Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: _Lakshmi_    12/12/2013    4 recensioni
Se esistesse vita al di fuori delle mura? Se esistesse una civiltà evoluta?
Questa storia è incentrata sul personaggio di una giovane comandante, privata del proprio titolo, del proprio onore, delle proprie armi, capitata a Wall Rose per un maligno gioco del destino. Una ragazza che ha conosciuto il mare, da cui ha eredito la calma, ma anche l'impetuosità.
Una ragazza che ha conosciuto fin da subito il sangue, la morte e la freddezza della vita.
Dal capitolo quarto:
"[...] Ti immagini? Enormi animali, grandi quasi quanto dei Giganti, con lunghe zanne e grandi orecchie! Quando li abbiamo visti la prima volta eravamo rimasti un po’ spiazzati"
"Avete animali bizzarri..." commentò il Caporale con voce atona, non riuscendo ad immaginare l’animale appena citato.
"E voi attrezzature infernali" rise lei "Comunque gli Elefanti non sono nostri, ma di una tribù proveniente dall’estremo oriente, al di là delle altissime montagne. Sono uomini anche più bassi di te, sai?"

Al suo fianco ci saranno altri OC, alcuni dei quali comporranno una squadra molto particolare...
[...] Perché se esistevano persone così estroverse, talmente particolari da poter causare il suicidio di qualsiasi psichiatra, nulla poteva reputarsi infattibile.
Genere: Azione, Comico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rivaille, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Terzo Capitolo

Terzo Capitolo:

Κύμα

 

Una bambina dai cortissimi capelli castani di all’incirca sei anni afferrò una pesante spada e tentò di sollevarla, ma sprecò unicamente energie. Gli occhi azzurro ghiaccio diventarono sempre più lucidi, finché delle calde lacrime non iniziarono a scendere copiose lungo le guance.
Erano lacrime di rabbia, perché, essendo una donna, come le ripetevano i soldati più anziani, non sarebbe mai stata forte e non avrebbe mai potuto conseguire quella sfida incentrata prettamente sulla forza fisica. Non riusciva a comprenderne il motivo per il quale lei non potesse essere alla pari rispetto agli altri ragazzi, ma voleva dimostrare a loro di essere ugualmente temibile.
Ritentò di nuovo e questa volta riuscì, seppur la distanza che separava la lama dalla terra battuta fosse minima. Con il viso color rubino per la fatica continuò a sforzare i propri muscoli finché, per un breve istante, con fatica inumana, fu capace a tenerla al di sopra del proprio capo prima di ruzzolare sul suolo.
Rischiò ferirsi, ma un uomo con una mossa fulminea intervenne, afferrando la bambina e stringendola a sé. Aveva una mossa chioma castana, lunga fino alle spalle e delle penetranti iridi verde smeraldo in un viso dai lineamenti non troppo severi, su cui era dipinta un’espressione preoccupata.
<< Papà! Hai visto? Sono riuscita a sollevare la tua spada in oricalco!>> sorrise la piccola, mentre lasciava cadere l’arma e abbracciava felice la corazza del genitore << Sono uguale ai maschi! E presto diventerò uguale a te!>>
<< Lachesi...>> sospirò il padre, accarezzandole il capo << Perché mai vorresti somigliare agli altri bambini?>>
<< Beh... perché...>>
<< Tu hai ereditato la bellezza di tua madre, così come molte altre caratteristiche, ad esempio la testardaggine. Anche se intraprenderai la vita militare, non devi soffocare queste tue virtù>> le passò una mano callosa sul viso, sorridendo dolcemente << Certo, hai un grande potere dentro di te, ma ti prego, non trasformarti mai in un mostro>>
<< Di che potere parli?>> domandò curiosa Lachesi.
L’uomo si schiarì la voce, poi si alzò, tenendo in braccio la figlia.
<< Fatti crescere i capelli, perché altrimenti sembrerai uguale ai tuoi fratellastri>>
<< Papà!>> disse lei imbronciata << Non cambiare discorso!>>
<< Ricordati sempre che le donne, purtroppo, sono sempre più intelligenti degli uomini. E in un modo o nell’altro, riusciranno sempre a fregarli>>
<< Quando diventerò un comandante assieme a te, me lo dirai?>>
L’uomo non le rispose, limitandosi a baciarle la fronte.
La bambina non comprese il motivo di quel silenzio, perché era certa che quando sarebbe diventata grande, avrebbe comandato una falange assieme a suo padre. Era certa, perché quella era una promessa che lui le aveva fatto ancora anni prima.

 

 

Luogo sconosciuto, ottobre, anno 851

 

L’aria era pesante, pregna di fumo, di alcool e di varie essenze. Un odore talmente irrespirabile che il comandante, riconoscibile dall’armatura cesellata e dall’ampio mantello scarlatto, fu costretto a tossire più volte ancor prima di entrare.
Reazione che si acquietò quando, tra la leggera foschia e l’oscura penombra, riuscì a scorgere due figure su un ampio divano che occupava una parte della parete alla sua sinistra: una maschile, seduta, dal fisico ben sviluppato seppur ormai di mezza età e una femminile, posta sulle ginocchia del primo, svestita, la quale si divertiva a giocherellare con la lunga chioma bionda dell’uomo.
Il soldato si fermò davanti alla coppia, cercando di distogliere lo sguardo dalle curve della donna, concentrando l’attenzione sugli occhi azzurro elettrico dell’individuo, attendendo pazientemente un ordine, mentre i due si scambiavano diverse effusioni amorose.
<< Agápe, sei qui forse perché vuoi unirti a noi?>> rise l’uomo.
<< No, mio Türannos. Sono qui perché voi mi avete convocato>>
<< Oh, già, che sbadato>> finse, passandosi un dito sulle labbra sottili << Ti ho convocato perché non mi ricordo più il nome della mia defunta moglie...>>
A quell’affermazione, il milite ebbe una lieve reazione colta subito dal suo interlocutore che lo incitò a rispondere con un gesto svogliato della mano.
<< Lachesi, signore?>>
<< Esatto! Lachesi. Perché tu, come ti avevo ordinato, l’hai uccisa non appena è entrata nella foresta, vero, mio fidato amico?>>
<< Certo, Pólemos>>
Pólemos iniziò a ridere sguaiatamente, mostrando addirittura i suoi affilati denti lucenti, più simili a fauci di un predatore che di un essere umano. In un secondo momento si ricompose, bevendo un lungo sorso di vino.
<< Ho voglia di vedere l’occidente, sai
Agápe? Voglio vedere con i miei stessi occhi quella terra. Per questo partirò a breve e porterò con me la mia nuova, bellissima Thàlassa>>
La donna fece un risolino di assenso, baciandogli poi la fronte.
<< Per l’occidente, signore?>> domandò incredulo il comandante.
<< Finché starò via lascerò a te il comando. Non voglio incontrare nessuna sorpresa>>
<< Non ne incontrerete>> rispose Agápe, dopo un minuto di silenzio, facendo poi un inchino meccanico e storcendo lievemente la bocca in un’impercettibile espressione sprezzante.
Il Türannos congedò il suo sottoposto, facendo un aperto ghigno mentre accarezzava il volto stupendo, pulito, privo di ogni imperfezione della giovane ragazza al suo fianco.

 
Foresta non molto lontana dal quartier generale in disuso della Legione Esplorativa, ottobre, 851.

 
Il vento mosse la lunga chioma castana legata in una treccia di Lachesi, un vento fresco, tuttavia carico di tempesta. Thàlassa si spostava da un ramo all’altro, usando l’equipaggiamento per la manovra tridimensionale; non padroneggiando ancora quella tecnica, aveva rischiato spesso di scivolare o  schiantarsi contro i tronchi degli alberi, ma grazie alla propria mente fredda era riuscita a mettere in atto quei pochi insegnamenti che Levi le aveva concesso prima di metterla alla prova.
Era sempre stata abile nell’imparare e tener a mente lezioni di vita, che poi metteva in pratica nel momento del bisogno. Come le avevano insegnato durante l’addestramento nella sua infanzia, non si apprendeva nulla se poi non serviva al presente o ad un imminente futuro; persino la danza, che lei eseguiva in modo sciolto,  divino, fungeva a ingraziarsi il favore degli Dei prima di battaglie o durante cerimonie importanti.
Anche in quell’occasione aveva dovuto apprendere qualcosa per pura necessità, per poter uccidere i Giganti e per avere una speranza in più per sopravvivere. O forse no.
Lachesi si fermò un attimo su un ramo, a riflettere riguardo quella bizzarra e insolita sensazione. A lei non serviva quell’attrezzatura, era ugualmente capace di sterminare gli abomini anche grazie alle proprie capacità fisiche e alle dottrine passate. Perché quindi stava facendo ciò?
Per divertimento? Perché temeva le ire di un nano di centosessanta centimetri?
No, niente di tutto ciò. Bensì per la libertà che riusciva ad assaporare danzando così scioltamente in aria. Per la prima volta era libera, non aveva catene al collo o anelli alle dita e non doveva sottostare ad ordini di superiori. O perlomeno, non totalmente.
<< Ohi, muoviti scansafatiche>> la rimproverò il Caporale Maggiore, raggiungendola << Hai ancora molto da imparare, soprattutto sul controllo del gas>>
<< Scusi se mia madre non mi ha partorito con l’attrezzatura>> brontolò Thàlassa, seppur fosse consapevole dei propri errori.
<< Dirigiti ai cavalli, bisogna tornare al quartier generale>> Levi la guardò mentre si preparava a ripartire e quando fu pronta, la fermò per un momento, con sguardo cupo << Ricordati di portarmi rispetto, Thàlassa. Sei nella mia squadra ora>>
<< Ne sono cosciente, Caporale. In ogni caso lo terrò a mente>>
Un rombo di un tuono echeggiò gorgheggiante, segno di un imminente temporale. Lachesi guardò il cielo notando l’addensarsi delle nubi, mentre le prime gocce iniziavano a cadere al suolo.
Non era stato un giorno adatto per l’allenamento speciale fin dal principio: lei aveva storto il naso quando le era stato comunicato che, dovendo imparare il prima possibile l’uso della manovra tridimensionale, era costretta ad addestrarsi con il Caporale Maggiore il quale non era famoso per la sua bontà, soprattutto quando bisognava rimproverare qualcuno.
Di fatto i primi tentativi dell’ex generale con quella nuova attrezzatura erano stati un completo disastro e lui non aveva certo risparmiato  gli insulti, provocando non poco il suo animo battagliero. Così lei aveva provato e riprovato per l’intera giornata, ottenendo, oltre ad una serie di lividi su tutto il corpo, netti miglioramenti. Principalmente per dimostrargli che i suoi pesanti richiami erano totalmente infondati, ma anche per soddisfazione personale.
Arrivarono ai cavalli quando ormai la pioggia era diventata pungente e fitta, ricca di fulmini che di tanto in tanto illuminavano la volta grigiastra.
Thàlassa si domandò se il tempo fosse stato contro di lei, visto che normalmente un temporale così violento non sarebbe dovuto scoppiare in un modo così improvviso. Forse le divinità che tanto rispettava avevano voluto giocare con la sua vita, rendendola ancora più invivibile di quel che già era.
Sciogliendo le briglie del proprio cavallo nero con grandi macchie bianche, una delle quali sull’occhio sinistro, montò in sella, attendendo il proprio superiore.
<< Muoviamoci>> esortò l’uomo.
Lei spronò il quadrupede e per un tratto di strada questo, seppur terribilmente irrequieto, sottostò ai suoi comandi.
L’acqua si fece sempre più pesante, tanto che tenere o abbassare il cappuccio risultò totalmente inutile, superfluo come la vista; persino i destrieri facevano fatica ad avanzare, poiché il terreno era diventato fangoso e quasi impraticabile. Ma fu un violento tuono a far saltare i nervi saldi del purosangue pezzato, facendolo imbizzarrire e galoppare in una folle corsa verso la foresta.
Invano, Lachesi tentò di frenarlo ma lui continuava imperterrito, finché non s’imbatté in un incendio. Allora virò bruscamente facendo quasi cadere la giovane che rimase impigliata con il piede in una staffa.
L’animale la trascinò per un lungo tragitto, finché i cavi dell’equipaggiamento tridimensionale impiantandosi in una corteccia di un albero, non lo obbligarono ad arrestarsi. Tale operazione però causò una dislocazione delle articolazioni a Thàlassa, la quale non poté più alzarsi finché la sua costituzione non le avrebbe risanato la terribile e dolorosa ferita.
Levi riuscì a raggiungerla e le si fermò davanti. La ragazza si teneva l’arto ferito, tentando però di mascherare il più possibile le note di dolore che le segnavano il volto.
<< Ohi, riesci ad alzarti?>> domandò lui.
<< Dammi un minuto>> gli rispose, mentre cercava un appiglio per risollevarsi << Dobbiamo fare presto a tornare, altrimenti l’incendio ci raggiungerà>> continuò, cercando di spostare la discussione sul nemico più imminente.
<< Senza il tuo cavallo?>>
<< Posso benissimo correre>> ribatté lei, reggendosi saldamente in piedi, seppur la ferita le dolesse.
<< In quelle condizioni? La ferita rischierebbe soltanto di aggravarsi inutilmente>>
<< Posso...>> fece morire in gola la frase, espiando un sospiro di resa.
Levi, smontando dal proprio destriero, iniziò a camminare stringendo ben salde le briglie.
<< Cerchiamo un riparo>> ordinò, facendo cenno di seguirlo.

 
Casa abbandonata poco distante dal Quartier generale in disuso della Legione Esplorativa, ottobre, 851

 

Il sangue gocciolò copioso dai guanti, imbrattando un grembiule già sporco di cremisi. La lama lucente di un coltello penetrò nella carne del cadavere, incidendogli il petto all’altezza del cuore.
Il buio della notte imperava sovrano in quell’oscura e angusta stanza, colma di fogli scritti ogni dove, persino attaccati al soffitto o ai lunghi fili da bucato che passavano da una parete all’altra. Soltanto un piccolo lume di una candela rischiarava un poco l’ambiente, delineando le uniche due figure presenti: una camminava avanti e indietro, trafficando ora con affilati attrezzi, ora con matite e gomme da cancellare; l’altra era un morto senza nome, disteso su un tavolo coperto da un telo bianco.
Delle dita affusolate estrassero il muscolo un tempo pulsante e iniziarono a premerlo con estrema cautela, appuntando poi le osservazioni su un blocco da disegno, su cui c’era raffigurata una riproduzione fedele della parte anatomica.
Gli occhi castano-dorati cerchiati da pesanti occhiaie rimasero ad osservare ogni millimetro del cuore, rimanendo affascinati da quella perfezione. Parole come Fantastico o Straordinario per qualche minuto riempirono il silenzio opprimente.
Quando però la figura era in procinto di poggiarlo sul bancone per dirigersi a prendere una penna stilografica, si bloccò, smettendo quasi di respirare. Con una mossa fulminea afferrò la mannaia sanguinante, stringendo saldamente il manico e rimanendo completamente immobile.
Soltanto quando sentì un flebile rumore si voltò di scatto e corse verso la causa, con il coltello alzato sopra al capo, fermandosi bruscamente a pochi centimetri dal viso dell’intruso.
<< Eren?>> domandò con voce incredula.
<< E Oscar>> disse Wilde, sbucandogli alla schiena, mentre il quasi colpito ebbe un mancamento << Ma che bel posticino... Elizabeth, non dovevi essere in ospedale?>>
La ragazza poggiò la mannaia e si tolse il grembiule, sospirando. Sui lunghi capelli corvini, liscissimi, danzava il riflesso dell’unico lume acceso, la cui luce riusciva a schiarire ancora di più la sua carnagione cadaverica. Gli occhi affusolati, a mandorla, sapevano donare un’inquietudine insolita, causata principalmente del colore singolare e intenso delle iridi. Non era molto alta, raggiungeva a stento il metro e cinquantacinque, però aveva un fisico asciutto, a prima vista inadatto al combattimento.
Se non fosse per lo stemma riportato sulla giacca, nessuno avrebbe mai detto che fosse un membro attivo del corpo di ricognizione, uno dei migliori tra l’altro, grazie alla sua spiccatissima intelligenza e velocità. Ovviamente l’opinione pubblica era totalmente contraria riguardo il mandare in prima linea un medico così importante, ma era proprio Elizabeth Newton stessa a non voler rimanere rinchiusa tra le mura di un ospedale, preferendo aiutare sul campo, uccidendo Giganti e salvando parecchie vite di soldati.
<< Seppur sono riconosciuta come uno dei maggiori dottori, rimango pur sempre un soldato della Legione e tale voglio rimanere. Però la mia amica mi ha offerto questo cadavere per studiarne la morte e... beh... dopo approfonditi studi sono riuscita a comprendere che è morto per una malattia virale che si è espansa fino a raggiungere i polmoni. Incredibile come si possa ancora morire per un raffreddore, vero?>>
<< La tua amica?>> domandò confuso Eren, dopo essersi ripreso dallo spavento << Come ha fatto a procurarsi un cadavere?>>
<< Fa la becchina, è normale>> commentò Oscar, raccogliendo un paio di appunti da terra << L’ho conosciuta, tipa un po’ eccentrica, ma piacevole>>
La giovane fulminò con lo sguardo l’albino, prima di avanzare verso di lui, togliendosi i guanti pregni di sangue.
<< Voi e il vostro maschilismo>> ringhiò, visibilmente incupita << Credete che noi donne siamo solo degli oggetti, non è così? Vero? Certo, tu ora ti vanti per aver privato una ragazza della propria verginità, ma giuro che se oserai mettere le tue luride mani sul corpo di quella povera fanciulla Lachesi, io ti spezzo in due, ti ricompongo, e ti spezzo in quattro. È ancora minorenne e come tale mi assumo la responsabilità di tenerle lontano ogni cane morto di fame>>
<< In tal proposito sei stata assoldata nella missione speciale>>
La dottoressa guardò i due, aggrottando poi le sopracciglia non riuscendo a capire cosa intendessero.
<< Missione speciale?>>
<< Levi e Lachesi non sono ancora tornati, però è tornato uno dei loro cavalli con pesanti ferite>> spiegò Eren, prima di ricevere un’occhiata cupa, molto cupa.
<< L’avete lasciata sola con Levi? L’avete lasciata sola con un nano acido, cupo e pervertito?! Ma si può sapere che avete al posto del cervello? Non abbiamo un minuto da perdere! Come membro della nostra squadra, dobbiamo proteggerla!>>
Detto questo, senza nemmeno ascoltare le spiegazioni dei suoi compagni di squadra, li trascinò fuori dalla cantina della casa diroccata. Il che Eren ringraziò, perché la vista del cadavere smembrato era alquanto raccapricciante.
Con estrema facilità la donna sistemò le cinghie del proprio dispositivo per la manovra tridimensionale, che non abbandonava mai, persino nell’ospedale all’interno di Wall Sina, poi procedette a grandi passi nel pantano, esortando malamente gli altri due con fare da generale intransigente.

 
Foresta, ottobre, 851

 
Lachesi, rannicchiata a ridosso di quel che rimaneva di un muro, una volta appartenente forse ad una abitazione, osservava ora Levi, ora la propria divisa fradicia e pesante. Si domandava cosa gli passasse per la mente, perché aveva insistito a fare il primo turno di guardia, permettendole di riposarsi.
Aveva anche provato a domandarglielo, ma le parole le erano morte in gola, come se in cuor suo volesse mantenere quel sacro silenzio che si era venuto a creare tra i due. Un silenzio colmo di pensieri, riflessioni e ricordi.
Infatti Thàlassa aveva già vissuto una simile pioggia, durante una terribile battaglia navale che però aveva portato, oltre alla rovina gran parte della loro flotta, anche ad una gloriosa vittoria. Ed era stata proprio lei a guidare le navi, a creare una strategia tale da sfondare le linee nemiche contenendo il più possibile le perdite.
I lutti erano stati lo stesso ingenti, poiché non abituati a combattere con le navi, ma mai quanti avrebbero potuto essere se avessero seguito gli ordini dei Polemarchi. Quella era stata la sua prima vittoria importante, poiché era riuscita a sbaragliare i popoli provenienti dalla parte di mare ignoto, se non per qualche tratta commerciale. La città natia della giovane era famosa per il commercio, oltre che per la guerra, infatti tramite scambi riuscivano a procurarsi i ghepardi corazzati per la parte dell’esercito chiamata peltasti, cavalieri armati alla leggera che dovevano attirare a verso di sé l’attenzione dei Giganti sfuggiti ai dardi esplosivi, in modo tale da permettere agli Assassini e agli Equites di intervenire.
<< Caporale>> disse lei, sedendosi vicino << Posso farlo io il turno di guardia ora>>
In un primo momento, lui la ignorò completamente, come se quella domanda fosse stata soltanto un fastidioso rumore. Poi però, notando che la giovane non si spostava, anzi, rimaneva ferma e gocciolante al suo fianco, iniziò a studiarla con lo sguardo.
<< Thàlassa, non hai niente di meglio da fare?>> chiese infine, seccato.
<< No>> gli rispose, strizzando una ciocca dei propri lunghi capelli.
Calò di nuovo il silenzio, questa volta, con una leggera nota d’imbarazzo, interrotto ogni tanto da qualche fastidioso starnuto, colpo di tosse o sospiro della fanciulla.
Un attività interessante che quest’ultima trovò, fu osservare i lunghi lombrichi che ogni tanto sbucavano in superficie; quell’impiego l’aveva talmente entusiasmata che uno di essi, particolarmente rompiscatole a detta sua, lo aveva chiamato Rivaille.
Levi, stanco delle mirabolanti avventure del verme, interruppe quel delirio con una questione che da tempo si poneva.
<< Come fai a conoscere la nostra lingua?>>
Lachesi, smise di passarsi da una mano all’altra Rivaille e indugiò un attimo a riflettere sull’imminente risposta.
<< Beh, grazie ai molti che in passato sono giunti nella nostra terra, i quali parlavano la vostra lingua. Essendo nata in una città di commercianti, oltre che di guerrieri, fin da piccola mi è stato imposto di imparare, oltre alla nostra lingua, anche altri idiomi. Uno di questi è il vostro. Chissà, forse un futuro questo studio sarà fruttuoso per qualche scambio e, o dichiarazione di guerra>>
<< Non combattete quindi solo contro i Giganti>>
<< Ogni tanto siamo costretti a respingere attacchi di popoli, alcuni provenienti al di là del mare. Mi ricordo ancora della battaglia sul mare che mi ha reso famosa. Infatti il mio soprannome Thàlassa in parte deriva anche da quella. Ho introdotto l’uso dei corvi, che sono della specie di passerelle uncinate che si attaccano alla nave nemica per...>> lei si interruppe, dandogli un’occhiata << Tu non hai mai visto il mare, vero?>>
<< No>>
<< Sei fortunato, almeno non ne puoi sentire la mancanza>>
Levi non comprese in che modo potesse una persona legarsi ad un elemento naturale. Era come affezionarsi ad un quadrato di terra per un individuo che proveniva dalla campagna: totalmente insensato. Guardò il lombrico Rivaille, il quale continuava a salire e scendere dalle dita affusolate dell’ex comandante, comprendo poco a poco di aver parlato per la prima volta dopo una settimana con Lachesi, senza impartirle ordini o criticarla, scoprendo così che dietro a quell’armatura si trovava una persona.
<< Sai>> disse la ragazza << Mio padre mi aveva spesso raccontato di una civiltà che viveva rinchiusa in altissime mura. Io non gli volevo credere, o più che altro, pensavo che erano soltanto storie inventate. Lui però insisteva che era realtà, che le aveva viste con i suoi stessi occhi in gioventù. Quando sono stata scacciata dalla mia patria, ho seguito questo suo sogno, convinta ormai della mia morte certa>> Lachesi detto ciò, si alzò facendo un sospiro rassegnato e andò a rannicchiarsi nuovamente nell’angolo.
Tutto si tacque. Nulla più si mosse.

 
Fine terzo capitolo!

 
Titolo capitolo: Onda

 
Angolo dell’autrice:

 
Ok, oggi volevo  parlare invece della figura nuova di Elizabeth Newton. Lo so che per ordine di apparizione, in teoria ci sarebbe Wilde, ma voglio tenere ancora all’oscuro quel personaggio.
Allora, ho scelto il cognome Newton in onore ad Isaac Newton, principalmente perché lei... beh, perché è stata la prima ad ideare il concetto del dispositivo per la manovra tridimensionale, sfruttando le leggi della fisica. Ho detto troppo a riguardo, quindi è meglio che mi cucia la bocca!

 
Nome: Elizabeth
Cognome: Newton
Soprannome: Dottoressa, Iron Maiden
Anni: ???? (ne dimostra una trentina, ma nessuno ha mai osato chiederle la sua vera età e chi l’ha fatto non ha vissuto abbastanza per raccontarlo).
Colore capelli: Neri
Colore occhi: Castano dorato/oro intenso
Altezza: 154 cm, seppur lei si ostini a reputarsi più alta di Levi, visto che i tacchi che non abbandona mai le donano almeno dieci centimetri in più di altezza.
Cibo preferito: unicamente cibo salutare
Armi: oltre alle spade dell’equipaggiamento, le piace squartare i Giganti anche con un paio di mannaie.
Ama: pensare liberamente, la scienza, la scienza, la scienza...
Odia con tutto il cuore: Levi e il maschilismo
Mal sopporta: Levi e la monarchia
Guarda con odio: Levi e i suoi colleghi di lavoro (dell’ospedale)

  
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