Terzo
Capitolo:
Κύμα
Una bambina dai
cortissimi capelli castani di all’incirca sei anni afferrò una pesante spada e
tentò di sollevarla, ma sprecò unicamente energie. Gli occhi azzurro ghiaccio
diventarono sempre più lucidi, finché delle calde lacrime non iniziarono a
scendere copiose lungo le guance.
Erano lacrime di
rabbia, perché, essendo una donna, come le ripetevano i soldati più anziani,
non sarebbe mai stata forte e non avrebbe mai potuto conseguire quella sfida
incentrata prettamente sulla forza fisica. Non riusciva a comprenderne il
motivo per il quale lei non potesse essere alla pari rispetto agli altri ragazzi,
ma voleva dimostrare a loro di essere ugualmente temibile.
Ritentò di nuovo
e questa volta riuscì, seppur la distanza che separava la lama dalla terra
battuta fosse minima. Con il viso color rubino per la fatica continuò a sforzare
i propri muscoli finché, per un breve istante, con fatica inumana, fu capace a
tenerla al di sopra del proprio capo prima di ruzzolare sul suolo.
Rischiò ferirsi,
ma un uomo con una mossa fulminea intervenne, afferrando la bambina e
stringendola a sé. Aveva una mossa chioma castana, lunga fino alle spalle e
delle penetranti iridi verde smeraldo in un viso dai lineamenti non troppo
severi, su cui era dipinta un’espressione preoccupata.
<< Papà!
Hai visto? Sono riuscita a sollevare la tua spada in oricalco!>> sorrise
la piccola, mentre lasciava cadere l’arma e abbracciava felice la corazza del
genitore << Sono uguale ai maschi! E presto diventerò uguale a
te!>>
<<
Lachesi...>> sospirò il padre, accarezzandole il capo << Perché mai
vorresti somigliare agli altri bambini?>>
<< Beh...
perché...>>
<< Tu hai
ereditato la bellezza di tua madre, così come molte altre caratteristiche, ad
esempio la testardaggine. Anche se intraprenderai la vita militare, non devi
soffocare queste tue virtù>> le passò una mano callosa sul viso,
sorridendo dolcemente << Certo, hai un grande potere dentro di te, ma ti
prego, non trasformarti mai in un mostro>>
<< Di che
potere parli?>> domandò curiosa Lachesi.
L’uomo si
schiarì la voce, poi si alzò, tenendo in braccio la figlia.
<< Fatti
crescere i capelli, perché altrimenti sembrerai uguale ai tuoi
fratellastri>>
<<
Papà!>> disse lei imbronciata << Non cambiare discorso!>>
<<
Ricordati sempre che le donne, purtroppo, sono sempre più intelligenti degli
uomini. E in un modo o nell’altro, riusciranno sempre a fregarli>>
<< Quando
diventerò un comandante assieme a te, me lo dirai?>>
L’uomo
non le rispose, limitandosi a baciarle la fronte.
La
bambina non comprese il motivo di quel silenzio, perché era certa che quando
sarebbe diventata grande, avrebbe comandato una falange assieme a suo padre.
Era certa, perché quella era una promessa che lui le aveva fatto ancora anni
prima.
Luogo
sconosciuto, ottobre, anno 851
L’aria era
pesante, pregna di fumo, di alcool e di varie essenze. Un odore talmente
irrespirabile che il comandante, riconoscibile dall’armatura cesellata e
dall’ampio mantello scarlatto, fu costretto a tossire più volte ancor prima di
entrare.
Reazione che si acquietò
quando, tra la leggera foschia e l’oscura penombra, riuscì a scorgere due
figure su un ampio divano che occupava una parte della parete alla sua sinistra:
una maschile, seduta, dal fisico ben sviluppato seppur ormai di mezza età e una
femminile, posta sulle ginocchia del primo, svestita, la quale si divertiva a
giocherellare con la lunga chioma bionda dell’uomo.
Il soldato si
fermò davanti alla coppia, cercando di distogliere lo sguardo dalle curve della
donna, concentrando l’attenzione sugli occhi azzurro elettrico dell’individuo,
attendendo pazientemente un ordine, mentre i due si scambiavano diverse
effusioni amorose.
<< Agápe, sei qui forse perché vuoi unirti a
noi?>> rise l’uomo.
<< No, mio Türannos. Sono qui perché voi mi avete
convocato>>
<< Oh, già,
che sbadato>> finse, passandosi un dito sulle labbra sottili << Ti
ho convocato perché non mi ricordo più il nome della mia defunta
moglie...>>
A
quell’affermazione, il milite ebbe una lieve reazione colta subito dal suo
interlocutore che lo incitò a rispondere con un gesto svogliato della mano.
<< Lachesi,
signore?>>
<< Esatto!
Lachesi. Perché tu, come ti avevo ordinato, l’hai uccisa non appena è entrata
nella foresta, vero, mio fidato amico?>>
<< Certo, Pólemos>>
Pólemos
iniziò a ridere sguaiatamente, mostrando addirittura i suoi affilati denti
lucenti, più simili a fauci di un predatore che di un essere umano. In un
secondo momento si ricompose, bevendo un lungo sorso di vino.
<<
Ho voglia di vedere l’occidente, sai Agápe? Voglio vedere con i miei stessi occhi
quella terra. Per questo partirò a breve e porterò con me la mia nuova,
bellissima Thàlassa>>
La donna fece un
risolino di assenso, baciandogli poi la fronte.
<< Per
l’occidente, signore?>> domandò incredulo il comandante.
<< Finché
starò via lascerò a te il comando. Non voglio incontrare nessuna sorpresa>>
<< Non ne
incontrerete>> rispose Agápe, dopo
un minuto di silenzio, facendo poi un inchino meccanico e storcendo lievemente
la bocca in un’impercettibile espressione sprezzante.
Il Türannos congedò il suo sottoposto,
facendo un aperto ghigno mentre accarezzava il volto stupendo, pulito, privo di
ogni imperfezione della giovane ragazza al suo fianco.
Foresta
non molto lontana dal quartier generale in disuso della Legione Esplorativa, ottobre,
851.
Il vento mosse la
lunga chioma castana legata in una treccia di Lachesi, un vento fresco, tuttavia
carico di tempesta. Thàlassa si spostava da un ramo all’altro, usando l’equipaggiamento
per la manovra tridimensionale; non padroneggiando ancora quella tecnica, aveva
rischiato spesso di scivolare o schiantarsi contro i tronchi degli alberi, ma
grazie alla propria mente fredda era riuscita a mettere in atto quei pochi
insegnamenti che Levi le aveva concesso prima di metterla alla prova.
Era sempre stata
abile nell’imparare e tener a mente lezioni di vita, che poi metteva in
pratica nel momento del bisogno. Come le avevano insegnato durante
l’addestramento nella sua infanzia, non si apprendeva nulla se poi non serviva al
presente o ad un imminente futuro; persino la danza, che lei eseguiva in modo
sciolto, divino, fungeva a ingraziarsi
il favore degli Dei prima di battaglie o durante cerimonie importanti.
Anche in
quell’occasione aveva dovuto apprendere qualcosa per pura necessità, per poter
uccidere i Giganti e per avere una speranza in più per sopravvivere. O forse
no.
Lachesi si fermò
un attimo su un ramo, a riflettere riguardo quella bizzarra e insolita
sensazione. A lei non serviva quell’attrezzatura, era ugualmente capace di
sterminare gli abomini anche grazie alle proprie capacità fisiche e alle
dottrine passate. Perché quindi stava facendo ciò?
Per divertimento?
Perché temeva le ire di un nano di centosessanta centimetri?
No, niente di
tutto ciò. Bensì per la libertà che riusciva ad assaporare danzando così scioltamente
in aria. Per la prima volta era libera, non aveva catene al collo o anelli alle
dita e non doveva sottostare ad ordini di superiori. O perlomeno, non
totalmente.
<< Ohi,
muoviti scansafatiche>> la rimproverò il Caporale Maggiore,
raggiungendola << Hai ancora molto da imparare, soprattutto sul controllo
del gas>>
<< Scusi se
mia madre non mi ha partorito con l’attrezzatura>> brontolò Thàlassa,
seppur fosse consapevole dei propri errori.
<< Dirigiti
ai cavalli, bisogna tornare al quartier generale>> Levi la guardò mentre
si preparava a ripartire e quando fu pronta, la fermò per un momento, con sguardo
cupo << Ricordati di portarmi rispetto, Thàlassa. Sei nella mia squadra
ora>>
<< Ne sono
cosciente, Caporale. In ogni caso lo terrò a mente>>
Un rombo di un
tuono echeggiò gorgheggiante, segno di un imminente temporale. Lachesi guardò
il cielo notando l’addensarsi delle nubi, mentre le prime gocce iniziavano a
cadere al suolo.
Non era stato un
giorno adatto per l’allenamento speciale fin dal principio: lei aveva storto il
naso quando le era stato comunicato che, dovendo imparare il prima possibile
l’uso della manovra tridimensionale, era costretta ad addestrarsi con il
Caporale Maggiore il quale non era famoso per la sua bontà, soprattutto quando
bisognava rimproverare qualcuno.
Di fatto i primi
tentativi dell’ex generale con quella nuova attrezzatura erano stati un
completo disastro e lui non aveva certo risparmiato gli insulti, provocando non poco il suo animo
battagliero. Così lei aveva provato e riprovato per l’intera giornata,
ottenendo, oltre ad una serie di lividi su tutto il corpo, netti miglioramenti.
Principalmente per dimostrargli che i suoi pesanti richiami erano totalmente
infondati, ma anche per soddisfazione personale.
Arrivarono ai
cavalli quando ormai la pioggia era diventata pungente e fitta, ricca di fulmini
che di tanto in tanto illuminavano la volta grigiastra.
Thàlassa si
domandò se il tempo fosse stato contro di lei, visto che normalmente un
temporale così violento non sarebbe dovuto scoppiare in un modo così
improvviso. Forse le divinità che tanto rispettava avevano voluto giocare con
la sua vita, rendendola ancora più invivibile di quel che già era.
Sciogliendo le
briglie del proprio cavallo nero con grandi macchie bianche, una delle quali
sull’occhio sinistro, montò in sella, attendendo il proprio superiore.
<< Muoviamoci>>
esortò l’uomo.
Lei spronò il
quadrupede e per un tratto di strada questo, seppur terribilmente irrequieto,
sottostò ai suoi comandi.
L’acqua si fece
sempre più pesante, tanto che tenere o abbassare il cappuccio risultò totalmente
inutile, superfluo come la vista; persino i destrieri facevano fatica ad
avanzare, poiché il terreno era diventato fangoso e quasi impraticabile. Ma fu
un violento tuono a far saltare i nervi saldi del purosangue pezzato, facendolo
imbizzarrire e galoppare in una folle corsa verso la foresta.
Invano, Lachesi
tentò di frenarlo ma lui continuava imperterrito, finché non s’imbatté in un
incendio. Allora virò bruscamente facendo quasi cadere la giovane che rimase
impigliata con il piede in una staffa.
L’animale la
trascinò per un lungo tragitto, finché i cavi dell’equipaggiamento
tridimensionale impiantandosi in una corteccia di un albero, non lo obbligarono
ad arrestarsi. Tale operazione però causò una dislocazione delle articolazioni
a Thàlassa, la quale non poté più alzarsi finché la sua costituzione non le
avrebbe risanato la terribile e dolorosa ferita.
Levi riuscì a
raggiungerla e le si fermò davanti. La ragazza si teneva l’arto ferito,
tentando però di mascherare il più possibile le note di dolore che le segnavano
il volto.
<< Ohi,
riesci ad alzarti?>> domandò lui.
<< Dammi un
minuto>> gli rispose, mentre cercava un appiglio per risollevarsi
<< Dobbiamo fare presto a tornare, altrimenti l’incendio ci
raggiungerà>> continuò, cercando di spostare la discussione sul nemico
più imminente.
<< Senza il
tuo cavallo?>>
<< Posso
benissimo correre>> ribatté lei, reggendosi saldamente in piedi, seppur
la ferita le dolesse.
<< In quelle
condizioni? La ferita rischierebbe soltanto di aggravarsi inutilmente>>
<< Posso...>>
fece morire in gola la frase, espiando un sospiro di resa.
Levi, smontando
dal proprio destriero, iniziò a camminare stringendo ben salde le briglie.
<< Cerchiamo
un riparo>> ordinò, facendo cenno di seguirlo.
Casa
abbandonata poco distante dal Quartier generale in disuso della Legione
Esplorativa, ottobre, 851
Il sangue gocciolò
copioso dai guanti, imbrattando un grembiule già sporco di cremisi. La lama
lucente di un coltello penetrò nella carne del cadavere, incidendogli il petto
all’altezza del cuore.
Il buio della
notte imperava sovrano in quell’oscura e angusta stanza, colma di fogli scritti
ogni dove, persino attaccati al soffitto o ai lunghi fili da bucato che
passavano da una parete all’altra. Soltanto un piccolo lume di una candela
rischiarava un poco l’ambiente, delineando le uniche due figure presenti: una
camminava avanti e indietro, trafficando ora con affilati attrezzi, ora con
matite e gomme da cancellare; l’altra era un morto senza nome, disteso su un
tavolo coperto da un telo bianco.
Delle dita
affusolate estrassero il muscolo un tempo pulsante e iniziarono a premerlo con
estrema cautela, appuntando poi le osservazioni su un blocco da disegno, su cui
c’era raffigurata una riproduzione fedele della parte anatomica.
Gli occhi
castano-dorati cerchiati da pesanti occhiaie rimasero ad osservare ogni
millimetro del cuore, rimanendo affascinati da quella perfezione. Parole come Fantastico o Straordinario per qualche minuto riempirono il silenzio opprimente.
Quando però la
figura era in procinto di poggiarlo sul bancone per dirigersi a prendere una
penna stilografica, si bloccò, smettendo quasi di respirare. Con una mossa
fulminea afferrò la mannaia sanguinante, stringendo saldamente il manico e
rimanendo completamente immobile.
Soltanto quando
sentì un flebile rumore si voltò di scatto e corse verso la causa, con il coltello
alzato sopra al capo, fermandosi bruscamente a pochi centimetri dal viso
dell’intruso.
<<
Eren?>> domandò con voce incredula.
<< E
Oscar>> disse Wilde, sbucandogli alla schiena, mentre il quasi colpito
ebbe un mancamento << Ma che bel posticino... Elizabeth, non dovevi
essere in ospedale?>>
La ragazza poggiò
la mannaia e si tolse il grembiule, sospirando. Sui lunghi capelli corvini,
liscissimi, danzava il riflesso dell’unico lume acceso, la cui luce riusciva a
schiarire ancora di più la sua carnagione cadaverica. Gli occhi affusolati, a
mandorla, sapevano donare un’inquietudine insolita, causata principalmente del
colore singolare e intenso delle iridi. Non era molto alta, raggiungeva a
stento il metro e cinquantacinque, però aveva un fisico asciutto, a prima vista
inadatto al combattimento.
Se non fosse per
lo stemma riportato sulla giacca, nessuno avrebbe mai detto che fosse un membro
attivo del corpo di ricognizione, uno dei migliori tra l’altro, grazie alla sua
spiccatissima intelligenza e velocità. Ovviamente l’opinione pubblica era
totalmente contraria riguardo il mandare in prima linea un medico così
importante, ma era proprio Elizabeth Newton stessa a non voler rimanere
rinchiusa tra le mura di un ospedale, preferendo aiutare sul campo, uccidendo
Giganti e salvando parecchie vite di soldati.
<< Seppur
sono riconosciuta come uno dei maggiori dottori, rimango pur sempre un soldato
della Legione e tale voglio rimanere. Però la mia amica mi ha offerto questo
cadavere per studiarne la morte e... beh... dopo approfonditi studi sono
riuscita a comprendere che è morto per una malattia virale che si è espansa
fino a raggiungere i polmoni. Incredibile come si possa ancora morire per un
raffreddore, vero?>>
<< La tua
amica?>> domandò confuso Eren, dopo essersi ripreso dallo spavento
<< Come ha fatto a procurarsi un cadavere?>>
<< Fa la
becchina, è normale>> commentò Oscar, raccogliendo un paio di appunti da
terra << L’ho conosciuta, tipa un po’ eccentrica, ma piacevole>>
La giovane fulminò
con lo sguardo l’albino, prima di avanzare verso di lui, togliendosi i guanti
pregni di sangue.
<< Voi e il
vostro maschilismo>> ringhiò, visibilmente incupita << Credete che
noi donne siamo solo degli oggetti, non è così? Vero? Certo, tu ora ti vanti
per aver privato una ragazza della propria verginità, ma giuro che se oserai
mettere le tue luride mani sul corpo di quella povera fanciulla Lachesi, io ti
spezzo in due, ti ricompongo, e ti spezzo in quattro. È ancora minorenne e come
tale mi assumo la responsabilità di tenerle lontano ogni cane morto di
fame>>
<< In tal
proposito sei stata assoldata nella missione speciale>>
La dottoressa
guardò i due, aggrottando poi le sopracciglia non riuscendo a capire cosa
intendessero.
<< Missione
speciale?>>
<< Levi e
Lachesi non sono ancora tornati, però è tornato uno dei loro cavalli con
pesanti ferite>> spiegò Eren, prima di ricevere un’occhiata cupa, molto
cupa.
<< L’avete
lasciata sola con Levi? L’avete lasciata sola con un nano acido, cupo e
pervertito?! Ma si può sapere che avete al posto del cervello? Non abbiamo un
minuto da perdere! Come membro della nostra squadra, dobbiamo
proteggerla!>>
Detto questo,
senza nemmeno ascoltare le spiegazioni dei suoi compagni di squadra, li
trascinò fuori dalla cantina della casa diroccata. Il che Eren ringraziò,
perché la vista del cadavere smembrato era alquanto raccapricciante.
Con estrema
facilità la donna sistemò le cinghie del proprio dispositivo per la manovra
tridimensionale, che non abbandonava mai, persino nell’ospedale all’interno di
Wall Sina, poi procedette a grandi passi nel pantano, esortando malamente gli
altri due con fare da generale intransigente.
Foresta,
ottobre, 851
Lachesi,
rannicchiata a ridosso di quel che rimaneva di un muro, una volta appartenente
forse ad una abitazione, osservava ora Levi, ora la propria divisa fradicia e
pesante. Si domandava cosa gli passasse per la mente, perché aveva insistito a
fare il primo turno di guardia, permettendole di riposarsi.
Aveva anche
provato a domandarglielo, ma le parole le erano morte in gola, come se in cuor
suo volesse mantenere quel sacro silenzio che si era venuto a creare tra i due.
Un silenzio colmo di pensieri, riflessioni e ricordi.
Infatti Thàlassa
aveva già vissuto una simile pioggia, durante una terribile battaglia navale
che però aveva portato, oltre alla rovina gran parte della loro flotta, anche
ad una gloriosa vittoria. Ed era stata proprio lei a guidare le navi, a creare
una strategia tale da sfondare le linee nemiche contenendo il più possibile le perdite.
I lutti erano
stati lo stesso ingenti, poiché non abituati a combattere con le navi, ma mai
quanti avrebbero potuto essere se avessero seguito gli ordini dei Polemarchi.
Quella era stata la sua prima vittoria importante, poiché era riuscita a sbaragliare
i popoli provenienti dalla parte di mare ignoto, se non per qualche tratta
commerciale. La città natia della giovane era famosa per il commercio, oltre
che per la guerra, infatti tramite scambi riuscivano a procurarsi i ghepardi
corazzati per la parte dell’esercito chiamata peltasti, cavalieri armati alla
leggera che dovevano attirare a verso di sé l’attenzione dei Giganti sfuggiti
ai dardi esplosivi, in modo tale da permettere agli Assassini e agli Equites di
intervenire.
<<
Caporale>> disse lei, sedendosi vicino << Posso farlo io il turno
di guardia ora>>
In un primo
momento, lui la ignorò completamente, come se quella domanda fosse stata soltanto
un fastidioso rumore. Poi però, notando che la giovane non si spostava, anzi,
rimaneva ferma e gocciolante al suo fianco, iniziò a studiarla con lo sguardo.
<< Thàlassa,
non hai niente di meglio da fare?>> chiese infine, seccato.
<<
No>> gli rispose, strizzando una ciocca dei propri lunghi capelli.
Calò di nuovo il
silenzio, questa volta, con una leggera nota d’imbarazzo, interrotto ogni tanto
da qualche fastidioso starnuto, colpo di tosse o sospiro della fanciulla.
Un attività
interessante che quest’ultima trovò, fu osservare i lunghi
lombrichi che ogni
tanto sbucavano in superficie; quell’impiego l’aveva
talmente entusiasmata che uno di essi, particolarmente rompiscatole a
detta sua, lo aveva chiamato
Rivaille.
Levi, stanco
delle mirabolanti avventure del verme, interruppe quel delirio con una
questione che da tempo si poneva.
<< Come fai
a conoscere la nostra lingua?>>
Lachesi, smise di
passarsi da una mano all’altra Rivaille e indugiò un attimo a riflettere
sull’imminente risposta.
<< Beh,
grazie ai molti che in passato sono giunti nella nostra terra, i quali
parlavano la vostra lingua. Essendo nata in una città di commercianti, oltre
che di guerrieri, fin da piccola mi è stato imposto di imparare, oltre alla
nostra lingua, anche altri idiomi. Uno di questi è il vostro. Chissà, forse un
futuro questo studio sarà fruttuoso per qualche scambio e, o dichiarazione di
guerra>>
<< Non
combattete quindi solo contro i Giganti>>
<< Ogni
tanto siamo costretti a respingere attacchi di popoli, alcuni provenienti al di
là del mare. Mi ricordo ancora della battaglia sul mare che mi ha reso famosa.
Infatti il mio soprannome Thàlassa in parte deriva anche da quella. Ho
introdotto l’uso dei corvi, che sono della specie di passerelle uncinate che si
attaccano alla nave nemica per...>> lei si interruppe, dandogli
un’occhiata << Tu non hai mai visto il mare, vero?>>
<<
No>>
<< Sei
fortunato, almeno non ne puoi sentire la mancanza>>
Levi non comprese
in che modo potesse una persona legarsi ad un elemento naturale. Era come
affezionarsi ad un quadrato di terra per un individuo che proveniva dalla
campagna: totalmente insensato. Guardò il lombrico Rivaille, il quale
continuava a salire e scendere dalle dita affusolate dell’ex comandante,
comprendo poco a poco di aver parlato per la prima volta dopo una settimana con
Lachesi, senza impartirle ordini o criticarla, scoprendo così che dietro a
quell’armatura si trovava una persona.
<<
Sai>> disse la ragazza << Mio padre mi aveva spesso raccontato di
una civiltà che viveva rinchiusa in altissime mura. Io non gli volevo credere,
o più che altro, pensavo che erano soltanto storie inventate. Lui però
insisteva che era realtà, che le aveva viste con i suoi stessi occhi in
gioventù. Quando sono stata scacciata dalla mia patria, ho seguito questo suo
sogno, convinta ormai della mia morte certa>> Lachesi detto ciò, si alzò
facendo un sospiro rassegnato e andò a rannicchiarsi nuovamente nell’angolo.
Tutto si tacque.
Nulla più si mosse.
Fine terzo
capitolo!
Titolo capitolo:
Onda
Angolo
dell’autrice:
Ok, oggi
volevo parlare invece della figura nuova
di Elizabeth Newton. Lo so che per ordine di apparizione, in teoria ci sarebbe
Wilde, ma voglio tenere ancora all’oscuro quel personaggio.
Allora, ho scelto
il cognome Newton in onore ad Isaac Newton, principalmente perché lei... beh,
perché è stata la prima ad ideare il concetto del dispositivo per la manovra
tridimensionale, sfruttando le leggi della fisica. Ho detto troppo a riguardo,
quindi è meglio che mi cucia la bocca!
Nome: Elizabeth
Cognome: Newton
Soprannome:
Dottoressa, Iron Maiden
Anni: ???? (ne
dimostra una trentina, ma nessuno ha mai osato chiederle la sua vera età e chi
l’ha fatto non ha vissuto abbastanza per raccontarlo).
Colore capelli:
Neri
Colore occhi:
Castano dorato/oro intenso
Altezza: 154 cm,
seppur lei si ostini a reputarsi più alta di Levi, visto che i tacchi che non
abbandona mai le donano almeno dieci centimetri in più di altezza.
Cibo preferito: unicamente
cibo salutare
Armi: oltre alle
spade dell’equipaggiamento, le piace squartare i Giganti anche con un paio di
mannaie.
Ama: pensare
liberamente, la scienza, la scienza, la scienza...
Odia con tutto il
cuore: Levi e il maschilismo
Mal sopporta: Levi
e la monarchia
Guarda con odio:
Levi e i suoi colleghi di lavoro (dell’ospedale)