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Autore: TrixieBlack    12/12/2013    6 recensioni
Alto e slanciato, lineamenti duri e taglienti, capelli scuri, occhi fieri di un grigio indefinito, mi sorrise mettendo in mostra i suoi denti perfetti, con un’espressione gentile e malandrina allo stesso tempo. Alzando il mento, mi tese la mano. “Piacere, Sirius Black.” Timida, restituii il sorriso, dimenticandomi di presentarmi. “Sirius”, pensai solo, “come la costellazione”.
Ed era proprio Sirius la stella che avrebbe illuminato la mia vita.
Genere: Comico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Al mio fennec

Quarantesimo capitolo: L’INIZIO
 

Novembre arrivò, portando con sé un freddo tagliente e una nebbia soffusa e persistente, un silenzio immobile che avvolgeva gli scheletri degli alberi, spegneva i colori e diffondeva una dolce malinconia. Il lago era interamente celato da quella bruma sottile e opaca, e solo in alcuni punti lo scintillio nero dell’acqua si lasciava intravedere, misterioso.
Tutto in quella quiete profonda e indifferente dava l’illusione di una nuova tranquillità, tranquillità che tuttavia, a Hogwarts, sarebbe sempre stato impossibile trovare.
 
Quella sera io e Heloïse tornavamo a passo spedito dalle cucine, i vassoi tra le braccia stracolmi delle migliori prelibatezze che avevamo accuratamente selezionato tra le riserve degli elfi domestici. C’era davvero un po’ di tutto, ciambelle spruzzate di zucchero a velo, qualche fetta di torta al cioccolato, biscotti appena sfornati e persino, in magico – magico davvero – equilibrio, quattro fumanti tazze di cioccolata calda con panna. Juliet e Georgia sarebbero state fiere di noi, poco ma sicuro.
Il programma della serata era un semplice pigiama-party tra compagne di dormitorio e migliori amiche, un’abitudine a noi familiare fin dal secondo anno che ultimamente avevamo un po’ lasciato andare. Heloïse quella volta aveva insistito e si era impegnata perché tutto fosse perfetto, proponendosi persino di riordinare la stanza e facendo in modo che Kenny riuscisse a procurarci – non importava in quale maniera illegale – qualche leccornia dalle cantine di Mielandia. Perciò non mi stupii più di tanto quando, dopo sette piani di scale, aprendo la porta della camera mi ritrovai di fronte a uno spettacolo piuttosto insolito: i due letti centrali, quelli di Heloïse e Georgia, erano stati uniti in modo da formare un’unica, immensa isola scarlatta, sopra la quale regnavano cumuli di caramelle di tutti i tipi, dalle forme più disparate e i colori accesi. Se lo scopo di Heloïse era quello di renderci entusiaste di fronte alla prospettiva di una serata di pettegolezzi  e stupidaggini, potevamo dire che ci stesse quasi riuscendo.
“Perfetto!”, esclamò Heloïse, soddisfatta, proprio mentre Juliet usciva dal bagno nel suo accappatoio verdino, i capelli sgocciolanti e un asciugamano in mano.
“Ma che roba è?”, borbottò, scrutando con aria diffidente l’ordine decisamente poco naturale che dominava la stanza. Poi però si accorse dei vassoi e delle caramelle, e si illuminò tutta.
“Ah, vi amo.”, esultò, buttandosi di pancia sopra il letto e afferrando dal mucchio la prima ciambella. Georgia la seguiì senza farsi invitare, appropriandosi di una manciata di di Api Frizzole, le sue preferite. Mentre le due bisticciavano su cosa spettasse di diritto all’una o all’altra, Heloïse si munì del suo cuscino panciuto e si installò in una posizione strategica, da dove riusciva a tenere sotto controllo sia le scorte alimentari sia noi tre, e contemporaneamente tempestarci di notizie a proposito di un concerto delle Sorelle Stravagarie, gruppo allora ancora poco conosciuto, a cui voleva assolutamente portarci durante le vacanze di Natale. Dovette arrendersi del tutto, però, quando si rese conto che io mi ero completamente estraniata dalla conversazione e che Georgia e Juliet si stavano dedicando con trasporto all’esaminazione di un pacchetto di gomme da masticare dall’aria evidentemente sospetta. “Uffa, mi ascoltate?”, si lamentò. “Ho un sacco di cose da dirvi!”
“Io queste non le ho mai viste, a Mielandia.”
“Nemmeno io. E ti assicuro che conosco a memoria tutte le varietà di Bolle Bollenti, tutte…”
Heloïse sbuffò rumorosamente, e Georgia alzò gli occhi su di lei, mentre Juliet continuava ad analizzare il pacchetto con circospezione. “Tu ne sai qualcosa, Heloïse?”
“Ha preso tutto Kenny, io non c’entro niente…”
“Bene, allora è evidente che non dobbiamo fidarci.”, concluse Georgia in tono definitivo, allontanandosi frettolosamente dal pericoloso oggetto.
Juliet annuì, con aria rassegnata.  “Peccato, sembravano buone.”
“Certo, come minimo saranno piene di caccole di drago…”
“Tutto questo è molto interessante”, si inserì Heloïse, sgarbatamente. “Georgia, tu non eri a dieta per la prossima partita?”
“Schiocchezze, quando mai l’avrei detto?”
“Certo, quando mai l’avrebbe detto?”, si inserì Juliet, sghignazzando. “Georgia, teoricamente tu sei a dieta da quando ti conosco…”
“Ah, Juliet, stai zitta, pensa ai tuoi problemi!”
“Che cosa ho detto di male?”
“Ultimamente sei proprio insopportabile!”
“Ma non è vero, che cosa vuoi, Georgia?”
“È vero, invece.”, ribadì coraggiosamente Heloïse, mentre io, in tutto ciò, me ne stavo tranquilla in disparte a bere la mia cioccolata calda e guardarle bisticciare.
“Non è vero.”
“È vero…”
“Non è vero.”
“Se solo ti decidessi a parlare con quel maledetto Lupin, allora…”
Che cosa?! Chi dovrebbe parlare con chi, scusate? ” Dopo la sua veemente esclamazione Juliet sembrò rimanere senza parole da quanto era indignata. Perciò si limitò ad afferrare il suo cuscino e a sbatterlo addosso a Georgia, giusto in modo da assicurarsi che l’idea di una possibile riappacificazione tra lei e Remus – almeno da parte sua – uscisse in fretta dalla testa dell’amica.
“Il punto, Juliet”, si inserì Heloïse, per nulla impressionata, “è che sei sempre arrabbiata e non mi lasci nemmeno copiare i compiti, motivo per cui Lumacorno mi ha messo di nuovo in punizione…”
“Ehi, ora che ci penso, anche io sono in punizione perché Juliet non mi ha lasciato copiare i compiti…”,
“E questo cosa c’entra? Non ci vedo proprio niente di male.”, si difese lei. “E non dite sciocchezze,  ve li faccio copiare sempre! Bea, non è vero?”
“Cosa?”, domandai confusa, la bocca vergognosamente impiastricciata di cioccolata.
“Juliet, lasciala perdere.”, sbuffò Heloïse, sogghignando. “Lei pensa ad altro, non è vero, Bice? Per esempio, stasera hai qualcosa in programma?”
Arrossii in modo colpevole, mentre Georgia incrociava le braccia al petto, guardandomi severamente. “Io… in verità...”, balbettai, parecchio imbarazzata. “Benjy mi aveva chiesto…”
“Ah, lo sapevo!”, urlò Georgia, a metà tra il trionfante e l’infuriato. “Giuro che è l’ultima sera che ti lascio uscire con Benjy!”
Juliet scoppiò a ridere. “Ma Georgia, per Merlino…”
“Sì, veramente, Georgia.”, sbuffò Heloïse. “Lasciala stare e trovati qualcun altro da maltrattare, tipo Baston. Ah, già, lui lo maltratti abbastanza anche così…”
“Senti un po’, Heloïse!”, esclamò Georgia, imbronciata. “Io maltrattatto chi voglio. Perché prima di accusare me non mi spieghi come diamine è possibile che non esci con qualcuno da… dai tempi di Jack?”
“E questo che cosa c’entra?”, replicò Heloïse, sorridendo con superiorità. “Comunque, è molto semplice. I ragazzi non mi interessano più.”
A quell’assurda affermazione scoppiammo tutte tre a ridere, così fragorosamente che per un po’ fu impossibile per Heloïse aggiungere qualcosa in sua difesa.
Quando mi resi conto che era ormai si era fatto tardi mi alzai dal letto, mi rifeci lo chignon quasi del tutto sfatto e mi rassettai velocemente  i vestiti. “Sentite, io ora dovrei proprio andare…”
“Sì, corri da Benjy, brava.”, borbottò Georgia, tremendamente offesa.
“Non lo farò più, Georgia, te lo prometto.” Ridacchiai un po’ nervosamente, affrettandomi verso l’uscita e inciampando a metà strada sulla borsa di Juliet.
“Divertitevi, mi raccomando”. Heloïse mi sorrise, sorniona, mentre mi richiudevo la porta alle spalle con un sbuffo esasperato.
 
Sospirai di sollievo, poi mi ricordai di quello che mi aspettava e una nuova ondata di ansia mi investì. Mi guardai brevemente attorno, e lo individuai immediatamente: a metà delle scale, un piede che scalciava con impazienza contro la ringhiera e le braccia incrociate al petto in modo scocciato, mi aspettava Sirius.
“Ce ne hai messo!”, sbottò, rivolgendomi una smorfia che poteva sembrare un sorriso a metà tra il complice e l’esasperato. “Sei in ritardo, ti aspetto da…”
“Scusami, va bene?”, esclamai, scuotendo la testa e seguendolo mentre scendeva in fretta i gradini, senza aspettarmi.
“Hai detto che uscivi con Benjy?”
“Ovviamente.”
Sirius sogghignò, improvvisamente di buonumore. “Sai cosa penserebbero le tue amiche se si affacciassero dalla porta e ci vedessero, vero?”
“Sbrigati, dai.”, borbottai spingendolo giù dalle scale e trattenendo a stento un sorrisetto divertito. Per precauzione accelerai il passo. La sala comune non era ancora vuota, ma fortunatamente nessuno sembrò notarci troppo, mentre andavamo verso verso il passaggio dietro al ritratto. Appena al sicuro da occhi indiscreti Sirius tirò fuori dalla tasca la Mappa del Malandrino e si mise a studiarla. “Bene.”, esclamò, afferrandomi per il braccio e trascinandomi in mezzo al corridoio. “Gli ultimi tre piani sono liberi, Gazza sta zoppicando verso Barnaba il Babbeo e… Mrs Purr è nelle cantine.”
Camminando in fretta rasente i muri e oltrepassando stretti passaggi in cui raramente mi ero imbattuta, scale che non stavano mai ferme e corridoi tortuosi, Sirius mi guidò con sicurezza attraverso il castello. Soltanto al secondo piano, dove Pix il Poltergeist aleggiava spostandosi di corridoio in corridoio, fummo costretti a fermarci dietro una colonna e aspettare, per poi correre via, fino alle porte della Sala Grande, buia e misteriosa nel suo completo silenzio. Le uniche cose che riuscivo a sentire erano il battito del mio cuore rimbombare violento nelle vene e il rumore dei cardini del portone, che  Sirius aveva aperto con un incantesimo.
 
Per un attimo mi soffermai sotto il cielo, incantata e timorosa  in pari misura.  Le nuvole sembravano correre veloci, allontanarsi da quel chiarore argenteo che si diffondeva piano, delineando le forme degli alberi spogli e la brina che ghiacciava i prati; gli lasciavano spazio, quasi lo temessero, e io in cuor mio, in quell’attimo di follia in cui l’angoscia mi impediva di collegare i pensieri, non potei che dare loro ragione.  Ancora una volta Sirius non mi aspettò e partì in fretta verso la figura che faceva da riferimento all’immensa desolazione di novembre, l’albero più grande di tutti, e anche il più pericoloso. Mentre gli arrancavo dietro sapevo che pensavamo entrambi alla stessa cosa, che l’ultimo plenilunio in cui ci eravamo ritrovati insieme era stato quello che aveva segnato il concludersi  di tutto, che era passato un tempo infinito e che eppure avrei saputo ripetere parola per parola quello che gli avevo gridato contro quella notte. E dallo sguardo che Sirius mi rivolse quando si girò a controllare che ci fossi ancora, seppi che quello che gli avevo detto quella notte, lo ricordava bene anche lui.
Qualcuno aveva lasciato un bastone vicino al Platano Picchiatore. Sirius lo raccolse, sempre senza parlare, lo allungò fino a toccare il tronco e i rami smisero di agitarsi, pietrificati come per magia. A separarci da quello che ci aspettava non restava che quel tunnel, e in vita mia non mi era mai sembrato così stretto, lungo e faticoso. Sirius si trasformò  in cane per passarci più facilmente e mi precedette senza esitazione. Quando ormai l’affanno e il timore per quello che avrei trovato dall’altra  parte erano aumentati fino a diventare insostenibili, Sirius spalancò la porta con il muso e atterrò scivolando sul pavimento sudicio.
Le tre figure si intravedevano appena nella penombra, nonostante l’oscurità stesse già cedendo il posto al bagliore bianco e opaco della luna, simile a quello dei Patroni e terribile nella sua purezza ingannatrice.
Ero di nuovo lì, a mesi di distanza dall’ultima volta, e spaventata come se si trattasse della prima. Guardavo Remus, tremante in ginocchio sul pavimento, e sentivo che non avrei potuto essere da nessun’altra parte se non lì a sorreggerlo, che sarei rimasta con lui nonostante i rischi, le regole infrante e le sue stesse paure, perché era tutto quello che c’era da fare, e perché speravo che un giorno anche lui avrebbe finito per accorgersi della persona che era.
James mi sorrise, scherzoso. “Nervosa, Scricciolo?” Scossi la testa con decisione, e seguendo l’esempio di Peter, iniziai a girare in tondo per la stanza angusta, facendo di tutto per distrarmi dall’immagine di Remus piegato in due dal dolore. Presto la luna sarebbe comparsa e avrebbe messo fine a tutto.
Un gemito incontrollato mi costrinse a fermarmi, nello stesso istante un raggio di luna attraversò la finestra rotta rischiarando l’intera stanza e colpendoci con violenza.
A un cenno silenzioso di James presi la forma del mio Animagus, proprio mentre Remus si tramutava in licantropo. Schizzai fuori dalla finestra prima di tutti gli altri, nella notte chiara e fredda , volando per liberarmi di quell’agitazione , un misto di timore e trepidazione che da umana non riuscivo a gestire. Cervo, cane e lupo si inseguivano sotto di me e c’era qualcosa di infinitamente bello nel guardare dall’alto le loro schiene coperte di pelo folto, che si curvavano e distendevano a ritmo di corsa. Mi abbassai fino a sentire le folate d’aria spostate dal loro passaggio agitarmi le piume, mescolando il mio volo sfrenato alla loro gara, più veloce, sempre più veloce, mentre il vento e la felicità si impossessavano di ogni centimetro del mio piccolo corpo. Senza confini e senza regole ci lanciavamo nella notte e non c’era più niente che ci spaventasse, solo una libertà illimitata che ci riempiva della gioia più pura e spazzava via tutto.
Iniziò a scendere dolcemente la pioggia, bagnando la terra e offuscando per un attimo la luna. Mentre Felpato, Ramoso e Lunastorta combattevano giocosi, con Codaliscia che saltellava frenetico da una schiena all’altra, io svolazzavo intorno a loro stuzzicando prima l’uno poi l’altro, mi appoggiavo sulle corna imponenti di Ramoso, becchettavo le orecchie di Felpato per poi allontanarmi velocemente quando dava segno di arrabbiarsi. Ramoso ne approfittava e gli mordeva la coda con insistenza, ben sapendo che per Sirius non c’era cosa più sacra di quella. Presto infatti finì per spazientirsi delle nostre ripetute provocazioni, decise di abbandonare James tra le grinfie di Remus e partì di gran carriera al mio inseguimento, abbaiando così tanto che chiunque, non conoscendolo, ne sarebbe rimasto terrorizzato a morte. Entrambi veloci e irraggiungibili ci sfidavamo in quella corsa folle come se non ci fosse mai stato nient’altro, nessun rancore e nessun battibecco, giocavamo dimenticando quanto spesso fosse difficile anche solo sopportarsi a vicenda. Quello che ci univa nelle notti di luna piena era un legame speciale, quattro Animagi e un lupo mannaro, un’amicizia strana e unica destinata a durare per sempre nel ricordo di quelle avventure straordinarie e impossibili, e di fronte all’intensità di questa magia tutto il resto non poteva che scomparire. Negli occhi di Felpato che mi inseguivano dal basso leggevo un affetto semplice e puro e non me ne stupivo, perché era la stessa cosa che sentivo io per lui, la stessa cosa che esprimevano gli occhi ambrati di Lunastorta, dietro ai quali non vedevo più nessun lupo mannaro: soltanto Remus.
 
Ma si trattava di un sogno, e come in ogni sogno eravamo destinati a svegliarci presto. Stavo salendo in alto, la pioggia gelida mi scivolava addosso facendomi sentire incredibilmente viva, e anche a quella distanza riuscivo a distinguere ogni particolare tra il prato e gli alberi.
Fu a quel punto che lo vidi.
Un movimento improvviso in un angolo del prato attirò la mia attenzione, ma quando volteggiai cambiando direzione per osservare meglio, era di nuovo tutto tranquillo. Uno scorcio di luna  si liberò delle nuvole, rischiarando per un attimo i dintorni, e a quel punto non ebbi più dubbi: immobile nell’erba, c’era qualcosa. E non avevo bisogno di abbassarmi per capire di cosa si trattasse. Continuavo a tenere lo sguardo fisso su quel fagotto bianco sdraiato sull’erba, così spaventosamente somigliante al corpo di una bambina,  e intanto il battito del mio minuscolo cuore accelerava, fino a diventare più frenetico di quello delle ali. Mi decisi a scendere in picchiata, ero sicura che, chiunque fosse, quella persona aveva bisogno di aiuto, e immediatamente. Non pensai ad avvisare qualcuno, ma Sirius, che scorrazzava lì sotto, doveva avermi visto scendere all’improvviso, perché quando mi fermai a mezz’aria me lo ritrovai di fianco, la lingua a penzoloni dopo la corsa sfiancante. Ci trasformammo nello stesso momento, inginocchiandoci di fianco al corpo inerme. Il viso guardava verso il cielo, le palpebre erano serrate e le labbra socchiuse, ma non servivano altri elementi per riconoscerla.
“Claire… Lennox?”, balbettò Sirius. Lo sguardo di terrore che mi rivolse rispecchiava esattamente il panico che mi attenagliava lo stomaco, impedendomi di respirare.
“Sirius…”, farfugliai, agghiacciata. Vedere il suo corpo abbandonato sull’erba, il viso di porcellana e i lineamenti delicati come quelli di una bambina, era quanto di più spaventoso avessi mai provato in vita mia. Sirius fece quello che io in quel momento non sarei mai stata in grado di fare, allungò la mano e gliela appoggiò sul collo, a sentire il battito del cuore. Restai a guardarla, senza riuscire a respirare.
“È viva.”, mormorò Sirius. “Stai tranquilla!”, aggiunse preoccupato, di fronte alla mia completa apatia. Mi appoggiò una mano sulla spalla, scuotendomi leggermente. “Beatrice, dobbiamo fare qualcosa, e subito…”
Sbattei le palpebre, riscuotendomi all’improvviso, e il mio cuore riprese a battere rapidissimo. Tremando estrassi la bacchetta dal mantello e la puntai sul petto di Claire. “R-reinnerva.”
Iniziò a muovere prima le gambe e le braccia, poi aprì gli occhi, il cielo si rifletteva nelle sue pupille dilatate e la pioggia leggera le scivolava sulle guance, come lacrime. Si alzò a sedere di scatto come se si fosse svegliata di soprassalto da un incubo , spostò velocemente gli occhi da me a Sirius, dischiuse le labbra e fu scossa da un tremito. “Silente…”, mormorò. La sua voce non era che un soffio, ma sembrava sicura di quello che diceva. “Devo parlare con Silente… e con l’Ordine della Fenice.”
Sentirla parlare e vederla viva mi riscosse dalla paura e mi restituì la lucidità. Solo in quel momento mi resi conto del taglio scarlatto che le attraversava il petto e della maglia leggera con cui era vestita. Io e Sirius ci togliemmo i mantelli e la coprimmo, preoccupati. Poi ci scambiammo uno sguardo di intesa e un ululato non molto lontano riecheggiò, ricordandoci del motivo per cui ci trovavamo lì. Sapevamo entrambi cosa fare.
“Devo tornare da Remus…”, iniziò Sirius, concitato. “James da solo potrebbe non farcela… dico a Peter di venire qui e di restare con lei…”
“…Appena lui arriva io volo al castello…”
“… chiedi a qualcuno di avvertire Silente, immediatamente…”
“Benjy non farà domande…”
“Intanto tu torni qui, li aspetti, io e gli altri ce ne andiamo il più lontano possibile…”
“Il Platano è troppo lontano, lei e Peter non riusciranno a tornare a Hogwarts …”
“Non importa, non c’è tempo, di’ a Benjy di portare Silente qui…”
Pianificammo tutto nel giro di pochi istanti. Fu una fortuna scoprire che dopo tutto il tempo che era passato io e lui mantenevamo ancora intatta l’intesa di un tempo, una frase spezzata bastava per capirsi alla perfezione, uniti in quel momento ci fidavamo ciecamente l’uno dell’altra, come raramente era successo prima di allora.
Quando fummo sicuri che Peter sarebbe rimasto con lei, presi il volo verso Hogwarts, sfrecciando al massimo della velocità che le mie ali mi consentivano. Raggiunsi la Torre di Grifondoro proprio quando sentivo di stare per crollare dallo sforzo, individuai una piccola finestra dimenticata aperta e pochi secondi dopo correvo a rotta di collo verso il dormitorio maschile. Feci irruzione nella camera di  Benjy senza fiato, lo svegliai con uno strattone e tirandolo per un braccio lo trascinai fuori dalla stanza con foga, senza nemmeno lasciargli il tempo di aprire gli occhi.
“Ma che cosa…”
“Ascolta.”, lo interruppi, facendo uno sforzo immenso per riuscire ad articolare le parole, mentre lui, immobile in pigiama e con i capelli scompigliati, mi guardava con un misto di apprensione e turbamento.
“Non posso spiegarti, Benjy, ma è importante, devi correre immediatamente da Silente, e dirgli…”, respirai a fondo, il cuore martellava ancora per il volo sfrenato di prima. “…dirgli che io e te abbiamo ritrovato Claire Lennox, e che… deve venire subito, nei prati vicino a Hogsmeade.”
Benjy passò dalla preoccupazione a una profonda perplessità. “Ma Beatrice, non è possibile…”
“Ti prego.”, lo interruppi di nuovo, aggrappandomi alle sue spalle. “Fai quello che ti ho detto, subito…”
Dopo un attimo di titubanza Benjy annuì, si passò una mano tra i capelli e corse giù dalle scale borbottando tra sé: “Da Silente, stavamo passeggiando vicino a Hogmseade, Claire Lennox…”. Si fermò solo un attimo e rimase a guardarmi, inquieto. “Beatrice, qualsiasi cosa stia succedendo… stai attenta.”
Lo ringraziai con un sorriso, incredibilmente grata, per poi ricordarmi che non ce ne era proprio il tempo.
 
Inutile dire che quella fu la notte più travagliata che avessi mai passato a Hogwarts. Silente arrivò, la sua figura svettava sotto la pioggia terribilmente seria e intimidatoria, tuttavia non fece domande. Claire venne portata in Infermieria, Silente rimase a parlare privatamente con lei solo una decina di minuti. Avrebbe ricostruito la storia il giorno dopo, quando Claire sarebbe stata in gradodi parlare con più facilità.
Io e Benjy, intanto, aspettavamo fuori dall’Infermieria, appoggiati al muro del corridoio. Ora che sembrava tutto finito, che Claire era al sicuro dentro al castello e Silente al corrente di quanto era successo, iniziai a ripercorrere mentalmente tutti gli eventi di quella notte nella loro enorme gravità, e un’angoscia ancora maggiore mi colse all’improvviso. Guardai Benjy di sottecchi, preoccupata. Sapevo di dovergli delle spiegazioni, e sapevo ancora meglio di non potergliele dare. Lui sembrò cogliere il significato del mio sguardo, perché sorrise, avvolgendomi le spalle con un braccio. “Mi spiegherai quando sarà il momento.”, mormorò, tranquillo. “So che hai fatto la cosa giusta.”
Avevo fatto la cosa giusta, certo, ma non avrei potuto spiegare a Silente per quale motivo mi ero trovata di notte fuori dal mio letto – fuori dai confini di  Hogwarts – e le conseguenze sarebbero state così gravi che anche solo il pensarci mi faceva star male, e cominciavo a pentirmi di aver coinvolto Benjy in tutta quella faccenda.
“Pensi che ci espelleranno?”, mormorai con un filo di voce.
“Beh, guarda Hagrid, lui non fa una brutta vita…”
Sbattei la testa contro il muro, disperata. “Mi dispiace veramente moltissimo, Benjy.”, gemetti.
In quel momento Silente uscì dalla porta dell’Infermieria. Io e Benjy sobbalzammo, ricomponendoci e guardandolo intimoriti.
“Volete seguirmi?”, ci invitò lui, senza un sorriso. Obbedimmo senza avere il coraggio di fiatare, faticando a stare dietro al suo lungo passo mentre si muoveva con sicurezza tra i corridoi bui, fino all’ingresso del suo ufficio, i due gargoyle che portavano all’ascensore di pietra.
Nargilli.
Io e Benjy ci guardammo appena, sorridendo per la parola d’ordine del Preside – evidentemente le follie di Lovegood erano arrivate anche a lui – ma quando ci ritrovammo all’interno dell’ampio studio anche quel minimo di allegria che poteva esserci rimasta svanì di colpo.
“Accomodatevi.”, ci ordinò Silente, indicando le due poltrone spaiate di fronte alla scrivania ingombra di oggetti strani. Incrociò le dita sotto il mento, gesto che era solito fare nei momenti di riflessione, e per la prima volta in quella notte ci guardò attentamente. Non l’avevo mai visto così serio e accigliato, e di fronte ai suoi occhi penetranti  che mi scrutavano a fondo temetti che non sarei mai riuscita a nascondergli la verità.
Sospirò, si alzò in piedi e prese a girare per la stanza, inquieto, per poi fermarsi di colpo. “Permettetemi, prima di parlare con voi ho bisogno di mandare un paio di messaggi urgenti.” Estrasse la bacchetta e con un gesto fluido, senza pronunciare parola, evocò un meraviglioso Patronus identico alla fenice appesa al trespolo di fianco alla scrivania, tranne che per il colore. Mormorò qualcosa, di cui riuscii a carpire soltanto le parole “quartiere generale” e “Claire Lennox”, poi il Patronus attraversò il vetro della finestra e si dissolse nella notte. Nello stesso momento un gufo, giunto da chissà dove, come se fosse stato richiamato, si intrufolò dai vetri aperti. Silente scarabocchiò un veloce biglietto e lo fece ripartire subito.
Sbrigate quelle faccende tornò a rivolgersi a noi e si sedette alla scrivania.
“Non penso che ci sia bisogno di sottolineare la gravità delle vostre azioni, questa notte.”, esordì. Il gelo della sua voce, solitamente ironica e gentile, mi atterrì tanto quanto aveva fatto il corpo privo di sensi di Claire poco tempo prima. Abbassai il capo, mordendomi le labbra.
Eri lì per Remus, glielo dovevi. Non ero pentita di quello che avevo fatto e non lo sarei stata, ma se Silente avesse saputo la realtà delle cose, a quel punto temevo che l’espulsione non sarebbe nemmeno più bastata. Ero un Animagus illegale e mi rendevo conto solo in quel momento di cosa significasse. Per la prima volta nella mia vita pensai seriamente ad Azkaban, e ne ebbi paura.
Se solo ci fossero stati James e Sirius… di sicuro ce la saremmo cavata, in un modo o nell’altro, e avremmo finito per passarla liscia come sempre. Eppure il collegamento con Remus e la sua licantropia era  così chiaro, così a portata di mano che mi sembrava impossibile riuscire a scamparla. E la luna brillava ancora fuori dalla finestra, grande e luminosa come a a voler suggerire a Silente la verità.
Mi sembrava che fosse passato un tempo infinito, quando Silente riprese a parlare. “Punizioni molto severe vengono inflitte agli studenti trovati a gironzolare per il castello dopo l’orario stabilito, ma questo va probabilmente oltre ogni limite mai superato…”
Era la prima volta che mi capitava di vederlo in collera, avrei voluto sprofondare sotto il pavimento del suo studio.
“Le conseguenze non potranno che essere molto gravi, spero che ve ne rendiate conto. Tuttavia, vorrei che prima uno di voi due mi potesse dare una giustificazione. Ammesso che ci sia giustificazione plausibile per una tale trasgressione.”
Calò un altro attimo di silenzio gelido, durante il quale annuii in direzione di Benjy, decisa a parlare. Sospirai a fondo, poi alzai gli occhi su Silente, lasciando che mi fissasse intensamente. “Signore, non penso che ci sia una giustificazione valida, e mi rendo conto che… il punto è che c’era la luna piena e ho pensato…”, arrossii fino ai capelli, pensai con forza a Remus e mi costrinsi ad andare avanti.  “Ho pensato che sarebbe stata una cosa… romantica… fare una passeggiata nel parco...”
Il passaggio segreto nel Platano Picchiatore. Mi resi conto con panico che non avrei saputo inventare una scusa per spiegare come avevamo fatto a giungere fin laggiù, e Silente non doveva assolutamente sospettare che fossimo passati da quel tunnel. Quasi mi avesse letto nel pensiero, Benjy mi venne in soccorso con prontezza.
“Siamo arrivati fino al cancello e l’abbiamo forzato con un incantesimo…”
“Che incantesimo?”
“Incantesimo di apertura avanzato, Vitious ce l’ha…”
“Il parco non era abbastanza grande per voi?”, lo interruppe Silente, freddamente.
Sia io che Benjy ammutolimmo, sconfitti. “Ci scusi, professore…”, esclamai, avvilita. “Mi dispiace così tanto… Non abbiamo pensato alle conseguenze, non lo facciamo mai, e questo è il risultato.”
“Avete rischiato molto, questa notte.”, dichiarò Silente, passandosi una mano sopra gli occhi con stanchezza. “Ho bisogno che mi raccontiate in che modo avete trovato Claire.”
A fatica gli esposi un resoconto dettagliato dell’avvenimento, fornendo più particolari che potevo e inventando dove mi sembrava che mancasse qualcosa.
“Era già priva di sensi, quando siete arrivati?”
Annuimmo entrambi.
“Non avete visto nessun altro?”
“Nessuno.”, confermammoa all’unisono. “Claire ha detto esplicitamente che doveva parlare con lei…e  con l’Ordine della Fenice.”, aggiunsi dopo un attimo di esitazione.
Silente mi rivolse un’occhiata strana e rimase in silenzio, assorto.  “È necessario che la interroghi al più presto, domani mattina…”
Si interruppe bruscamente, tornando a guardarci in modo penetrante. “Siete assolutamente certi di non aver visto nient’altro?”
“Sì, signore, ma…”, mi bloccai, colpita da un’idea. “C’erano dei rumori, nella stamberga strillante.” Non ebbi alcun bisogno di fingermi nervosa o spaventata. “Non so di cosa si trattasse, non ci siamo avvicinati…” Silente mi scrutava con estrema attenzione, così come Benjy. “Dicono che sia infestata dai fantasmi.”
“Così dicono.”, annuì Silente, serissimo. Un silenzio pesante si protrasse ancora per qualche minuto, mi chiesi se Silente si fidasse della nostra versione dei fatti, o se avesse capito che c’era qualcos’altro sotto. “Non intendo trattenervi oltre.”, aggiunse, in tono definitivo. “Cento punti ciascuno verranno sottratti alla vostra Casa per quello che avete fatto. Informerò la professoressa McGranitt dell’accaduto, e sarà lei a stabilire una punizione adeguata.”
Benjy gemette.
“È assolutamente indispensabile che non parliate a nessuno di quello che avete visto stanotte, meno particolari e pettegolezzi circoleranno, meglio sarà… pensate di poterlo fare?”
“Certo, signore.”
“Ho ragione di credere che la situazione a Hogwarts diventerà piuttosto burrascosa, a partire da domani. Arriveranno gli Auror…”
“Signore?”, lo interruppi, titubante.
Silente, mi guardò, interrogativo.
“Quindi… io e Benjy non saremo espulsi?”
Si lasciò scappare un minuscolo sorriso, per tornare subito serio. “Non la ritengo affatto un’idea saggia, Beatrice. Vi sarete accorti che le cose stanno cambiando, e di molto. Il ritrovamento di Claire non passerà certo inosservato, neanche fuori da Hogwarts, e cacciandovi dalla scuola – soprattutto lei, signorina Summerland – rischierei di mettervi in ulteriore pericolo…” “Ma è tardi.”, aggiunse, stancamente. “Tornate nei vostri dormitori, per le poche ore di sonno che vi rimangono… e restateci, preferibilmente.”
“Grazie, signore.”, esclamò Benjy, sollevato.
“Non parleremo con nessuno.”, promisi, mentre ci affrettavamo verso la porta dello studio.
“Un’ultima cosa.” Silente ci bloccò quando stavamo per chiuderci la porta alle spalle. I suoi occhi brillavano, vagamente insolenti, o forse si trattava solo di una mia impressione. “Non posso nascondere che questa notte avete dato prova di una prontezza di riflessi e una maturità – nonostante tutto – ammirevoli. Penso che vi meritiate, in ricompensa del servizio reso alla scuola e a Claire, centocinquanta punti a testa.”
Fuori dalla stanza, finalmente libera da quel peso terribile, abbracciai Benjy nascondendo il viso nella sua spalla e lasciando che mi stringesse a sé. Incapace parlare cercai le sue labbra con le mie, un silenzioso ringraziamento per tutto l’aiuto che mi aveva dato.
Quando arrivai in camera fuori dalla finestra iniziava già ad albeggiare. Esausta mi buttai sul letto, senza togliermi i vestiti, e crollai addormentata all’istante.
 
***
 

Proprio come Silente aveva previsto, quella settimana si rivelò estremamente burrascosa. Evidentemente l’incredibile notizia aveva cominciato a circolare con l’aiuto di quadri e fantasmi già la notte stessa, perché quando la mattina mi ero svegliata – o meglio, ero stata svegliata – avevo trovato le mie amiche insieme a James, Sirius e Peter, tutti  riuniti a confabulare intorno al mio letto in attesa di risposte ai loro numerosi interrogativi, risposte che con il pretesto di una fame da lupi avevo cercato rimandare al più tardi possibile.
In Sala Grande, subito dopo, non era andata certo meglio. Il via-vai continuo da un tavolo all’altro della sala e l’agitazione fuori dal comune che aleggiava tra gli studenti mi avevano lasciato subito intendere che la voce, seppur confusamente, doveva essersi già diffusa  in tutto il castello. Quando poi erano arrivati i gufi con centinaia di copie della Gazzetta del Profeta, dove la colonna principale della prima pagina era dedicata proprio alla misteriosa ricomparsa di Claire Lennox, l’effetto era stato quasi immediato: mentre un folto numero di studenti si affollava intorno al tavolo dei professori tartassandoli di domande, i Grifondoro attorno a me esplodevano in un’accesa discussione sull’inaspettata notizia. Dopo aver controllato che il nostro nome non comparisse in nessuna parte dell’articolo, io e Benjy, come anche Sirius, ci estraniammo dalla conversazione. Di quello che dicevano i miei compagni mi importava poco, sentivo ancora addosso la tensione di quella notte e l’unica cosa a cui continuavo a pensare era come avesse fatto Claire a fuggire, perché fosse stata rapita – come Silente, infatti, ero sicura che si fosse trattato di rapimento – e cosa sarebbe successo ora, insieme alle mille altre domande che avrei voluto porle e che, invece, dovevano aspettare.  
Le lezioni quel giorno passarono senza che avessi ascoltato una singola parola di una qualsiasi materia. Silente non si fece più vedere, immaginai che fosse particolarmente occupato con i due Auror che avevo visto aggirarsi per il castello, e fu soltanto la McGranitt che, subito dopo pranzo, bloccò me e Benjy per parlarci mentre ci allontanavamo dalla Sala Grande.
“Il professor Silente mi ha informato dell’accaduto.”, esordì senza tanti preamboli. “Se potete seguirmi, avrei piacere di parlarvi.”
Ci portò in un aula deserta e dall’aria abbandonata, premurandosi di chiudere la porta e controllare che anche il corridoio fosse vuoto. “Ovviamente quanto sto per dirvi è della massima segretezza, il professor Silente ha insistito perché vi mettessi al corrente, dato che… siete stati coinvolti… vi siete coinvolti…”
Così inizio a raccontare, nello stesso modo rigido e preciso con cui spiegava le sue lezioni di Trasfigurazione. Io e Benjy, sempre più sconcertati, la ascoltavamo senza fiatare.
 
Claire Lennox era sparita verso la fine dell’estate, senza lasciare tracce. Tutto era cominciato quando suo padre, Elliot Lennox,  giudice del Wizengamot, aveva iniziato a occuparsi di un processo  su due Mangiamorte coinvolti nell’aggressione di un Nato Babbano. Presto si era capito che era intenzionato ad arrivare al fondo della questione, e nonostante i  suoi colleghi l’avessero avvertito di essere più cauto, il clima del tribunale era diventato sempre più teso. Lennox aveva ricevuto delle minacce, ma aveva erroneamente pensato che, se fosse riuscito a portare a termine le indagini con successo, sarebbe riuscito a risolvere il problema alla radice. Non era stato così.
Avevano rapito Claire, e capire dove fosse e chi fosse stato il diretto responsabile era stato impossibile anche per Lennox, di solito così infallibile nel fare giustizia: semplicemente, sembravano essersi volatilizzati nel nulla.
Quella mattina Claire non aveva avuto paura di parlare a Silente.
Erano stati i due fratelli Lestrange, Rodolphus e Rabastan, insieme ad Antonin Dolohov, a prenderla e portarla via. Per tutti quei mesi era stata rinchiusa nella villa di campagna dei Lestrange, fuori Londra, insieme a una donna, Guaritrice al San Mungo. Quella stessa mattina una squadra di Auror era andata a cercarla, ma a quanto pareva i Mangiamorte erano stati più veloci, e di lei non avevano più trovato traccia.
Fortunatamente Claire, con il suo temperamento calmo e docile, tipico dei Tassorosso, durante quei mesi non aveva mai mostrato atteggiamenti ribelli, e questo aveva fatto sì che fosse sempre stata trattata in modo abbastanza tollerante. Soltanto negli ultimi giorni, quando era giunta notizia che suo padre aveva ricominciato a muoversi al Ministero, i Mangiamorte avevano pensato che forse fino ad allora erano stati fin troppo misericordiosi con lei. Avevano iniziato a torturarla in maniera più pesante, e probabilmente era stato questo che l’aveva spinta a tentare quella fuga disperata.
Silente non si era però spinto oltre. Aveva giustamente pensato che Claire, profondamente scossa per quello che aveva passato, fosse troppo fragile per sostenere un interrogatorio molto lungo, e aveva preferito rimandare le domande che ancora gli premevano a quando si fosse in parte ripresa.
Finita di raccontare tutta la storia, la McGranitt aveva tentato di rassicurarci. Dopo la notizia, ci aveva detto, il Ministero sembrava aver finalmente deciso di muoversi, e Silente era determinato a seguire la faccenda in prima persona, fino a che i Mangiamorte colpevoli non sarebbero stati trovati.
Benjy si agitò, non del tutto soddisfatto dalla spiegazione.
“Professoressa… e l’Ordine della Fenice?”
A quest’ultima domanda la McGranitt non rispose e ci accomiatò.
 
Avevamo dovuto aspettare ancora un po’ di tempo prima di poter andare a trovare Claire.
Ovviamente l’Infermieria in quei giorni era severamente sorvegliata da Madama Chips, che lascava entrare esclusivamente qualche amico stretto e il professor Silente. Tuttavia io avevo ottenuto un permesso speciale, e Sirius, James e Peter, appena se ne era presentata l’occasione, erano riusciti a intrufolarsi di nascosto insieme a me.
Claire era seduta sul suo letto, nell’Infermieria luminosa e quasi vuota. Sul comodino al suo fianco troneggiava un grande mazzo di fiori, iris, viole del pensiero e margherite, insieme a un mucchio di lettere, dolci e cioccolata di ogni tipo. I suoi genitori erano seduti in un angolo della stanza, ci guardarono entrare e sorrisero pacatamente.
Mentre James e Peter, dopo averla salutata con timidezza, si allontanarono per andare da Remus, io e Sirius ci sedemmo accanto al suo letto.
“Avremmo voluto venire prima, ma… come stai?”
Claire ci rivolse un sorriso, sedendosi più dritta sul letto e raccogliendo le gambe attorno al petto. “Sto bene.”, replicò, stringendo tra le mani il bordo delle lenzuola. “Non vi ho ancora ringraziato come si deve per quello che…”
“Non devi.”, la interruppe Sirius con calore.
“Non posso credere di essere di nuovo qui.”, mormorò, abbassando gli occhi.
Per un attimo calò il silenzio, denso e carico dei nostri pensieri, durante il quale nessuno sembrava saper trovare il modo di affrontare quelle questioni e quelle domande che stavano tanto a cuore a tutti.
“Quella notte…”, esordì alla fine Claire, proprio mentre io dicevo: “Come hai fatto…”
Ci sorridemmo, divertite. “So cosa vuoi chiedere.”, mormorai, abbassando la voce a un  sussurro e guardandomi attorno, fino a soffermarmi sul volto stanco di Remus. Claire seguì il mio sguardo, e fu a lei che mi rivolsi, seria. “È un lupo mannaro. Quello che hai visto, quella notte… siamo diventati Animagi per stare con lui. Lo facciamo ad ogni plenilunio, nessuno sa di noi.”
Avevo pensato che Claire rimanesse stupita, invece non fece che posare i suoi grandi occhi scuri su di me, pensierosa. “Dovete volergli davvero molto bene, per rischiare così tanto.” Sirius si lasciò scappare un risolino poco convinto. “Ed è una cosa davvero bellissima.” Dopo un attimo di silenzio aggiunse: “Ora, la tua domanda… come ho fatto a scappare, vero?”
Annuii. “Non è stato così difficile, in fondo.” Mi sembrava calma, mentre parlava, ma osservandola meglio mi accorsi che i suoi occhi celavano un’inquietudine profonda. “Dopo un po’ di tempo che ero lì… hanno cominciato a fidarsi di me, credo che pensassero che ero troppo buona o dolce per prendere iniziative.”  Fece una pausa, come per riflettere sulle sue stesse parole, o per ricordare meglio. “Alcune volte mi lasciavano girare per la casa, un giorno li ho sentiti parlare di una passaporta. Sono riuscita a trovarla… ho dovuto aspettare un po’ prima che si attivasse. Ma poi è successo e sono stata fortunata, portava ad Hogsmeade.”
“A Hogsmade?”, ripetè Sirius, curioso.
“Da Magie Sinester. Sapevo che non sarei resistita molto, così ho cercato di fare più in fretta che potevo, e poi… poi mi avete trovato.”
La voce di Claire si spezzò, non c’era più niente da aggiungere.
Io e Sirius ci scambiammo un lungo sguardo, cercando l’uno negli occhi dell’altra le risposte a quei dubbi per una storia troppo grande e complicata per noi.
James, Peter e Remus avevano smesso di parlare e ci guardavano con la stessa intensità.
 
Anche se non  lo sapevo ancora, in futuro avrei sempre pensato a quei giorni di novembre semplicemente come all’inizio di tutto. L’inizio degli eventi che ci  avrebbero catapultati nel mondo al di fuori di Hogwarts, mostrandocelo per la prima volta in tutta la sua durezza, l’inizio di una guerra a cui eravamo destinati a prendere parte, insieme come sempre, io e i Malandrini,  Lily, Benjy, e poco dopo le mie amiche, semplicemente perché era il nostro dovere.
L’inizio di un’amicizia, quella tra me e Claire, che sarebbe durata per tutta la vita.
 
 
 
 
 

Note dell’autrice:
Ciao a tutti, eccoci di nuovo qui. Innanzitutto mi devo scusare per la lunghezza mostruosa di questo capitolo, è davvero sproporzionato rispetto ai precedenti, anche se verso la fine ho cercato di stringere. Niente, non so cosa ne penserete, ma direi che siamo arrivati a un momento fondamentale della storia, un punto di svolta, come si dovrebbe capire dalla conclusione,  e ho cercato di renderlo il meglio possibile, anche se sono un po’ insicura su un paio di cose.
Mi dispiace di non aver proprio potuto dare spazio alle varie coppiette (soprattutto la Jupin, che è ferma da un po’) ma la storia di Claire andava sistemata e spezzarla non avrebbe avuto senso, spero che non sia risultata noiosa (e dopo aver riletto la predica di Silente, credo che sia impossibile che non l’abbiate trovata noiosa) o troppo un concentrato, e soprattutto che la ricostruzione del suo rapimento, su cui ho faticato non poco, possa sembrare credibile. Non lo so, aspetto  i vostri giudizi, se ne avrete voglia!
Ovviamente riprenderò con le solite stupidate alla malandrina e con le cose lasciate in sospeso (ah, c’è anche Regulus che non si fa vedere da un po’, cercherò di pensare anche lui) dal prossimo capitolo.
Vi auguro già buone vacanze perché naturalmente non pubblicherò prima, anzi, vi informo già ora che sarò in super ritardissimo, dato che andrò via.
Un bacione a tutti voi e buon Natale!
Trixie 
  
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