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Autore: callistas    13/12/2013    14 recensioni
Ciao!
Eccomi tornata come promesso a postare il primo capitolo di una nuova storia con gli immancabili Draco e Hermione.
Draco è il titolare di Hermione, la quale lavora presso di lui come centralinista. Grazie a una piccola diatriba con la fidanzata di Draco - leggete e saprete fin dal primo capitolo chi è - per Hermione inizia un calvario senza fine, fatto di dispetti e punizioni immeritate.
Spero vogliate darmi ancora l'occasione di sapere cosa ne pensate.
Vi aspetto numerosi!
Un bacio,
callistas
P.S.: La magia non c'è.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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15 - Verità Nascoste 1 Devo dire che è la prima volta che mi capita e onestamente non è una bella sensazione.
So perfettamente che questa storia non è al livello di Verità Nascoste – oddio, non che io possa dire cosa sia ad un livello superiore e cosa no – perché l’ho scritta più per diletto e perché stavo ancora sistemando quella che posterò dopo questa.
Ora, la mia nuova storia è finita – un’ultima occhiata e poi la posterò – e sento l’odioso impulso che mi dice di cancellare questa e postare l’altra.
Giuro: è la prima volta che mi succede ed è bruttissimo.

Rimane il fatto che non cancellerò questa storia, perché sono troppo affezionata ai vostri commenti per perderli in questo modo, ma a volte ho la voglia di postare l’ultima parte tutta in blocco.

Prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr!!!
*pernacchia*

Non lo farò mai!

Comunque sia, a parte questo piccolo sfogo, vi lascio alla lettura di questo capitolo, dove riusciremo a capire qualcosa di più di Daphne e di Hermione.

Come al solito vi aspetto sotto.


Buona lettura,
callistas









“Maledizione!” – tuonò un uomo dai capelli neri. – “Siamo scesi ancora!”
“E’ colpa tua!” – esclamò la sua compagna di letto. – “Non dovevi accettare quell’affare!”
“Ma sta zitta, Pansy! Fin quando ti andava bene da spendere soldi era un affarone, vero?”
Pansy si morse il labbro. Forse Theodore era veramente bravo solo a parlare, mentre a fatti era un vero e proprio disastro. Ora come ora non sapeva se aveva fatto bene a tradire il biondo per mettersi con uno che di affari ne capiva meno di zero.
“Ora devo vedere cosa fare.”
“Vendi, prima che sia troppo tardi!” – disse la donna, preoccupata.
Se vendevano adesso, c’era una buona probabilità di avere soldi a sufficienza per passare bene il futuro.
Avevano un buon compratore per le mani e Pansy non voleva rischiare di perderlo perché quell’altro era più testardo di un mulo!
“Non dire cazzate! Non venderò mai!” – s’impuntò l’altro.
“Non fare lo stupido! Se vendiamo adesso, abbiamo la possibilità di non fare una vita da morti di fame!”
“HO DETTO DI NO!” – tuonò Theodore, battendo i pugni sulla scrivania e facendo sobbalzare la donna.
“E allora arrangiati! Non intendo finire a fondo con te!”
“Credi sia così facile?” – chiese Theodore, che non era uno sprovveduto fino in fondo.
“Cosa vuoi dire?”
“La firma sui conti ce l’hai anche tu. Tu hai speso i soldi derivanti dagli affari per comprarti le macchine e i vestiti lussuosi, quindi se affondo io affondi anche tu!”
“Bastardo…” – sibilò Pansy, evidentemente preoccupata.


Alla fine, alla Nott Home, erano rimasti solo pochi impiegati, quelli che percepivano uno stipendio base. Quelli che avevano raggiunto gli scatti di anzianità, i premi produzione, i premi fedeltà per gli anni passati in azienda, o si erano dimessi per come vigeva lo stato in ditta, o per le pressioni che subivano dallo stesso Nott o erano stati licenziati senza tante remore solo perché percepivano un salario troppo alto che Nott non riusciva più a pagare. Erano rimasti, per l’appunto, dipendenti che di ciò che facevano i colleghi più anziani non sapevano niente perché non rientrava – giustamente – nelle loro mansioni e nessuno era tenuto a imparare quelli altrui. La Nott Home stava affondando, e anche abbastanza velocemente, anche per quel motivo: i pochi sopravvissuti sbagliavano continuamente le fatture, i calcoli delle provvigioni, il fatturato… tutto perché non erano stati debitamente istruiti sul da farsi e perché, in soldoni, Nott non era in grado di dirigere un’azienda.
Il malcontento era ai massimi vertici e Nott non se ne curava. A breve si sarebbe ritrovato una schiera di avvocati dei sindacati per dare ai dipendenti ciò che da mesi lui non dava più: lo stipendio.


“Sarò anche un bastardo tesoro… ma godevi quanto ti scopavo.” – disse, non molto finemente.
Pansy lo odiò. In quel momento lo odiò profondamente.
Draco non le avrebbe mai parlato in quel modo così volgare. Solo allora si rese conto del madornale errore che aveva fatto e tutto perché non era stata sufficientemente attenta in ciò che faceva, troppo accecata dal fatto che poteva spendere tutti i soldi che voleva senza badare a spese.
E ora ne pagava le conseguenze.
“Domani inizia a dare un’occhiata alle fatture delle provvigioni.” – disse lui, sbrigativo.
Pansy lo guardò sbigottita.
“Che vuoi dire?” – chiese.
Nott la squadrò con sufficienza. Per lui era stato molto più importante soffiare l’azienda e la fidanzata a Draco più per sfida personale che per reale interesse.
Almeno per quello che riguardava Pansy.
“Sei sorda oltre che puttana?”
Un singhiozzo indignato le uscì dalla gola.
“Ti ho detto di fare le fatture per le provvigioni.”
“Vuoi… vuoi mettermi a lavorare? Ho capito bene?”
“Almeno di sano hai ancora le orecchie.” – disse Theo, divertito. – “Sì, ti metto a fare le fatture. Qualche problema?”
“Io non faccio le fatture!” – esclamò, indignata dalla possibilità di dover lavorare sul serio per la prima volta in vita sua.
“Beh, comincerai adesso. Ora va. Ho altro da fare che stare a sentire le tue lagne.”
Pansy uscì dall’ufficio, sbattendosi la porta alle spalle.

Ma come osava trattarla in quel modo? Dopo tutto quello che aveva fatto per lui?

Theo invece stava pensando al perché la Nott Home stesse così miseramente fallendo.
Non riusciva davvero a rendersi conto che lui non era mai stato in possesso di quel sesto senso che Draco, Lucius e Abraxas invece avevano. Avevano fiuto per gli affari ma soprattutto… facevano il passo commisurato alla lunghezza della gamba. Theo invece si buttava a capofitto nelle situazioni senza vagliarne i pro e i contro.
E ora doveva scendere dalla giostra.









Hermione si svegliò perché sentiva qualcosa tra i capelli.
Quando riuscì a scollare un occhio, vide la mano di Draco che continuava a pettinarle quei ricci che lei tanto odiava con un sorriso placido sulle labbra. Non riusciva mai a farli stare come voleva! Un giorno o l’altro si sarebbe rasata la testa!
“Che stai facendo?” – chiese, con la bocca ancora impastata.
“Cerco di dare una forma ai tuoi capelli.” – scherzò l’uomo.

Draco si era svegliato circa una mezz’ora prima e il primo istinto fu quello di baciarla. Si sentiva molto preso dalla ragazza e aveva approfittato di quel suo momento di totale abbandono per toccarla.

“Auguri allora. Com’è che non ti facevo così spiritoso?” – chiese Hermione, con gli occhi comunque chiusi intenta a godersi quelle carezze.
“Ci sono tante cose che non sai di me.” – disse lui.
“Le scoprirò.” – disse lei, ancora mezza intontita dal sonno.
La mano di Draco si fermò e lui stirò le labbra in un sorriso. Forse al detto “in vino veritas” avrebbe dovuto aggiungere “in somnium veritas”.
Lentamente la donna iniziò a svegliarsi. Peccato: si stava bene lì. Si alzò ma un lembo della camicetta le scivolò sulla spalla. Veloce lo riportò al suo posto e agganciò il bottone all’asola.
Draco rimase perplesso ma poi scosse la testa.
Forse ciò che aveva visto era stata solo un gioco di luci e ombre.

Non sapeva dirsi perché, ma scartò l’ipotesi che si trattasse di una cicatrice.




Hermione e Draco entrarono in casa che non c’era nessuno.
Era domenica e quello doveva essere l’ultimo giorno di festa in paese – una festa che era solamente per gli abitanti di Castle Rich – motivo per il quale anche Minerva aveva abbandonato la dimora per andare ad aiutare le altre mogli nei chioschetti.

Buon giorno Hermione,
ho immaginato che vi sareste svegliati tardi, così vi ho preparato direttamente il pranzo. Lo trovi in forno.

Buona giornata.

La prima cosa che Hermione pensò fu che Minerva sotto “buona giornata” non aveva scritto “mamma”. Ricordò che una volta lo scriveva ma poi non lo aveva più fatto.
Scosse la testa per non pensarci.
Minerva comunque aveva fatto bene, perché erano già le dodici e quarantacinque e nonostante si fossero appena svegliati, avevano già fame. Bella fatica… la sera prima avevano cenato al volo!
Gettò il biglietto e iniziò a preparare la tavola.
“Posso chiederti una cosa?” – chiese Hermione, che si alzò sulle punte per prendere i piatti dallo scolapiatti.
“Dimmi.” – disse Draco, che stava sistemando i tovaglioli.
“Vuoi acquistare la Nott Home al prezzo di diecimila sterline. Dove li vai a pescare i soldi?”
Quando vide Draco rabbuiarsi, comprese di aver toccato un tasto dolente.
“Pensavo di chiedere un prestito in banca.”
“E chi ti farà da garante?”
“Ci sto pensando…” – disse lui, rimanendo sul vago.
Nessuno dei due parlò più. Hermione prese ad affettare il pane e tagliare il pasticcio.
“Te li presto io.” – disse la riccia, voltata di spalle.
Draco si girò di scatto.
“Scusa?”
“Ho detto che te li presto io.” – disse mentre impiattava.
“Ti ringrazio, ma non posso accettare.”
Hermione si girò e portò i piatti in tavola.
“Insisto.”
“No. Hai già fatto tanto per me e non voglio invischiarti in questa cosa. Tra l’altro non so neanche se andrà bene, quindi…”
“Ma se ieri sera hai buttato giù un piano militare che Churchill se lo sogna!” – esclamò. – “Che fai? Ti tiri indietro, adesso?”
“No, sono sicuro di ciò che faccio, ma non voglio coinvolgerti più del necessario.”
“Ormai siamo sulla stessa barca.” – disse lei. – “Non tirare su i remi prima del tempo.”
“Sì, ma se va male?”
“Inizia a correre.” – disse lei, semplicemente e buttandola sullo scherzo.
Aveva iniziato a mangiare, con la discussione ormai archiviata sotto la voce “si fa come dice Hermione”.
Draco però aveva sentito lo stomaco chiudersi e la fame gli era passata non per lo sdegno della proposta, ma perché per quanto avesse calcolato tutto nei minimi dettagli, temeva sempre quel particolare, quel contrattempo che poteva guastargli la festa e se ciò fosse accaduto a rimetterci non sarebbe stato solo lui, ma anche Hermione.
Il suo era un gesto molto generoso e che palesava quanto fosse riuscita ad accantonare la storia del tiro mancino che Draco le aveva fatto circa sette mesi prima.
“Grazie.” – sussurrò, prima di cominciare il pranzo.
Hermione gli sorrise complice.


Finito il pranzo, si rimisero sotto a ricontrollare la situazione della Nott Home, notando come nelle prime ore di apertura del mercato, le quotazioni della ditta fossero scese ancora di qualche punto.
“Pazzesco che sia così incapace…” – fu il commento di Hermione. – “… ma come ha fatto a diventare un tuo socio?”
“Me l’aveva proposto uno dei tanti soci della Malfoy Home.” – spiegò Draco. – “Mi fidavo di loro e… sì, lo so a cosa stai pensando.” – disse. – “Anche lì mi sono fidato delle persone sbagliate, ma se tutto va come deve andare, farò Tabula Rasa di tutti che mi stavano intorno a fare i leccapiedi e prenderò gente di cui posso fidarmi.”










Questa sono io. Lo so: sono bella.>


Hermione stava sistemando un raccoglitore relativo alla consegna appena fatta di un arredamento per una famiglia di Liverpool. Solitamente non era una sua abitudine, ma sapeva che a Marika mancava davvero poco per dare alla luce la sua bambina che, con Damian, aveva scelto di chiamare Noemi.
Draco era lì con lei e digitava al computer alcune mail di richiesta ai fornitori di questo o di quell’altro documento per chiudere definitivamente una pratica, quando entrambi sentirono il telefono vibrare sulla scrivania.
Si girarono in sincrono.

Hermione scavalcò un paio di sedie con l’eccitazione tipica di chi leggerà per primo quel messaggio. Man mano che leggeva, un sorriso si levò ad est per finire a ovest.
“Allora?” – chiese Draco, contagiato dal sorriso di Hermione.
“E nata!” – esclamò.
“Davvero? Congratulazioni! Che dice il messaggio?”
Hermione gli piazzò davanti al naso il display del cellulare e anche quando Draco lo lesse, ridacchiò divertito.
“A dieta già da adesso?”
“Questa è Marika di sicuro.” – disse Hermione, che conosceva la cognata come una burlona.
Le mandò un messaggio di felicitazioni, dicendole che sarebbe passata a trovarla più tardi, finito il lavoro.


Fu una giornata abbastanza pesante e sapere che una volta tornati a casa avrebbero cenato letteralmente al volo per rimettersi sotto con la Nott Home non aiutò ad alleggerire lo stato d’animo dei due.
Avrebbero tanto voluto buttare all’aria tutto e dormire per una settimana di fila!


Uscirono dal lavoro alle sei spaccate perché Hermione voleva passare dal fiorista a prendere un mazzo di rose per sua cognata e vedere la piccola Noemi.
“Sei stanca?” – chiese Draco.
Hermione era bellamente svaccata sul sedile del passeggero, con la testa incastrata tra il sedile e il vetro della portiera.
“Un po’…” – mormorò.
Lo era talmente tanto che non aveva nemmeno il fiato per parlare.
“Vuoi che andiamo a letto stasera?”
Hermione lo guardò stranita.
“Scusa?”
“Dicevo… se vuoi stasera possiamo prenderci una pausa. Il grosso del lavoro lo abbiamo fatto.”
“Sicuro?” – s’informò lei.
Draco fece le spallucce. Un po’ di riposo non avrebbe nuociuto a nessuno dei due.
“Sì. Siamo stanchi e in queste condizioni potremmo fare più danni che altro.”
Il ragionamento filava e la prospettiva di fare un pasto decente e un sonno ristoratore Hermione sembrò anticipare le tappe, almeno con la dormita… si appisolò fino ad arrivare dal fiorista.
Draco sollevò le sopracciglia. Era così stanca?
Scosse la testa, divertito e intenerito da quella roccia di ragazza così, approfittando di quel momento di solitudine, Draco pensò a tutto ciò che era successo.
Ancora non riusciva a credere che David avesse boicottato Hermione – e la sua azienda – per le gambe aperte di Pansy. Quella donna non aveva proprio nessun ritegno per se stessa. Però, stando a contatto con la famiglia di Scott, aveva imparato cosa fosse il vero perdono e quanto fosse indispensabile darlo non solo a chi, per lo meno, dimostrava sincero pentimento e il tentativo di porre rimedio ai propri errori ma soprattutto darlo per la pace della propria anima.

Vivere con l’anima rosa dall’odio è una vittoria per chi procura dolore.

Così lo aveva perdonato e subito dopo si era sentito meglio con se stesso.
Hermione, invece, era un altro paio di maniche. Lei non aveva mai fatto del male a nessuno, eppure tutti si sentivano in dovere di farne a lei o, semplicemente, metterla in difficoltà. Il suo unico obiettivo era quello di impegnarsi seriamente sul lavoro in modo tale che le sue qualifiche potessero emergere e invece aveva avuto la sfortuna di incontrare Pansy sulla sua strada.
Come aveva fatto ad essere così cieco?, se lo chiedeva praticamente tutti i giorni. Si chiedeva come avesse potuto solamente pensare che, tra le due, Hermione fosse la bugiarda mentre Pansy quella incompresa da tutti.

Era riuscito a vedere il lato positivo anche quando sembrava che fosse tutto finito.

Fortuna che se ne era accorto in tempo…


Immerso in questi mille pensieri, Draco arrivò dal fiorista. Si girò per svegliare Hermione, ma quando la vide addormentata come un masso, preferì non svegliarla. Scese lui a comprare le rose per Marika. Il gestore aveva dieci tipi di colore e Draco, indeciso, ne prese una per tipo, pagò e si diresse all’ospedale, dove fu costretto a svegliare la donna.

“Hermione? Siamo arrivati.”
La riccia si stropicciò gli occhi e inarcò la schiena.
Draco stava scoprendo parecchi lati nascosti di quella ragazza: sul lavoro era così puntuale e precisa che non avrebbe mai detto potesse atteggiarsi in quel modo.
Hermione aprì gli occhi e si stranì nel trovarsi all’ospedale.
“Ma… ti avevo detto di passare dal fiorista!” – esclamò, quasi delusa.
“I fiori stanno dietro. Li ho presi io.”
Si girò di scatto e guardò perplesso il mazzo di rose variopinto che faceva bella mostra di sé sui sedili posteriori.
“Grazie…” – sussurrò prima di scendere.




La piccola Noemi dormiva mentre tutti – Hermione, Draco e Damian – la divoravano con gli occhi nella culla messa a disposizione dell’ospedale accanto al letto della mamma.
Marika, a sua volta, guardava i graditi ospiti studiare la bambina da ogni angolazione.
“Spero che non diventi una porca come Ria, altrimenti siamo a posto.” – fu l’aulico commento di Hermione che fece ridere di gusto i presenti.
“Non credo che Damian lo permetterebbe.” – disse Marika, guardando di striscio il marito che da quando aveva tenuto in mano quel fagottino rosa per la prima volta si era innamorato di nuovo.
“Ho le mutande di latta in cantina.” – chiarì il papà.
“Ah giusto… quelle che usavi tu quando ti facevi la doccia a scuola…” – frecciò Hermione, divertita.
Damian la guardò storto e Hermione tornò a studiare la nipotina.
“Non ha caldo con la cuffietta?” – chiese, perplessa.
Già lei stava sudando sette camicie.
“E’ per proteggere la fontanella.” – spiegò la neo mamma con un braccio sotto la testa.
“Quando esci?”
“Se tutto va bene mi dimettono sabato mattina e poi…” – si scambiò uno sguardo d’intesa con il marito, della serie “e da sabato ce la cucchiamo noi…”
Rimasero lì ancora per qualche minuto poi se ne andarono per lasciarli godere della loro intimità.


“Certo che hai una bella considerazione di tua sorella Astoria…” – commentò Draco, una volta in ascensore.
“Perché?” – chiese Hermione, con un sorrisetto divertito.
“Le hai dato della porca.” – chiarì Draco.
“E non lo è?” – lo sfidò a ribattere.
Ormai Draco era con loro da cinque mesi e avrebbe dovuto capire che tipo fosse sua sorella.
“Sì, ma…”
“E allora?” – chiese lei, facendo le spallucce. – “E poi scherzavo…”
Le porte dell’ascensore si aprirono e i due poterono tornare alla mcchina.


Come promesso da Draco, Hermione poté mangiare tranquillamente e andare a letto veramente presto per recuperare il sonno arretrato.
Nemmeno Draco disdegnò la cena in tranquillità e un buon sonno ristoratore.









I tempi previsti da Draco per comprare la Nott Home al prezzo stabilito – voleva scendere ancora per non intaccare troppo i risparmi di Hermione ma lei non ne aveva voluto sapere – si allungarono ancora di qualche mese.
Gli serviva del tempo per parlare anche con avvocati, legali e quant’altre persone ancora per vedere se ci fossero state delle irregolarità sull’acquisizione della sua azienda.

Il bambino di Astoria aveva fatto in tempo a nascere, scegliendo il caldo del trentun Luglio e a festeggiare i suoi primi due mesi di vita.
Inutile dire che i nonni sembravano ringiovaniti di vent’anni, perché nonostante quelle nascite fossero una delle tante tappe nella vita dei suoi figli, per Minerva e Scott – lui, soprattutto – erano un viaggio indietro nel tempo.


Quel periodo a casa Granger era servito anche per ben altri motivi.

Innanzi tutto, Draco aveva imparato che non tutto il male viene per nuocere.
Il fatto di essersi trovato dalla mattina alla sera senza un tetto, gli aveva aperto gli occhi su chi era veramente suo amico e, nessuno, a partire da Theodore lo era stato.
L’ultima persona sulla faccia della terra alla quale avrebbe potuto solamente sognarsi di chiedere una mano, ovvero Hermione, si era invece offerta di propria spontanea volontà per aiutarlo a rialzarsi. Non aveva mai chiesto niente in cambio, non aveva mai rivoluto veramente indietro i soldi che all’inizio aveva speso per lui, non aveva chiesto niente, se non fiducia e rispetto, altre due parole di cui, prima di venir cacciato dall’Olimpo dei manager dell’anno, non conosceva il reale significato.
Ora, grazie a Hermione e alla sua famiglia, poteva dire di avere imparato molte cose, in primis a livello umano. Sul lavoro aveva imparato a sporcarsi le mani, nel vero senso della parola: se qualcuno aveva bisogno di spostare una scatola più pesante di un’altra, interveniva lui.

Inutile dire che da quando Draco era arrivato a lavorare per la Granger’s Transport, il personale femminile aveva esibito un repertorio di battutine e di vestiario veramente piccante.
Il clou della venerazione che le donne avevano per lui avvenne quando lui, un giorno d’estate, entrò dalla porta principale con una cassa di legno sulla spalla destra. Indossava solo dei jeans strappati ed era senza maglietta. Aveva aiutato un camionista ad agganciare il rimorchio alla motrice, ma purtroppo i jeans si erano strappati così come la maglietta che, sollecitata dalla massa muscolare delle braccia sotto sforzo, si era ridotta in brandelli. Ignaro di poter scatenare un inferno in terra, Draco se la tolse e la buttò in un cestino.
Comunque… quando entrò tutto sudato con la cassa sulla spalla destra, il reparto femminile della Granger’s Transport ebbe un brusco arresto, per non parlare dei continui errori di distrazione dovuti all’immagine di quel dio a petto nudo.
E nemmeno Hermione era rimasta indifferente di fronte a quello spettacolo…

Altra cosa che Draco aveva imparato era che i bambini gli piacevano.
Quando aveva chiesto a Pansy di sposarlo, lui le aveva prontamente fatto notare che non avrebbe voluto avere mocciosi in giro per la casa, che urlavano e strepitavano per qualsiasi cosa. Forse, questa sua visione non del tutto paradisiaca della prole, derivava dal fatto che tutti i figli dei suoi allora amici erano viziati e capricciosi, sempre soddisfatti dai genitori nelle loro assurde richieste solo perché non disturbassero.
I figli di Marika e Astoria erano invece tutt’altra cosa: nonostante la tenerissima età, sapevano riconoscere immediatamente il tono autorevole dei genitori, per non parlare della coppia stessa che era unita su ogni decisione presa per il bene dei bambini. Marika, Damian, Astoria e Kevin con i loro atteggiamenti e la consapevolezza di avere per le mani una creatura fragile e indifesa gli fecero rivalutare pian piano il desiderio di averne a sua volta.
Ed era in quei momenti che il suo sguardo cadeva su Hermione.

Per non parlare di Scott e Minerva… quei due in compagnia dei loro nipoti subivano una trasformazione incredibile. Diventavano peggio dei bambini stessi! Inutile dire che Astoria e Marika “sbuffavano” di fronte a tutta quella vivacità, ma sotto sotto si vedeva che erano felici per il dono della maternità.

Marika e Astoria, con i rispettivi mariti avevano spiccato il volo verso la loro nuova dimora, sempre in paese. Durante le due gravidanze, Minerva e Scott avevano insistito perché restassero lì con loro, in caso di necessità, ma era giunta l’ora che le due nuove famiglie si godessero il calore del focolaio domestico in santa pace.

Gli unici che non si schiodavano da casa erano Neville e Daphne.
A Draco faceva molto strano, perché quei due si amavano tantissimo, avevano una profonda fede e non capiva perché non avessero ancora messo in cantiere un bambino, perché aveva visto come Daphne guardava i suoi nipotini: con amore misto ad amarezza.
Che non ne potesse avere?
Pensò che sarebbe stato un vero peccato, perché se c’era qualcuno che meritava di avere tanti bambini, quella era proprio Daphne.




Castle Rich era entrato nell’autunno e il paesaggio che si apriva davanti ai loro occhi ogni mattina era qualcosa che mozzava il fiato.
Il sole, soprattutto quando tramontava, incendiava le foglie e creava un’atmosfera strana, quasi magica.

Alla Granger’s Transport tutto filava liscio come l’olio. Draco non aveva mai visto tanti impiegati chiacchierare così tanto ma essere produttivi allo stesso tempo, anzi: sembrava che le chiacchiere aumentassero la produttività stessa. Come aveva detto Hermione all’inizio di quell’avventura, si sarebbe scontrato con una realtà molto diversa da quella cittadina; ognuno faceva ciò che voleva in rispetto del proprio lavoro che, in ogni caso, aveva sempre la precedenza. Durante l’Estate alcuni dipendenti si erano presi le ferie e prima di partire avevano portato a termine il proprio lavoro e ciò che non erano riusciti a sistemare, avevano istruito i colleghi, affinché lo facessero loro. Alla Malfoy Home, quando qualcuno partiva per le ferie, diventava irreperibile fino al rientro in azienda.

Draco e Hermione, come qualsiasi altro lavoratore, si erano presi il pomeriggio libero, giusto per tirare il fiato e staccare un po’ la spina.
Tutto era pronto – mancavano solo pochi e insignificanti dettagli – per il grande rientro di Draco sul Red Carpet degli imprenditori: mancava solo che Nott facesse l’ultimo passo falso – cosa che avrebbe fatto se continuava ad andare avanti in quel modo – e poi lo avrebbe schiacciato come un moscerino.
Gli veniva l’acquolina in bocca quando ci pensava…


Seduto sul dondolo sulla veranda, Draco continuava a rimuginare sul fatto che Neville e Daphne non avessero dei bambini. Con i loro nipoti stavano benissimo, anche se una patina di malinconia velava i bellissimi occhi azzurri di Daphne ogni volta che un bambino entrava in una stanza, dove ci fosse lei.
“Tutto assorto, stasera?” – gli chiese Hermione, offrendogli una tazza di tea caldo.
Erano tornati i maglioncini pesanti e con essi l’amara consapevolezza che la bella stagione stava volgendo al termine.
L’estate stava finendo e il venticello autunnale aveva iniziato a spirare. Era fastidioso durante il giorno, ma quando la sera ci si sedeva sul dondolo, avvolti da una coperta in pile e una tazza di the caldo in mano, sembrava che diventasse magico.
Draco guardò la ragazza.
“Pensavo…” – disse lui, spostandosi per farle posto.
Hermione si accomodò, mettendosi la coperta sulle gambe.
“Tu che pensi? Mi sa che domani ci sarà la burrasca…” – scherzò lei.
Draco abbozzò un sorriso. Ormai aveva preso l’abitudine di sentirsi preso in giro e quando poteva, ricambiava il favore. L’uomo iniziò a far dondolare il dondolo con calma.
“Posso chiederti una cosa?”
“Dimmi.” – disse lei, soffiando sul tea bollente.
“Se non sono indiscreto…”
Quelle parole ebbero il potere di riscuotere Hermione dai suoi pensieri e far sì che la sua attenzione si posasse su Draco.
“… posso sapere perché Neville e Daphne non hanno figli?”
Presa in contro piede, Hermione non seppe che rispondere.
Recependo il suo silenzio come un invito a farsi gli affaracci suoi, Draco si sbrigò a ritirare tutto.
“Scusa… non sono affari miei.” – disse, frettoloso.
Aveva fatto i salti mortali per ottenere di nuovo la sua fiducia e non voleva buttare all’aria tutto quella sera.
Hermione lo guardò. Certo che da quando aveva iniziato a lavorare con lei, era cambiato di parecchio. Rifletté se era il caso di dirglielo.
“Daphne…” – iniziò Hermione, titubante, ma poi si decise. – “… Daphne non ha l’utero.”
Draco si girò con gli occhi sgranati.
“Cosa?!”
“Verso i ventitré anni iniziò a sentirsi male. Accusava fitte insistenti al ventre, ma non si è mai fatta curare.”
Draco ascoltò con estrema attenzione quel racconto.
“Aspettò, perché pensava che fosse un male di stagione, ma quando iniziò a perdere sangue, iniziò a preoccuparsi seriamente. Quelle emorragie le duravano a volte un mese intero e Neville, quando se ne accorse, prima la tempestò di parolacce per aver trascurato i sintomi e poi la portò dal dottore.” – gli occhi si velarono di lucido al ricordo perché Hermione sapeva quanto sua sorella volesse un bambino. – “Le comunicarono di avere tre metastasi tutte circoscritte all’utero. Se voleva vivere, doveva asportare l’organo.”
“Dio mio…” – sussurrò Draco, atterrito.
“Daphne era caduta in uno stato di catalessi. Togliere l’utero significava non poter dare un figlio a Neville, cosa che voleva fare appena sposata. Così suo marito, per non perdere anche lei, firmò l’autorizzazione all’intervento. Lei non disse nulla. Per mesi e mesi si è presa sulle spalle colpe che con quello che era successo non c’entravano assolutamente niente.”
“Del tipo?”
“Del tipo che se sua madre si era tagliata un dito era colpa sua perché aveva trascurato il male dentro di sé, che se Astoria inciampava in uno scalino era perché lei era nata… cose così, insomma. Sono serviti tre anni di terapie e pian piano mia sorella iniziò a riprendersi. Ma sa che dentro di sé c’è un vuoto che non sarà mai colmato.”
“Io… davvero mi dispiace. Non immaginavo fosse così grave…” – disse Draco, che non sapeva come comportarsi di fronte a una catastrofe simile.
“Adesso al minimo raffreddore, Daphne si precipita dal dottore. È frustrante vederla in questo stato.”
Guidato dall’istinto, Draco la prese per le spalle e la fece adagiare sul suo petto in un vano tentativo di risollevarle il morale.
“Ti ha dato fastidio che abbia fatto così?”
Aveva usato un tono basso e caldo, come a volerla rassicurare che lo aveva fatto solo per cercare di farla star meglio.
“N-no… è che non… sono abituata… tutto qui.” – mormorò lei imbarazzata.
Vero era che avevano fatto passi da gigante ma Hermione di fronte a certi gesti, che per chi li compiva erano naturali, per lei erano un muro insormontabile.
“Non mordo, tranquilla.” – pian piano, la sentì rilassarsi sotto di lui e sorrise.

Rimasero in silenzio su quel dondolo magico per una buona mezz’ora. Hermione si strinse maggiormente nel suo abbraccio per il freddo.

Le dita affusolate di lui iniziarono a massaggiarle ritmicamente il braccio e Hermione percepì il proprio cuore battere come un tamburo a festa.
Timidamente alzò lo sguardo e incrociò quello di Draco, lasciandola senza fiato per un attimo interminabile. Non si era mai accorta delle pagliuzze azzurre dei suoi occhi all’esterno dell’iride.
E alla fine si ritrovò a pensare che lei di Draco non sapeva proprio niente. Lo aveva conosciuto come il signor Malfoy, suo diretto superiore nonché bastardo di prima categoria con i suoi dipendenti, lo aveva conosciuto come Draco il senza tetto, lo aveva poi conosciuto come Draco il lavoratore instancabile e sexy.
E ora?
Chi aveva davanti ora? Quale Draco era in quel momento?
Lo vide avvicinarsi al suo volto e sfiorare leggero le labbra di Hermione.

Si staccò violentemente da lui non per il disgusto, ma per l’impatto emotivo che quel bacio aveva avuto: era stato come essere travolti da un treno ai mille allora! L’impatto era stato devastante, così come devastanti furono le conseguenze che arrivarono immediatamente dopo.

Staccandosi così violentemente, Hermione perse la presa sulla tazza, che volò a terra e si ruppe.
Non sapeva più dove guardare, se la confusione e la delusione negli occhi di lui o la tazza rotta per terra. Ad ogni modo due legami si erano rotti e Hermione decise di catapultarsi su quello più importante.

“NO!” – esclamò terrorizzata, inginocchiandosi a terra. – “NO! NO! NO! NO!” – continuava a ripetere, mentre con le mani, tremolanti, cercava di raccattare i cocci.
“Hermione… cosa…”
“Guarda che hai fatto!” – lo accusò, con le lacrime che le bagnavano le guance. – “No, no, no, no…”

Per Draco fu come tornare a quel giorno della consegna a New Castle.

“Hermione… è solo una tazza.”
Mai l’avesse detto. La ragazza lo guardò come il peggiore degli assassini e lo aggredì.
“NON E’ UNA TAZZA! E’ LA TAZZA! E TU L’HAI ROTTA!”
Draco, che non capiva il motivo di tutto quell’attaccamento a quella comune tazza con disegnata sopra una mucca che rideva; inconsapevole del peso delle proprie parole, non accettò il fatto di essere incolpato per una cosa che non aveva fatto lui.

“Guarda che l’hai rotta tu. È scivolata dalle tue mani, non dalle mie.”

Hermione lo guardò, con gli occhi sgranati e smise di piangere immediatamente.
Era vero. Lei aveva rotto la tazza, lei si era mossa bruscamente, lei aveva rotto l’ultimo ricordo.
Con il respiro affannoso e gli occhi spiritati, rimase a fissare Draco, come se le avesse aperto finalmente gli occhi, come se le avesse ricordato qualcosa di importante che lei aveva tentato di soffocare.

Il resto della famiglia Granger era andato in paese per un giretto. Marika e Astoria volevano mostrare i loro bambini a tutti. Tornarono a casa per prendere un caffè tutti insieme e poi tornare nelle proprie dimore, perché i bambini iniziavano ad essere stanchi e stavano iniziando a fare i capricci. Quando arrivarono, trovarono una scena alquanto strana e quando realizzarono quello che era successo, iniziarono a tremare.

Draco si girò e lei lo imitò, iniziando a tremare vistosamente.
“Hermione, calmati.” – la voce di suo padre le arrivò dritta come una martellata al cuore, mentre Draco ci capiva sempre meno.
Si fece da parte, sperando che Scott riuscisse a farla rinsavire. Il genitore andò dritto da lei, la prese per le braccia e le diede qualche scossone.
“Cos’è successo?”
Hermione aprì la bocca tre quattro volte, ma le parole non si degnarono di uscire.
“L-la… tazza… l’ho… rotta… io… rotta… basta… più…” – sconnetteva le parole ma Scott capì immediatamente quello che voleva dirgli.
Le ragazze si avvicinarono rapidamente, lasciando i bambini in mano ai mariti. Raccolsero i cocci della tazza e portarono Draco all’interno, nonostante volesse rimanere per capirci qualcosa in più.

Fuori, rimasero Hermione e suo padre.
“Hermione, ascoltami, ascoltami!” – disse Scott, scuotendola. – “Non è colpa tua. E’ stato un incidente.”
Ma era ovvio che la ragazza non era d’accordo.
“Io… rotta…” – la ragazza cedette sotto il proprio peso e Scott la prese al volo, portandola in casa, dove un alquanto scioccato Draco osservava la scena, sperando che qualcuno gli spiegasse ciò che era successo.


Scese un silenzio alquanto pesante. Astoria e Marika andarono a mettere a letto i bambini e rimasero solo gli uomini e Daphne.
Adesso era giunto il momento della verità.
“Immagino che quello che è successo sia normale, giusto?” – frecciò.
In quei mesi a casa Granger, Draco non aveva fatto altro che vedere Hermione sparire un giorno al mese per ritornare peggio di uno straccio centrifugato. Quello stato di coma le durava due-tre giorni e poi tornava ad essere l’Hermione di sempre. Aveva più volte tentato di chiedere spiegazioni, ma nessuno aveva voluto dargli retta.
Un giorno si era catapultato nell’ufficio di Daphne.

“Dobbiamo parlare.”
Erano quattro mesi che Draco lavorava per la ditta di Scott e, come Hermione prima di lui, aveva imparato vita, morte e miracoli di quello che succedeva lì dentro.
Stanco di non riuscire ad avere risposte esaurienti dalla diretta interessata, Draco si era rivolto a Daphne. Era entrato senza bussare nel suo ufficio, mentre la ragazza era impegnata con Astoria, che le chiedeva degli incartamenti sui fornitori.
Le due si guardarono e Astoria preferì alzare i tacchi in velocità, per quanto la pancia, ormai evidente, glielo permettesse.
Una volta uscita, Draco si concentrò su Daphne.
“Cosa succede?”
“Sputa il rospo, Daphne. Voglio sapere cos’ha Hermione. E non venirmi a dire che è normale che si comporti e parli come una donna di strada perché non ti crederei.”
Daphne si morse il labbro. Aveva cercato in tutti i modi di evitare l’argomento, ma era evidente che Draco era un tipo molto sveglio e continuare a mentirgli lo avrebbe sicuramente fatto infuriare di più. Comunque lei ci provò, per l’ultima volta.
“Ancora?” – enfatizzò lei, mentre fingeva di ricontrollare delle informazioni, come se l’argomento fosse stato sviscerato talmente tante volte da risultare ormai noioso. – “Ti ho detto che non ha niente! Si è sempre espressa in quel modo, nonostante io e i miei non fossimo d’accordo. È un suo modo di essere e cambiarlo vuol dire non accettare Hermione per quello che è.”
Draco aveva ascoltato tutto con scetticismo.
“Ok. Ora che mi hai propinato per l’ennesima balla su tua sorella, esigo la verità. Sai meglio di me che non sta bene e che ignorare il problema non porterà da nessuna parte. O me lo dici tu con le buone e lo scopro io con le cattive, scegli!”
“Guarda che qui non siamo alla Malfoy Home, Draco.” – era scattata lei, che non aveva gradito quel tono da dio sceso in terra. – “Qui ognuno di noi si fa i fatti propri e non va in giro a minacciare le persone per curiosità.”
“Curiosità? Io non sono curioso! Mi preoccupo per tua sorella, cosa che tu mi sembra non stia facendo!” – disse, lanciando una grave accusa.
Solo che Daphne non poteva accettarlo.
“Tu… tu…” – era livida in volto. – “… con che coraggio vieni a dirmi che non mi preoccupo per Hermione?” – gli occhi erano diventati lucidi. – “Tu non sai niente di questa famiglia! Non sputare sentenze se non sai le cose!”
“Se le sapessi, magari potrei aiutare!”

Draco era proprio stanco, si sentiva impotente. Da quando aveva iniziato a vivere con la famiglia Granger, aveva imparato cosa significasse lavorare veramente, faticare per portare a casa uno stipendio, avere il rispetto di tutti non per il nome che porta ma per il lavoro che si svolge. Trovò tutto estremamente appagante, ma c’era una macchia e quella macchia si chiamava Hermione.
Ogni giorno la vedeva spegnersi lentamente, mentre davanti a tutti fingeva di essere quella di un tempo. Era una cosa che proprio non riusciva a sopportare. La grinta che dimostrava da quando era tornata a lavorare per il padre, non si avvicinava di nemmeno un quarto a quella che aveva quando lavorava alla Malfoy Home.

“No, Draco. Non puoi fare niente. Ci sono cose che gli altri non possono risolvere. Sì, è vero.” – confessò, stanca di tutti quei segreti. – “Hermione ha dei problemi, ma se non interveniamo è perché ci è stato consigliato di fare così. Fattela andar giù questa cosa, perché non ho intenzione di riparlarne. E se vengo a sapere che hai infastidito le mie sorelle o i loro mariti, ti faccio cacciare a pedate nel culo. Mi sono spiegata?”
Draco scosse la testa. Sapeva di averci visto giusto, ma non concordava sul fatto che il problema della ragazza dovesse essere lasciato andare alla deriva.
Doveva essere risolto.

I presenti abbassarono gli sguardi, come se fossero colpevoli.
“Mi avete accolto, nonostante fossi un perfetto sconosciuto e mi avete permesso di vivere con voi.”
Astoria e Marika scesero in quel momento.
“Mi avete detto che potevo aiutare Hermione, ma non posso. Non ne sono capace. Non posso farlo perché nessuno si degna di dirmi che le succede. Adesso esigo di sapere perché sta così!”
Aveva parlato senza urlare, ma aveva usato il tono del vecchio Draco Malfoy.
In quel momento scese anche Scott.
“Che succede?”
“Credo sia il caso di dirglielo.” – disse Astoria. – “Non è giusto continuare a mentirgli.”
“Dovrebbe farlo lei.” – disse Scott, non convinto di parlare al posto della figlia.
Era lei che doveva decidere se raccontare o meno i suoi fatti.
“Ma non lo fa.” – disse Daphne risoluta e arrabbiata. – “Sta lasciando che il suo male la maceri dentro e tutti stiamo a guardare. O lo fai tu o lo faccio io.”
Scott, con il cuore pesante, annuì.
“Seguimi.”
Draco non se lo fece ripetere due volte e seguì il padrone di casa in salotto, mentre gli altri si rifugiarono nelle proprie camere, consci che il giorno seguente niente sarebbe stato più lo stesso.

Scott invitò Draco a prendere posto sul divano di fronte a lui.
“Prima di iniziare, permettimi di dirti una cosa.”
“Ti ascolto.”
“Ho sempre cercato di insegnare alle mie figlie di affrontare le difficoltà, non di sfuggirle, ma con Hermione è diverso, quindi… è importante che tu presti molta attenzione a quello che ti dirò, sperando che tu capisca la sua scelta di non dirti niente e la nostra… di non fare niente.”
Colpito e sì, decisamente un po’ spaventato da quella premessa, Draco si accomodò meglio e si preparò a scoprire quali fossero i problemi che affliggevano la ragazza. Vide Scott guardare il cuscino giallo con un misto di tenerezza e malinconia.
“Quel cuscino…” – iniziò Scott. – “… glielo confezionò sua madre.”
“Immagino… Minerva è molto abile con ago e fi…”
“No, non Minerva.”
Draco alzò le sopracciglia, sorpreso.
“Chi?”
“Jean, la mia prima moglie.”

“LEI NON E’ MIA MADRE!”

Ricordò Draco e sbarrò gli occhi.
Allora quel grido disperato era da prendere alla lettera!

“Ah.” – fu il suo monosillabico commento. – “Vi… vi siete separati?” – chiese titubante.
“Nel modo peggiore che poteva esistere.”
“Avete litigato?”
“No. E’ morta.”
Draco percepì una corrente d’aria fredda scendergli per la schiena, per la gaffe commessa.
“Io… mi dispiace… non sapevo…” – disse.
Iniziò davvero a pensare che la sua fosse solo curiosità come aveva detto Daphne, perché in nessuno dei motivi che aveva provato a darsi per giustificare il comportamento di Hermione, aveva mai pensato a una simile evenienza.
Non seppe dirsi perché, ma si fece convinto che la signora Jean fosse morta di qualche malattia incurabile.
“Lo so…” – disse Scott con un sorriso tirato. – “Lo so.”
Seguirono attimi interminabili, attimi in cui mille domande ronzavano nel cervello di Draco. Finalmente vide Scott alzarsi e smuovere quel pesante silenzio e dirigersi verso un cassetto. Aveva preso un foglio. Lo guardò, come se stesse cercando di ricordare qualcosa e poi si diresse verso Draco e glielo porse. Draco non capì a cosa potesse servire, ma ugualmente lo accettò, prendendolo come un altro pezzo di verità sul passato di Hermione.
“Leggilo ad alta voce.” – disse Scott, riprendendo il proprio posto sul divano. Aveva la testa china, pronto per riascoltare quelle parole.
“Sì…”

Piccoli amori miei, quando leggerete questa lettera, io non ci sarò più.

Siete i tesori più belli che mi siano mai capitati tra le mani e non permetterò che qualcuno me li porti via.
Nemmeno a Dio in persona.

Prendo questa decisione nella più totale delle libertà che mi sono state concesse e se avessi l’occasione di tornare indietro, la ripeterei senza esitazione.

Daphne, sei una ragazza forte.
Il Signore ti ha messo a dura prova, ma tu ce la farai. Arriveranno tempi bui e tutto ti sembrerà risolvibile con la morte, ma non cedere, bambina mia. Arriverà il giorno in cui tornerai a sorridere alla vita, prendendo tutto ciò che essa ti ha negato con gli interessi.

Damian, sei sempre stato più maturo rispetto alla tua età.
Fin da piccolo hai sentito il dovere di caricarti le spalle dei problemi della famiglia, nonostante io e tuo padre ti avessimo sempre chiesto di non preoccuparti e di starne fuori ma tu, con la tua caparbietà e testardaggine, ti sei impuntato fino a diventare il secondo uomo di casa.
Invidio la donna che sceglierai come moglie.

Astoria, la mia dolce e tenera Astoria… anche se non ho mai approvato il tuo linguaggio, ti chiedo ora di non rinunciarvi. Che gli altri pensino pure che tu sia una rozza contadina, ma arriverà anche per te un uomo che ti renderà felice e che ti amerà per tutto quello che sei.

Hermione, Hermione, Hermione…
Il tuo nome dice già tutto. Sei l’ultima delle mie figlie, ma non per questo la meno importante. Sei sempre stata fragile, ma preferivi non mostrare mai la tua debolezza davanti agli altri. Non ricordo più ormai le volte che trovavo al mattino il tuo cuscino umido per le lacrime che versavi a causa dei bambini che ti facevano i dispetti. Quando seppi della tua malattia, non provai niente, e lo sai perché? Perché sapevo già cosa dovevo fare.
Come madre ed essere umano ho preso questa decisione. Tuo padre ha cercato di dissuadermi, ma non potevo ignorare il richiamo di mia figlia. Io ti lascio, ma so che tu capirai il motivo che mi ha spinto a fare quello che ho fatto. Non odiarmi, te ne prego. Ho fatto la cosa più giusta. Ti guarderò crescere da lassù e quando vedrai un arcobaleno in cielo, sappi che sono io che ti sorrido.

Vi amo.
Tutti.
Jean.


Draco sentì un groppo alla gola. Erano parole bellissime, ma ancora non capiva in che modo la morte della madre biologica di Hermione c’entrasse con i problemi della ragazza.
Aveva letto che Hermione era malata. Chissà di cosa…
“Ah, Jean…” – sussurrò Scott, travolto dai ricordi.
“Sono…” – deglutì. – “… sono parole bellissime.” – disse Draco, ripiegando il foglietto e riconsegnandolo al proprietario che lo riprese in consegna come il più prezioso dei tesori.
“Jean era molto brava a scrivere.”
“Scott… ti ringrazio per avermi fatto leggere questa lettera, ma ancora non capisco in che modo Hermione e la morte di sua madre siano collegate tra di loro.” – disse Draco, sperando di non essere stato indelicato.
“Eppure è così semplice. – disse, tanto che Draco per un attimo si sentì un idiota. – “Hermione stava male e sua madre l’ha curata.” – disse, facendo un riassunto della lettera.
“Sì, ma… come?”
“Non ti sei mai chiesto come mai Hermione non vada mai in piscina, al mare o in qualsiasi altro posto che preveda di spogliarsi?”
Draco ci pensò su un attimo. Effettivamente… non l’aveva mai vista in costume o con una maglietta scollata. Perché?
“Ora che ci penso… come mai?”
Scott sorrise. L’altruismo della moglie era motivo di vanto per lui.
“Ha una cicatrice.”
“Ah sì? E dove?” – chiese.
Nuovamente, il padrone di casa, sorrise.
“Qui, sul petto.” – disse, indicando la parte che pendeva leggermente verso sinistra.
Quella frase ebbe il potere di riportargli alla mente il ricordo della mattina in cui si erano svegliati insieme nella dependance, perché avevano fatto tardi la sera. Aveva scorto qualcosa di strano nell’incavo dei seni di Hermione, ma aveva pensato che fosse stata solo un’ombra.
Ma ancora Draco non capiva. Perché si indicava il punto dove più o meno c’era il… sgranò gli occhi e scattò in piedi come una molla, mentre osservava la pacatezza con la quale Scott lo guardava, capendo finalmente che ci era arrivato.
“Vedo che hai compreso, finalmente.”
“Ma… ma stai scherzando?!?!!” – esclamò lui sconvolto.
Com’era possibile?
“No. Jean ha donato il proprio cuore a Hermione.
Il respiro gli si accorciò in un secondo, l’aria sembrò mancare e un senso di pesantezza gli chiuse la bocca dello stomaco. Possibile? Possibile che al mondo esistessero persone che ancora pensavano al bene altrui prima ancora del proprio? Perché nessuno glielo aveva mai insegnato?
Perché lo stava scoprendo in quella maniera così brutale?
“La bambina aveva una malformazione cardiaca: il suo cuore era più piccolo rispetto alla norma.”

Perse il controllo.
Su tutta la linea.
Per la prima volta, da quando Draco Malfoy era venuto al mondo, pianse.

Una, due, tre, dieci lacrime iniziarono a cadergli dagli occhi, sotto il sorriso amorevole di Scott. Il peso del suo corpo si fece sentire tutto in un colpo, crollò sul divano e si prese la testa nelle mani, lasciando che le fesserie che suo padre gli aveva fino a quel momento inculcato sull’orgoglio lasciassero il posto a qualcosa di più importante, tanto da opprimerlo.

Il senso di colpa.

Perché di lei non aveva mai capito niente, perché l’aveva ritenuta una ragazzina superficiale quando ancora lavorava alla Malfoy Home, perché parlava e si comportava in quel modo perché credeva che non avesse ricevuto un’istruzione adeguata.
Aveva sbagliato completamente tutto.
Tutto quello che Hermione faceva, erano mute richieste di aiuto gridate al mondo, a lui, alla famiglia, ma che nessuno era stato in grado di cogliere.
“Perché i medici le hanno permesso di morire?” – riuscì a chiedere.
Scott fu ora sorpreso.
“I medici non sapevano niente, Draco. Si sono ritrovati tra le mani il corpo di mia moglie a fatto compiuto.”
“Cosa!?!?” – era allucinato e incredulo.
“Jean si è tolta la vita. Si è tagliata le vene. Quando la trovai, non ci fu niente da fare per lei. Era già morta. Vicino al suo corpo trovai una lettera, il suo testamento: aveva lasciato espressa richiesta che il cuore fosse donato a Hermione.”
“Senza sapere se erano compatibili? Senza aver fatto gli esami di rito? Non ci credo Scott! NO!” – era esploso. Sperava che Scott gli dicesse che era stato tutto uno scherzo, ma il padrone di casa lo smentì.
“Jean aveva già fatto tutto, Draco. Era, tra tutti, la donatrice perfetta.”
Schiacciato dalla verità, Draco non seppe più cosa replicare. Tutto quello che aveva appena sentito, aveva dell’incredibile.

Nel suo mondo, nel suo vecchio mondo, quelle gesta erano solo delle parole su blog per ragazzine romantiche, dove la frase finale “Non c’è più. Ti ha donato il suo cuore” faceva scoppiare pianti isterici che non aveva mai potuto sopportare.

E ora… ci sbatteva il muso contro. Non erano solo parole, adesso…
“Non aveva mai sopportato di vedere un figlio star male e non poter fare nulla per aiutarlo.” – riprese Scott, perso nei ricordi. – “Non l’ho mai vista così impotente come quando a Daphne avevano asportato l’utero.” – disse, rammaricato. – “Quando mi ha detto di ciò che voleva fare per Hermione io mi sono opposto, naturalmente, ma lei era così decisa… aveva sempre sostenuto che aiutare Hermione fosse la sua possibilità di riscatto per non aver aiutato Daphne.”
Draco lo guardò, con gli occhi piegati all’ingiù per il dolore.
“Quando ha deciso di… farlo…” – disse, non riuscendo proprio a pronunciare le parole “togliersi la vita”. – “… mi ha chiesto di non essere presente. Sa che l’avrei fermata.” – disse, quasi orgoglioso della testa dura della moglie. – “Sai, forse sarà stata suggestione, perché sapevo quello che aveva in mente, ma… mentre camminavo, ho sentito una specie si fitta al cuore. Ho sempre voluto credere che fosse il suo ultimo saluto. Il nostro ultimo San Valentino…
Draco chinò lo sguardo a terra, offuscato dalle lacrime.
Cazzo, continuava a ripetersi nella testa. Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo… era l’unica cosa alla quale riusciva a pensare.
“Ora sai cos’ha Hermione. Ti chiedo di non metterla sotto pressione, ora che sai tutto.”
E, senza prima pensare, Draco confessò quello che era successo in veranda a Scott.
“L’ho baciata.” – disse, con voce tremula.
Scott sperò di aver capito male.
“Scusa?”
Draco si rese conto di aver fatto una cazzata di proporzioni epiche.
“Io… ho baciato tua figlia.”
Il genitore rimase muto, incredulo.
“Ma si è staccata subito!” – precisò lui, come per far passare in secondo piano il bacio. – “E nello staccarsi ha rotto una tazza.”
“La tazza, vorrai dire.” – precisò. – “Era un regalo di sua madre.”
Draco alzò gli occhi al cielo, instupidito da se stesso. E ora, alla luce dei fatti, si pentì amaramente di quello che le aveva detto.
“Cazzo…” – imprecò l’uomo a denti stretti.
Adesso la sua reazione aveva avuto un senso; ora le sue parole, dapprima sconnesse, avevano assunto il vero significato.
“Cosa?”
“Io… mi ha incolpato perché l’avevo rotta, ma le ho detto che era caduta a lei, non a me. Che l’aveva rotta lei, non io.”
Scott alzò gli occhi al cielo.
“A posto siamo…” – disse.
“Io… se avessi saputo non…”
“Cosa? Non l’avresti baciata? La tazza non si sarebbe rotta? Non le avresti detto, inconsciamente, che se sua madre è morta la colpa era sua? Cosa non avresti fatto Draco?”
“Avrei riflettuto prima di agire.” – disse l’uomo, fronteggiando il padre di Hermione e sperando che Scott capisse quanto lui ci tenesse a Hermione.
“Lasciala stare Draco. Non è di compassione che ha bisogno mia figlia.”
“E non è compassione che volevo darle stasera.” – disse, con un sorrisetto ironico.

Forse la verità stava venendo a galla.

“E cosa volevi darle? Draco, Hermione ha bisogno di tranquillità, sapere di aver vicino persone sulle quali può contare.”
“E io cosa sono? Immondizia?” – disse lui, deluso. – “Una volta al mese la vedo sparire per tutto il giorno e la trovo alla sera che è ridotta ad uno straccio. Non le rivolgete la parola a meno che non sia lei a farlo per prima. Credete che sia aiuto, questo? Lasciarla da sola ad affrontare questo problema?”
“Modera i termini, ragazzino. Stai oltrepassando la linea.” – disse Scott, duro.
“E credo che sia ora che qualcuno la oltrepassi!”

Non permetteva a nessuno di andare in casa sua e dirgli come gestire la vita della sua famiglia.
Quella situazione era molto delicata. Nessun essere umano al mondo prima di loro ci era passato quindi nessuno poteva giudicare se le loro azioni fossero dettate dal buon senso o sbagliate: avevano loro solo la speranza che tutto ciò che avevano fatto fino a quel momento fosse la cosa giusta.

“Sta attento, Draco. Non ti permetto di dirmi cosa devo o non devo fare! Finora…”
“… finora non avete fatto altro che guardarla mentre cercava aiuto da parte vostra! Ma non vedi come sta fingendo? Dì un po’ Scott… ma hai mai conosciuto veramente tua figlia?”
All’improvviso, Draco, si ritrovò scaraventato a terra da un pugno di Scott. L’uomo cadde sul tavolino in cristallo, mandandolo in frantumi. Il botto fece accorrere tutti i presenti.
“BASTARDO!” – urlò Scott in preda alla rabbia.
Ci vollero Damian, Kevin e Neville per trattenerlo.
“PAPA’ FERMATI!” – urlò Damian.
Draco si mise seduto, asciugandosi con la manica il sangue che colava dal labbro.
“LASCIAMI ANDARE! LASCIAMI DAMIAN!”









Calli-corner

Oh-mio-Dio!
Ecco il punto cruciale della soap-opera!

Ora, scherzi a parte, per il problema di Hermione mi sono ispirata al film “Sette Anime”, per chi non l’avesse visto, lo pregherei vivamente di farlo, ma di premunirsi di cinquanta pacchetti di fazzoletti, perché ti toglie il cuore, altro che il respiro. Per chi lo avesse visto, invece, credo sappia a che scena sto facendo riferimento.
Non ho voluto anticiparvi niente a inizio capitolo perché altrimenti avrei scoperto troppo le carte e volevo che fosse una sorpresa dall’inizio alla fine.

Ma partiamo dall’inizio.
Daphne.
Daphne non ha l’utero perché a causa di un’emorragia non curata, ha perso ciò che per lei era fondamentale: la possibilità di dare a Neville un figlio.

Hermione.
Hermione, come ho detto sopra, aveva una malformazione cardiaca e sua madre, che ha solo seguito il suo istinto, ha fatto di tutto per la sua bambina.
La ragazza, però, si sente responsabile per tanti motivi che verranno spiegati nel capitolo successivo.
Forse noterete delle somiglianze con “John Q” con Denzel Washington, dove il bambino di Denzy ha lo stesso problema al cuore e la moglie lo assilla a fare di tutto per guarirlo. Denzy lo fa, ma prende in ostaggio un chirurgo, la sua equipe per far operare il figlio.
Il cuore lo vuole donare Denzel stesso, ma alla fine arriva l’incidente, dove muore una ragazza che è compatibile in tutto e per tutto con il figlio di Denzel.

Lo so, sono contorta.

Forse è troppo esagerato, forse fa troppo soap-opera, ma l’idea mi è venuta dopo aver visto il film, anzi… i film in questione.
Spero di non aver strafatto.

Ma non preoccupatevi. Nel prossimo capitolo ci sarà un’altra rivelazione su Hermione. ^_^

Intanto, vi lascio con lo spoiler, in attesa del prossimo capitolo.

“Io…” – beh, se era riuscito a non farla più sentire sbagliata per ciò che sua madre aveva coraggiosamente fatto per lei, forse poteva aiutarla anche con quella questione.
Lo sperò vivamente.
“… sono vergine. E no, non mi riferisco al segno zodiacale.”

Ma di cosa staranno mai parlando? ^_______________^


Bacioni,
callistas
  
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