato del tutto inosservato.
« È che… » Il ragazzo trasse un profondo respiro
e piantò gli occhi dritti dentro quelli dell’amica. Non era esitazione, né un
tentativo di perdere tempo; piuttosto, sembrava stesse cercando di infondere
coraggio a se stesso. « Hermione, lo sai che sono
dalla tua parte. Sono tuo amico e voglio solo il tuo bene… »
« E allora dì quello che devi dire » lo
interruppe la giovane con un tono fin troppo stizzito per indurlo a parlare.
Neville la guardò negli occhi con espressione severa, un rimprovero delicato a
vibrare tra le ciglia scure. Hermione non abbassò lo
sguardo e non arrossì: salda nella sua determinazione, ricambiò il suo sguardo
pieno con la curiosa ma cauta aspettativa di un carnefice.
« È che Malfoy… » La
sicurezza del suo dire incespicò solo sull’ultima parola, riacquistando
stabilità solo dentro quel nome che, invece, fece perdere ogni solidità allo
sguardo di Hermione.
« Ti ho già detto come la penso su di lui »
scandì lentamente la ragazza, il viso irrigidito in un’espressione fin troppo
statica per essere vera. E infatti, dietro le lunghe ciglia nere, Neville vide
affacciarsi ombre nere e luci inquiete.
« Sì. E anche io. Ma credevo che avessi cambiato
idea » replicò con incertezza, il dubbio a irrigargli la voce.
« Io… » Persino la spessa cortina di buio che
aveva invaso l’accampamento da qualche minuto, quando il fuoco, con un ultimo
lampo morente, si era spento, non impedì a Neville di osservare il viso dell’amica
mentre prendeva rapidamente colore, accendendosi con la violenza di una miccia.
Approfittando di quel momento di esitazione,
Neville prese un respiro profondo e, il capo chino come se si vergognasse
profondamente di ciò che stava per fare, cominciò a parlare.
« So cosa c’è tra a te e Ron,
e capisco che Malfoy… »
« Cosa? Malfoy cosa? » Hermione scattò in piedi, il viso arrossato e i capelli
scarmigliati. Nell’oscurità latente, stemperata solo dalla notte stellata che
brillava sopra le loro teste, i suoi occhi erano due punte di spillo lucenti. «
Pensi che io mi sia preoccupata per lui solo perché avevo bisogno di una
distrazione, in attesa del ritorno di Ron? » strillò
infervorata, una nota acuta a far da contralto al respiro che le si era
spezzato nel petto.
« No » rispose secco Neville, con calma,
riportando lo sguardo su di lei « Tutto il contrario ». La serafica calma del
ragazzo ammutolì Hermione, che, confusa, si
immobilizzò di fronte a lui, in piedi coi pugni chiusi e le pupille dilatate.
L’incertezza si fece strada dentro i suoi occhi sino a diventare sentiero
distinto e inequivocabile. Una densa nebbia si infittì dentro il suo sguardo,
mentre Neville chinava il capo, la fronte corrugata e un lieve rossore sul
volto, a testimoniare tutto il suo imbarazzo e la colpevolezza di
quell’affermazione. Si rese conto solo in quel momento, con gli occhi di Hermione piantati dentro il petto, a sondare le strade
ripide e scoscese dei suoi pensieri, che non si era fermato nel momento giusto,
che aveva detto troppo, taciuto poco. Eppure, nonostante la certezza che non
aveva alcun diritto di interferire con la vita altrui, né con i sentimenti di Hermione, non aveva potuto esimersi da quel commento.
Il problema fondamentale, era che Neville non
aveva mai visto un amore più puro di quello che Draco
nutriva per Hermione, ed era del tutto deciso a dare
la giusta luce a quel sentimento, perché un’emozione come quella, così intensa
e vera, irrimediabile e oscura al tempo stesso, aveva il diritto di vivere.
« Co-come? Che vuoi dire? » balbettò Hermione, immobile di fronte a lui. Sembrava una statua di
puro stupore: la statica meraviglia che le intaccava il viso era un accessorio
puramente casuale, scolpito per errore da un artista maldestro che l’aveva poi
dimenticata lì. Una parte del suo viso era in ombra, ma persino nel buio
Neville poteva vedere i suoi occhi brillare di intatta confusione.
« Niente » Il ragazzo si alzò con un leggero
sbuffo di dolore. Una smorfia di sofferenza pura gli contrasse il viso pallido,
ma ciò non impedì a Hermione di afferrargli il
braccio con una presa salda e decisa, per poi guardarlo con una determinazione
che lui gli aveva visto addosso troppe volte, e che non gli avrebbe lasciato
scampo.
« Neville, che vuoi dire? »
Neville trasse un profondo respiro. Sembrava
incapace di rispondere e, al tempo stesso, di andar via e lasciare l’amica
senza un responso convincente. Il leggero rossore che gli accendeva le gote,
visibile persino nel buio, confermava il crescente imbarazzo che le sue mani,
tremule e maldestre, già denunciavano. Non era mai stato bravo a trattare con i
sentimenti, e la guerra non l’aveva certo aiutato: la maturità che aveva
acquisito era inutile in quel frangente.
« Dico solo che… credo che… che » Una pausa,
un’esitazione incauta. Neville trovò il coraggio di scoccare un’occhiata
sperduta a Hermione, e si trovò i suoi occhi
infuocati e pretenziosi sul volto. « Credo che la distrazione sia stata Ron. In attesa dell’arrivo di… »
Avrebbe dovuto capire dalla luce dei suoi occhi
che era arrabbiata. Peggio, che la rabbia le stava esplodendo nel petto e che
non avrebbe lasciato spazio al perdono. Sapeva, però, che Hermione
non avrebbe accettato scuse né risposte vaghe, e che la verità era l’unica via
di salvezza, per sé e, forse, anche per lei.
« Di chi? Di Malfoy? »
Il tono della ragazza era severo, ma fermo. « Del ragazzino viziato e arrogante
che per anni non ha fatto altro che insultarmi? E che persino adesso,
nonostante io sia stata gentile, e premurosa, e attenta, ha continuato a
offendermi? Quel bambino che ha bisogno di prevaricare gli altri per sentirsi
più forte? Di sminuire gli altri per sentirsi migliore? È questo che pensi? » Neville
non riuscì a guardare negli occhi Hermione nemmeno
per un istante. Assorbì le sue parole in uno statico silenzio, respirando
appena per evitare di spezzare la fragile quiete che continuava a unirli. « Hai
dimenticato cosa ha fatto a te? A me? O ad Hagrid, a
Harry, a Ron, a Lupin? Alle persone a cui vogliamo
bene? »
« Sono parole tue o di Ron?
» La inchiodò così, con parole di burro che le si sciolsero addosso e colarono
in ogni anfratto del suo essere, lasciandola confusa e imbarazzata. La
studentessa più intelligente di tutta Hogwarts rimase
senza parole, zittita dall’alunno più maldestro e imbranato che la scuola avesse
mai conosciuto. Hermione arrossì violentemente e gli
occhi le si riempirono di lacrime: l’imbarazzo che le colorò il viso era lo
stesso che le annebbiò lo sguardo, e che esplose dentro di lei con fastidio,
quando si rese conto che la vicinanza con il suo migliore amico l’aveva
influenzata al punto da cucirle addosso pensieri non suoi. Perché, in ultima
analisi, non era del tutto sicura che quello appena descritto fosse proprio Draco Malfoy.
« Se non ti conoscessi, direi che stai dalla sua
parte » boccheggiò piano, nemmeno troppo sorpresa di scoprire quella verità,
perché sospettata già da tempo.
« Non puoi capire, Hermione.
Sei davvero la strega più brillante che io abbia mai conosciuto, ma questo non
puoi capirlo » Nonostante tutto, il sorriso di Neville era incoraggiante.
***
Hermione non se n’era ancora resa conta, ma Draco
le aveva scavato dentro una ferita che aveva cominciato a sanguinare e di cui
aveva solo un vago sentore. Inconsapevole carnefice, Malfoy
le aveva strappato un brandello d’anima, e il vuoto che le aveva lasciato dentro
iniziava ad allargarsi come una macchia di petrolio nel mare.
Lo sentiva con una parte di sé che non conosceva
ancora, ma che le spezzava il fiato ogni volta che uno sguardo mancato o una
parola di nascosto la facevano rabbrividire – di piacere, di paura.
Era passata quasi una settimana da quando Harry e
Ron erano tornati. Una settimana d’insperata pace e
piacevoli sorprese, di feroce speranza e sorrisi di nascosto. Anche se molti
ancora non lo sapevano, la guerra era a un passo dal risolversi: il Bambino
Sopravvissuto aveva portato con sé i resti di tre dei sette Horcrux,
riducendo a due il numero dei restanti.*
Harry, Ron e Hermione erano diventati più misteriosi nei confronti degli
altri membri dell’Ordine, che si domandavano cosa avessero da sussurrare in
ogni momento della giornata; eppure, la loro positività e il velato ottimismo
che sembrava trasparire dai loro sguardi, aveva contagiato tutti. Tutti,
eccetto uno.
« Qualcuno deve portargli da mangiare » Molly
depositò una ciotola di zuppa calda al centro del tavolo attorno al quale erano
riuniti i ragazzi. Mentre Hermione, intercettando con
un sorriso la preghiera della donna, si alzava in piedi, Ron
scoccò a sua madre un’occhiata torva, arricciando il naso in una smorfia di
puro disgusto e ritrosia.
« Vado io » si offrì la ragazza con un tono
volutamente neutro, velando con un sospiro stanco e indispettito la leggera
premura dei suoi occhi. Ron scattò in piedi ancora
prima che lei riuscisse a sfiorare la ciotola, e le afferrò il polso con
veemenza.
« No » strepitò, aggrottando la fronte con fare
combattivo. « Tu non ti avvicini a quell’avanzo della società » Hermione arrossì delicatamente e rivolse al ragazzo un
sorriso leggero, segretamente compiaciuta da quella preoccupata – e
preoccupante – gelosia, ma anche infastidita da quell’ordine perentorio che
lasciava poco spazio alle sue libertà.
« Oh, allora vai tu, Ronald? » ironizzò Ginny, scoccando al fratello un’occhiata beffarda. Ron inarcò le sopracciglia e spalancò la bocca, oltraggiato
da quel sarcasmo pungente.
« Io non ho nessuna intenzione di… » cominciò,
indicando il punto in cui si rifugiava Malfoy.
« E va bene, vado io » Harry si alzò con uno
sbuffo, afferrò la ciotola e si avviò a grandi passi verso le rive del lago,
mettendo così fine alla discussione. Le eco infuriate dei suoi amici, però, lo
seguirono per tutta la strada.
« Non capisco perché dovremmo dargli da mangiare!
»
« Ron! » Lo strepito di
Hermione lo fece sorridere. Era piacevole sentire la
sua voce, dopo tanti anni di assenza, e trovarla ancora uguale alla ragazzina
che aveva lasciato, nonostante la guerra e i dolori subiti.
« Potrebbe anche procurarselo da solo! Farlo
apparire con la magia, dato che ha ancora la bacchetta » Insistette Ron, sottolineando con incredulità quella concessione che,
era evidente, riteneva assurda.
« Non può farlo, Ron, è
una delle cinque Principali Eccezioni alla Legge di Gamp
sulla Trasfigurazione degli Elementi, e tu dovresti saperlo… » Normalità. Quel
battibecco era la cosa di più vicino alla normalità che sentisse da due anni a
quella parte. Non l’avrebbe mai ammesso davanti a loro, ma gli erano mancati i
loro litigi.
« Non si merita di stare qui! Buon cibo e un
tetto sicuro sopra la testa? È ciò che vuole, te lo dico io. Si è fatto
catturare apposta! »
« Non credo gli piaccia stare qui » La voce di Ginny, poi, era una musica che non aveva mai dimenticato.
Anche lei non era cambiata: ancora bellissima, ancora fiera e combattiva, e la
cicatrice che le aveva tagliato il volto era solo un delizioso difetto che la
rendeva, ai suoi occhi, più coraggiosa e meravigliosa di come la ricordasse.
Per lei poteva anche essere un imbarazzo, ma per lui era solo la testimonianza
di un amore che non avrebbe mai lasciato spegnere.
Con un sospiro, Harry lasciò che le voci dei suoi
amici si spegnessero nella sua testa, e si concentrò sul capo biondo che
sormontava le esili spalle che aveva di fronte.
« Malfoy » lo richiamò
cautamente, con un tono neutro che sperava risultasse più gentile di quanto non
suonasse alle sue orecchie. « Il tuo pranzo » disse, depositando con
delicatezza la ciotola vicino a lui.
Il ragazzo si voltò verso di lui, regalandogli il
profilo dritto e pallido e lasciando solo intravedere il ghigno strafottente
che gli allungava la bocca in una smorfia sghemba.
« Davvero un gesto nobile, Potter » sentenziò
ironico, mentre allungava una mano verso la ciotola. Sotto gli occhi non poi
così increduli di Harry, versò la zuppa a terra e poi lanciò ai suoi piedi la
scodella.
« Non farei tanto lo spiritoso, se fossi in te, Malfoy » disse Harry con tono duro. « C’è un prezzo da
pagare per una vita di falsità » Prima di voltargli le spalle, gli regalò un
ultimo sguardo inquieto.
Solo quando Harry era ormai lontano, Draco si concesse la pace di un respiro ferito. Davanti
agli altri poteva anche fingere che non gli importasse più di nulla, che non
avesse paura di niente, ma la verità era che si rendeva conto, ogni giorno di
più, che il castello di carte che aveva edificato gli stava crollando addosso,
e intorno vedeva solo tempeste nere e feroci da cui non poteva più difendersi.
Le fondamenta di argilla su cui aveva fondato le sue convinzioni si erano
disfatte al primo tocco di pioggia.
Il sorriso sornione che indossava mascherava alla
perfezione le lacrime nascoste che avrebbe voluto versare, ed era uno scudo
alla paura: quella che gli impediva di tirare fuori il coraggio, e confessare
le sue paure più profonde e i suoi sentimenti più sinceri.
Avrebbe desiderato una vita senza complicazioni,
e c’era stato persino un momento in cui aveva pensato di poter ingannare se
stesso e creare una realtà degna di tale nome. La verità era che stava pagando solo
adesso il prezzo delle sue scelte: allontanato da Hermione
proprio quando pensava di poterla avere, ma solo dopo averla sfiorata, aveva
infine compreso l’entità delle sue azioni.
D’altronde, come lui, in molti avevano saldato il
proprio tributo: Ginny aveva una cicatrice a
dimostrarlo. Le ferite di Hermione erano molto più
profonde e invisibili, sensi di colpa o dolori che nessuno poteva conoscere, o
immaginare. Harry conosceva il sacrificio che lo attendeva, ma continuava ad
andare a testa alta verso il suo destino. E Ron non
lo sapeva ancora, ma era già troppo tardi per fermare la macchina
dell’ingiustizia che aveva appena messo in moto. Non lo sapeva ancora, ma avrebbe
pagato quella guerra a un caro prezzo.
* Ricordo che gli Horcrux sono sette:
- Il diario di Tom Riddle
e l’anello di Orvoloson Gaunt,
distrutti rispettivamente al terzo e al sesto anno di Harry (da Harry nella
Camera dei Segreti e da Silente)
- Il medaglione di Serpeverde,
la coppa di Tassorosso e il diadema di Corvonero sono i tre distrutti a cui mi riferisco nel
capitolo.
- Nagini e Harry, gli
ultimi rimasti.
Mi trovate qui.