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Autore: KillingJoker    10/12/2013    1 recensioni
Un uomo con un passato misterioso, arrivato esausto in un villaggio pacifico ed isolato dopo un lunghissimo viaggio. Un cavaliere instancabile che viene fermato da un ponte. Un cavallo che sparisce lasciando a terra solo ossa.
-"Il loro dovere era di primaria importanza su tutto. Sulla carità, sul riposo, sul cibo e persino sulla stessa vita. Nulla avrebbe dovuto fermarli. Nulla avrebbe osato..."-
A metà tra il solito fantasy e una moderna visione della magia e delle ambientazioni, questa è una storia di misteri e di strani personaggi, di potenti magie e di antiche entità. Il classico dei classici? Forse. Ma spero che resti comunque interessante.
Buona lettura
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Cap.4, “Sacrifici”-

 

 

Faraes si svegliò alle prime luci dell'alba, ai piedi di una grande quercia. Scansò delle formiche che avevano fatto della sua gamba destra un ponte per un nuovo quartier generale. Il cervo lo fissava, di fronte a lui. “Hai vegliato su di me tutta la notte? Ti ringrazio”.

Si alzò pigramente, stirò i muscoli e si rimise in sesto. Doveva lavorare quel giorno. Doveva prepararsi per la sua nuova vita. E decise di iniziare dalla sua casa: si addentrò nel fitto della foresta, era molto lontano dal suo villaggio. Già, chissà cosa pensavano di lui ora...

Aveva deluso suo padre, ne era certo. Aveva infranto le tradizioni del suo clan e aveva rinnegato la sua tribù. Ma, tra tutte, l'unica cosa che lo faceva soffrire era la lontananza da Falandria. Senza di lei si era sempre sentito perso e di sicuro lei non avrebbe più voluto vederlo: fare un patto di sangue con un animale è un concetto folle per qualsiasi Cacciatore, ma diventare addirittura un Accolito è considerato ai limiti del sacrilego.

Per i Cacciatori, ed il clan Brezza Notturna è considerato il primo fra questi, gli animali sono prede, obbiettivi; così come gli umani, o i nani, o qualsiasi essere vivente possa avere causato eventi che gli abbiano posto un bersaglio sulla testa. Non è una visione sadica della vita, né tanto meno desiderio di uccidere. È piuttosto il loro modo di percepire la natura: così come esistono i predatori, esistono anche i cacciatori; è nella loro natura agire in tal modo. La loro essenza è nella caccia.

Ciò che lui aveva promesso, il contratto stipulato sul suo corpo con il sangue come inchiostro, è l'esatto contrario di questo principio.

 

La Natura, secondo gli antichi scritti, segue il suo ciclo in equilibrio. Nulla viene semplicemente preso, o regalato. Esiste uno scambio equo. E non bisogna mai prendere senza dare nulla in cambio, questo dicono gli scritti. Ma la domanda che segue è 'come faceva Faraes ad averli letti?'. La risposta giace qualche settimana prima della nostra storia: l'elfo stava studiando nella biblioteca di famiglia, secondo il volere di suo padre. Egli non aveva mai, in tutta la sua vita, osato contraddirlo, tanto meno deluderlo. Così studiava, controvoglia, le tradizioni e la cultura antica del suo popolo; finché non scoprì che esisteva una storia che non gli era stata insegnata. I primi antenati degli Elfi, gli Elfi Rossi, avevano tracciato i confini della loro civiltà proprio nella foresta dove lui viveva, chiamandola Eden. Mentre a lui era stato insegnato che il nome di quel luogo era 'la Foresta Proibita', aveva appena scoperto che quello sconfinato intreccio di alberi e piante di ogni sorta non era nato per essere una prigione, o una fortezza naturale. Era bensì un luogo di preghiera e pace, dove allontanarsi dalla morte violenta e dagli spargimenti di sangue. Ma perché non ne sapeva nulla?

Fece varie ricerche nelle biblioteche del villaggio. Ogni nobile ne ha una e non la chiuderebbero mai ad un giovane e promettente successore del capo clan. Scoprì che la tradizione obbliga ogni Shonder a tenere una intatta copia degli antichi scritti, perché essi sono la verità e l'origine. Contengono la guida che aveva ispirato gli antenati nella loro grandezza. Ma dove? Perché non ne aveva mai visto traccia?

 

Fu mentre si poneva questa domanda che lesse una citazione dagli antichi scritti. Era una frase di poco significato, presa da sola. Ma per lui significava moltissimo. Era una frase che suo padre gli leggeva sempre da bambino, mentre gli raccontava favole di antichi guerrieri e potenti maghi. Ci rifletté, tentando di ricordare, finché non lo vide. Sì, era certo di ricordarlo, il libro si trovava nelle stanze dei suoi genitori. Vi si recò, attendendo un momento in cui entrambi erano assenti, e scoprì l'inizio della catena di eventi che lo avrebbe portato alla sua condanna. Scoprì che il libro che suo padre gli leggeva altro non era che una serie di fiabe ispirate alle scritture, narrate in modo da tradurre gli insegnamenti anche ai più piccoli. Cercò ancora e trovò un pannello nascosto dietro alla libreria, all'interno del quale si trovava ciò che cercava.

Si recò lì per giorni, ogni volta che i suoi genitori si assentavano, fino a che non ebbe letto tutte le antiche scritture. E lì lesse tutto ciò che i suoi antenati avevano appreso e tramandato per anni ed anni sull'equilibrio. Apprese la potenza della Natura. Apprese come legarsi ad essa. Apprese però anche come ripagare un torto fattole. Lesse degli Accoliti, devoti alla Natura che dedicavano il proprio corpo e la propria anima alla sua difesa. Ma Lei chiede fedeltà. Chiunque si leghi alla Natura in qualche modo, non può mai più tornare indietro e per questo motivo gli Accoliti rinunciavano a qualsiasi forma di amore diverso da quello per Lei. Il loro compito era proteggere l'equilibrio naturale delle cose ed evitare così che il ciclo subisse interferenze, che si sarebbero poi riversate sugli esseri viventi. Ma si parlava di tanto tempo fa, e lo stesso Faraes si rese conto che di Accoliti non ne aveva mai visti. Eppure gli scritti erano giusti. Lui credeva a quelle parole, sentiva che erano ciò che si era sempre tenuto dentro.

 

Venne infine il giorno della caccia, in cui Faraes prese le corna di un cervo.

Mentre curava la ferita che gli aveva inflitto, scusandosi tra le lacrime per ciò che aveva fatto, si rese conto che quell'animale non lo odiava. Lo lesse nei suoi occhi. Vedeva qualcosa di diverso dalla rabbia, o dall'odio puro. Era molto più simile a... pietà. E fu proprio quella pietà la scintilla che accese la sua furia. Era lui ad odiare sé stesso per essersi sottomesso ad un gioco di potere al quale non apparteneva, per non essersi imposto su decisioni che non condivideva. Non riusciva a perdonarsi di essere stato tanto debole da accettare passivamente quella barbarie, doveva rimediare. Fu istintivo: pensò a cosa aveva da dare in cambio delle corna, e non trovò altro che i suoi capelli dorati, del colore del grano. Erano fonte di infiniti complimenti da parte dei viziosi e ruffiani nobili che lo circondavano. Erano un prezzo troppo basso, ma era contento di liberarsene. Anche se Falandria li adorava. Li tagliò con la spada.

Ma non erano di certo uno scambio equo. Ripensò a tutte le prede che aveva ucciso. Sangue per sangue, era questo il prezzo: sarebbe diventato un Accolito, per impedire a qualcun altro di commettere i suoi errori. Avrebbe salvato altri giovani come lui ed altri animali come quel cervo.

 

Prese una freccia e ne spezzò la punta; si tolse i vestiti, sapeva cosa fare. Aveva letto più volte quelle pagine negli antichi scritti. Il Libro dei Fiori di Noce conteneva un intero capitolo sui rituali utilizzati dagli Accoliti. Così iniziò, partendo dalle gambe, ad incidere le rune ed i sigilli necessari sulla sua pelle. Arrivato al torso iniziò a perdere le forze, sentendo il dolore che aumentava a dismisura. Le braccia furono la parte più difficile, ma strinse i denti e non si fermò. Svenne solo una volta finite le incisioni e l'ultima cosa che vide fu il cervo corrergli incontro.

 

Quando si svegliò, le voci dell'intera foresta riecheggiavano nella sua mente. Era un Accolito.

  
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